SENTENZA N. 121
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante norme sui licenziamenti individuali, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 1 agosto 1970 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Gualtieri Ignazio Cesare e la società Sperry Rand Italia, iscritta al n. 54 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 87 del 7 aprile 1971;
2) ordinanza emessa il 9 luglio 1971 dal pretore di Marano di Napoli nel procedimento civile vertente tra Cirrincione Giuseppe e la società General Instrument Europe, iscritta al n. 307 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 del 13 ottobre 1971;
3) ordinanza emessa il 31 agosto 1971 dal pretore di Reggio Calabria nel procedimento civile vertente tra Malinconico Anna e la Federazione degli ordini dei farmacisti italiani ed altri, iscritta al n. 429 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 323 del 22 dicembre 1971.
Visti gli atti di costituzione di Gualtieri Ignazio Cesare e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 1972 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi gli avvocati Vincenzo Mazzei e Valente Simi, per il Gualtieri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Tarin, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel procedimento civile vertente tra l'ing. Ignazio Cesare Gualtieri e la S.p.a. Sperry Rand Italia, il pretore di Milano, con ordinanza del 1 agosto 1970, in parziale accoglimento dell'eccezione sollevata dall'attore, considerava rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, contenente norme sui licenziamenti individuali, nella parte in cui non comprende fra i destinatari di dette norme i prestatori di lavoro subordinato che rivestono la qualifica di dirigenti.
Riteneva, anzitutto, che il giudizio non poteva essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione. E ciò in quanto non era controverso che l'attore avesse prestato la propria opera in qualità di dirigente, ed era escluso che l'art. 10 potesse essere interpretato estensivamente e che quindi le norme della legge potessero applicarsi ai rapporti di lavoro dei dirigenti.
In relazione al merito, al pretore non sembrava, dall'esame degli artt. 2060, 2086 e 2095 del codice civile, che si potesse desumere, per quanto attiene ai soggetti del rapporto di lavoro, una diversità di situazione, sia di fatto che di diritto, per gli impiegati e gli operai, da un canto, e per i dirigenti, dall'altro: lo status di dirigente non si diversificherebbe per nulla da quello attribuito agli impiegati ed operai, essendosi la legge limitata a contrapporre all'imprenditore la categoria dei prestatori di lavoro subordinato, comprensiva dei dirigenti tecnici e amministrativi, impiegati e operai. Dall'esame degli artt. 2096 e seguenti del codice civile e 96 e 98 delle disposizioni per l'attuazione dello stesso codice, poi, risulterebbe non operata, neppure indirettamente, alcuna disparità di trattamento o statuita una disciplina particolare per alcuna delle categorie considerate. Ed infine gli artt. 4, 6 e 10 del r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825, convertito nella legge 18 marzo 1926, n. 562, sul contratto di impiego privato, porrebbero sullo stesso piano i dirigenti e gli impiegati.
Da tutto ciò il pretore traeva la conseguenza che alla disparità di trattamento tra le varie categorie di lavoratori subordinati creata dall'art. 10, non corrisponde, neppure indirettamente, una diversità di situazioni di fatto e di diritto, tale da consentire al legislatore di adottare, obiettivamente e ragionevolmente, norme differenziate. D'altra parte, neppure attraverso l'esame dei lavori preparatori, é individuabile una particolare ragione che giustifichi quella disparità: nella Relazione di maggioranza davanti alla Camera si sostiene che la esclusione, dal campo di applicazione della legge, dei dirigenti d'azienda sia fondata sulla convinzione che il rapporto di lavoro che li riguarda, abbia garanzie tali da renderlo essenzialmente diverso dai normali contratti in materia di lavoro, ma tali garanzie non sono state enunciate. Codeste garanzie, precisava infine il pretore, ad ogni modo non sussistono, e comunque non avrebbero mai potuto tutelare il dirigente dal potere di licenziamento ad nutum che attualmente l'art. 2118 del codice civile fornisce al datore di lavoro e che questo é in condizione di esercitare anche per ragioni sindacali, politiche e religiose in contrasto con i relativi principi di libertà costituzionalmente garantiti.
