SENTENZA N.16
ANNO 1980
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, sesto comma, nn. 1, 2, 3, 4 e 5 del d.l. 1° ottobre 1973, n. 580, conv. in legge 30 novembre 1973, n.766 (misure urgenti per l'universita), promosso con ordinanza 13-20 gennaio 1976 dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, nel procedimento instaurato sui ricorsi di Gallo Orsi Gianfranco e Mathis Mauro contro il Politecnico di Torino e la facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino, nei confronti di Angeletti Adolfo ed altri, iscritta al n. 443 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 dell'8 settembre 1976.
Visti gli atti di costituzione di Gallo Orsi Gianfranco e del Politecnico di Torino, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 24 ottobre 1979 il Giudice relatore Michele Rossano;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Politecnico di Torino e per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - L'art. 4, comma sesto, nn. 1, 2,3,4,5 d.l. 1° ottobre 1973, n. 580 (misure urgenti per l'Università) convertito, con modificazioni, in legge 30 novembre 1973, n. 766, prescrive: < Gli incarichi di insegnamento sono conferiti, a domanda, a studiosi della relativa disciplina o di disciplina strettamente affine che siano laureati da almeno tre anni o, nel caso siano sprovvisti di laurea, abbiano superato il trentacinquesimo anno di età, secondo il seguente ordine di precedenza: 1) già incaricati o assistenti di ruolo che non esercitino attività professionale o di consulenza professionale retribuita; 2) professori di ruolo che non esercitino le medesime attività; in tal caso non si applica il quarto comma dell'art. 7 della legge 24 febbraio 1967, n. 62; 3) liberi docenti o studiosi che abbiano recato con le loro pubblicazioni contributi originali alla disciplina; 4) già incaricati o assistenti di ruolo che non si trovino nelle condizioni previste al punto 1); 5) professori di ruolo che non si trovino nelle condizioni previste al punto 2) >.
Questa norma, secondo il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, sarebbe in contrasto con gli artt. 1; 3, commi primo e secondo; 4, commi primo e secondo; 33, comma primo; 34, capoverso; 35, comma primo; 51, comma primo; e 97, comma primo, della Costituzione.
2. - Secondo l'ordine logico è preliminare l'esame delle censure concernenti l'art. 97 della Costituzione in quanto attiene all'oggetto della normativa del conferimento degli incarichi, considerata, nella motivazione dell'ordinanza, nel suo complesso in diretto riferimento anche agli altri articoli della Costituzione che si assumono violati.
La normativa impugnata, ad avviso del Tribunale Amministrativo, violerebbe il principio di buon andamento dell'Amministrazione in quanto prescinde dall'effettivo merito degli aspiranti e privilegia l'accesso alla delicata funzione di docente nell'Università con riferimento ad esigenze pur importanti, ma non preminenti, come quella di una maggiore disponibilità di tempo di candidati che non sempre sono i più qualificati per serietà di studi e contributi originali alla disciplina. La maggiore disponibilità di tempo potrebbe avere rilevanza in casi di parità di merito, mai come condizione di precedenza nei confronti di candidati con qualificata esperienza.
3. - La censura è priva di fondamento.
Con riguardo ai presupposti, che determinarono la censurata normativa e l'intento del legislatore di applicare, con essa, il principio dell'art. 97 della Costituzione, va considerato che, nella relazione al Senato sul disegno di legge n. 1267, concernente la conversione in legge del decreto legge n. 580 del 1973, il Ministro della Pubblica Istruzione pose in risalto che misure urgenti per l'Università erano essenziali al fine di rimuovere un lungo periodo di stasi rivelatosi gravemente nocivo alla vita delle istituzioni universitarie, ponendone in crisi le strutture divenute ancora più inadeguate in relazione al notevole incremento annuo della popolazione universitaria, che aveva visto il nostro Paese al primo posto fra gli Stati europei. E fra i provvedimenti, intesi < a sciogliere i nodi più stringenti che rischiavano altrimenti di soffocare la vita universitaria >, indicò quelli concernenti i docenti, in quanto lo squilibrio fra docenti e studenti, la presenza, nell'Università, di docenti non ordinari, la collaborazione, in taluni casi senza una precisa configurazione giuridica, di numerose forze già impegnate nella ricerca didattica, diversamente denominate (borsisti, incaricati di esercitazioni, assistenti volontari), avevano concorso a determinare la grave crisi. Preciso, con riferimento alla nuova disciplina per il conferimento degli incarichi, che i punti salienti di essa < si identificavano nelle preferenze attribuite a coloro che non esercitavano private attività professionali e nel divieto di conferire nuovi incarichi che non fossero retribuiti (art. 4) >.
