Sentenza n.344 del 1987

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SENTENZA N. 344

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Valle d'Aosta, notificato il 9 agosto 1977, depositato in cancelleria il 10 agosto 1977 ed iscritto al n. 16 del Registro 1977 per conflitto di attribuzione, sorto a seguito del decreto del Ministro per l'agricoltura e le foreste 28 maggio 1977, concernente "Ripristino dei confini legali del parco nazionale del Gran Paradiso".

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 1 luglio 1987 il Giudice relatore Giovanni Conso;

uditi l'avvocato Marco Siniscalco per la Regione Valle d'Aosta e l'avvocato dello Stato Benedetto Baccari per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso notificato il 9 agosto 1977 e depositato il giorno successivo, la Regione Valle d'Aosta ha proposto conflitto di attribuzioni contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per l'annullamento del decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste in data 28 maggio 1977, recante "Ripristino dei confini legali del parco nazionale del Gran Paradiso".

Secondo la Regione, il provvedimento, con l'affermare che "i confini del Parco nazionale dei Gran Paradiso sono quelli indicati nella carta allegata al regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867", e che "pertanto l'Ente Parco Nazionale del Gran Paradiso é tenuto a ripristinarli e a curare l'osservanza della normativa del parco su tutti i territori compresi entro i suddetti confini", apporterebbe una modificazione ampliativa al perimetro del parco in questione, invadendo "la competenza amministrativa attribuita da norme costituzionali alla Regione ricorrente".

Al riguardo, il ricorso fa rilevare che i confini del parco nazionale del Gran Paradiso furono stabiliti con il regio decreto- legge 3 dicembre 1922, n. 1584 (poi convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473), che lo istituiva, mediante rinvio alla carta annessa, la cui pubblicazione, peraltro, non ebbe luogo.

Con il regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867, il perimetro del parco fu ampliato, disponendosi l'inclusione di altri terreni, indicati nella pianta annessa al regio decreto, pianta regolarmente pubblicata.

Espone, inoltre, la Regione ricorrente che, a causa dell'opposizione manifestatasi nelle popolazioni residenti, e per iniziativa della Commissione reale che curava l'amministrazione del Parco, i confini vennero segnati sul terreno mediante tabelle, che non rispettavano la pianta annessa al regio decreto del 1923, venendosi così a determinare delle "introflessioni" del confine, ed in pratica l'esclusione dal Parco di alcune zone, tra le quali la Valsavaranche.

Il successivo regio decreto-legge 11 dicembre 1933, n. 1718, recante modifica alle disposizioni relative alla gestione dei Parchi Nazionali del Gran Paradiso e d'Abruzzo, stabilì che per i due parchi anzidetti "restano inalterati gli attuali confini", confini che, all'epoca, secondo la Regione, dovevano individuarsi in base alle tabelle esistenti.

Il decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 5 agosto 1947, n. 871, ratificato con legge 17 aprile 1956, n. 561, istituì l'Ente Parco Nazionale del Gran Paradiso, stabilendo (all'art. 12) che "i confini del Parco sono indicati da apposite tabelle": stando alla Regione ricorrente, la nuova fonte avrebbe inteso legittimare la situazione di fatto venutasi a creare in precedenza. Ne conseguirebbe che al decreto impugnato andrebbe riconosciuto significato "soltanto apparentemente ricognitivo, ma sostanzialmente modificativo" in materie proprie della competenza amministrativa regionale. Risulterebbero invase le sfere di attribuzioni relative all'agricoltura e foreste, alla zootecnia, alla caccia e alla pesca, alla polizia locale urbana e rurale, alle strade e lavori pubblici di interesse regionale, ai trasporti, all'urbanistica, alla flora e alla fauna, oltre che ai parchi per la protezione della flora e della fauna.

A sostegno della sussistenza in capo alla Regione Valle d'Aosta della sfera di attribuzioni rivendicata, la Regione rammenta che con legge regionale 11 maggio 1976, n. 15, é stata applicata alla zona, che lo Stato avrebbe inteso reinserire nel Parco, una disciplina analoga a quella vigente nel residuo territorio, senza che nessuna obiezione sul piano della legittimità sia stata sollevata da parte degli organi statali di controllo.

La Regione osserva ancora:

a) che il regio decreto n. 1867 del 1923 non fu adottato su proposta del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, come prescritto dall'art. 4 del regio decreto-legge n. 1584 del 1922, istitutivo del parco;

b) che la carta annessa al regio decreto legge n. 1584 del 1922 non fu pubblicata, con conseguente difficoltà di definire con certezza il perimetro del parco.

Con un secondo e subordinato ordine di censure la Regione ribadisce la violazione degli artt. 2 e 4 dello Statuto speciale in relazione alla legge regionale n. 15 del 1976, dianzi ricordata.

