SENTENZA N. 180
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, ultimo comma, 6, primo comma, 9 e 10 della legge della regione Sicilia 6 giugno 1975, n. 42 (Provvedimenti per la ripresa economica delle zone ricadenti nei bacini minerari zolfiferi siciliani), promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1982 dal TAR per la Sicilia sul ricorso proposto da Di Buono Francesco ed altri contro l'Ente minerario siciliano ed altri, ed iscritta al n. 529 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 dell'anno 1983;
Visti gli atti di costituzione di Orlandini Mario ed altri, Cintola Salvatore e l'Ente minerario siciliano, nonché l'atto di intervento del Presidente della Giunta Regionale della Regione Sicilia;
Udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1987 il Giudice relatore Ettore Gallo;
Udito l'avvocato Maria Alessandra Sandulli per Orlandini Mario ed altri e l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per la regione Sicilia;
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza 22 gennaio 1982 il T.A.R. per la Sicilia sollevava questione di legittimità costituzionale degli art.li 5, u.c., 6, primo co., 9 e 10 della l. della regione Sicilia 6 giugno 1975, n. 42, ("provvedimenti per la ripresa economica delle zone ricadenti nei bacini minerari zolfiferi siciliani"), in riferimento all'art. 3 Cost: e ciò nella parte in cui i detti articoli escludono i lavoratori di cui all'art. 4 della stessa legge, aventi la qualifica di dirigente, dalla disciplina dettata per operai ed impiegati in tema di risoluzione del rapporto di lavoro.
2. - Il giudice a quo, riferiva che alcuni dirigenti, già al servizio dell'Ente Minerario Siciliano, E.M.S., avevano impugnato i provvedimenti con cui era stata disposta la risoluzione del loro rapporto di lavoro, lamentando l'ingiustificata disparità di trattamento che le norme denunziate riservavano alle varie categorie di lavoratori. In effetti, la legge regionale in parola, aveva disposto tutta una serie di misure per la riorganizzazione del settore zolfifero, tra cui la riduzione degli addetti entro i limiti di un organico non eccedente i sette dirigenti e duecento impiegati, nonché gli operai di età inferiore a 50 anni.
A quest'ultimo fine era dettata un'articolata disciplina, le cui linee così l'ordinanza riassume:
- per i dirigenti in eccedenza, risoluzione del rapporto di lavoro a far epoca dal 31 dicembre 1976 (art. 5,
ult. comma; la data é stata poi fissata dall'art. 5 della l.r. 14 maggio 1976, n. 77);
- per gli operai e gli impiegati: licenziamento di quelli che avessero cinquanta anni alla data del 31 dicembre 1975 o tale età raggiungessero entro il 31 dicembre 1978; con la concessione, però, agli stessi di uno speciale trattamento di pensionamento; mantenimento in servizio dei rimanenti, salvo il trasferimento degli impiegati in soprannumero (rispetto al prestabilito organico di 200) in uno "speciale servizio" dell'E.M.S. (artt. 6, 8, 9 e 10);
- individuazione e ripartizione del personale occorrente per la gestione delle miniere (sempre nei limiti degli organici di cui sopra) ad opera di un'apposita commissione di nomina regionale, la quale a tal fine "terrà conto delle mansioni espletabili da ciascun dipendente, in relazione alle esigenze aziendali, e all'anzianità di servizio" (art. 7).
Ciò posto, rileva l'ordinanza che l'art. 2095 del codice civile comprende i dirigenti fra i prestatori di lavoro subordinato, unitamente ad impiegati ed operai. Ora, attesa tale situazione di parità, e dato che il licenziamento dei dirigenti in esubero, disposto dall'art. 5, u.c. della legge impugnata, trova la sua causa esclusivamente nella riduzione del personale addetto al settore zolfifero, appare lecito al T.A.R. rimettente dubitare della corrispondenza della normativa al principio di eguaglianza. Infatti, la detta normativa esclude la categoria dei dirigenti - e solo essa - da qualsiasi beneficio (vuoi economico, vuoi in termini di prosecuzione del rapporto di lavoro), che viene, invece, accordato ad impiegati ed operai, senza che alla esclusione faccia riscontro alcuna diversa provvidenza.