4. - Questa Corte ha già avuto occasione di affermare (sentenze n. 8 del 1967 e n. 123 del 1968) che il controllo di costituzionalità, nei ristretti limiti dell'accertamento della non arbitrarietà della disciplina impugnata, può essere effettuato anche in vista del < buon andamento > dell'amministrazione, prescritto dal primo comma dell'art. 97 Cost. Ma, nel caso in esame, i fattori che hanno determinato la grave crisi delle strutture delle Università, specificamente indicati nella relazione al Senato sul disegno di legge n. 1267, escludono che sia in contrasto con il principio dell'art. 97 della Costituzione la scelta del legislatore di un tassativo ordine gradato per il conferimento degli incarichi.
Che il professore universitario di ruolo possegga, nei settori di sua particolare competenza, i più alti requisiti di cultura ed esperienza per lo svolgimento di un incarico, è in linea generale indiscutibile; ma anche gli incaricati e gli assistenti di ruolo, che devono pur sempre risultare < studiosi della relativa disciplina o di disciplina strettamente affine >, possono assicurare degnamente il buon andamento dell'insegnamento universitario, senza che la scelta preferenziale operata nei loro confronti sia da considerare arbitraria.
La scelta si giustifica anzitutto in considerazione dell'insufficiente numero dei professori di ruolo, che concorse a determinare la crisi delle Università, del peso dell'insegnamento di cui tali professori sono titolari, della conseguente esigenza di rafforzare le strutture universitarie mediante l'inserimento di docenti più giovani, che altrimenti si vedrebbero sempre posposti ai titolari stessi.
In secondo luogo l'ordine legislativo di precedenza per il conferimento degli incarichi non deve esser inteso ed applicato in un senso automatico.
Occorre invece che la qualità di studioso sia accertata, per tutti gli aspiranti, sulla base dei criteri previamente ed astrattamente fissati da ciascuna Facoltà interessata, i quali consentano un concreto giudizio alla stregua di sicure prove di apprezzabile attività scientifica attinente alla materia cui ha riferimento l'incarico. Pertanto la disposizione dell'art. 4, comma sesto, n. 3, delle misure urgenti per l'Università (relativa ai liberi docenti od agli altri < studiosi che abbiano recato con le loro pubblicazioni contributi originali alla disciplina >) non costituisce affatto un'eccezione, ma riafferma e sottolinea un principio di portata generale.
5. - Non è fondata nemmeno la censura di violazione dell'art. 51, comma primo, della Costituzione, poiché per tale norma le condizioni di eguaglianza hanno rilievo con riferimento ai requisiti stabiliti dalla legge e, nel caso in esame, i requisiti per il conferimento degli incarichi sono stabiliti dalla legge con razionale applicazione dell'art. 97, comma primo, della Costituzione.
6. - Quanto al denunciato contrasto della impugnata normativa con i seguenti articoli della Costituzione: 35, secondo cui la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme; 33 e 34, che garantiscono la libertà di insegnamento e l'accesso alla scuola; è sufficiente considerare che dette norme costituzionali non sono dirette a determinare i modi e le forme della tutela del lavoro, dell'istruzione e dell'insegnamento, ma solo ne enunciano il criterio ispiratore e l'ordinanza di rinvio non specifica quale ne sia stata la concreta violazione.
7. - Anche il riferimento agli artt. 1 e 4, commi primo e secondo, della Costituzione è privo di fondamento.
Questa Corte ha già precisato che l'art. 1 della Costituzione afferma solo un principio ispiratore della tutela del lavoro, non vuole determinare i modi e le forme di questa tutela; e che l'art. 4 della Costituzione mette in risalto l'importanza sociale del diritto al lavoro. (Sentenze n. 3 del 1957, n. 105 del 1963, n. 22 del 1967, n. 5 del 1971, n. 130 del 1973 e n. 194 del 1976).
8. - Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte sostiene, inoltre, che la normativa dell'art. 4, comma sesto, d.l. n. 580 del 1973, oltre ad essere illegittima nel suo insieme, attuerebbe una irragionevole discriminazione fra categorie di candidati in quanto le attività professionali o la consulenza professionale retribuita, che precludono il conferimento preferenziale ai gia incaricati o assistenti di ruolo, sono soltanto le attività professionali libere o di consulenza professionale autonoma e non le attività svolte da pubblici dipendenti. La normativa sarebbe illegittima in quanto colloca alla quarta categoria (n. 4) i liberi professionisti e consulenti professionisti autonomi in base ad una presunzione di un minore impegno e di una minore disponibilità di tempo dei professionisti rispetto ai pubblici dipendenti, presunzione che potrebbe non trovare conferma nei fatti.
9. - La censura è fondata.
Questa Corte ritiene esatta l'interpretazione data dal Tribunale Amministrativo al termine < attività professionale > contenuto nel numero 1 della norma impugnata. L'attività professionale, che impedisce il conferimento preferenziale dell'incarico, è soltanto quella professionale libera. La distinzione, nello stesso n. 1 della norma impugnata, tra esercizio di attività professionale e consulenza professionale retribuita si spiega considerando che il legislatore ha voluto vietare il conferimento degli incarichi sia a coloro che esercitano un'attività professionale condizionata all'iscrizione in albo o elenco, sia a coloro che svolgono attività professionali non subordinate alla iscrizione in particolare albo, le quali, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, sono attività professionali libere.
