SENTENZA N. 1019
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
dott. Francesco SAJA, Presidente
prof. Giovanni CONSO
prof. Ettore GALLO
dott. Aldo CORASANITI
prof. Giuseppe BORZELLINO
dott. Francesco GRECO
prof. Gabriele PESCATORE
prof. Francesco P. CASAVOLA
prof. Antonio BALDASSARRE
prof. Vincenzo CAIANIELLO
avv. Mauro FERRI
prof. Luigi MENGONI
prof. Enzo CHELI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 36 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 ("Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica"), 11 e 11- ter del D.L. 6 giugno 1981, n. 283, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 1981, n. 432 ("Copertura finanziaria dei decreti del Presidente della Repubblica di attuazione degli accordi contrattuali triennali relativi al personale civile dei Ministeri e dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, nonché concessione di miglioramenti economici al personale civile e militare escluso dalla contrattazione"), 12, lett. o), e 4 lett. c), della legge 21 febbraio 1980, n. 28 ("Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica"), 1 della legge 22 gennaio 1982, n. 6 ("Proroga fino al 30 giugno 1982 del trattamento economico provvisorio per il personale dirigente civile e militare dello Stato e per quello collegato, previsto dal D.L. 6 giugno 1981, n. 283, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 1981, n. 432") e 1 del D.L. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n. 869 ("Adeguamento provvisorio del trattamento economico dei dirigenti delle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e del personale ad essi collegato"), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 4 aprile 1984 dal T.A.R. per l'Emilia Romagna - Sede di Bologna sui ricorsi riuniti proposti da Alvisi Carlo ed altri contro l'Università degli studi di Bologna ed altri iscritta al n. 1341 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 91- bis dell'anno 1985;
2) ordinanza emessa il 25 febbraio 1985 dal T.A.R. per l'Emilia Romagna - Sede di Bologna sui ricorsi riuniti proposti da Antonietti Alessandro ed altro contro l'Università degli Studi di Bologna ed altri iscritta al n. 537 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 267- bis dell'anno 1985;
3) ordinanza emessa il 2 maggio 1986 dal Consiglio di Stato Sez. VI giurisdizionale sul ricorso proposta da Rossano Claudio contro l'Università degli studi di Roma ed altri iscritta al n. 724 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 59, prima serie speciale, dell'anno 1985.
Visti gli atti di costituzione di Alvisi Carlo ed altri, di Antonietti Alessandro ed altro e di Rossano Claudio;
Udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1988 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
Udito l'Avv. Giovanni Rizza per le parti costituite;
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di alcuni giudizi promossi da professori universitari, ordinari da epoca anteriore al 1° novembre 1980, avverso i provvedimenti amministrativi della relativa Università, con i quali si era provveduto alla ricostruzione della carriera ed alla attribuzione del nuovo trattamento economico in virtù del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, il T.A.R. dell'Emilia Romagna con ordinanza del 4 aprile 1984 ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 36, commi settimo e ottavo, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, integrato dall'art. 11- ter della l. 6 agosto 1981 n. 432, nonché degli artt. 12 lett. o) e 4 lett. c) della l. 21 febbraio 1980, n. 28, in relazione agli artt. 3, primo comma, e 36, primo comma, Cost..
Ad avviso del giudice rimettente, la nuova normativa (d.P.R. n. 382/80 e successive modificazioni e integrazioni) avrebbe sostanzialmente fatto venire meno il diritto dei ricorrenti, non ancora pervenuti all'ultima classe di stipendio, a vedersi attribuito nel tempo il trattamento retributivo equiparato a quello dei dirigenti generali dello Stato di livello A, previsto dall'art. 47 del d.P.R. n. 748 del 1972.
In particolare l'art. 36 del d.P.R. n. 382/80, dopo aver fissato la progressione economica del ruolo dei professori universitari, ha disposto al settimo comma l'inquadramento dei docenti in servizio anteriormente al 1° novembre 1980 nella prima fascia con una ricostruzione di carriera da operare sulla base del sistema preesistente, ovvero su quello introdotto dalla nuova normativa se più favorevole, con decorrenza dal 1° agosto 1980 ai fini giuridici e dal 1° novembre 1980 ai fini economici.