Non ignora il giudice a quo che questa Corte, con sentenza n. 121 del 1972, ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (sui licenziamenti individuali) sollevata in relazione all'art. 3 Cost., nella parte in cui non comprende fra i destinatari dei benefici ivi previsti i prestatori di lavoro subordinato che rivestono la qualifica di dirigenti. Ma l'ordinanza fa rilevare che all'accennata conclusione la sentenza di questa Corte sarebbe pervenuta essenzialmente sulla considerazione del carattere fiduciario che si esige nel rapporto intercorrente tra imprenditore e dirigente; "é in armonia con codesta esigenza - recita, infatti, la sentenza - che il rapporto possa venir meno per determinazione unilaterale, solo che soggettivamente vengano considerate cessate le condizioni idonee a soddisfare la detta esigenza".
Ma questa caratteristica posizione del dirigente nell'ambito dell'organizzazione dell'impresa, che lo differenzia dagli altri dipendenti, non verrebbe viceversa in rilievo nel contesto della disciplina dettata dalla l.r. 42/1975.
Questa, invero, ha previsto una riduzione del personale addetto al settore minerario zolfifero, per esigenze di economicità di gestione, disponendo che questa venga attuata entro certi limiti e mediante un licenziamento collettivo (cfr. art. 11).
In questo quadro, il licenziamento dei dirigenti eccedenti il nuovo organico non sarebbe certo riconducibile al venir meno dell'elemento fiduciario, bensì solo al ridimensionamento del settore produttivo cui erano addetti: tant'é vero che l'art. 7 della legge ha demandato ad un organo imparziale la scelta, su basi rigorosamente oggettive, di quelli da mantenere in servizio.
Per tal modo, lo status professionale di dirigente sarebbe stato assunto dal legislatore regionale ad elemento determinante dell'attribuzione di un trattamento diversificato in senso negativo, e sostanzialmente discriminatorio, rispetto a quello stabilito per la generalità dei lavoratori subordinati già addetti al settore zolfifero e dipendenti della stessa società.
Ad ulteriore conforto della tesi dell'irragionevolezza dell'operato del legislatore regionale, il T.A.R. si riferiva altresì ai lavori preparatori della l.r. 42/1975. Da essi risulta che il disegno di legge d'iniziativa governativa (Ass. Reg. Sic., VII leg., n. 700) escludeva il licenziamento di dirigenti (quelli in esubero sarebbero passati allo "speciale servizio" di cui all'art. 10 della legge); e tale criterio venne tenuto fermo nel testo del disegno (n. 700/A) approvato dalla terza commissione legislativa. Fu durante la discussione assembleare che venne introdotto l'attuale ultimo comma dell'art. 5, con un emendamento d'iniziativa parlamentare, motivato con l'esigenza di adottare "un criterio unico per quanto riguarda il personale" (Ass. Reg. Sic., Resoconti parl., VII leg., seduta del 27 maggio 1975, pagg.1623 e 1667-70).
Sennonché la disciplina dettata dalla l.r. 42/1975 non risulta per nulla rispettosa di tale criterio di unicità, allorché discrimina i dirigenti dalle altre categorie di ex dipendenti, escludendo del tutto i primi dalle provvidenze accordate alla generalità del personale.
3. - L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte Costituzionale si sono costituiti i ricorrenti, rappresentati e difesi dagli avvocati Zupo, Siracusa e Sandulli, e l'E.M.S, rappresentato e difeso dall'avvocato De Fina, ed é intervenuto il Presidente della Giunta della regione siciliana, rappresentato e difeso dall'avvocato generale dello Stato.
Nel chiedere l'accoglimento della questione, i ricorrenti insistono particolarmente sulla circostanza che la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. nn. 121 del 1972 e 101 del 1975) ha sempre richiesto requisiti di congruità e di ragionevolezza nelle discipline che differenziano la posizione del dirigente da quella degli altri lavoratori dipendenti. Mentre tale congruità sarebbe, nella specie, del tutto insussistente e assolutamente ingiustificata la discriminazione.
Risulta, infatti, dai lavori preparatori che la discriminazione fu introdotta inopinatamente, nel corso di una seduta notturna e per pochi voti, contro il parere del Governo e della Commissione: e fu introdotta con un intento dichiaratamente punitivo sull'indimostrato assunto che "la responsabilità prevalente della disastrosa gestione spetta ai dirigenti".