La norma dell'art. 4-, n. 1, d.l. n. 5&0 del 1973, così interpretata, determina tra la categoria dei dipendenti pubblici e privati e quella dei liberi professionisti una disparità di trattamento priva di razionale giustificazione poiché le due categorie si trovano in situazioni da ritenere oggettivamente eguali.
Nella citata relazione al Senato sul disegno di legge n. 1267, concernente la conversione in legge del d.l. n. 580 del 1973, si afferma che punto saliente della nuova disciplina per il conferimento degli incarichi di insegnamento nelle Università si identifica nelle preferenze attribuite a coloro che non esercitano private attività professionali. Nella relazione non sono specificati i motivi delle preferenze. Questi motivi, secondo la giurisprudenza amministrativa, consisterebbero nella maggiore disponibilità di tempo, da dedicare all'insegnamento universitario, del dipendente pubblico o privato rispetto al libero professionista .
L'Avvocato Generale dello Stato, nell'atto di intervento nel presente giudizio, sostiene che la norma denunciata, con la formazione di un certo ordine di precedenza, ha inteso privilegiare coloro che intendono destinare la maggior parte di tempo all'insegnamento, coloro che ravvisano nell'insegnamento universitario una concreta ed attuale prospettiva di prioritarie aspirazioni professionali.
Il motivo della maggiore disponibilità di tempo del dipendente non può considerarsi fondato.
L'incarico universitario consente margini di autonomia per lo svolgimento di altre attività, che restano consentite e, anzi, di fatto agevolate nei limiti in cui la titolarità dell'incarico può tradursi in ulteriore qualificazione professionale. Queste considerazioni valgono per i professionisti, non meno che per i dipendenti.
D'altronde il dipendente deve adempiere, in stato di subordinazione, i numerosi, gravosi doveri del rapporto di impiego, che influiscono notevolmente sulla quantità di tempo libero. Al riguardo va considerato che spesso il dipendente, che ha titolo per assumere l'incarico di insegnamento universitario, occupa, nell'ordinaria attività, una posizione di rilievo, con i conseguenti oneri, che riducono notevolmente il tempo per svolgere altra attività. Lo stesso dipendente, in generale, è soggetto ad orario di ufficio e, per assumere qualsiasi incarico, ha l'obbligo di ottenere l'autorizzazione del superiore gerarchico, che deve accertare la compatibilità dell'incarico con gli impegni derivanti dalle funzioni esercitate. Al contrario il professionista, non soggetto a vincoli di subordinazione e di orario, ha la possibilità di scegliere e dedicare all'insegnamento il tempo che liberamente ritiene di sottrarre alla sua normale attività.
La mancata predeterminazione di un certo periodo di tempo non può, quindi, far presumere che il professionista non sia in grado di assolvere con il necessario impegno l'incarico di insegnamento universitario; né può, per converso, far ritenere che i dipendenti pubblici e privati debbano essere preposti ai liberi professionisti, anziché venire anch'essi collocati, se già incaricati, al 4° posto della graduatoria per il conferimento degli incarichi.
E, poiché mancano criteri logici da assumere quali ragioni giustificatrici del trattamento differenziato, sussiste la denunciata violazione del principio di eguaglianza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1. - Dichiara l'illegittimità costituzionale del n. 1, comma sesto, art. 4 d.l. 1° ottobre 1973, n. 580 (misure urgenti per l'Università) - convertito, con modificazioni, in legge 30 novembre 1973, n. 766-nella parte in cui non comprende tra coloro che esercitano attività professionale o consulenza professionale retribuita anche i dipendenti pubblici e privati.
2. - Dichiara non fondate le altre questioni, proposte dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte con l'ordinanza 13-20 gennaio 1976, concernenti la legittimità costituzionale: -del n. 1 del comma sesto dell'art. 4 d.l. n. 580 del 1973, in riferimento agli artt. l; 4, commi primo e secondo; 33, comma primo; 34 capoverso; 35, comma primo; 51, comma primo; e 97, comma primo, della Costituzione; -dei numeri 2, 3, 4, 5 del comma sesto dell'art. 4 d.l. n. 580 del 1973, in riferimento agli artt. l; 3, commi primo e secondo; 4, commi primo e secondo; 33, comma primo, 34 capoverso; 35, comma primo; 51, comma primo; e 97, comma primo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/02/80.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI – Michele ROSSANO – Antonino DE STEFANO – Leopoldo ELIA – Guglielmo ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI – Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE – Antonio LA PERGOLA – Virgilio ANDRIOLI
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 15/02/80.