Si rileva in primo luogo che, avendo la Regione Valle d'Aosta emanato per il territorio in questione una normativa del tutto identica a quella vigente all'interno del Parco, specie in materia edilizia, lo Stato non avrebbe potuto legittimamente ignorarla, regolando la materia in termini difformi.

Inoltre, essendo stato adottato un decreto ministeriale e, quindi, un atto di natura amministrativa, tale provvedimento non avrebbe potuto contrastare con disposizioni anteriori dettate da una legge che, sia pure in ambito regionale, rimane una fonte di rango sovraordinato.

Si conclude con la richiesta di annullamento del decreto impugnato e di declaratoria dell'appartenenza alla Regione ricorrente delle attribuzioni in contestazione.

2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri é intervenuto nel giudizio, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, con atto depositato il 29 agosto 1977.

In linea di fatto l'Avvocatura precisa che - secondo quanto emerge dalla pubblicazione intitolata "il Parco Nazionale del Gran Paradiso", edita nel 1923 dalla Commissione reale del Parco, e depositata agli atti - si procedette "in via di esperimento" a "temporanee ripiegature di confine", che, peraltro, non vennero mai "sanzionate o, comunque, disposte con alcun provvedimento", tanto che dal testo di una risposta scritta ad una interrogazione parlamentare, rivolta al Ministro per l'agricoltura e le foreste nel 1975, risulta che tale dicastero era intervenuto presso l'Ente Parco per il ripristino dei confini legali.

Nel frattempo, a) il Pretore di Aosta con sentenza 16 aprile 1975 riconosceva l'appartenenza al Parco della zona contestata; b) il ripristino dei simboli di confine sui confini legali veniva richiesto, nella relazione sulla verifica amministrativa - contabile eseguita, all'Ente Parco dal Ministero del Tesoro tra il 27 giugno 1975 e il 27 luglio 1975; c) nello stesso senso si esprimeva il Ministero del Tesoro con nota n. 2378/170038 dell'8 febbraio 1977, poi fatta propria dalla Procura Generale della Corte dei conti, con lettera n. 152854 del 30 maggio 1977.

Il Ministero per l'agricoltura e le foreste, preso atto di tali circostanze e facendo uso delle proprie attribuzioni di vigilanza, ha ordinato all'Ente Parco Nazionale del Gran Paradiso di provvedere al ripristino dei confini legali.

In ordine alle censure formulate nei confronti del provvedimento impugnato, la difesa dello Stato osserva che:

a) il regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867, é stato proposto dal Ministero per l'economia nazionale e non da quello per l'agricoltura, come prevedeva l'art. 4 del regio decreto-legge 3 dicembre 1922, n. 1584 (istitutivo del Parco), in quanto con regio decreto 5 luglio 1923, n. 1439, le competenze dei "Ministeri dell'agricoltura e dell'industria, del commercio e del lavoro" erano state riunite in un unico Ministero, denominato "Ministero dell'economia nazionale";

b) la carta allegata al regio decreto-legge istitutivo del Parco non venne pubblicata, ma può essere consultata presso l'Archivio di Stato;

c) l'estensione del Parco disposta con regio decreto n. 1867 del 1923 fu temporaneamente sospesa in via di esperimento per iniziativa di un organo amministrativo, ma non comportò una "valida" modificazione del perimetro;

d) tanto il regio decreto-legge 11 dicembre 1933, n. 1718, quanto il decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 5 agosto 1947, n. 871, non potevano non riferirsi ai confini legali del Parco;

e) la legge della Regione Valle d'Aosta n. 15 del 1976, recante disposizioni sul regime dell'edilizia, della caccia e della pesca nella zona contestata, é stata approvata dagli organi di controllo senza obiezioni, perché ritenuta utile a garantire la salvaguardia del territorio in questione e sostanzialmente omogenea rispetto alla normativa vigente all'interno del Parco.

L'Avvocatura conclude per l'infondatezza della prima censura, perché il provvedimento impugnato non avrebbe apportato alcuna modifica ai confini legali del Parco.

Altrettanto infondato sarebbe il secondo motivo di ricorso, dedotto dalla Regione in via subordinata. Non sussisterebbe, infatti, contrasto tra la disciplina dell'attività edilizia disposta con la legge regionale n. 15 del 1976 ed il ripristino dei confini legali, posto che in entrambi i casi é previsto un intervento autorizzativo dell'Ente Parco.

3. - La Regione Valle d'Aosta, il 15 giugno 1987, depositava un'ampia memoria per ribadire le proprie censure, sottolineando, fra l'altro, che: a) l'approvazione senza rilievi da parte dello Stato della legge regionale 11 maggio 1976, n. 15, implica il riconoscimento che le zone esterne rispetto alle tabelle non fanno parte del Parco; b) che la delimitazione del territorio del Parco deve ritenersi invalida per difetto di regolare pubblicazione della pianta annessa al regio decreto-legge del 1922 e, pertanto, le tabelle poste sul terreno assumono efficacia costitutiva dei confini legali; c) contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dello Stato nell'atto di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, la disciplina introdotta in materia urbanistica dalla legge regionale n. 15 del 1976 differisce sensibilmente da quella desumibile dalle diverse fonti regolatrici del territorio del Parco, di modo che il decreto impugnato, mirando ad imporre una normativa unitaria, risulta invasivo di una competenza regionale garantita da norme costituzionali.

Alla pubblica udienza del 1 luglio 1987 le parti insistevano nelle rispettive tesi e conclusioni.

Considerato in diritto

1. - Con il ricorso all'esame di questa Corte, la Regione Valle d'Aosta chiede l'annullamento del decreto ministeriale 28 maggio 1977, emanato dal Ministro per l'agricoltura e le foreste sotto il titolo "Ripristino dei confini legali del parco nazionale del Gran Paradiso", sostenendo che tale decreto avrebbe invaso la competenza amministrativa attribuita da norme costituzionali alla Regione ricorrente.

2. - L'invasione di competenza deriverebbe dal fatto che "il ripristino dei confini legali" - voluto dal decreto ministeriale allo scopo di ricondurre entro i confini del parco nazionale del Gran Paradiso tutti i territori che ne avrebbero fatto parte secondo la carta annessa al regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867, compresi quelli, come "la Valsavaranche ed altre limitate zone", successivamente esclusi per una diversa collocazione delle tabelle di confine - si configurerebbe "soltanto apparentemente" quale "atto ricognitivo". Si tratterebbe, invece, di un atto "sostanzialmente modificativo", tale da comportare "un ampliamento degli attuali confini del parco", con la conseguenza di sottoporre alla normativa dettata dallo Stato per il parco nazionale del Gran Paradiso anche territori in precedenza rimasti esclusi. Questi verrebbero così sottratti - di qui il primo motivo a sostegno del ricorso - alla sfera di competenza amministrativa attribuita alla Regione Valle d'Aosta "in materia di agricoltura e foreste, zootecnia, caccia e pesca, polizia locale urbana e rurale, strade e lavori pubblici di interesse regionale, urbanistica, trasporti, acque e, in particolare, flora e fauna e, di necessaria conseguenza, in materia di parchi per la protezione della flora e della fauna, a norma dell'art. 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, adottato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, in relazione all'art. 2, lett. c ), d ), f ), g ), h ), l ), m), dello Statuto medesimo". Il tutto, per giunta, in conflitto diretto - di qui il secondo motivo a sostegno del ricorso - con la legge regionale 11 maggio 1976, n. 15, che aveva appena disciplinato, proprio con riguardo al territorio compreso fra il perimetro riportato nella carta annessa al regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867, e la delimitazione risultante dalle tabelle di confine, le materie della caccia e dell'urbanistica, quest'ultima in maniera parzialmente diversa da quella desumibile dal regio decreto-legge 3 dicembre 1922, n. 1584, costitutivo del parco.

3. - I problemi sollevati dal ricorso, benché strettamente connessi, tant'é vero che l'accoglimento del primo motivo assorbirebbe l'altra censura, vanno presi in considerazione separatamente, anche per la scomponibilità in due parti delle prescrizioni dettate dal decreto (l'Ente parco nazionale del Gran Paradiso "é tenuto a ripristinare" i confini e "a curare l'osservanza della normativa del parco su tutti i territori compresi entro i suddetti confini"), cominciando da quello che può ben dirsi il punto nodale del presente contendere: se, cioè, i confini legali del parco nazionale del Gran Paradiso siano i confini "indicati nella carta allegata al regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867", come asserisce il decreto ministeriale, oppure quelli, più circoscritti, risultanti dalle tabelle delimitative poste sul terreno, come sostiene la Regione Valle d'Aosta. Le zone all'interno delle tabelle delimitative non vengono, invece, qui poste in discussione, anche perché nei loro confronti la ricordata legge regionale 11 maggio 1976, n. 15, aveva appena esplicitato, con l'art. 3, secondo comma, che all'interno delle tabelle "continua ad avere applicazione l'art. 10" della legge istitutiva del parco.

Anzi, dall'asserzione culminante del ricorso ("é incontrovertibile che, quanto meno, la Regione Valle d'Aosta ha piena competenza, nell'ambito delle disposizioni statutarie, nella zona che é oggetto della presente controversia") si ricava altrettanto chiaramente che l'invasione di competenza lamentata nella specie non riguarda nemmeno tutti i territori per i quali, ai fini dell'inclusione nel parco, non esiste coincidenza tra la carta annessa al regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867, e le tabelle di confine: la doglianza della Regione involge, più in particolare, la sola cosiddetta introflessione della Valsavaranche, appartenendo le "altre limitate zone", delle quali é parola nel ricorso, alla Provincia di Torino e, quindi, alla Regione Piemonte (cosiddetta introflessione del Piantonetto), cui pure appartengono le zone indicate nella corografia allegata al successivo decreto del Presidente della Repubblica 3 ottobre 1979, n. 31, ulteriormente estensivo del "territorio del Parco nazionale del Gran Paradiso".

4. - Per accertare quali fossero, al momento dell'emanazione del decreto ministeriale di cui la Regione Valle d'Aosta chiede l'annullamento, i confini legali del parco nazionale del Gran Paradiso, diventa indispensabile ricostruire, sia pur solo nei passaggi essenziali, la storia giuridica del parco: le vicende dei relativi confini sono, infatti, così strettamente legate ad essa da rappresentarne uno dei capitoli di maggiore rilievo.

Nato storicamente da una donazione avente ad oggetto terreni di proprietà della Casa reale, il parco venne giuridicamente costituito con il regio decreto-legge 3 dicembre 1922, n. 1584, più tardi convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473: un decreto che, nel mentre autorizzava (art. 2) l'Azienda del Demanio forestale dello Stato "ad accettare dalla Real Casa i terreni" ivi specificati, compresi quelli posti "nel Comune di Valsavaranche", all'art.1 dichiarava "Parco Nazionale i terreni compresi nell'attuale riserva Reale di caccia del Gran Paradiso, i cui confini sono quelli indicati nella carta annessa al presente decreto", una carta, peraltro, non pubblicata formalmente.

Pochi mesi dopo, con il regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867, emanato in applicazione dell'art. 4 del regio decreto-legge precedente ("Con decreto reale, su proposta del Ministero di agricoltura, il perimetro del Parco potrà essere esteso a terreni limitrofi"), il territorio del parco veniva ampliato fino a comprendere le "zone segnate sulla carta annessa al presente decreto": e questa volta, in allegato al testo del decreto, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 3 settembre 1923, n. 207, una "pianta" che - oltre al perimetro originario, entro il quale figurava anche la Valsavaranche - indicava, con un vistoso accorgimento tipografico, il più ampio tracciato conseguente all'aggiunta delle nuove zone.

Tra le modificazioni successivamente apportate all'ordinamento del parco nazionale del Gran Paradiso, dapprima dal regio decreto-legge 24 gennaio 1924, n. 168, anch'esso convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473, ed in seguito, unitamente al parco nazionale d'Abruzzo, dal regio decreto-legge 11 dicembre 1933, n. 1718, convertito nella legge 25 gennaio 1934, n. 233, una soprattutto va qui tenuta presente: "soppresse" le Commissioni reali del parco nazionale del Gran Paradiso e del Parco nazionale d'Abruzzo, inizialmente istituite per la loro rispettiva gestione, il decreto- legge del 1933 demandava all'Azienda di Stato per le foreste demaniali la gestione amministrativa e tecnica dei due parchi, "per i quali restano inalterati gli attuali confini" (art. 3, primo comma). Dopo di che, con il regio decreto 7 marzo 1935, n. 1332, veniva approvato il regolamento per l'applicazione delle leggi sul parco nazionale del Gran Paradiso, il cui art. 1 stabilisce che i confini del Parco "saranno delimitati da tabelle da collocare - in modo visibile - sui punti d'intersezione del perimetro con le strade di accesso", con la possibilità di "essere sostituite da scritte scolpite sulle rocce".

La gestione da parte dell'Azienda di Stato per le foreste demaniali veniva poi meno con l'art. 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 5 agosto 1947, n. 871, che affidava la gestione del parco all'ente "Parco nazionale Gran Paradiso", appositamente istituito e dettagliatamente disciplinato negli articoli successivi, tra cui, per quanto qui interessa, richiede una particolare menzione il disposto dell'art. 12: "I confini del Parco sono indicati da apposite tabelle che sono esenti da tasse di bollo".

5. - L'interpretazione delle disposizioni così riassunte sembrerebbe agevole nel senso di considerare, come confini legali del parco all'epoca del decreto ministeriale contestato dalla Regione Valle d'Aosta, i confini risultanti dal regio decreto del 1923 (i soli cui avrebbe dovuto adeguarsi la collocazione delle tabelle di recinzione previste dall'art. 1 del regio decreto 7 marzo 1935, n. 1332, e dall'art. 12 del decreto legislativo 5 agosto 1947, n. 871), se non fosse che, in seguito alle immediate proteste delle popolazioni interessate, sin dal 1924-1925, era venuta a crearsi di fatto "una difformità" (anzi, più difformità) tra la pianta annessa al decreto del 1923 e la posizione delle tabelle sul terreno, così da lasciare al di fuori del loro tracciato, fra l'altro, la Valsavaranche, che é, appunto, l'oggetto della "difformità" (o introflessione o ripiegamento di confine) cui é interessata la Valle d'Aosta.

Su questa difformità - che, stando al ricorso, "già provvedimento dell'epoca tendeva a legittimare" - si basa la Regione Valle d'Aosta per sostenere che le tabelle di recinzione di cui parlano i decreti del 1935 e del 1947 sarebbero le tabelle materialmente apposte sul terreno ben prima dell'emanazione di quei due decreti e che la statuizione "restano inalterati gli attuali confini", di cui all'art. 3 del regio decreto-legge 11 dicembre 1933, n. 1718, farebbe riferimento ai confini risultanti da tali tabelle, non a quelli segnati sulla carta annessa al decreto del 1923. Del resto, un siffatto modo di intendere le tabelle é anche presente negli artt. 1 e 3, secondo comma, della legge regionale 11 maggio 1976, n. 15, sulla quale é imperniato il secondo motivo del ricorso in esame.

6. - Pur essendo incontestabile sia l'immediato insorgere di forti malcontenti e di vibrate proteste sia il conseguente, quasi subitaneo, crearsi di chiare difformità nelle segnalazioni concrete sul territorio, il tutto in senso riduttivo dei confini del parco, la tesi della Regione, per quanto abilmente argomentata, non può essere accolta.

A parte la considerazione che il collocamento di una successione di tabelle in luoghi montani, impervi ed isolati, certamente utile a fini di segnalazione e di informazione, non sembra strumento altrettanto idoneo a fissare di per sé i confini di un territorio sottoposto a particolare regime, esposte come esse sono ad ogni genere di intemperie ed alle prevaricazioni umane, riveste portata determinante la circostanza che non risulta essere mai stato emanato alcun provvedimento atto a legittimare la difformità rilevata dalla Regione, nonostante i tentativi diretti ad ottenerlo.

Se é vero, infatti, che la Commissione reale, inizialmente istituita per la gestione del parco, alle soglie del 1925 aveva proposto al Ministero competente il riconoscimento delle "ripiegature di confine adottate in via di esperimento", é altrettanto vero che il Ministero interpellato si era astenuto dall'assumere posizione formale in proposito. L'espressione usata nel ricorso, secondo cui "già provvedimento dell'epoca tendeva a legittimare", va, perciò, più semplicemente intesa come riferita all'iniziativa tendente ad ottenere, senza successo, un provvedimento di legittimazione.

Anche a lasciare da parte sia il silenzio ministeriale sia il fatto che, nel frattempo, era sopravvenuta la legge 17 aprile 1925, n. 473, di conversione del decreto-legge istitutivo del parco, senza apportarvi modificazioni di sorta, resta il dato indiscutibile che nella proposta della Commissione reale si parlava di ripiegature "in via di esperimento" e, comunque, di ripiegature "temporanee". Quest'ultimo particolare, pur nel protrarsi dell'esperimento per lunghissimo tempo, e ciò per le stesse ragioni di opportunità politica che l'avevano originato, sottolinea la situazione di precarietà che ha caratterizzato sin dall'inizio il fenomeno delle tabelle apposte sul terreno: una precarietà, testimoniata dal persistere delle polemiche e dall'attesa di nuove soluzioni, che vale di per sé a precludere ogni possibilità di considerare definitive le introflessioni segnate soltanto sul terreno, senza che occorra soffermarsi sui limiti cui soggiace, nell'ambito del diritto pubblico, la possibilità di riconoscere alla consuetudine contra legem prevalenza sulle norme scritte.

Come esattamente osserva l'Avvocatura dello Stato nell'atto di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, si deve, dunque, concludere che l'art. 3, primo comma, del regio decreto-legge 11 dicembre 1933, n. 1718, con il dire "inalterati gli attuali confini", "non poteva riferirsi a dei confini illegali, quali erano quelli indicati in quel momento sul terreno. Se avesse voluto sanare la situazione, il legislatore avrebbe dovuto allegare al provvedimento una nuova carta in sostituzione della precedente". Analogamente, l'art. 1 del regio decreto 7 marzo 1935, n. 1332, e l'art. 12 del decreto legislativo 5 agosto 1947, n. 871, con il parlare rispettivamente di "tabelle da collocare" e di confini "indicati da apposite tabelle", non potevano riferirsi a tabelle precedentemente apposte in modo non conforme ai confini legali, ma erano, e sono, da intendersi - l'uso, nel primo dei due decreti, del verbo al futuro ("i confini... saranno delimitati da tabelle da collocare") é in proposito tutt'altro che privo di significato - con riferimento a tabelle da apporre in conformità ai confini legalmente stabiliti: quelli, cioè, risalenti al decreto del 1923.

7. - Vi é, tuttavia, un altro aspetto del ricorso, sempre inerente alla questione dei confini del parco, sul quale ci si deve soffermare, una volta disconosciuta la rilevanza giuridica del tracciato risultante dalle tabelle apposte sul terreno. La Regione Valle d'Aosta non si limita, infatti, a contrapporre i confini ricavabili dal collocamento di tali tabelle ai confini risultanti dalla pianta allegata al decreto del 1923, ipotizzando la parziale inefficacia sopravvenuta di quest'ultimo, ma - volutamente dimentica dei ripetuti richiami della legge regionale 11 maggio 1976, n. 15, al "perimetro riportato nella carta annessa al regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867" (v. artt. 1 e 3, secondo comma) - ne prospetta addirittura la totale inefficacia originaria, indipendentemente dal valore da riconoscere alle tabelle.

In tale ottica, il regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867, risulterebbe privo di efficacia, anzitutto perché "non adottato ai sensi dell'art. 4 del regio decreto-legge 3 dicembre 1922, n. 1584, in quanto la proposta di ampliamento non é stata presentata dal Ministro per l'Agricoltura". Ma, come rileva l'Avvocatura dello Stato, lo stesso decreto dà conto della proposta del Ministro per l'economia nazionale, presso cui nel frattempo (v. regio decreto 5 luglio 1923, n. 1434) erano state riunite le competenze del Ministero dell'agricoltura e del Ministero dell'industria, del commercio e del lavoro.

Altra, più grave, causa invalidante sarebbe da ravvisare nella già accennata mancanza della "cartina originaria annessa al R.D.L. 3 dicembre 1922, n. 1584", non inserita, secondo le prescrizioni allora vigenti, nella Raccolta Ufficiale delle leggi e dei decreti ai sensi dell'art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile del 1865 (ma v. anche art. 1 del regio decreto 11 giugno 1908, n. 525), né comunque pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del Regno, e nemmeno richiamata nella legge di conversione 17 aprile 1925, n. 473. Come più ampiamente viene precisato nell'elaborata memoria illustrativa presentata dalla difesa della Regione, tale carenza, riguardando una parte integrante della legge istitutiva del parco, oltre a non consentire di " verificare l'eventuale inclusione nel territorio del Parco Gran Paradiso della zona su cui si controverte", farebbe risultare l'intera legge istitutiva "non pubblicata e non in vigore": con la conseguenza di inficiare anche il successivo regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867, compresa la relativa carta annessa, non potendosi considerarlo "come decreto emanato ai sensi dell'art. 4 della legge (istitutiva)" e non essendo "consentito estendere ciò che non esiste come nucleo originario". Ma il pur esatto rilievo circa la mancata pubblicazione della "carta annessa" al regio decreto-legge del 1922 non può essere utilizzato sino al punto di ritenere non pubblicata e, pertanto, non entrata in vigore nemmeno la parte della legge istitutiva oggetto di regolare pubblicazione, nel complesso dei suoi 19 articoli, ivi compreso, ovviamente, l'art. 4. L'incompletezza della pubblicazione si risolve in una tipica ipotesi di pubblicazione parziale e, quindi, efficace per la parte pubblicata: essa concerne, infatti, una normativa autosufficiente, tanto più che l'art. 1, nel dichiarare parco "i terreni compresi nell'attuale riserva di caccia del Gran Paradiso", fornisce un'indicazione di per sé globalmente determinata del nucleo originario del parco, mentre l'art. 2, nell'elencare i terreni da accettare in donazione, li individua specificamente, con espresso riferimento, fra l'altro, proprio ai terreni posti nel comune di Valsavaranche, consentendo così di verificare la sicura inclusione della zona, sulla quale si controverte, nel territorio del parco.

Al regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867, si addebita, infine, la situazione di incertezza cui darebbe luogo l'esistenza di due diverse versioni della carta topografica ad esso annessa: l'una riprodotta nella Gazzetta Ufficiale e l'altra depositata all'Archivio Centrale dello Stato, entrambe redatte, per giunta, su una scala 1: 200.000, del tutto inidonea - si afferma - a far chiarezza. Ma, per quanto riguarda la duplicità di versioni, l'incertezza denunciata é priva di conseguenze giuridiche, dovendosi riconoscere prevalenza alla versione oggetto di pubblica divulgazione, cioè a quella pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale in forza della quale gli atti normativi fanno il proprio ingresso nell'ordinamento. Quanto alla scala 1: 200.000, pur essendo in re ipsa che la relativa carta "sviluppata sul terreno comporta un divario che può essere anche di 200 metri", non basta certo un inconveniente del genere a paralizzare nella sua interezza la previsione dei sottostanti confini.

8. - In ordine alla prima parte delle prescrizioni dettate dal decreto impugnato, si deve, quindi, concludere che, alla stregua della normativa descritta, spetta allo Stato di ordinare il ripristino dei confini legali del parco nazionale del Gran Paradiso. Va, di conseguenza, respinta la richiesta di annullamento del decreto nella parte relativa ai confini del parco.

9. - Quanto alla seconda parte delle prescrizioni dettate dal Ministro per l'agricoltura e le foreste ("curare l'osservanza della normativa del parco su tutti i territori compresi entro i suddetti confini"), il ricorso deve ritenersi inammissibile.

Poiché il decreto tace sulle sorti della legge regionale 11 maggio 1976, n. 15, non lo si può considerare sotto questo profilo sicuramente lesivo degli interessi regionali. Di riflesso, non può dirsi certo l'interesse della Regione a dolersi di una prescrizione che, riferendosi genericamente alla normativa vigente, si preoccupa di garantirne l'osservanza. Solo un'interpretazione, a prima vista abbastanza scontata, quale quella di intendere la formula "normativa del parco" come implicitamente riferibile in modo esclusivo alla normativa statale, potrebbe far pensare al contrario, ed é appunto di questo che la Regione si preoccupa. Tale interpretazione trova, però, un ostacolo non facilmente superabile nell'esplicito rinvio che l'ultima premessa del decreto ministeriale fa, con apprezzamento positivo, alla legge regionale 11 maggio 1976, n. 15, ed alle sue "norme in ordine ai divieti di caccia ed ai piani regolatori dei comuni ricadenti nel territorio del parco": rinvio ed apprezzamento positivo che mal si adattano alla conclusione di ritenere automaticamente escluse le norme così richiamate dalla "normativa" di cui subito dopo il decreto invita a "curare l'osservanza" e che, comunque, non denotano di per sé la volontà di menomare la competenza regionale.

Il dubbio sottostante alle considerazioni ora svolte non può certo trovare soluzione nella presente sede, toccando se mai ad altri organi un'eventuale presa di posizione al riguardo.

10. - Tutto ciò non toglie che alle incertezze ed agli inconvenienti lamentati - tra cui ultimo in ordine di tempo, ma non ultimo in ordine di importanza, l'aver deluso e disilluso aspettative così a lungo lasciate coltivare dalle popolazioni interessate - si debba trovar modo di porre finalmente rimedio attraverso una soluzione aggiornata ed organica dei problemi del parco nazionale del Gran Paradiso.

Del resto, proprio questo era l'obiettivo cui mirava il Governo già prima dell'emanazione del decreto ministeriale 28 maggio 1977, come risulta dal disegno di legge recante norme di attuazione dello Statuto speciale della Valle d'Aosta, poi divenuto legge 16 maggio 1978, n. 196: nel testo originario del disegno governativo, presentato alla Presidenza del Senato il 9 dicembre 1976 (stampato n. 379 della VII legislatura), un apposito articolo, il 5, espressamente richiamato nel ricorso della Regione, si preoccupava di dettare una particolare disciplina per il parco nazionale del Gran Paradiso, sul modello di quella adottata per il parco nazionale dello Stelvio con il decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279. Dopo l'approvazione del disegno di legge n. 379 da parte del Senato nella seduta del 5 ottobre 1977, l'art. 5, di cui in tale sede era stata mutata soltanto la numerazione (art.6), veniva, però, stralciato su decisione presa a maggioranza dalla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati: stralcio motivato con "la necessità di disciplinare la materia con legge della Repubblica entro il 31 dicembre 1979, in base a quanto disposto dal d.P.R. n. 616 del 1977". Più precisamente, era il secondo comma dell'art. 83 di quest'ultimo a prescrivere che "Per quanto riguarda i parchi nazionali e le riserve naturali dello Stato esistenti, la disciplina generale relativa e la ripartizione dei compiti fra Stato, regioni e comunità montane, ferma restando l'unitarietà dei parchi e riserve, saranno definite con legge della Repubblica entro il 31 dicembre 1979", mentre il terzo comma disponeva che "sino all'entrata in vigore" di tale legge "gli organi di amministrazione dei parchi nazionali esistenti sono integrati da tre esperti per ciascuna regione territorialmente interessata, assicurando la rappresentanza della minoranza" ed il quinto comma faceva salvo "quanto stabilito dall'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279, relativamente al Parco nazionale dello Stelvio".

Ma la tanto attesa disciplina del parco del Gran Paradiso non trovava spazio nemmeno in occasione della delega conferita al Governo con l'art. 72 della legge 16 maggio 1978, n. 196, "per estendere alla regione Valle d'Aosta le disposizioni del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616", delega rinnovata prima dall'articolo unico della legge 6 dicembre 1978, n. 827, poi dall'art. 1 della legge 5 agosto 1981, n. 453, e tradottasi, infine, nel decreto del Presidente della Repubblica 22 febbraio 1982, n. 182, tutto limitandosi, nei riguardi del parco, all'inciso iniziale dell'art. 52 di tale ultimo decreto ("Fermo il disposto di cui all'art. 83 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616"), che, completamente elusivo del problema, ha lasciato la situazione allo stesso punto di prima.

Nel frattempo, anche le non poche iniziative governative e parlamentari dell'VIII legislatura, dirette all'emanazione della più generale legge quadro per i parchi e le riserve naturali, restavano prive di risultati concreti, tanto da non venire neppure riprese nella IX legislatura. Durante quest'ultima, soltanto il decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, quale convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431, nel sottoporre a vincolo paesaggistico, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, anche i parchi e le riserve naturali, ha conferito ad ogni regione particolari poteri di nuova previsione (artt. 1- bis , 1- ter e 1-quinquies). Per il resto, l'unica innovazione alla normativa presa in considerazione dal decreto ministeriale 28 maggio 1977 continuava, e continua, ad essere quella dell'integrazione degli organi di amministrazione dell'Ente "Parco nazionale Gran Paradiso", voluta in via transitoria dal terzo comma dell'art. 83 del decreto presidenziale n. 616 del 1977: ben poca cosa rispetto a quella "ripartizione dei compiti" tra Stato e regioni, indicata dal secondo comma dello stesso art. 83 quale nucleo centrale della disciplina generale dei parchi nazionali esistenti. Una ripartizione che rimanda chiaramente al "modello di cooperazione e integrazione nel segno dei grandi interessi unitari della Nazione", come in questo caso la protezione della natura, cui, ad avviso della Corte (v. sentenza n. 219 del 1984), é necessario che "i rapporti fra Stato e Regioni ubbidiscano assai più che ad una gelosa, puntigliosa e formalistica difesa di posizioni", secondo "il principio della leale cooperazione reciproca fra i due enti" (v. sentenze n. 359 del 1985 e n.151 del 1986).

Tale basilare principio non può certo dirsi rispettato quando, come nel caso del parco nazionale del Gran Paradiso, lo Stato lascia trascorrere più di un decennio senza dare comunque applicazione alle tutt'altro che vaghe prescrizioni di un decreto delegato e della sottostante delega, volti ad ordinare i rapporti fra Stato e regioni. Senza dimenticare la particolare esigenza di un puntuale aggiornato raccordo con gli artt. 2 e 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4). Tanto più che del coevo Statuto speciale per il Trentino - Alto Adige (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, art. 4, divenuto art. 8 nel testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670), per la parte riguardante il parco nazionale dello Stelvio, lo Stato si é dato carico da tempo (v. il già richiamato art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279). É pur vero che, tra le materie nelle quali lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige riconosce potestà legislativa alle province autonome di Trento e di Bolzano, accanto ad agricoltura, foreste, patrimonio zootecnico ed ittico, caccia e pesca, urbanistica e tutela del paesaggio, si parla esplicitamente di "alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna", mentre l'elenco delle materie demandate dallo Statuto speciale per la Valle d'Aosta alla potestà legislativa della Regione enumera più semplicemente agricoltura e foreste, zootecnia, flora e fauna, urbanistica, caccia e pesca, ma é altrettanto vero che i problemi del parco nazionale del Gran Paradiso non possono essere ulteriormente disattesi.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara che spetta allo Stato ordinare il ripristino dei confini del parco nazionale del Gran Paradiso quali indicati nella carta allegata al regio decreto 13 agosto 1923, n. 1867, cui si richiama il decreto del Ministro per l'agricoltura e le foreste 28 maggio 1977, oggetto del ricorso per conflitto di attribuzione n. 7/1977 proposto dalla Regione Valle d'Aosta;

b) dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato con lo stesso ricorso avverso il medesimo decreto ministeriale, nella parte concernente la competenza dello Stato ad ordinare l'osservanza della normativa del parco su tutti i territori compresi entro i confini suddetti.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: CONSO

Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI