Sentenza n.499 del 1988

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SENTENZA N.499

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3, ultimo comma, della legge della Regione Piemonte 22 novembre 1978, n. 69 (Coltivazione di cave e torbiere), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 4 dicembre 1979 dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte sul ricorso proposto dalla s.a.s. Immobiliare Lemie contro il Comune di Torino, iscritta al n. 458 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 dell'anno 1980;

2) n. 3 ordinanze emesse il 24 settembre 1980 dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte sui ricorsi proposti dalla s.r.l. Fornace Laterizi Valentia contro il Comune di Valenza, iscritte ai nn. 1, 2 e 183 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 83, 77 e 179 dell'anno 198l.

Visti gli atti di costituzione del Comune di Torino e della Regione Piemonte;

udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1988 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

uditi l'avv. Franco Salvucci per il Comune di Torino e l'avv. Alberto Predieri per la Regione Piemonte.

Considerato in diritto

6.-I giudizi possono riunirsi, perchè hanno ad oggetto questioni identiche e possono essere decisi con unica decisione.

7.-Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con le ordinanze indicate in epigrafe, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 3, ultimo comma, della legge della Regione Piemonte 22 novembre 1978, n. 69 (Coltivazione di cave e torbiere), nella parte in cui impone ai Comuni che vengono a conoscere l'esistenza di giacimenti di cava o torbiera, non ancora previsti o disciplinati dagli strumenti urbanistici, di adottare, ai fini di salvaguardia della risorsa estrattiva, la relativa variante.

Si realizzerebbe, con questa norma, una imposizione all'autorità comunale, intesa a modificare gli strumenti urbanistici ogni qual volta le previsioni di essi siano di pregiudizio allo sfruttamento delle risorse estrattive di nuova identificazione. Si violerebbe, così, l'art. 128 Cost. che garantisce l'autonomia comunale nell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali della Repubblica, autonomia che trova una delle sue esplicazioni tipiche nell'adozione degli anzidetti strumenti urbanistici. Non si afferma, peraltro, nelle ordinanze, che siffatta autonomia concreti una potestà esclusiva in materia, ma si profila, alla stregua di un consolidato insegnamento di questa Corte, l'esigenza di una cooperazione ponderativa dei diversi interessi che - anche se può limitare i poteri comunali-deve obbedire in ogni caso al principio di ragionevolezza.

8.-Osserva la Corte che, valutata alla stregua di questi esatti principi, la norma censurata appare immune dal dedotto vizio di costituzionalità.

E' da premettere che, a norma dell'art. 117 Cost., la materia delle cave e torbiere e quella urbanistica appartengono alla potestà legislativa concorrente della Regione; si e in presenza di materie omogenee, dal punto di vista del tipo della disciplina regolatrice, e idonee, per il loro contenuto, a procedimenti di reciproca integrazione. Questo rilievo consente di porre nella giusta prospettiva un precetto qualificante della legge regionale del Piemonte n. 69 del 1978, il cui art. 3, ultimo comma, viene sospettato di illegittimità dalle ordinanze di rimessione.

Si tratta dell'art. 2 che prevede la predisposizione ad opera della Regione di un piano regionale di sfruttamento dei giacimenti di cave e di torbiere, le cui indicazioni e previsioni, inserite nei piani territoriali, con l'osservanza delle procedure previste dalla legge regionale 19 agosto 1977, n. 43 e dall'art. 4 della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (tutela dell'uso del suolo), concorrono a disciplinare la materia insieme con la specifica normativa regionale relativa al settore estrattivo.

Si realizza, così, per espressa disposizione della legge regionale censurata, un efficace coordinamento tra i piani territoriali e il piano di sfruttamento delle cave e delle torbiere.

Inoltre, l'art. 1, secondo comma, della l. n. 69, sottoponendo ad autorizzazione regionale l'attività di coltivazione delle cave e delle torbiere, ne delega il rilascio al Comune (art. 4, primo comma).

Disciplinando, poi, il procedimento, che si avvia con la domanda di autorizzazione, l'art. 7 della legge dispone che, provvedendo su questa, il comune deve tener conto non soltanto dei profili specificamente inerenti all'attività estrattiva, ma anche di quelli concernenti la tutela della salubrità della zona circostante, l'ambiente ed il paesaggio (lett. c), nonchè gli altri preminenti interessi generali (lett. e).

Tale coordinamento delle esigenze estrattive con quelle del governo del territorio e ribadito in linea generale dallo stesso art. 3 della legge r. n. 69, che, come si é visto, nell'ultimo comma prescrive, a fini di salvaguardia della risorsa estrattiva, l'obbligatorietà dell'adozione della variante urbanistica.

9.-Le descritte attività di coordinamento corrispondono all'indirizzo normativo generale relativo alla proiezione dei piani regolatori al di fuori dello stretto assetto edilizio (e, dunque, con possibilità di riferimento alle cave). Con la ridefinizione dell'<oggetto> dell'urbanistica si é consolidato il principio della confluenza nell'assetto del territorio di molteplici e diversificati interessi (anche storici, ambientali, paesaggistici), affidati ad istanze statali e regionali (cfr. soprattutto art. 1 l. 6 agosto 1967, n. 765; art. 7, n. 5 l. 19 novembre 1968, n. 1187; artt. 1 e 17 l. 28 gennaio 1977, n. 10; artt. 80 e 81 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; artt. 10, ultimo comma, e 29 primo comma l. 28 febbraio 1985, n. 47).

In verità questo processo era stato accolto e, per taluni aspetti, anticipato dalla legislazione regionale (nella quale si inscrive la legge piemontese n. 69 impugnata), che aveva di rettamente o indirettamente annoverato tra le funzioni dei piani urbanistici la tutela ambientale, paesaggistica e storica del territorio in genere. Ad essa si accompagno la svolta giurisprudenziale, segnata dalla netta presa di posizione del Consiglio di Stato (Ad. plen. 9 marzo 1982, n. 3).

Il giudice amministrativo sancì la legittimità del divieto di coltivazione delle cave, contenuto in un piano regolatore generale, anche per il periodo anteriore all'entrata in vigore della l. n. 10 e del d.P.R. n. 616 del 1977-che incisero sull'individuazione del concetto di urbanistica-, in quanto tale divieto fosse fondato sulla indicazione di ragioni specifiche e particolarmente gravi, connesse alla salvaguardia dell'ambiente.

E' fuori dell'ambito del presente giudizio stabilire se le anzidette prescrizioni normative e giurisprudenziali debbano intendersi come inclusive dei beni storico-ambientali nei profili della disciplina del territorio a fini edilizi ovvero come oggetto di nuovi specifici limiti devoluti ai piani urbanistici.

Conclusione sicura é, in ogni caso, che la convergenza in materia di territorio di rilevanti e diversificati interessi, affidati a specifiche competenze, giustificano l'ampliarsi della istanza partecipativa o di intesa o di leale collaborazione o, più semplicemente, di coordinamento. Tale istanza richiede, accanto alla presenza della Regione, quella dello Stato e di enti e comunità minori in funzione della tutela degli interessi, di cui essi sono portatori (cfr. Corte cost. n. 151 del 27 giugno 1986; n. 221 del 25 febbraio 1988;  n. 239 del 29 dicembre 1982;  n. 175 del 14 luglio 1976).

10.-La legge regionale n. 69 del 1978 si ispira chiaramente a questa esigenza collaborativa; essa non soltanto appare rispettosa dell'autonomia del Comune, nelle materie di competenza propria di questo, ma ne consente interventi efficaci anche in materia di cave.

Il primo comma dell'art. 3 cit. introduce, infatti, una disciplina transitoria (operante fino all'entrata in vigore dei piani territoriali), riconoscendo a questi strumenti il valore di fonte regolatrice anche in materia estrattiva.

I momenti di questo regime transitorio sono indicati, poi, dal secondo e terzo comma dell'art. 3, che inseriscono il Comune nel procedimento di adozione della variante connessa ai nuovi giacimenti di cava o torbiera.

Nei comuni dotati di piano regolatore generale, qualora la destinazione dell'area sia difforme dalla attività estrattiva, l'autorizzazione rilasciata per tale attività costituisce atto di avvio del procedimento di variante.

E qui il collegamento del regime estrattivo con la pianificazione comunale é reso evidente dalla disciplina in caso di non conformità dell'attività di escavazione alla destinazione del piano regolatore. Questa circostanza costituisce la ragione giustificativa della variante, e, rispetto ad essa, l'autorizzazione estrattiva-delegata al Comune, in base all'art. 4 della l. n. 69, in ossequio al terzo comma dell'art. 118 Cost. - costituisce <atto di avvio> del procedimento di variazione. In tal guisa, l'inizio del procedimento di modifica del piano regolatore viene a connettersi ad un atto proprio dell'autorità comunale.

Nei comuni carenti di piano regolatore generale, il sindaco provvede a norma dell'art. 55 della l. r. 5 dicembre 1977, n. 56, al di fuori delle perimetrazioni, salva l'esistenza di specifici divieti previsti per l'attività estrattiva. Il rinvio all'art. 55 della l. n. 56 (Tutela e uso del suolo) salda, ancora una volta, in una visione unitaria le attività di pianificazione territoriale con quella estrattiva. Da tale norma il sindaco viene inoltre legittimato a rilasciare la concessione estrattiva <all'avente titolo munito dell'autorizzazione prevista dalla legge regionale>: autorizzazione che, come si é visto, compete, per delega, al sindaco stesso.

Si attua, così, un armonico confluire delle diverse competenze, caratterizzato da un'accentuazione di quella comunale, che viene pienamente legittimata ad operare anche nel settore estrattivo ed é quindi in condizione (con il rilascio dell'atto di autorizzazione) di assicurare in concreto la ponderazione tra le esigenze dell'escavazione e quelle urbanistiche.

Concludendo, la disciplina della l. n. 69 del 1978 non determina una sovrapposizione della Regione all'autonomia del Comune, ne appone ad essa vincoli lesivi; di conseguenza, l'art. 3, ultimo comma, di tale legge non vulnera l'art. 128 della Costituzione.

Appare pertinente, infine, ricordare-in riferimento alle suindicate incombenze che la legge affida al sindaco in materia estrattiva - che questa Corte ha precisato essere non lesiva dell'autonomia del Comune la legge regionale che, nel delegare determinate funzioni amministrative al comune stesso, individui quale fra gli organi comunali debba esercitarle senza alterare la titolarità della organizzazione (sent. n. 319 del 20 ottobre 1983).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, ultimo comma, della legge della Regione Piemonte 22 novembre 1978, n. 69 (Coltivazione di cave e torbiere), in riferimento all'art. 128 della Costituzione, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte con le ordinanze 4 dicembre 1979 (R.O. n. 458 del 1980) e 24 settembre 1980 (R.O. nn. 1, 2 e 183 del 1981).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/04/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Gabriele PESCATORE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 27 Aprile 1988.