L'ottavo comma dello stesso art. 36 ha previsto, poi, che i professori di ruolo, già pervenuti all'ultima classe di stipendio, conservano il diritto alla equiparazione, ai fini retributivi, al dirigente generale di livello A dello Stato (secondo il contenuto della sentenza di questa Corte n. 219 del 1975), ma, se abbiano optato per il regime di impegno a tempo definito, la differenza tra lo stipendio in godimento e quello spettante ai sensi della nuova normativa viene loro mantenuta come assegno ad personam, pensionabile e riassorbibile.
Le norme anzidette sembrerebbero differenziare illegittimamente la posizione dei docenti, distinguendo in relazione ad un mero elemento temporale tra coloro che, alla data di entrata in vigore del d.P.R. n. 382, erano già pervenuti all'ultima classe di stipendio (che conservano, con tutte le implicazioni, il regime di equiparazione), e coloro che a quella stessa data fruivano di una classe di stipendio inferiore e non potrebbero raggiungere più, per effetto della normativa sopravvenuta, la piena equiparazione con i dirigenti statali di livello A.
Si creerebbe così una discriminazione all'interno della medesima categoria di professori universitari, laddove a parità di funzioni e di anzianità di carriera dovrebbe corrispondere una parità dei tetti retributivi correlati all'unico parametro di riferimento.
Anche le altre norme denunciate (artt. 12 lett. o) e 4 lett. c) della legge 21 febbraio 1980 n. 28 recante la delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria), paiono, ad avviso del giudice a quo, confermare la rilevata discriminazione che in concreto si attuerebbe con la previsione della conservazione del trattamento economico dell'ultima classe di stipendio per i soli professori che già ne godono alla data di entrata in vigore delle norme delegate e con esclusione di tutti gli altri docenti per i quali invece è preclusa la progressione economica culminante nella parificazione al livello A dirigenziale.
2. - Con ordinanza in data 25 febbraio 1985, il T.A.R. Emilia-Romagna ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale dell'ottavo comma dell'art. 36 del d.P.R. n. 382 del 1980 (in riferimento all'art. 12 lett. o) della legge di delega n. 28 del 1980), nonché degli artt. 11 e 11-ter, della l. 432 del 1981 e dell'art. 1, ultimo comma, della l. 869 del 1982, per contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost.
Ha rilevato il giudice rimettente che il principio della "identica potenzialità di sviluppo di carriera (per le categorie dei docenti universitari e dirigenti statali di livello A) sfociante nel medesimo tetto retributivo" - principio ricavabile da una lunga tradizione legislativa, come riconosciuto dalla sentenza di questa Corte n. 219 del 1975 - sia stato disatteso dalla normativa delegata impugnata e da quella che è seguita, che hanno invece introdotto trattamenti economici che si discostano in prospettiva dalla affermata sostanziale parità.
Vengono così denunciati per contrasto con l'art. 3 Cost.: l'art. 11 della l. n. 432 del 1981, che ha istituito l'assegno personale per i soli dirigenti dello Stato, l'art. 11- ter della stessa l. n. 432 del 1981, che ha cristallizzato per i professori universitari dell'ultima classe di stipendio (che conservano il trattamento economico equiparato ai dirigenti di livello A) l'assegno ad personam nella misura vigente al 1° novembre 1981 e ne ha disposto la graduale riduzione mediante il riassorbimento; l'art. 1, ultimo comma, della l. n 869 del 1982 che ha attribuito ai docenti universitari a decorrere dal 1° gennaio 1983 e con le proporzioni di cui all'art. 36 del d.P.R. 382 del 1980, l'aumento di cui al secondo comma dello stesso articolo.
Sotto il profilo dell'eccesso di delega (violazione art. 76 Cost.), ad avviso del giudice a quo, l'art. 12 lett. o) della l. n. 28 del 1980 pone l'obbligo per il legislatore delegato di mantenere l'equiparazione della retribuzione dei professori universitari all'ultima classe ai dirigenti statali di livello A, senza discriminare tra professori a tempo pieno e professori a tempo definito.
La considerazione che il legislatore ha rivolto al regime a tempo pieno è diretta ad altri e diversi effetti, di attuazione e transitori, che non possono inficiare - come nella specie è avvenuto - il principio del trattamento economico unitario dei professori correlato a quello dei massimi dirigenti statali, a prescindere dal regime in cui l'impiego universitario si svolga.
La distinzione operata dal decreto delegato tra i due anzidetti regimi esorbita, pertanto, dai principi e criteri della delega legislativa (l. 28/80).
3. - Il Consiglio di Stato sez. VI, con ordinanza del 2 maggio 1986, ha sollevato analoghe questioni di legittimità costituzionale degli art. 36 del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, dell'art. 11- ter del D.L. 6 giugno 1981 n. 283, convertito nella legge 6 agosto 1981, n. 432, dell'art. 1 della legge 22 gennaio 1982 n. 6, dell'art. 1 del D.L. 27 settembre 1982, n. 681, convertito nella l. 20 novembre 1982, n. 869, nella parte in cui non mantengono la equiparazione della classe finale di stipendio dei professori universitari ordinari alla retribuzione del dirigente generale di livello A dello Stato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 Cost..
Ad avviso del giudice a quo le norme denunciate si sarebbero illegittimamente discostate dal principio della equiparazione, per quanto concerne il tetto retributivo, delle categorie dei professori universitari di ruolo e dei dirigenti generali di livello A, principio ricavabile da una lunga tradizione legislativa che aveva conferito, alle comparate categorie, alla luce della sentenza di questa Corte n. 219 del 1975, una identica potenzialità di sviluppo di carriera sfociante nel medesimo trattamento retributivo.
Rileva in particolare il giudice rimettente che l'abbandono da parte del legislatore del suindicato criterio di equiparazione non risulta giustificato dal superamento delle premesse che avevano determinato il precedente giudizio di valore (possibilità questa espressamente ammessa dalla stessa Corte nella citata sentenza), ma anzi la equiparazione risulta addirittura nuovamente sancita dalla coeva legge 11 luglio 1980 n. 312 (art. 72, secondo comma). Da ciò derivano, altresì, dubbi di legittimità costituzionale in ordine alle norme successive al d.P.R. n. 382 del 1980, che si sono anch'esse discostate dal principio dell'equiparazione.
4. - Si sono costituite nel presente giudizio alcune delle parti private, originarie ricorrenti nei giudizi a quibus, le quali hanno evidenziato il contrasto della normativa denunciata con gli invocati parametri costituzionali.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna ha sollevato (reg. ord. n. 1341 del 1984), in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 36, primo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 36, settimo ed ottavo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382 nonché dell'art. 11- ter della legge 6 agosto 1981 n. 432 e degli artt. 12, lett. o, e 4, lett. c., della legge 21 febbraio 1980 n. 28.
L'ordinanza di rinvio è stata emanata nel corso di giudizi, previamente riuniti, promossi da vari docenti universitari nominati anteriormente al 1° novembre 1980 nei cui confronti, a seguito della entrata in vigore del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, si è provveduto alla ricostruzione della carriera ed alla attribuzione del nuovo trattamento economico.
Il giudice a quo dichiara di condividere la tesi sostenuta dagli interessati secondo cui quest'ultimo trattamento sarebbe pregiudizievole rispetto alla posizione da essi in precedenza goduta, in quanto essi - ove non fosse intervenuta la nuova normativa - avrebbero nel tempo ottenuto il trattamento retributivo equiparato a quello dei dirigenti generali di livello A (previsto dall'art. 47 del d.P.R. n. 748 del 1972 e riconosciuto nei loro confronti per effetto della sentenza n. 219 del 1975), laddove in base alla disciplina sopravvenuta, oggetto dell'incidente di costituzionalità, ed in particolare per effetto del settimo comma dell'art. 36 del d.P.R. n. 382 del 1980, essi sono rimasti bloccati definitivamente al parametro 801 con i soli aumenti periodici di stipendio. Questo nuovo trattamento sarebbe in contrasto con i principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 219 del 1975 che, pur escludendo che vi sia coincidenza tra la funzione del professore universitario e quella dei dirigenti statali, avrebbe riconosciuto alle due categorie, per la costante ed uniforme corrispondenza per decenni mantenuta dal legislatore, una identica potenzialità di sviluppo di carriera sfociante nel medesimo tetto retributivo.
La normativa denunciata si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., perché nell'ambito della stessa categoria dei professori universitari di ruolo verrebbe meno la sostanziale parità tra coloro che conservano, in base al citato art. 36 del d.P.R. n. 382 del 1980, il diritto già acquisito e coloro che tale diritto non potranno mai acquisire, non avendo ancora maturato i 16 anni di servizio, per cui sarebbe così violato anche il principio della giusta retribuzione in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Se, si soggiunge, i professori universitari ed i dirigenti "erano potenzialmente assimilati nello sviluppo di carriera che consentiva di raggiungere un uguale tetto del trattamento economico, in quella potenzialità, riconosciuta costituzionalmente rilevante ai fini degli artt. 3 e 36 Cost., essi dovevano continuare ad essere trattati.... A parità di funzioni non si sarebbe potuto operare, senza una lesione del principio di uguaglianza e di quello della giusta retribuzione, una discriminazione per docenti universitari quanto allo sviluppo del trattamento economico". Il d.P.R. n. 382 del 1980 ha, invece, ingiustificatamente scelto, come unico criterio di diversificazione, quello meramente temporale e cioè il già avvenuto riconoscimento della classe finale, e ciò in attuazione ai principi della legge di delegazione n. 28 del 1980 che invece sarebbero stati superati dalla legge n. 312 del 1980, entrata in vigore successivamente.
2. - Analoghe questioni sono sollevate con ordinanza del Consiglio di Stato (reg. ord. n. 724 del 1986) che, oltre agli artt. 3 e 36, assume come parametro di riferimento anche l'art. 97 Cost., rispetto ai quali si sostiene che sarebbero in contrasto non solo le norme denunciate con l'altra ordinanza (e cioè l'art. 36 del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382 nonché l'art. 11- ter del D.L. 6 giugno 1981, n. 283, convertito nella legge 6 agosto 1981 n. 432) ma anche quelle successive e cioè l'art. 1 della l. 22 gennaio 1982 n. 6 e l'art. 1 del D.L. 27 ottobre 1982 n. 681, convertito nella legge 20 novembre del 1982, n. 869, che si sono discostate dal criterio dell'equiparazione.
Si sostiene dal giudice a quo che le questioni di legittimità costituzionale non sarebbero manifestamente infondate, alla luce delle considerazioni svolte nella sentenza di questa Corte n. 219 del 1975, "in ordine alla lunga tradizione legislativa di equiparazione (per quanto concerne il tetto retributivo) delle categorie dei professori universitari di ruolo e dei dirigenti generali. Né l'abbandono di tale criterio sarebbe giustificato dal superamento delle premesse che avevano determinato il precedente giudizio di valore (possibilità questa esplicitamente ammessa nella citata sentenza della Corte), ché anzi l'equiparazione risulta sancita da ultimo nella legge 11 luglio 1980 n. 312 (art. 72, secondo comma)".
3. - Con altra ordinanza (reg. ord. n. 537 del 1985) il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., dell'ottavo comma dell'art. 36 del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382 nonché degli artt. 11 e 11- ter del D.L. 6 giugno 1981, n. 283, convertito nella legge 6 agosto 1981, n. 432 e dell'art. 1, ultimo comma, del D.L. 27 settembre 1982, n. 681, convertito nella legge 20 novembre 1982, n. 869.
Per quel che concerne le questioni sollevate in riferimento all'art. 3 Cost., vengono formulate considerazioni analoghe a quelle già contenute nelle altre due ordinanze di rimessione in precedenza illustrate, ribadendosi che le norme denunciate si discostano da quella sostanziale parità giuridica per decenni mantenuta dal legislatore fra dirigenti amministrativi e professori universitari e consistente in una identica potenzialità di sviluppo di carriera sfociante nel medesimo tetto retributivo. Difatti si sostiene che già con la normativa delegata di cui al d.P.R. n. 382 del 1980 erano state alterate le caratteristiche e le modalità della corrispondenza fra due categorie di dipendenti pubblici (cui aveva fatto riferimento questa Corte con la sentenza n. 219 del 1975) differenziando, in modo del tutto irrazionale, il trattamento economico a seconda della data del conseguimento dell'ultima classe di stipendio ed escludendo l'equiparazione per i docenti che alla data di entrata in vigore del decreto delegato non avessero ancora raggiunto l'ultima classe di stipendio. Le successive normative denunciate (legge n. 432 del 1981 e legge n. 869 del 1982) avrebbero aggravato la lamentata disparità perché il terzo comma dell'art. 11- ter della legge n. 432 del 1981 ha cristallizzato l'assegno ad personam nella misura spettante alla data del 1° novembre 1981 e ne ha disposto il graduale riassorbimento; e così "l'ultimo comma dell'art. 1 della legge n. 869 del 1982, che ha preteso di attribuire ai docenti universitari, a decorrere dal 1° gennaio 1983 e con le proporzioni all'art. 36 del d.P.R. n. 382 del 1980, l'aumento di cui al secondo comma dello stesso articolo".
Per quanto riguarda, poi, le questioni sollevate in riferimento all'art. 76 Cost., si sostiene che dall'art. 12, lett. o), della legge di delega n. 28 del 1980 si ricaverebbe "l'obbligo per il legislatore delegato di mantenere l'equiparazione della retribuzione della particolare categoria di professori universitari all'ultima classe a quella dei dirigenti statali di livello A, senza discriminazione, quindi, tra professori a tempo pieno e professori a tempo definito". Il diverso trattamento operato dal legislatore delegato nei confronti dei docenti a tempo definito, distinguendo tra stipendio ed assegno ad personam, avrebbe perciò ingiustamente esorbitato dai principi della delega, così violando l'art. 76 Cost..
4. - Può essere preliminarmente disposta la riunione dei giudizi, in quanto le tre ordinanze sollevano questioni in parte identiche ed in parte comunque connesse.
Da quanto esposto in precedenza risulta che tali questioni vengono sollevate per ottenere la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme che disciplinano il nuovo trattamento economico dei professori universitari, così da consentire: a) l'equiparazione, ai dirigenti generali di livello A dello Stato, anche dei professori universitari che al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina non avevano ancora raggiunto il massimo tetto retributivo e quindi non godevano ancora di tale beneficio (ordinanze di rinvio n. 1341 del 1984 e n. 724 del 1986); b) il mantenimento della equiparazione per quei professori che già l'avessero conseguita al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina, ma che, avendo optato per il regime del tempo definito, si erano visti trasformare, dall'ottavo comma dell'art. 36 del d.P.R. n. 382 del 1980, la differenza della misura dello stipendio in assegno ad personam riassorbibile (ord. di rinvio n. 537 del 1985).
5. - Tutte le ordinanze di rimessione, riguardino l'una o l'altra delle situazioni testé indicate, prospettano in primo luogo una questione di carattere generale che sembra investire, come si è visto, l'intera disciplina introdotta dall'art. 36 del d.P.R. n. 382 del 1980 - cui si collegano varie norme succedutesi nel tempo, nel presupposto di tale disciplina - nell'assunto che detto complesso normativo si sarebbe discostato dalla lunga tradizione legislativa di equiparazione dei professori universitari ai dirigenti statali, ponendosi così in contrasto con i principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 219 del 1975.
Le questioni sollevate in tali termini, in riferimento all'art. 3 Cost., da tutte e tre le ordinanze di rinvio, all'art. 36 Cost., da due di esse (ord. n. 1341 del 1984 e n. 724 del 1986) e all'art. 97 Cost., da una sola (ord. n. 724 del 1986), non sono fondate.
In proposito devesi precisare che dalla sentenza n. 219 del 1975, più volte richiamata, non si desume affatto il principio della assoluta immutabilità nel tempo della situazione di equiparazione fra le due categorie di dipendenti pubblici, perché, al contrario, in tale sentenza la Corte affermò che fosse "innegabile che resti nella discrezionalità del legislatore il differenziare il trattamento economico di categorie prima egualmente retribuite, senza per questo incorrere in violazione dei precetti costituzionali dell'artt. 3 e 36", precisando però che non potesse farsi luogo ad un mutamento del criterio della equiparazione già seguito dal legislatore "senza che ciò fosse giustificato dal superamento delle premesse che avevano determinato il precedente accennato giudizio di valore".
In altri termini non si escluse che il limite alla discrezionalità della legge e cioè il "giudizio di valore espresso dal legislatore ex suo more, in termini di equivalenza, fra le due categorie pur strutturalmente diverse dei docenti e dei dirigenti" potesse essere superato dal legislatore medesimo sulla base di nuove valutazioni collegate al mutamento delle situazioni da regolare.
Orbene, questo nuovo giudizio di valore è appunto intervenuto sia in sede di approvazione della legge n.28 del 1980, di delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria, che in sede di emanazione del d.P.R. n. 382 del 1980 attuativo della delega, in quanto con tali interventi normativi si è operata una completa trasformazione del precedente assetto dei ruoli dei docenti con una disciplina innovativa che ha riguardato: la struttura dei ruoli, che sono stati articolati in due fasce; la loro consistenza numerica, che è stata notevolmente ampliata; la ridefinizione dei compiti; l'istituzione di un duplice regime di impegno, come quello del tempo pieno e del tempo definito, nonché altre numerose innovazioni che hanno dato luogo ad un ordinamento della docenza universitaria completamente diverso.
Si è perciò verificato, per effetto delle trasformazioni operate dal legislatore a conclusione di un meditato confronto con tutte le categorie interessate, quel "superamento delle premesse" che giustifica pienamente - in base alle indicazioni desumibili dalla più volte citata sentenza - un assetto retributivo a regime dei professori universitari ormai del tutto autonomo e diversificato da quello dei dirigenti dello Stato, il che, proprio perché sono mutate le premesse, esclude l'asserito contrasto delle norme denunciate con gli artt. 3, 36 e 97 Cost..
Né può seguirsi la tesi sostenuta dai giudici rimettenti, per i quali la prova che non sarebbe intervenuto il mutamento di quel giudizio di valore che aveva ispirato il criterio della equiparazione, starebbe nel fatto che il legislatore avrebbe addirittura ribadito tale criterio nell'art. 72, secondo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312, (entrata in vigore successivamente sia alla legge di delega del 1980 n. 28 che al provvedimento delegato del 1980 n. 382), il quale dispone che "la classe finale di stipendio dei professori universitari di ruolo, che si consegue al compimento del 16° anno di servizio da intendersi comprensivo del riconoscimento spettante per i servizi pre - ruolo ai sensi delle norme vigenti, è integrata fino a conseguire l'equiparazione economica allo stipendio del dirigente generale di livello A dello Stato...".
In proposito devesi rilevare che la disposizione citata è contenuta in un provvedimento legislativo concernente il "nuovo assetto retributivo funzionale del personale civile e militare dello Stato", approvato fra l'altro dalle Camere prima ancora della emanazione del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, cioè del provvedimento attuativo della delega concernente il riordinamento della docenza universitaria.
Non si è dunque in presenza di una disposizione enunciativa di un diritto generalizzato all'equiparazione, riguardante l'intera categoria dei professori universitari, bensì di una disposizione avente, come risulta dalla sua stessa formulazione, solo lo scopo di determinare - nel presupposto della spettanza di quel diritto - sia le modalità di computo dei 16 anni di servizio, sia il meccanismo integrativo per realizzare in concreto tale equiparazione.
Nessun significato sul piano sostanziale, in un senso opposto rispetto alla svolta operata in sede di legge-delega e di provvedimento delegato per il riordinamento della docenza universitaria, può dunque attribuirsi alla disposizione per ultimo richiamata, essendo essa una norma "neutra" dal punto di vista della spettanza del diritto alla equiparazione e destinata quindi ad operare solo nei confronti di coloro cui, in base ad altre norme, quel diritto fosse stato riconosciuto.
6. - Non fondate sono parimenti le questioni di legittimità costituzionale che investono in particolare l'art. 12, lett. o), della legge di delega n. 28 del 1980 (ordinanza di rinvio n. 1341 del 1984) e l'art. 36, settimo ed ottavo comma, del d.P.R. n. 382 del 1980 (ordinanze di rinvio n. 1341 del 1984 e n. 724 del 1986), di cui si sostiene il contrasto con gli stessi parametri costituzionali già indicati (artt. 3, 36 e 97 Cost.), nell'assunto che tali norme avrebbero operato una ingiustificata discriminazione, prevedendo il diritto alla equiparazione economica con la retribuzione del dirigente generale di livello A dello Stato solo per i professori universitari che avessero già raggiunto l'ultima classe di stipendio alla data del nuovo inquadramento giuridico ed escludendo dal diritto, in base ad un dato meramente temporale, i professori che non avessero a tale data ancora compiuto i 16 anni di servizio, pur avendo essi, in base alla precedente disciplina, la potenzialità di raggiungere nel corso ulteriore della carriera tale tetto retributivo.
In proposito, la Corte non ritiene di potersi discostare dal principio, costantemente affermato, secondo cui il trascorrere del tempo ed il connesso fenomeno della successione delle leggi costituisce motivo ragionevole di differenziazione normativa (v. ord. n. 322 del 1987, sent. n. 171 e n. 159 del 1987), il che esclude la fondatezza delle questioni, sollevate per asserito contrasto con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), con quello della parità retributiva (art. 36 Cost.) e con quello di imparzialità (art. 97 Cost.).
7. - Diversa considerazione merita la questione di legittimità costituzionale riguardante in particolare la seconda parte dell'ottavo comma, dell'art. 36 del d.P.R. n. 382 del 1980, cui conseguirebbe, per derivazione, quella relativa alle norme successive che di tale disposizione hanno costituito il naturale sviluppo (artt. 11 e, 11- ter del D.L. 6 giugno 1981, n. 283, convertito nella legge 6 agosto 1981, n. 432, e art. 1, ultimo comma, del D.L. 27 settembre 1982, n. 681, convertito nella legge 20 novembre 1982, n. 869), sollevata (ord. n. 537 del 1985), in riferimento all'art. 76 Cost., nell'assunto che la norma avrebbe ecceduto dalla delega, in quanto dall'art. 12, lett. o), della legge di delega n. 28 del 1980 si ricaverebbe l'obbligo per il legislatore "di mantenere l'equiparazione della retribuzione della particolare categoria di professori universitari all'ultima classe ai dirigenti statali di livello A, senza una discriminazione quindi tra professori a tempo pieno e professori a tempo definito". Invece l'art. 36 citato, ottavo comma, dopo aver disposto la conservazione del diritto all'equiparazione per i professori che, alla data dell'inquadramento giuridico nel ruolo, già godevano del trattamento economico corrispondente alla classe finale di stipendio, ha previsto, per chi opti per il regime di impiego a tempo definito, che la differenza tra la misura dello stipendio in godimento e quello spettante in applicazione del regime ordinario venga conservata "a titolo di assegno ad personam pensionabile e riassorbibile con i miglioramenti economici e di carriera".
Sembra utile al riguardo rilevare che l'art. 12 lett. o) della legge n. 28 del 1980, dopo avere conferito delega al Governo a rivedere il trattamento economico dei professori ordinari e straordinari secondo i criteri e le direttive ivi indicate, aveva espressamente previsto che fosse stabilita, "in relazione all'introduzione del regime differenziato del rapporto di servizio a tempo pieno e a tempo definito, una disciplina di attuazione e transitoria per il mantenimento del trattamento economico dell'ultima classe di stipendio da parte dei professori universitari che ne usufruiscono alla data di entrata in vigore delle norme delegate".
Da quanto precede risulta dunque che, in sede di delega, era stato espressamente previsto che la disciplina di attuazione, ai fini della conservazione del diritto alla equiparazione, dovesse tener conto della differenziazione determinata dalla diversità del regime di impegno di servizio prescelto.
Non può perciò essere condiviso l'assunto secondo cui la conservazione del diritto alla equiparazione avrebbe imposto al legislatore delegato di usare il medesimo trattamento per tutti coloro che avessero già acquisito quel diritto, qualunque fosse il loro regime di servizio.
Appare invece pienamente giustificato, in quella linea di tendenza del legislatore volta a privilegiare sempre più la scelta del tempo pieno (v. sul punto la sentenza n. 376 del 1988) come la più confacente alle esigenze della vita accademica, che la conservazione del trattamento economico già conseguito sia stata attuata, in caso di opzione per il regime di impiego a tempo definito, mediante la previsione di un assegno ad personam riassorbibile, essendo questo uno dei meccanismi solitamente ritenuti sufficienti per realizzare il mantenimento delle posizioni economiche acquisite e di avere invece, in caso di opzione per il tempo pieno, previsto anche l'agganciamento alla dinamica del trattamento economico cui si era stati equiparati, che è qualcosa di più.
Né al riguardo potrebbe sostenersi che in tal modo il diritto a conservare la parità con il tetto retributivo dei dirigenti verrebbe ad essere vanificato nella evoluzione successiva, cristallizzandosi tale equiparazione al momento in cui avvenga la scelta del tempo definito, con la conseguenza che, ove il docente dovesse in prosieguo optare per il tempo pieno, rimarrebbe definitivamente sganciato dalla dinamica del trattamento economico del dirigente generale di livello A, venendo così a godere di un trattamento deteriore, a parità di regime, rispetto a chi abbia fin dal primo momento fatta quell'opzione. Osserva al riguardo la Corte che una evenienza del genere è esclusa dalla interpretazione della norma denunciata conforme alla ratio cui essa si ispira e che è quella di diversificare le modalità di equiparazione, in senso più favorevole per coloro che scelgano il tempo pieno.
Una volta collocata in questa ottica l'interpretazione della norma denunciata, appare evidente che colui il quale alla data dell'inquadramento giuridico nel ruolo già godeva del trattamento economico corrispondente alla classe finale di stipendio, scelga, dopo un periodo di impegno a tempo definito (che prevede la trasformazione della differenza nell'assegno ad personam riassorbibile), il regime del tempo pieno, acquista (o riacquista) il diritto alla equiparazione completa, comprensiva cioè dell'agganciamento alla dinamica del trattamento economico di riferimento, alla pari di tutti gli altri docenti che prestino servizio in tale regime.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 36, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 ("Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica"), 11 e 11- ter del D.L. 6 giugno 1981, n. 283 convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 1981, n. 432 ("Copertura finanziaria dei decreti del Presidente della Repubblica di attuazione degli accordi contrattuali triennali, relativi al personale civile dei ministeri e dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, nonché concessione di miglioramenti economici al personale civile e militare escluso dalla contrattazione"), 12, lett. o), e 4, lett. c), della legge 21 febbraio 1980, n. 28 ("Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica"), 1 della legge 22 gennaio 1982, n. 6 ("Proroga fino al 30 giugno 1982 del trattamento economico provvisorio per il personale dirigente civile e militare dello Stato e per quello collegato, previsto dal D.L. 6 giugno 1981, n. 283, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 1981, n. 432") e 1 del D.L. 27 settembre 1982, n. 681, convertito, con modificazioni, nella legge 20 novembre 1982, n. 869 ("Adeguamento provvisorio del trattamento economico dei dirigenti delle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e del personale ad essi collegato"), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe (R.O. n. 1341 del 1984, n. 537 del 1985 e n. 724 del 1986);
Dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 36, ottavo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 ("Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica"), degli artt. 11 e 11- ter, del D.L. 6 giugno 1981, n. 283, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 1981, n. 432, ("Copertura finanziaria dei decreti del Presidente della Repubblica di attuazione degli accordi contrattuali triennali relativi al personale civile dei Ministeri e dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, nonché concessione di miglioramenti economici al personale civile e militare escluso dalla contrattazione") e dell'art. 1, ultimo comma, del D.L. 27 settembre 1982, n. 681, convertito, con modificazioni, nella legge 20 novembre 1982, n. 869 ("Adeguamento provvisorio del trattamento economico dei dirigenti delle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e del personale ad essi collegato"), sollevate, in riferimento all'art. 76 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna con ordinanza del 25 febbraio 1985 (R.O. n. 537 del 1985).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 26 ottobre 1988.
Francesco SAJA - Vincenzo CAIANIELLO
Depositata in cancelleria il 9 novembre 1988.