Sentenza n. 146 del 1971
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SENTENZA N. 146

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 21 delle disposizioni annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328 (disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici servizi di trasporti in concessione), modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, e dell'art. 1, secondo comma, n. 9, della legge 22 febbraio 1934, n. 370 (riposo domenicale e settimanale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 24 maggio 1969 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Pusceddu Guglielmo e l'Azienda trasporti municipali di Milano, iscritta al n. 367 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 280 del 5 novembre 1969;

2) ordinanza emessa 1'8 ottobre 1969 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Tani Giuseppe, De Gasper Mario ed altri e l'Azienda trasporti municipali di Milano, iscritta al n. 466 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37 dell'11 febbraio 1970;

3) ordinanze emesse il 4 e il 5 gennaio 1971 dal pretore di Torino in dieci procedimenti civili promossi rispettivamente da Barbini Enrico, Negro Secondo, Voltetti Mario, Tasco Giovanni, Mandarà Ferdinando, Ortolani Alarico, Giallombardo Bartolo, Rumore Giuseppe, Margaria Luigi e Godone Aldo contro l'Azienda tranvie municipali di Torino, iscritte ai nn. 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 112, 113 e 114 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 87 del 7 aprile 1971.

Visti gli atti di costituzione di Pusceddu Gugliemo, De Gasper Mario, Grizzi Mario, Cucchi Antonio, Giallombardo Bartolo, dell'Azienda trasporti municipali di Milano e della Azienda tranvie municipali di Torino;

udito nell'udienza pubblica del 18 maggio 1971 il Giudice relatore Giuseppe Verzì;

uditi gli avvocati Pasquale Nappi e Luciano Ventura, per Pusceddu Guglielmo e Giallombardo Bartolo, l'avv. Filippo Lubrano, per De Gasper Mario ed altri, gli avvocati Salvatore Villari e Ugo Biondolillo, per l'Azienda trasporti municipali di Milano, e l'avv. Francesco Santoro Passarelli, per l'Azienda tranvie municipali di Torino.

Ritenuto in fatto 

Nel corso del procedimento civile vertente tra Pusceddu Guglielmo e l'Azienda trasporti municipali di Milano, il pretore di questa città con ordinanza del 24 maggio 1969, sollevava, in riferimento all'art. 36, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 delle disposizioni annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328, nel testo modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, il quale dispone che "tra i riposi continuati in residenza ve ne debbono essere 52 all'anno, della durata di 24 ore, senza pregiudizio del congedo regolamentare".

Con precedente ordinanza, lo stesso pretore aveva denunziato la norma dell'art. 16 delle anzidette disposizioni annesse al r.d.l. n. 2328 del 1923, che reca una identica disposizione per i riposi settimanali per il personale addetto ai pubblici servizi di trasporti in concessione, ma il relativo giudizio era stato definito da questa Corte con ordinanza del 23 marzo 1968 di manifesta infondatezza, in quanto nelle more, con sentenza n. 150 del 1967, era stata dichiarata la illegittimità costituzionale del detto art. 16. Riassunta la causa davanti al pretore, sul presupposto - non contestato dalle parti - che nella specie sia applicabile, non l'art. 16, ma l'art. 21 (delle ripetute disposizioni) il pretore ha riproposto la questione per questa ultima norma.

La stessa questione é stata sollevata dal tribunale di Milano con ordinanza 8 ottobre 1969, emessa nei procedimenti vertenti fra Tani Giuseppe ed altri e l'Azienda trasporti municipali di Milano e dal pretore di Torino, con dieci ordinanze emesse il 4 e 5 gennaio 1971 in altrettanti procedimenti civili fra Barbini Enrico, Negro Secondo, Voltetti Mario, Tasco Giovanni, Mandarà Ferdinando, Ortolani Alarico, Giallombardo Bartolo, Rumore Giuseppe, Margaria Luigi, Godone Aldo e l'Azienda tranvie municipali di Torino.

Nei giudizi davanti questa Corte si sono costituiti la Azienda trasporti municipali di Milano, l'Azienda tranvie municipali di Torino, Pusceddu Guglielmo, Cucchi Antonio, De Gasper Mario, Grizzi Mario e Giallombardo Bartolo.

Tutte le ordinanze di rimessione assumono che, essendo la formula del denunziato art. 21 identica a quella dell'art. 16, già dichiarato dalla Corte illegittimo, deve ritenersi fondata la questione proposta ora negli stessi termini in cui fu a suo tempo sollevata per l'art. 16. Le ordinanze del pretore di Torino rilevano altresì che la eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 21, facendo venir meno la disciplina positiva dettata per i dipendenti di aziende esercenti ferrovie e tranvie pubbliche, lascerebbe operativa la norma di cui all'art. 1, comma secondo, n. 9 della legge 22 febbraio 1934, n. 370, la quale ha contenuto meramente negativo, vietando l'applicazione della legge stessa ai predetti dipendenti. E ciò sarebbe in contrasto sia con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, in quanto i lavoratori del settore autoferrotranviario pubblico verrebbero ad essere privati della disciplina del riposo settimanale, sia con l'art. 36, terzo comma, della Costituzione, in quanto la normativa generale dell'art. 1, comma primo, della ripetuta legge costituisce attuazione del principio costituzionale.

L'ipotesi odierna sarebbe analoga a quella contemplata dal n. 6 dei medesimi comma, articolo e legge innanzi citati. E questo é stato dichiarato illegittimo con la sentenza n. 76 del 1962, in quanto il contenuto negativo della disposizione, escludendo l'applicabilità di normazioni collettive o legislative, consentiva di privare gli addetti alla pastorizia brada del riposo settimanale.

I difensori delle due aziende municipali di Milano e di Torino sostengono che la sentenza n. 150 del 1967 ha operato una scissione fra il principio normativo su cui si basava l'art. 16 censurato e la espressione letterale della disposizione che esplicitizzava il principio. Questa espressione letterale é caducata, perché oltrepassava i limiti della ragionevolezza, mentre il principio normativo enucleato dalla Corte rimane nell'ordinamento come norma principio e produce i suoi effetti. Oggi, il principio normativo si presenta distaccato dalla espressione letterale. Ed a questa non può essere dato altro significato che quello assunto nella disciplina effettiva della materia di specie, disciplina che concreta una limitata deroga alla regola della periodicità del riposo settimanale; tanto limitata da potere essere pienamente giustificata dalle esigenze particolari del settore.

Sotto questo aspetto, la difesa delle aziende municipalizzate dei trasporti di Milano e di Torino chiede che la questione venga dichiarata infondata, rilevando per altro che, anche se il ripetuto art. 21 fosse dichiarato illegittimo, i lavoratori del settore autoferrotranviario non rimarrebbero senza una disciplina del riposo settimanale. Tale disciplina, infatti, sarebbe ricavabile dallo stesso art. 36, comma terzo, della Costituzione, e dai contratti collettivi.

Sono state presentate memorie nell'interesse di Pusceddu, Tani, De Gasper e Grizzi. In esse si ribadiscono, sostanzialmente, le argomentazioni addotte nelle ordinanze di rimessione.  

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze indicate in epigrafe prospettano la medesima questione di legittimità costituzionale in riferimento ai principio del riposo settimanale del lavoratore sancito dall'art. 36, terzo comma, della Costituzione; sicché le varie cause possono essere riunite e decise con unica sentenza.

2. - L'art. 16 e l'art. 21 delle disposizioni annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328 (formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici esercizi di trasporto in concessione) modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, contengono una norma identica nella espressione letterale e nel contenuto: "tra i riposi continuati in residenza... ve ne debbono essere 52 all'anno della durata di 24 ore, senza pregiudizio del congedo regolamentare". Essi differiscono soltanto rispetto all'oggetto, perché il primo riguarda il personale di macchina ed il secondo il personale di scorta ai treni e quello navigante.

Questa Corte ha già dichiarato, con sentenza n. 150 del 1967, l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, che, per la sua imprecisa e vaga formulazione, viola il principio del riposo settimanale, e deve, ora, dichiarare l'illegittimità anche del successivo art. 21, impugnato per gli stessi motivi posti a fondamento della precedente decisione. Ed invero, anche questo omette di indicare in qual modo deve essere regolato l'esercizio del diritto del lavoratore, inteso nel senso che ad un certo numero di giornate lavorative faccia seguito quella di riposo; e consente così di raggruppare in modo irrazionale ed arbitrario le giornate di riposo concedendole anche dopo lunghi periodi di lavoro o addirittura in unico contesto di tempo. Esso ricade pertanto nello stesso vizio già rilevato per il precedente art. 16 dello stesso decreto-legge.

3. - L'art. 36, terzo comma, della Costituzione, col termine "riposo settimanale" intende esprimere sostanzialmente il concetto di periodicità del riposo, nel rapporto di un giorno su sei di lavoro. Poiché tuttavia la varietà di qualità e di tipi di lavoro non consente una uniforme disciplina, che, come si é già detto nella precedente sentenza, urterebbe contro gli interessi del mondo del lavoro e degli stessi lavoratori, deve necessariamente ammettersi la legittimità di una periodicità differente da quella sopraindicata a condizione che la relativa disciplina si attenga ai seguenti principi: 1) si tratti di casi di necessità a tutela di altri apprezzabili interessi; 2) non venga snaturato od eluso il rapporto - nel complesso - di un giorno di riposo e sei di lavoro; 3) non vengano superati i limiti di ragionevolezza sia rispetto alle esigenze particolari della specialità del lavoro, sia rispetto alla tutela degli interessi del lavoratore soprattutto per quanto riguarda la salute dello stesso.

Va rilevato altresì che, poiché l'esercizio del diritto del lavoratore al riposo periodico va regolato in modo assai vario, per essere adattato alle esigenze di lavori di ogni specie, e poiché non c'é una costituzionale riserva di legge, la relativa disciplina può essere disposta non solo da norme di legge, ma anche da contratti collettivi aventi forza di legge, da altri contratti sia collettivi che individuali, o da regolamenti. Il che - come incontestabile reale esigenza - risulta confermato anche - ad esempio - dagli artt. 8 e 15 della stessa legge n. 370 del 1934, i quali per il riposo settimanale rinviano ai contratti collettivi per i commessi viaggiatori e per gli addetti ai lavori agricoli ed ai vagoni letto.

Ed ovviamente, qualora tali norme siano denunciate per violazione dell'art. 36, terzo comma, della Costituzione, la competenza a giudicare spetterà - a seconda della natura delle norme impugnate - a questa Corte oppure al giudice ordinario od amministrativo.

4. - Non é fondata invece la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma secondo, n. 9, della legge 22 febbraio 1934, n. 370, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 36, comma terzo, della Costituzione, dalle ordinanze del tribunale e del pretore di Torino.

La legge n. 370 del 1934 che detta norme generali sul riposo domenicale e settimanale di tutti i lavoratori dipendenti - dopo aver affermato, nel primo comma dell'art. 1, il principio fondamentale per cui "al personale, che presta la sua opera alle dipendenze altrui, é dovuto ogni settimana un riposo di 24 ore consecutive" - elenca, nel secondo comma dello stesso articolo, varie categorie di lavoratori, per i quali non sono applicabili le disposizioni della legge stessa. Con ciò, la legge non vuole certamente privare il lavoratore del diritto al riposo periodico, ma intende solo affermare che per tali categorie é necessaria una disciplina differenziata, variante a seconda delle caratteristiche di ciascun lavoro. E tale disciplina può essere apprestata da norme legislative, regolamentari o contrattuali, come si é già chiarito sopra.

La questione riguardante il personale di cui innanzi si distingue nettamente da quella relativa al personale addetto alla pastorizia brada (n. 6 dello stesso comma secondo, art. 1) riconosciuta fondata con la sentenza n. 76 del 1962. Infatti, in questo caso, la Corte ha ritenuto che "per il personale addetto alla pastorizia brada emerge la volontà della legge di escluderlo del tutto dal diritto a quel riposo e da ogni disciplina, legislativa o collettiva, di esso".  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 21 delle disposizioni annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328 (disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici servizi di trasporti in concessione), modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, n. 9, della legge 22 febbraio 1934, n. 370 (riposo domenicale e settimanale), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 36, terzo comma, della Costituzione, dalle ordinanze indicate in epigrafe del pretore di Torino.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 30 giugno 1971.