I ricorrenti ricordano altresì che nessuna discriminazione dei dirigenti rispetto agli altri impiegati é stata operata dalla legislazione nazionale in quei casi nei quali un'azienda di Stato é stata smobilitata con assorbimento del personale da altre aziende (art. 6 d.l. 7 aprile 1977, n. 103). Anche l'E.M.S., però, si richiama alla giurisprudenza della Corte, sostenendo che questa non ha mai affermato che il licenziamento dei dirigenti sia da considerare costituzionalmente legittimo solo se motivato dal venir meno della fiducia; sarebbe stato precisato soltanto che il rapporto fiduciario intercorrente fra dirigenti e datori di lavoro rappresenta una fra le numerose ragioni per negare l'asserita par condicio dei primi con operai ed impiegati. Si ricorda, anzi, proprio in relazione a quanto più particolarmente aggiunge la legge regionale, che il trattamento meno favorevole fatto ai dirigenti, rispetto ad operai ed impiegati, trova adeguata spiegazione nelle condizioni sociali, culturali ed economiche di questi ultimi; le quali fanno presumere per costoro difficoltà di reimpiego e pericoli di indigenza che non si profilano per i dirigenti.
Cosicché - anche a postulare una impossibile par condicio formale del rapporto di lavoro - ben poteva il legislatore disciplinare in modo difforme il licenziamento degli uni rispetto a quello degli altri, sulla base di condizioni oggettivamente diverse. Del resto, la riduzione del "cast" dirigenziale a sole sette unità, corrisponde alle effettive (residue) esigenze dirigenziali della società assorbita dall'EMS: esigenze, che postulavano di per sé la impossibilità di mantenere in servizio tutti gli altri dirigenti.
Per il Presidente della Giunta regionale, e con riferimento alla doglianza secondo cui non sarebbe stata almeno prevista per i dirigenti, così come per gli impiegati, la possibilità di continuare il rapporto di lavoro con diverse mansioni, ove non si fosse potuto dare loro collocazione nell'organico di gestione della miniera, osserva l'Avvocatura che proprio su questo punto prende rilievo il momento differenziale rispetto agli altri lavoratori subordinati, stante l'inesistenza di mansioni dirigenziali diverse nell'ambito della struttura organizzativa dell'ente minerario.
D'altro canto, anche il mantenimento in servizio di personale impiegatizio esuberante, rappresentava una scelta contraria alle esigenze di economicità che dovevano presiedere alla ristrutturazione dell'azienda: ma essa era ispirata da considerazioni d'ordine sociale, giustificate dalla diversa condizione economica degli impiegati rispetto ai dirigenti e dalla loro estraneità alle cause che avevano imposto la ristrutturazione del settore.
Considerato in diritto
1. - Va premesso innanzitutto qualche chiarimento di ordine sistematico quanto all'interna struttura della complessa normazione della legge regionale impugnata.
La legge, dopo avere dettato negli articoli da 1 a 4 le regole per eliminare le miniere assolutamente passive, sciogliere enti e società improduttivi, e proseguire le gestioni recuperabili ad una più sana amministrazione concentrandovi il personale, prescrive negli art.li da 5 a 9 i criteri da seguire per una graduale riduzione degli organici.
Ma, mentre nell'art. 5 si danno disposizioni di carattere generale, applicabili a tutto il personale dovunque in servizio, con l'art. 6 si prevedono talune particolari norme concernenti impiegati ed operai della SO.CHI.MI.SI., ivi compresi quelli provenienti dalla miniera Realmonte e dalla S.p.A. Elitaliana già trasferiti alla predetta Società. Si tratta, evidentemente, di una Società di gestione (la SO.CHI.MI.SI.) controllata dall'Ente minerario siciliano (EMS), della quale l'art. 3 impone all'Ente stesso di promuovere lo scioglimento e la messa in liquidazione.
Dal combinato disposto, pertanto, degli art.li da 5 a 10 si evince che, in via generale, gli operai che abbiano compiuto 50 anni, gli impiegati che eccedono le 200 unità, e i dirigenti che eccedono le 7, non possono essere mantenuti in servizio: ed é poi l'art. 7 a stabilire come debba essere individuato il personale da mantenere in attività di servizio nelle miniere che restano in funzione.
L'art. 5 dispone inoltre all'ultimo comma (aggiunto dall'Assemblea) che per i dirigenti in eccedenza si provvede alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Però il primo comma dell'art. 6 prevede analoga risoluzione anche per gli impiegati della SO.CHI.MI.SI. che abbiano raggiunto il cinquantesimo anno di età o che lo raggiungano al 31 dicembre 1978: e altrettanto dispone per gli operai.
In compenso, i commi successivi dello stesso articolo 6 concedono larghe provvidenze ad impiegati e operai licenziati, ai quali - fino al reimpiego con rapporto di lavoro a carattere continuativo o, in mancanza, al raggiungimento dell'età pensionabile - é corrisposta a carico della Regione un'indennità mensile pari all'80% della retribuzione globale, di fatto percepita nel mese precedente alla risoluzione del rapporto di lavoro: nonché assegni familiari e ogni altra indennità derivante da accordi sindacali collettivi. L'indennità, debitamente rivalutata secondo legge, viene corrisposta per quattordici mensilità.
Alla Regione inoltre é fatto carico di assumere gli oneri per l'assistenza sanitaria e per la contribuzione volontaria da parte degli interessati, a fini pensionistici, nella misura massima consentita.
Infine, l'art. 10 autorizza l'EMS a deliberare che gli impiegati eccedenti il numero di duecento, e che non siano stati licenziati ai sensi del primo co. dell'art. 6, vengano trasferiti in uno "speciale servizio" per il quale é istituito un fondo speciale a gestione separata. Si tratta manifestamente di un espediente escogitato dal legislatore regionale per evitare una improvvisa disoccupazione di massa: in realtà, il cosiddetto "speciale servizio" ha evidentemente ben poco da servire nella SO.CHI.MI.SI., se il secondo comma del detto art. 10 prevede che il personale sia eventualmente utilizzato per le società collegate, e se l'ultimo comma prescrive un diritto di preferenza addirittura per l'assunzione del personale stesso presso le collegate.
Non può negarsi, quindi, che un trattamento differenziato effettivamente sussistesse fra i due gruppi di dipendenti.
Per impiegati ed operai il licenziamento poteva verificarsi esclusivamente in funzione dell'età: fuori di questa ipotesi l'eccedenza, rispetto ai contingenti fissati dall'art. 5, non influiva sul rapporto di lavoro, e comportava soltanto il trasferimento negli organici del ricordato "servizio speciale".
Per i dirigenti, invece, era proprio l'eccedenza, rispetto al numero dei sette mantenuti in servizio, a determinare il licenziamento.
Inoltre, mentre per gli impiegati e per gli operai licenziati erano previste le ampie e generose provvidenze descritte nell'art. 6, talché nei lavori preparatori si parla a questo proposito piuttosto di "pre-pensionamento" anziché di licenziamento, nulla viene previsto per i dirigenti, salvo ovviamente la liquidazione di legge.
Si tratta ora di esaminare se tali differenze integrino la denunziata violazione del principio contenuto nell'art. 3 Cost., o se trovino, invece, razionale giustificazione nella ratio che ha ispirato la normativa regionale.
2. - L'ordinanza di rimessione ha colto esattamente la ben diversa natura che sostanzia il cosiddetto licenziamento individuale rispetto al "licenziamento collettivo" disposto ex lege per ragioni che attengono alla generalità. Così come ha bene inteso quale sia l'aspetto saliente che caratterizza il rapporto di lavoro intercorrente fra imprenditore e dirigente. Solo nella prima ipotesi, infatti, affiora di regola la problematica concernente le cause del licenziamento relative ai comportamenti individuali, mentre nella seconda l'intervento della legge trova di norma la sua ratio nei problemi generali che attengono alla comunità, con particolare riferimento all'economia pubblica e alle istanze sociali ad essa sottese.
Conseguentemente, per quanto si riferisce alla questione sollevata, la particolare natura del rapporto che intercorre fra imprenditore e dirigente non dovrebbe di massima interferire sulle cause che determinano il licenziamento collettivo del personale delle aziende e sulle sue modalità. Resta vero, tuttavia, - come questa Corte ha costantemente affermato - che "la situazione dei dirigenti non é di per sé eguale o assimilabile a quella degli altri impiegati" (sent. 6 luglio 1972, n. 121): e ciò indipendentemente da quel "rapporto di reciproca fiducia e di positiva valutazione" che sicuramente caratterizza le relazioni di lavoro fra imprenditore e dirigente, tanto da essere stato definito "essenziale" dall'ora ricordata sentenza di questa Corte. In realtà, anche gli altri elementi, che la sentenza pure richiama fra quelli caratterizzanti, si fondano pur sempre su quel dato essenziale della fiducia. Non potrebbe sussistere, infatti, una "collaborazione immediata per il coordinamento aziendale", un "ampio potere di autonomia nell'attività direttiva", una "supremazia gerarchica sul personale sott’ordinato" e addirittura un "potere di rappresentanza infra o extra-aziendale", se tutte queste situazioni non fossero sempre assistite dalla "fiducia" dell'imprenditore.
Ma, se é esatto che tutto questo riguarda i rapporti fra singolo imprenditore e singolo dirigente e, quindi, il problema dei licenziamenti individuali, é pur vero, però, che quegli stessi elementi caratterizzano la figura del dirigente anche sul piano obbiettivo, nel senso che gli attribuiscono nell'azienda quella particolare qualificazione che ha consentito alla Corte di definire la posizione del dirigente "di per sé non eguale né assimilabile a quella degli altri impiegati".
Mentre l'impiegato tout court, infatti, é sempre e facilmente adibibile ad un diverso compito impiegatizio nell'ambito della stessa azienda, sia pure nei limiti del grado gerarchico conseguito e nel rispetto degli accordi di "mobilità" del personale, altrettanto non può dirsi per il dirigente. Questi, infatti, perde la sua qualificante caratteristica se non può espletare un'attività direttiva con ampio potere di autonomia, se é privato di supremazia gerarchica sul personale con poteri organizzativi, se non può più avere alcuna funzione di rappresentanza, nemmeno infraziendale.
Ebbene, questa particolare posizione del dirigente che, per certi aspetti, ne fa una categoria d'impiegato a sé stante, non é escluso che ben possa assumere rilievo anche nel contesto dei licenziamenti collettivi, là dove almeno la legge é costretta a tenere conto di quelle qualità nella scelta di soluzioni al difficile problema della ricollocazione.
3. - Applicando i concetti esposti alla questione sollevata, appare subito manifesto che non é per nulla necessario ricorrere a pretese responsabilità dei dirigenti nel crollo dell'industria zolfifera dell'isola per valutare la razionalità o meno del trattamento usato a questi dalla legge regionale denunziata. Anche se non può essere sottaciuto che tali solitarie censure non trovano nessun conforto probatorio negli atti, non risultano mai contestate ad alcuno, e incontrano anzi ferma smentita nella stessa Relazione del governo regionale al Disegno di legge. In questa si parla, infatti, bensì anche di "distonie dell'apparato organizzativo", ma esse vengono attribuite alla "mancanza nell'ultimo triennio di un disegno organico per una gestione funzionale": disegno che, per essere riferito all'intero comprensorio economico della fascia centro-meridionale dell'isola, non poteva certo spettare ai dirigenti delle singole miniere, ma all'autorità politica regionale. La quale, invece, per sopperire ad una crisi gravissima che rappresentava ormai " un problema di territorio più che di settore", si é vista costretta a sostenere in un primo tempo l'economia della zona mediante ripetuti interventi finanziari che miravano ad assicurare comunque "l'unica fonte di reddito stabile" in grado di porre frattanto un freno al "processo di disgregazione economica e sociale". In altri termini, provvedimenti urgenti di carattere politico-assistenziale non evitabili, ma che avevano finito per favorire l'innesto della crisi "in una situazione estremamente precaria" "determinando un'ulteriore involuzione del sistema".
Di ciò ben consapevole, la Regione aveva deciso di mutare radicalmente il precedente indirizzo di politica economica, adottando la legge in parola che, "pur mirando alla salvaguardia dei livelli di reddito e di occupazione conseguiti", ponesse "le basi per un modello di sviluppo diverso, incentrato sui principi della intersettorialità e della globalità".
Discorso che, come si vede, proprio per il suo carattere di politica generale, esclude l'influenza di comportamenti individuali, dei quali - come già si é rilevato - non vi é, del resto, alcuna traccia documentale (talune condotte a rilevanza penale furono valutate peraltro in ben noti processi).
Ciononostante, nel momento in cui la legge regionale, al fine di perseguire quegli intenti, provvede a ridurre gli organici, da una parte licenziando e dall'altra, tuttavia, evitando di provocare un'improvvisa disoccupazione di massa, non poteva non tenere conto dell'incidenza rappresentata dalla distinta posizione funzionale del dirigente rispetto alle altre categorie di dipendenti. A questo punto, però, é opportuno precisare che la questione di legittimità del licenziamento di cui all'art. 5 u.c. della legge, riferita all'art. 3 Cost. é rilevante limitatamente ai nove dirigenti che, esclusi per il giudizio della Commissione dal novero dei sette da mantenere in servizio, non avevano ancora compiuti i 50 anni, né li compivano al 31 dicembre 1978.
Gli altri sette ricorrenti, cinquantenni ed ultra, non possono, infatti, lamentare alcun trattamento differenziale, in termini di età, rispetto a tutti i residui dipendenti ex SO.CHI.MI.SI., tanto operai che impiegati, che sono stati essi pure licenziati al raggiungimento della stessa età.
Ebbene, se quei nove dirigenti non fossero stati licenziati, essendo essi comunque eccedenti rispetto ai sette mantenuti in servizio per giudizio della Commissione, l'EMS avrebbe dovuto deliberare il loro trasferimento al cosiddetto "servizio speciale" à sensi dell'art. 10 della legge. Ma, com'é stato da più parti politiche rilevato in Assemblea, nel detto servizio essi non avrebbero avuto alcuna possibilità di effettivo impiego proprio a causa della loro qualità di dirigenti, non essendovi in realtà alcun servizio da sovrintendere, e quindi alcuna supremazia gerarchica da esercitare, alcuna collaborazione immediata da prestare, alcun coordinamento da promuovere, alcuna rappresentanza da far valere. Né potevano essere utilizzati nelle società collegate dove già erano coperti esaurientemente i quadri dirigenti. A differenza della situazione degli altri dipendenti, dove l'aumento della mano d'opera o dell'opera impiegatizia, anche nell'ambito dello stesso lavoro (leggi "società collegate"), può dare per risultato l'aumento della produzione, inserire due o tre dirigenti, dove ne basta uno, può significare soltanto confusione e improduttiva rivalità.
Furono proprio sostanzialmente queste considerazioni (si parlò di astronomici stipendi che si sarebbero goduti senza far nulla) che indussero l'Assemblea regionale a introdurre l'emendamento aggiuntivo all'art. 5 del disegno di legge: e non sembra che esso, così motivato, sia privo di razionalità.
Oltre tutto, poi, mentre il licenziamento di alcune migliaia di operai e di ottocento impiegati avrebbe determinato proprio quell'improvvisa disoccupazione di massa che la legge ha inteso evitare per ovvie ragioni di carattere sociale e di possibile perturbamento dell'ordine pubblico, il licenziamento di nove dirigenti ancor giovani, benché esso pure spiacevole, e idoneo a determinare dolorose conseguenze sul piano personale e famigliare, non provocava, tuttavia, analoghe risonanze sociali e non rientrava, perciò, nella ratio giustificatrice dell'istituzione di quel certo "servizio speciale".
Anche sotto questo aspetto, pertanto, il trattamento differenziato non appare privo di razionalità, in relazione al particolare intento che il legislatore perseguiva con la legge impugnata.
Semmai, sia per questi nove dirigenti che per gli altri ricorrenti licenziati, diverso é il profilo d'illegittimità che può essere preso in considerazione: ma, per quanto concerne l'area degli art.li 5 u.c. e 10 della legge, il riferimento all'art. 3 Cost. é infondato per gli uni e irrilevante per gli altri.
4. - In realtà, é proprio nei modi in cui il licenziamento viene dalla legge disposto che si rivela il profilo d'illegittimità ex art. 3 Cost.
Esattamente il T.A.R. della Sicilia ha sollevato la questione anche nei confronti degli art.li 6, primo co. e 9 della legge, giacché é questa l'area dove effettivamente il differenziato trattamento dei dirigenti non ha più ragionevolezza.
Una volta, infatti, messe a punto le ragioni che giustificavano il licenziamento dei dirigenti eccedenti il contingente fissato dall'art. 5, indipendentemente dalla loro età e così, perciò, chiarito che il provvedimento rientrava nella politica generale ispiratrice della legge, e non rappresentava un punitivo privilegium odiosum, veniva conseguentemente a cadere qualsiasi ragionevole motivazione per negare ai dirigenti il trattamento usato a tutti gli altri dipendenti che perdevano improvvisamente il lavoro.
Né nella Relazione né nel contesto o nello spirito della legge esiste il minimo accenno da cui desumere una qualsiasi giustificazione alla grave disparità: mentre questa Corte, proprio prendendo spunto dalla particolare condizione del dirigente, aveva bensì conseguentemente dato atto della "possibilità di discipline difformi in relazione alla diversa qualità e alla varietà di tipi del lavoro", ma aveva soggiunto "semprechè si tratti di situazioni idonee a giustificare un regime eccezionale, con riguardo ad altri apprezzabili interessi e comunque non vengano superati i limiti di ragionevolezza" (sentenze n. 101 del 1975, n. 146 del 1971, n. 150 del 1967).
Principio che ha trovato puntuale applicazione, come s'é visto, nell'eccezionale regime di licenziamento disposto per i dirigenti, in vista della considerazione che veniva data agli interessi di una razionale risistemazione dei ridotti contingenti del personale, ma che sicuramente supera i limiti di ragionevolezza quando si vuole continuare ad applicarlo anche al trattamento che deve accompagnare e qualificare un regime di licenziamento collettivo.
Il tentativo di dare a posteriori, nelle scritture di parte, qualche giustificazione alla disparità, assumendo che, per le loro qualità culturali e per migliori condizioni economiche, i dirigenti non avrebbero avuto problemi a trovare più celermente altro lavoro, anche se avessero dovuto affrontare qualche tempo di disoccupazione, non ha molto pregio.
La disoccupazione é situazione dura per tutti (un'altissima Autorità spirituale l'ha recentemente definita "scandalo"), e ciascuno la subisce dolorosamente nella relatività del suo abituale tenore di vita. Né é vero che i dirigenti, specie se ingegneri, troverebbero più facile collocazione in altro rapporto di lavoro, perché, anzi, proprio la loro cultura e la loro esperienza specialistica al settore minerario é di ostacolo all'assunzione in altri settori; mentre evidentemente quello di loro competenza, esclusa ormai l'isola, non ha in Italia sviluppi tali da consentire assunzioni in altre regioni.
Difficoltà che - come più sopra si é rilevato - sono di gran lunga inferiori per il lavoratore normale e per l'impiegato generico, ai quali invece la legge ha attribuito, in occasione del licenziamento, larghe provvidenze.
Del resto - come bene ha messo in luce l'ordinanza di rimessione - non solo lo Stato, in analoghe occasioni, non ha discriminato il trattamento dei dipendenti di società, a partecipazione statale maggioritaria, messe in liquidazione o assorbite, ma la stessa Regione Sicilia, in successive evenienze, ha avuto cura di evitare disparità nei confronti dei dirigenti: essa aveva, anzi, tentato recentemente, (l. r. 18 febbraio 1986, n. 7, art. 14) di dare almeno parziale riparazione alle disuguaglianze introdotte dalla legge impugnata, ma l'INPS, con sua nota 26/9/1986, ha ritenuto impraticabile la proposta emergente dalla citata l. n. 7 del 1986 a causa della cessazione dei rapporti di lavoro da ormai dieci anni.
Va, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale in parte qua delle residue norme impugnate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile, nella parte in cui si riferisce ai dirigenti cinquantenni ed ultracinquantenni, la questione di legittimità costituzionale degli artt 5 u.c. e 10 della legge regionale siciliana 6 giugno 1975, n. 42 ("Provvedimenti per la ripresa economica delle zone ricadenti nei bacini minerari zolfiferi siciliani"), sollevata dal T.A.R. per la Sicilia con ordinanza 22 gennaio 1982 nei riguardi dell'art. 3 Cost;
Dichiara infondata, nella parte in cui si riferisce ai dirigenti infracinquantenni, la medesima questione sollevata dallo stesso Tribunale con la detta ordinanza nei riguardi delle stesse norme e con riferimento ad uguale parametro;
Dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt 6, primo comma, e 9 della legge regionale citata, nella parte in cui non contemplano anche i dirigenti in eccedenza, per i quali si sia proceduto alla risoluzione del rapporto di lavoro ex art. 5 u.c. stessa legge, ai fini delle provvidenze di cui ai commi successivi dell'art. 6 e allo stesso art. 9 della legge.
Così deciso in Roma, in udienza pubblica, nella sede della Corte costituzionale, palazzo della Consulta il 20 maggio 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il Redattore: GALLO
Depositata in cancelleria il 22 maggio 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE