SENTENZA N. 80
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 (Nuovi stipendi, paghe e retribuzioni del personale delle Amministrazioni dello Stato, compreso quello ad ordinamento autonomo) e dell'art. 12, d.l. 1ø ottobre 1973, n. 580 conv. nella legge 30 novembre 1973, n. 766 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1ø ottobre 1973, n. 580, recante misure urgenti per l'Università) promosso con l'ordinanza emessa il 15 novembre 1979 dal T.A.R. del Piemonte sul ricorso proposto da Longo Mario e Ministeri della Pubblica Istruzione e del Tesoro ed altro iscritta al n. 760 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8 dell'anno 1980;
Visto l'atto di costituzione di Longo Mario nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 1987 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;
Uditi l'Avvocato Giovanni Cassandro per Longo Mario e l'Avvocato dello Stato Giacomo Mataloni per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
Ritenuto in fatto
Con ordinanza 15 novembre 1978 il T.A.R. per il Piemonte - nel corso di un giudizio promosso da un professore straordinario di ruolo presso l'Università di Torino il quale, percependo lo stipendio della quarta classe prevista dal quadro III, sez. A, delle tabelle allegate al d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, aveva chiesto che gli fosse riconosciuto il diritto a percepire una retribuzione proporzionata a quella spettante ai dirigenti statali della qualifica A - ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., del D.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 e dell'art. 12 del d.l. 1ø ottobre 1973, n. 580 (conv. nella l. 30 novembre 1973, n. 766), nella parte in cui determinano lo stipendio dei professori universitari appartenenti alle classi dalla seconda alla quinta.
Nell'ordinanza si osserva che il D.P.R. n. 1079 del 1970 aveva fissato lo stipendio delle cinque classi di professori universitari di ruolo attribuendo a ciascuna un parametro (rispettivamente 825, 772, 609, 535 e 443) e moltiplicandolo per lire 7.350. Con la sentenza n. 219 del 1975 la Corte costituzionale dichiarò l'illegittimità costituzionale degli artt. 16 bis della legge 18 marzo 1968, n. 249 (come modificato dalla legge del 1970 n. 775) e 47 D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 "nella parte in cui, con le decorrenze ivi indicate, non estendono ai professori universitari di ruolo aventi diritto all'ultima classe di stipendio (parametro 825) il trattamento retributivo stabilito per la qualifica A ed ex parametro 825". Ne é derivato che il sistema retributivo stabilito dal D.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 é stato modificato nel senso che ai professori universitari di ruolo appartenenti alla 1a classe spetta la retribuzione annua lorda iniziale di L. 14.010.000 (anziché di lire 6.063.750, come risultava dal calcolo parametrico).
Tale sentenza, secondo il T.A.R. del Piemonte, non ha comportato alcun beneficio economico per i professori delle altre quattro classi previste dal D.P.R. n. 1079, essendosi limitata - secondo le possibili interpretazioni - per i professori della prima classe o a mutare il valore base del parametro, ovvero a sganciare la loro retribuzione dal sistema di calcolo parametrale. Pertanto, pur nella costante identità del lavoro svolto, maturandosi l'anzianità per il raggiungimento della prima classe, lo stipendio dei professori universitari viene a risultare più che raddoppiato.
Secondo l'ordinanza di rimessione, tale sistema sarebbe irrazionale, essendo venuta meno, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale la gradualità della progressione economica dei professori universitari, cosicché - per ricondurlo a razionalità - gli effetti dell'aggancio retributivo operato dalla sentenza n. 219 del 1975 dovrebbero "in qualche modo riflettersi anche sulla retribuzione di tutti gli altri professori universitari".
Secondo l'ordinanza di rimessione, la riconduzione del sistema retributivo dei professori universitari a razionalità, potrebbe essere effettuata dalla Corte costituzionale ricalcolando il valore base per il quale moltiplicare i parametri ed assumendo come valore base quello "risultante dalla divisione di L. 14.010.000 per 825".
Davanti a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Al riguardo si sottolinea che la sentenza n. 219 del 1975, mentre ha ritenuto che non possa essere eliminato lo sbocco per la carriera dei docenti universitari al medesimo tetto retributivo stabilito per i funzionari direttivi dello Stato, ha espressamente riconosciuto piena discrezionalità al legislatore nella strutturazione della progressione della carriera all'interno della categoria.
Si é costituita pure la parte privata, insistendo sulla irrazionalità del trattamento retributivo previsto dalla normativa impugnata, dopo la sentenza n. 219 del 1975, in quanto la differenza retributiva tra la prima classe dei professori universitari e le successive, a parità di funzioni, sarebbe irragionevole e contrastante con gli art. 3 e 36 Cost. Ha chiesto, perciò, una pronuncia d'illegittimità costituzionale pura e semplice, ovvero manipolativa, in conformità del "suggerimento" dell'ordinanza di rimessione.
Considerato in diritto
1. - Il tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 e dell'art. 12 del d.l. 1ø ottobre 1973, n. 580 (conv. nella l. 30 novembre 1973, n. 766), nella parte in cui hanno determinato - rispettivamente - la misura dello stipendio e dell'assegno annuo pensionabile dei professori universitari appartenenti alle classi retributive dalla seconda alla quinta.
Nell'ordinanza si osserva che la misura dello stipendio dei professori universitari era stabilita dal d.P.R. n. 1079 del 1970 prevedendo cinque classi retributive, le quali, gradualmente, nel corso di sedici anni, attraverso un sistema parametrico e un moltiplicatore fisso, stabilivano aumenti retributivi da uno stipendio iniziale di lire 3.256.050 (quinta classe), a lire 3.932.250 (quarta classe), 4.476.150 (terza classe), 5.674.200 (seconda classe), 6.063.750 (prima classe). Analoga gradualità era prevista dal d.l. n. 580 del 1973, che aveva istituito un assegno annuo pensionabile per i docenti universitari. Secondo il giudice a quo, la razionalità intrinseca di tale sistema retributivo e la sostanziale proporzionalità tra retribuzione e lavoro (attuata, in relazione ad una prestazione di contenuto permanentemente identico, con l'attribuzione ai docenti di aumenti limitati, rapportati al crescere, col tempo, della loro esperienza), sarebbero venute meno dopo la sentenza 17 luglio 1975, n. 219 di questa Corte. Con tale sentenza é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 16-bis della l. 18 marzo 1968, n. 249 (come mod. dalla l. n. 775 del 1970) e 47 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, nella parte in cui, con le decorrenze ivi indicate, "non estendevano ai professori universitari di ruolo, aventi diritto alla classe di stipendio più alta, il trattamento retributivo stabilito per la qualifica A ed ex parametro 825". Tale declaratoria d'illegittimità ha comportato l'aumento a 14.010.000 di lire dello stipendio dei professori universitari appartenenti alla classe più alta, mentre lo stipendio dei professori appartenenti alle altre classi, restando immodificato, avrebbe reso il trattamento economico di questi ultimi gravemente sperequato, tenuto conto dell'identità delle funzioni e dei doveri di tutti i docenti, a prescindere dalla classe retributiva di appartenenza.
Nell'ordinanza di rimessione si chiede una declaratoria d'illegittimità costituzionale della normativa impugnata, che restituisca al sistema razionalità, attribuendo un nuovo valore al moltiplicatore per il quale i parametri delle classi dalla seconda alla quinta era previsto che fossero moltiplicati. Tale moltiplicatore - tenuto conto dell'aumento dello stipendio dei professori universitari della classe più alta, a lire 14.010.000 - dovrebbe essere costituito dal valore risultante dalla divisione di 14.010.000 per 825.
2. - La parte privata, costituitasi, ha chiesto che questa Corte, ove non ritenga di adottare una decisione additiva, come richiesto nell'ordinanza di rimessione, si limiti a dichiarare l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate. Ha prospettato pure dubbi d'incostituzionalità dell'art. 11 del d.P.R. n. 382 del 1980, che - successivamente alla normativa impugnata - ha stabilito differenze retributive tra professori a tempo pieno e professori a tempo definito.
Tali domande, in parte diverse e in parte aggiuntive rispetto alle prospettazioni dell'ordinanza di rimessione, in conformità della costante giurisprudenza di questa Corte, non possono trovare ingresso, in quanto l'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale va determinato unicamente in base alle questioni prospettate dal giudice a quo (da ultimo cfr. Corte cost. 30 luglio 1984, n. 239; 12 aprile 1978, n. 27).
3. - La questione sollevata dall'ordinanza di rimessione é inammissibile. Con la sentenza n. 219 del 1975 la Corte costituzionale affermò che ai docenti universitari doveva attribuirsi "lo sbocco verso il medesimo tetto retributivo stabilito per i funzionari direttivi dello Stato", nel senso che ai professori universitari, appartenenti alla classe retributiva più alta, dovesse spettare una retribuzione pari a quella stabilita "per la qualifica A, ed ex parametro 825" alle carriere direttive dello Stato. Peraltro la Corte, in tale sentenza, espressamente ritenne riservata alla discrezionalità del legislatore la strutturazione delle carriere dei funzionari direttivi dello Stato e degli stessi docenti universitari, prevedendo per questi ultimi anche la possibilità di fissare un numero chiuso in relazione all'accesso all'ultima classe di stipendio. Ne consegue che dalla decisione della Corte non può trarsi, come invece afferma il giudice a quo, alcun elemento idoneo a dare fondamento alla tesi dell'illegittimità, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., della normativa impugnata, nella parte in cui non prevede per i professori delle classi dalla seconda alla quinta retribuzioni pari a quelle derivanti dall'impiego di un nuovo "moltiplicatore", determinato dal valore risultante dalla divisione di L. 14.010.000 per 825. Infatti, una tale conclusione non può essere tratta come conseguenza logica e necessitata della sentenza n. 219 del 1975 citata, poiché questa ha lasciato al legislatore ampio margine d'intervento al riguardo, in concreto attuato con la ristrutturazione della carriera economica dei docenti universitari, contenuta nel d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 ed in successivi provvedimenti (d.l. 27 settembre 1982, n. 681; l. 17 aprile 1984, n. 79; d.l. 11 gennaio 1985, n. 2). Da tale ampia discrezionalità riservata al legislatore - esercitabile con interventi di contenuto flessibile, in base a valutazioni che possono dare alla carriera economica dei docenti universitari le più diverse articolazioni - deriva l'inammissibilità della questione sollevata. É ius receptum che decisioni additive (quale é quella richiesta con l'ordinanza di rimessione) sono consentite solo quando la soluzione adeguatrice non debba essere frutto, come nel caso di specie, di una valutazione discrezionale, ma consegua necessariamente al giudizio di costituzionalità, sì che la Corte debba procedere ad un'estensione logicamente necessitata. Quando invece si profili, come nella specie, una pluralità di soluzioni, derivanti da varie possibili valutazioni, non é luogo all'intervento della Corte, spettando le relative scelte unicamente al legislatore (Corte cost. 23 aprile 1986, n. 109; 3 marzo 1986, n. 39; 11 luglio 1984, n. 194).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 (Nuovi stipendi, paghe e retribuzioni del personale delle Amministrazioni dello Stato, compreso quello ad ordinamento autonomo) e dell'art. 12 del d.l. 1ø ottobre 1973, n. 580 (Misure urgenti per l'Università) conv. nella l. 30 novembre 1973, n. 766, sollevata dall'ordinanza in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 24 marzo 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il Redattore: PESCATORE
Depositata in cancelleria il 27 marzo 1987
Il direttore della cancelleria: VITALE