L'ordinanza é stata regolarmente comunicata e notificata ed é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 87 del 7 aprile 1971.
2. - Nel procedimento civile promosso davanti al pretore di Marano di Napoli dall'ing. Giuseppe Cirrincione nei confronti della S.p.a. General Instrument Europe presso cui aveva prestato la propria opera come dirigente e dalla quale sarebbe stato licenziato senza alcun giustificato motivo, sorgeva controversia sull'applicabilità alla specie della legge n. 604 del 1966 e veniva quindi eccepita dall'attore l'illegittimità costituzionale dell'art. 10 di detta legge nella parte in cui esclude i dirigenti dai destinatari delle relative norme.
Nelle more del giudizio, avendo il Cirrincione accettato le competenze maturate, la società convenuta chiedeva che fosse dichiarata cessata la materia del contendere e fosse quindi disattesa la detta eccezione di illegittimità costituzionale.
Il pretore, con ordinanza del 9 luglio 1971, considerava tale eccezione come preliminare all'esame del merito, e rilevante e non manifestamente infondata la questione in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Osservava che i dirigenti sono dei prestatori di lavoro, sia pure altamente qualificati, ma sempre dipendenti dal datore di lavoro al quale devono rispondere di ogni azione o iniziativa, e che l'art. 10 (dichiarando inapplicabile la legge nei confronti dei dirigenti) faceva una distinzione in contrasto con l'elencazione dei prestatori di lavoro di cui all'art. 2095 del codice civile. E riteneva quindi che la disparità di trattamento disposta in ordine al licenziamento individuale, fosse in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
L'ordinanza veniva regolarmente comunicata, notificata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 del 13 ottobre 1971.
3. - Anna Malinconico, condirigente della Gestione Conto Ufficio Fiduciario della provincia di Reggio Calabria, essendo stata, il 22 aprile 1968, sostituita da altra impiegata, conveniva la detta Gestione, nonché la Federazione degli ordini dei farmacisti italiani e l'Ufficio fiduciario degli enti mutualistici e degli Ordini dei farmacisti, sezione provinciale di Reggio Calabria, davanti al pretore di Reggio Calabria chiedendo che il licenziamento fosse dichiarato illegittimo e quindi inefficace ai sensi degli artt. 1 e 2 della legge n. 604 del 1966, con la conseguente condanna dei convenuti alla riassunzione in servizio con la qualifica e le mansioni di condirigente o in mancanza con la condanna dei convenuti alla corresponsione in suo favore dell'indennità prevista dall'art. 8 della legge nonché dell'indennità di anzianità di cui al successivo art. 9.
Nel contrasto delle parti il pretore, premesso che la Malinconico aveva prestato la propria opera quale "dirigente amministrativo" alle dipendenze di un imprenditore privato, riteneva preliminare ad ogni altra la risoluzione della questione di competenza. Si domandava quindi se fossero applicabili alla specie le norme contenute negli artt. 1, 2, 6, 9 e 10 della legge n. 604 ovvero quelle contenute negli artt. 2118 del codice civile e 429 e seguenti del codice di procedura civile e dopo aver concluso per l'inapplicabilità delle prime, sollevava la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della citata legge nella parte in cui non comprende tra i destinatari delle norme dettate agli artt. 1, 2, 6 e 9 in ordine alla legittimità ed efficacia dei licenziamenti individuali, alla competenza pretorile a conoscere dei licenziamenti stessi ed alla indennità di licenziamento, i prestatori di lavoro subordinato che rivestono la qualifica di dirigenti.
Riteneva che codesta esclusione fosse in contrasto con l'art. 3, commi primo e secondo della Costituzione, perché le disposizioni legislative che allo stato regolano la categoria dei dirigenti non danno a questi alcuna garanzia di stabilità o una garanzia tale da rendere sostanzialmente diverso il loro contratto di lavoro individuale da quello delle altre due categorie di collaboratori dell'imprenditore; e pertanto lo status del dirigente non si diversificherebbe da quello degli impiegati e degli operai; e non sarebbe del pari sostanzialmente diverso dagli altri rapporti di lavoro subordinato, il rapporto fiduciario di dirigenza.
Osservava infine che imporre all'imprenditore di non recedere dal contratto di lavoro se non per giusta causa o per giustificato motivo esalta il diritto al lavoro costituzionalmente garantito e non significa limitare l'imprenditore nel suo diritto ad organizzare il lavoro imponendo allo stesso di mantenere in servizio un soggetto che non ritiene più idoneo, essendo proprio l'inidoneità obiettiva uno dei giustificati motivi di recesso.
E concludeva per la non manifesta infondatezza della sollevata questione, richiamandosi ai motivi di diritto assunti dalla Corte costituzionale a base della sentenza n. 14 del 1970 (per gli apprendisti ed in relazione all'indennità di anzianità) e specificamente ravvisando nell'art. 10, per i dirigenti, "una situazione di trattamento differenziato cui non corrisponde una diversità di situazione di fatto e di diritto nei soggetti destinatari della norma".
L'ordinanza veniva comunicata, notificata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 323 del 22 dicembre 1971.
4. - Nel giudizio instaurato con l'ordinanza del pretore di Milano si é costituito l'ing. Gualtieri il quale, a mezzo degli avvocati Aldo Politi, prof. Antonio Gualtieri, Alberto Sordi, prof. Vincenzo Mazzei e prof. Valente Simi, con la comparsa di deduzioni e con una memoria difensiva, ha concluso perché la questione fosse dichiarata fondata.
Le situazioni di fatto e di diritto dei dirigenti, degli impiegati e degli operai non sono diverse, dato che tutti sono prestatori di lavoro subordinato. Non rileva in contrario che il dirigente, nell'espletamento del suo lavoro, occupi la sfera più alta dell'azienda o sia ritenuto l'alter ego dell'imprenditore, perché é escluso che sia imprenditore: resta un impiegato con particolari funzioni ed autonomia. Ciò che conta, d'altra parte, é che vi sono dirigenti alle dipendenze di altri dirigenti, e che la collaborazione sostitutiva ricorre anche a proposito dell'attività degli impiegati.
Va tenuto presente che tra i dirigenti e gli impiegati si é inserita la categoria intermedia dei funzionari e che praticamente la scala gerarchica non conosce più veri e propri salti.
Il dirigente, in base alla contrattualistica, rimane di regola un impiegato cui si applica tutta la normativa dettata per gli impiegati; e secondo varie leggi, i dirigenti sono compresi tra gli impiegati o sono indicati come impiegati.
Occorre considerare, ai fini della denunciata illegittimità costituzionale, che la ratio della legge n. 604 del 1966 é rappresentata dalla non risolubilità del rapporto di lavoro se non in presenza di un giustificato motivo oggettivamente valutabile. Perché quindi potesse apparire ragionevole l'esclusione dei dirigenti, sarebbe stato necessario negare che per i dirigenti la continuità del rapporto di lavoro costituisce una aspettativa normale. Ma ciò non si ha, anzi é vero il contrario. Per cui il licenziamento del dirigente non può non essere serio, ponderato, redatto per iscritto e motivato e non avere un fondamento oggettivo. Di codesta posizione del dirigente, poi, avrebbero dato atto gli stessi datori di lavoro in sede di contratto collettivo, estendendo le norme della legge relative alla continuità a favore della categoria dei dirigenti che l'art. 10 aveva escluso.
L'esclusione non può essere basata d'altra parte sull'elemento fiduciario, perché in effetti é stata disposta sul presupposto di una preesistente tutela dei dirigenti, la legge non fa riferimento ad aspetti fiduciari e comunque questi sarebbero pressoché scomparsi.
Essa é quindi del tutto ingiustificata, specie dopo la sentenza n. 14 del 1970 della Corte costituzionale per cui la legge é applicabile agli apprendisti.
E consentirebbe pericolose elusioni della legge, anche per gli impiegati, potendo il datore di lavoro promuovere l'impiegato a dirigente e poi licenziarlo ad nutum.
La legge n. 604 del 1966 merita, invece, di essere valida ed operante anche per i dirigenti. Considerato che il notevole inadempimento é per il dirigente più largo e frequente di quanto non sia per il comune impiegato, e che i motivi oggettivi sono più facilmente indicabili, l'applicazione della legge, nei confronti dei dirigenti darebbe piena soddisfazione all'interesse dell'impresa ed eliminerebbe solo il capriccio e l'arbitrio dell'imprenditore.
5. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, ha spiegato intervento in tutti e tre i giudizi. Con gli atti di intervento di eguale contenuto e con la memoria depositata nei procedimenti di cui alle ordinanze dei pretori di Milano e di Marano di Napoli, ha chiesto che la questione fosse dichiarata non fondata.
Premesso che il principio di eguaglianza non va inteso in senso meccanicamente livellatore e che, in tema di lavoro, i dettami della Costituzione devono essere interpretati ed applicati con riferimento non solo alla posizione dei prestatori di lavoro ma anche ai datori di lavoro, l'esclusione dei dirigenti dai destinatari della legge n. 604 del 1966 risulta adeguatamente giustificata dalla particolare posizione dei dirigenti nel mondo del lavoro.
L'art. 2095 del codice civile, ai fini di determinare i requisiti di appartenenza ad una delle tre categorie di prestatori di lavoro, rinvia a leggi speciali e alla contrattazione collettiva.
Orbene, numerose norme legislative, a cominciare dalla legge 15 giugno 1893, n. 295, e fino alla legge 18 aprile 1962, n. 230, hanno dato vita ad una regolamentazione del rapporto di lavoro di dirigenza, diversa da quella degli altri rapporti di lavoro. Del pari differenziata risulta la disciplina emergente dalla contrattazione collettiva operante nella quasi totalità dei settori produttivi. E negli stessi sensi si é determinata la giurisprudenza, per cui é "dirigente colui che é preposto al coordinamento generale della attività aziendale nella sua totalità o in alcuni rami ed al quale é riconosciuta la possibilità di imprimere le sue discrezionali potestà di determinazione alle attività di ordine tecnico o amministrativo che fanno capo ai vari servizi, uffici o reparti dell'azienda, nonché una posizione di preminenza o di supremazia assoluta nei confronti degli altri dipendenti o di subordinazione immediata ed esclusiva verso il solo imprenditore".
Il rapporto di lavoro del dirigente per ciò presenta delle caratteristiche particolari che si estrinsecano in una attività sostitutiva di quella che svolgerebbe lo stesso imprenditore qualora assumesse direttamente la direzione aziendale, e che fanno del dirigente un alter ego dell'imprenditore nell'esercizio del potere direttivo.
La posizione del dirigente riflette l'accentuata personalizzazione del rapporto; per cui ad essa é strettamente connesso un legame di stima e di fiducia tra le parti, necessario per rendere possibile la collaborazione.
Tenendo conto di ciò il legislatore del 1966, per l'esclusione in esame, si é fondato sulla considerazione che il rapporto di lavoro relativo ai dirigenti d’azienda abbia garanzie e caratteristiche tali da renderlo essenzialmente diverso dai normali rapporti in materia di lavoro.
La denunciata disparità di trattamento, quindi, non sussiste. Ben diversa é la posizione nell'impresa del dirigente da quella dell'operaio o impiegato, e conseguentemente tale posizione é stata sempre diversamente considerata e regolamentata.
6. - All'udienza del 9 maggio 1972, gli avvocati prof. Vincenzo Mazzei e Valente Simi per il Gualtieri, svolgevano le ragioni difensive a sostegno della tesi della fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale. Per la contraria tesi della non fondatezza si pronunciava per il Presidente del Consiglio dei ministri, il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Tarin.
Considerato in diritto
1. - Con le tre ordinanze indicate in epigrafe i pretori di Milano, di Marano di Napoli e di Reggio Calabria denunciano per contrasto con l'art. 3 della Costituzione l'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, contenente norme sui licenziamenti individuali nella parte in cui esclude che si applichino ai dirigenti le norme della stessa legge o, secondo l'ordinanza del pretore di Reggio Calabria, quelle di cui agli artt. 1, 2, 6 e 9.
La questione é unica e pertanto é disposta la riunione dei relativi giudizi e gli stessi vengono decisi con una sola sentenza.
2. - Si assume dai tre pretori che, disponendo il citato art. 10 che le norme della legge di cui fa parte, "si applicano nei confronti di prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, ai sensi dell'art. 2095 del codice civile", le stesse norme non siano applicabili nei confronti dei prestatori di lavoro subordinato aventi la qualifica di dirigenti.
Per codesti prestatori di lavoro subordinato si avrebbe una disciplina legislativa diversa da quella dettata per gli impiegati ed operai.
E siccome le situazioni di fatto e di diritto dei dirigenti e degli impiegati ed operai sarebbero eguali, il trattamento differenziato in tal modo posto in essere, sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza.
3. - Si ritiene anzitutto che siano eguali le situazioni di fatto e di diritto dei dirigenti, da una parte e degli impiegati ed operai, dall'altra.
L'eguaglianza delle due situazioni discenderebbe, secondo il pretore di Milano, dagli artt. 2060, 2086, 2094, 2095, 2096 e seguenti del codice civile, e 96 e 98 delle disposizioni per l'attuazione dello stesso codice; e dagli artt. 4, 6 e 10 del r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825, convertito nella legge 18 marzo 1926, n. 562, sul contratto di impiego privato; e secondo il pretore di Reggio Calabria, dalle norme che allo stato regolano la categoria dei dirigenti amministrativi e tecnici e cioé dai detti artt. 2060, 2086, 2094 e 2095 del codice civile e dal detto r.d.l. n. 1825 del 1924, nonché dal r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692, art. 1; dall'art. 3 del regolamento approvato con r.d. 10 settembre 1923, n. 1955; dall'art. 3 del regolamento approvato con il r.d. 10 settembre 1923, n. 1956; dalla legge 22 febbraio 1934, n. 370, art. 1; e dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 4.
Senonché, a parte il fatto che da alcune delle anzidette fonti (come dagli artt. 2060, 2094 e 2096 e seguenti del codice civile e dal r.d.l. n. 1825 del 1924) nulla può ricavarsi in favore dell'asserita uguaglianza delle situazioni di fatto e di diritto dei dirigenti e delle altre categorie di prestatori di lavoro subordinato, gli artt. 2086 e 2095 del codice civile, e quest'ultimo unitamente agli artt. 95 e 96 delle disposizioni per l'attuazione dello stesso codice, precisano che nell'ambito dell'impresa accanto all'imprenditore vi sono i prestatori di lavoro subordinato e che questi si distinguono in dirigenti amministrativi o tecnici, impiegati e operai, sulla base dei requisiti di appartenenza alle singole categorie determinati dalle leggi speciali e dalle norme di autonomia collettiva in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell'impresa.
Anteriormente al 1942 i dirigenti avevano trovato una prima, anche se non specifica, considerazione nella legge 15 giugno 1893, n. 295, art. 14, comma secondo, in cui sia pure ai limitati effetti di essa, i direttori e gli amministratori di fabbriche o imprese industriali che davano abitualmente lavoro a non meno di 50 operai, erano posti sullo stesso piano degli industriali. Al personale direttivo delle aziende, poi, si erano riferiti il r.d.l. n. 692 del 1923 sull'orario di lavoro e i relativi regolamenti approvati con i rr.dd. nn. 1955 e 1956 del 1923. Ancora, la legge sull'impiego privato (r.d.l. n. 1825 del 1924, convertito nella legge n. 562 del 1926) aveva riservato agli impiegati di grado più elevato un trattamento di maggior favore in caso di licenziamento. Inoltre, il r.d.l. 1 luglio 1926, n. 1130, aveva prescritto che il personale dirigente dovesse far parte di associazioni sindacali autonome distinte da tutte le altre, ma inserite nell'organizzazione degli imprenditori. Ed infine al personale avente funzioni direttive con responsabilità dell'andamento dell'azienda o dei servizi, non erano state applicate le norme di cui alla legge n. 370 del 1934 sul riposo domenicale e settimanale e neppure quelle poste con la legge 10 gennaio 1935, n. 112, sull'istituzione del libretto di lavoro.
Il legislatore del 1942, con le sopracitate norme, quindi ha preso atto di una realtà giuridica e normativa già esistente ed ha tenuto altresì conto della specifica e distinta regolamentazione collettiva.
Successivamente a quella data e fino ad oggi, sul piano legislativo e su quello della contrattazione collettiva, ha avuto conferma e sviluppo il precedente orientamento volto a fare dei dirigenti una categoria a sé stante di prestatori di lavoro subordinato. Di codesto indirizzo sono sicuri segni l'esclusione dei dirigenti dalla disciplina del cosiddetto blocco dei licenziamenti (d.lg.lgt. 21 agosto 1945, n. 523; d.lg.lgt. 9 novembre 1945, n. 788, e d.lg.lgt. 8 febbraio 1946, n. 50) e dall'obbligo dell’assunzione tramite gli uffici di collocamento (art. 11, terzo comma, n. 2, della legge 29 aprile 1949, n 264); nonché la possibilità di richiesta nominativa per l'assunzione di impiegati amministrativi e tecnici con mansioni direttive in agricoltura (art. 11, comma secondo, lett. a, del d.l. 3 febbraio 1970, n. 7, convertito nella legge 11 marzo 1970, n. 83); ed infine, la mancata applicazione delle forme di previdenza previste per gli altri dipendenti; e così pure delle limitazioni poste dalla legge n. 230 del 1962.
In sede sindacale, poi, i dirigenti godono di un inquadramento autonomo; e gli atti di autodisciplina collettiva (sino al contratto collettivo nazionale del 29 luglio 1970 per i dirigenti di aziende industriali) pongono del pari discipline autonome (ed in quanto assoggettate al regime della legge n. 741 del 1959, operanti erga omnes con la valorizzazione della categoria sul piano normativo).
Tutto ciò conduce a ritenere che la categoria dei dirigenti presenta peculiari caratteristiche che sono oggetto di una disciplina particolare e trova riscontro nella definizione che del dirigente viene offerta in giurisprudenza ed in termini, nella sostanza, sufficientemente costanti.
A caratterizzare la categoria dei dirigenti si ritiene che concorrano la collaborazione immediata con l'imprenditore per il coordinamento aziendale nel suo complesso od in un ramo importante di esso; il carattere fiduciario della prestazione; l'ampio potere di autonomia nell'attività direttiva; la supremazia gerarchica su tutto il personale dell'azienda o di un ramo importante di essa, anche senza poteri disciplinari, ma sempre con poteri organizzativi; la subordinazione esclusiva all'imprenditore o ad un dirigente superiore; e l'esistenza di un potere di rappresentanza extra o infraziendale.
Ora, tali aspetti del fenomeno che peraltro non devono in concreto tutti specificamente concorrere perché il prestatore di lavoro subordinato possa e debba essere qualificato dirigente, servono certamente, in una loro considerazione complessiva, a evidenziare la particolare posizione che il dirigente ha nell'ambito dell'impresa ed a fare intendere come di codesta posizione sia dato cogliere l'essenza solo attraverso la valutazione delle relazioni che intercorrono tra l'imprenditore ed il dirigente e tra questo e gli altri prestatori di lavoro subordinato.
É a tal riguardo appena il caso di osservare come le categorie dei dirigenti, degli impiegati e degli operai non determinino dei salti nella scala gerarchica dei prestatori di lavoro e come invece si passi da una categoria all'altra e particolarmente da quella degli impiegati a quella dei dirigenti, attraverso qualifiche intermedie. Con ciò, però, non si mette in forse la realtà e legittimità della categoria in esame, con le sue note caratterizzanti le quali sono affatto evidenti solo che l'impresa nella quale il dirigente sia inserito, possegga date dimensioni. Anche se non rimane escluso, tenuto conto che in sede collettiva le norme dettate per il rapporto di impiego valgono anche per i dirigenti, in quanto compatibili (art. 17 del citato contratto collettivo nazionale del 1970 per i dirigenti di aziende industriali), che, sempre nei limiti della compatibilità ed evidentemente in relazione alle note che caratterizzano la categoria dei dirigenti ed alle circostanze del singolo caso, possano valere per gli stessi le norme legislative dettate per gli impiegati.
Al dirigente, in sostanza, che occupa il posto più elevato nella scala gerarchica dei prestatori di lavoro subordinato, é assicurata nell'impresa una posizione che trova nel potere direttivo la sua più vera qualificazione. L'imprenditore, singolo o collettivo, ha nel dirigente il collaboratore che lo sostituisce o lo assiste nello svolgimento delle funzioni che gli sono proprie, e l'esecutore, con discrezionale responsabilità, delle sue direttive.
Appare per ciò essenziale che in tal caso tra l'imprenditore ed il dirigente s'instauri e si mantenga un rapporto di reciproca fiducia e di positiva valutazione, ed é in armonia con codesta esigenza che il rapporto possa venir meno per determinazione unilaterale solo che soggettivamente vengano considerate cessate le condizioni idonee a soddisfare la detta esigenza.
Si può pertanto ritenere, senza bisogno di far ricorso a formule o qualità che non sempre rispecchiano la realtà effettuale del fenomeno colto nel suo complessivo accadere, che la situazione dei dirigenti non é di per sé eguale o assimilabile a quella degli impiegati ed operai.
4. - Non si può ritenere d'altra parte che il legislatore del 1966 abbia ecceduto dai suoi poteri in sede di valutazione della situazione materiale e giuridica dei dirigenti considerata in sé e raffrontata a quella degli impiegati ed operai.
In effetti il rapporto di lavoro dei dirigenti presenta caratteristiche ed offre garanzie per cui può ben essere considerato come speciale; e proprio tali caratteristiche e garanzie sono le note differenziali nei confronti dell'ordinario rapporto di lavoro subordinato.
Analogamente a quanto é avvenuto per le altre categorie di lavoratori subordinati, per i dirigenti la legge n. 604 ha sostanzialmente tenuto conto dello stato della regolamentazione collettiva. Per essi in particolare si é avuta la conferma della pertinenza di una disciplina che leggi anche recenti (come la n. 230 del 1962), contratti collettivi e accordi resi esecutivi erga omnes e contratti collettivi successivi avevano posto in essere.
Dato ciò e considerato altresì che le norme che regolavano il rapporto dirigenziale non sono state abrogate né espressamente né tacitamente, appare del tutto conseguenziale e logico che sul terreno dello scioglimento unilaterale del rapporto dirigenziale, continuino ad aver vigore le regole legislative e convenzionali preesistenti, fermo rimanendo che le stesse si accrescano e si evolvano per la migliore tutela della categoria, in forza delle nuove e più recenti pattuizioni di autonomia collettiva ed eventualmente con disposizioni legislative, in coerenza con la specialità della materia.
5. - Il pretore di Reggio Calabria ritiene che l'art. 10 sia illegittimo costituzionalmente tra l'altro nella parte in cui esclude che sia applicabile ai dirigenti l'art. 9 in forza del quale "l'indennità di anzianità é dovuta al prestatore di lavoro in ogni caso di risoluzione del rapporto di lavoro".
Decisa nei sensi anzidetti la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 in generale, e cioé affermato che la disciplina relativa ai licenziamenti unilaterali per giusta causa e per giustificato motivo non si riferisce, e senza alcun contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ai dirigenti, il regime dell'indennità di anzianità per codesta categoria di prestatori di lavoro é fissato, in termini sostanzialmente eguali a quelli posti dall'art. 9 della legge n. 604, e con portata generale, dall'art. 2120 del codice civile, così come risulta a seguito delle sentenze n. 75 del 1968 e n. 204 del 1971, e, per i dirigenti di imprese industriali, dall'art. 12 (nel testo risultante dalla sentenza n. 7 del 1971 di questa Corte) del contratto collettivo nazionale del 31 dicembre 1948 reso efficace erga omnes dal d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 483.
La questione quindi, anche sotto il profilo in esame, non può non apparire infondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, contenente norme sui licenziamenti individuali, nella parte in cui esclude che le norme stesse si applichino ai dirigenti, questione sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1972.
Giuseppe CHIARELLI – Vincenzo Michele TRIMARCHI
Depositata in cancelleria il 6 luglio 1972.