SENTENZA N. 39
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Prof. Antonio LAPERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 892 e 894 del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 3 aprile 1978 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Gadino Iolanda ed altri e Aprile Alfredo, iscritta al n. 658 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 59 dell'anno 1979;
2) ordinanza emessa il 5 febbraio 1982 dal Pretore di S. Vito al Tagliamento nel procedimento civile vertente tra Cappello Luisa e Cappello Delma iscritta al n. 206 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 255 dell'anno 1982;
3) ordinanza emessa il 12 dicembre 1983 dal Pretore di Busto Arsizio nel procedimento civile vertente tra Rinaldi Ugo e Mari Augusto iscritta al n. 370 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 dell'anno, 1984.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1985 il Giudice relatore Aldo Corasaniti.
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Genova, nel corso del giudizio civile di appello tra le sorelle Gadino e Aprile Alfredo, concernente l'estirpazione di una mimosa e di sedici cipressi lambertiani, piantati a distanza non legale, ha sollevato d'ufficio, con ordinanza emessa il 3 aprile 1978, questione di legittimità costituzionale degli artt. 892 (distanze per gli alberi) e 894 (alberi a distanza non legale) del codice civile, per violazione degli artt. 9, comma secondo, e 42, comma secondo, Cost..
Osserva il Tribunale che le norme denunciate contrastano con i suindicati precetti costituzionali, in quanto ricollegano il diritto del vicino a pretendere l'estirpazione degli alberi al mero accertamento dell'inosservanza della distanza legale, senza consentire al giudice la previa valutazione dell'eventuale valore paesaggistico delle piante da eliminare.
La tutela del paesaggio, imposta dall'art. 9, risulta, invero, in tal modo subordinata alle ragioni della proprietà, contraddicendo altresl' la "funzione sociale" di quest'ultima.
Il contenuto della "funzione sociale" della proprietà (art. 42, comma secondo, Cost.) va infatti precisato con riferimento ad altri valori costituzionali preminenti, e tra questi é certamente compreso il paesaggio, come attesta la collocazione dell'art. 9 tra i principi fondamentali della Costituzione.
Quest'ultima disposizione - rileva ancora il giudice a quo - tutela il paesaggio come espressione del valore culturale del rapporto tra ambiente e comunità umana, e non già nei ristretti limiti della legislazione previgente (l. n. 1497/1939), che ricollegava il valore paesaggistico al rilievo estetico del "quadro naturale".
Il paesaggio, come ambiente naturale, é caratterizzato anche dalla vegetazione, e sotto tale profilo appaiono censurabili le norme denunciate, che non consentono al giudice di valutare se l'eliminazione degli alberi, tenuto conto del loro inserimento in un determinato assetto territoriale, comporti un apprezzabile e pregiudizievole mutamento del paesaggio, il che può avvenire anche per la soppressione di poche piante in ragione della loro peculiare collocazione.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata iscritta al n. 658 del R.O. del 1978 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 59 del 28 febbraio 1979.
Non vi é stata costituzione delle parti private. Il Presidente del Consiglio dei ministri é intervenuto sollecitando la declaratoria di infondatezza della questione.
Osserva l'Avvocatura dello Stato che gli artt. 892 e 894 c.c. tendono esclusivamente a regolare i contrastanti interessi dei proprietari limitrofi, e non incidono, né prevalgono, sui meccanismi di tutela previsti dalla legislazione speciale, che consente l'imposizione di vincoli sui beni costituenti bellezza naturale. Nella specie, nota l'interveniente, gli alberi da estirpare non sono stati assoggettati a vincolo.
2. - Nel corso del giudizio civile di primo grado instaurato da Cappello Luisa contro Cappello Delma, per ottenere l'estirpazione di un filare di cipressi argentati sorgenti a distanza inferiore a quella legale rispetto al confine dei rispettivi fondi, il Pretore di S. Vito al Tagliamento, con ordinanza emessa il 5 febbraio 1982, ha sollevato, su istanza di parte, questione di legittimità costituzionale dell'art. 894 c.c. in relazione all'art. 892 c.c., per contrasto con gli artt. 9, comma secondo, e 42, comma secondo, Cost..
Osserva l'ordinanza che la norma denunciata appare lesiva dei suindicati precetti costituzionali, in quanto non subordina il diritto a conseguire l'estirpazione di alberi e siepi piantati a distanza non legale: da un lato, all'accertata sussistenza di apprezzabili ragioni del proprietario richiedente, collegate a situazioni di effettivo danno o disagio provocate dalla violazione delle distanze; dall'altro, all'acclarata insussistenza di alterazioni pregiudizievoli dell'assetto naturalistico-paesaggistico e di quello urbanistico del territorio.
Quanto al profilo paesaggistico-naturalistico l'art. 9, comma secondo, Cost. - ad avviso del giudice a quo - non si limita a tutelare le bellezze naturali protette alla stregua della l. 29 giugno 1939, n. 1497, in quanto costituenti "quadri naturali", ma tutela il paesaggio come ambiente naturale, inteso come sede della continua interazione tra comunità umana e natura. A siffatta tutela, di ampio respiro, si collega la esigenza di in adeguato controllo sull'ambiente, onde consentire che gli interventi dell'uomo si inseriscano armonicamente nel paesaggio. Ne deriva che le scelte del privato, suscettibili di ripercuotersi sull'assetto ambientale naturalistico-paesaggistico (come quella che comporti l'abbattimento di un cospicuo filare di piante di alto fusto), possono ricevere protezione solo se corrispondono ad esigenze apprezzabili e non già ad istanze meramente egoistiche - in ragione della "funzione sociale" assegnata alla proprietà dall'art. 42, comma secondo, Cost. -, e non si risolvano in una degradazione dell'assetto ambientale.
Per quanto concerne, poi, il profilo urbanistico, osserva l'ordinanza che non può essere ignorata la potestà di programmazione e di vigilanza riconosciuta al Comune, in materia di trasformazione del territorio, dalla l. 28 gennaio 1977, n. 10. A siffatta funzione si raccorda l'esigenza che l'abbattimento di alberi, costituenti elementi del paesaggio, non sia rimessa al mero arbitrio del vicino, ma sia subordinata, per assicurare la funzione sociale della proprietà, ad un provvedimento dell'amministrazione comunale, ispirato alle esigenze dell'ordinato svolgersi delle attività di trasformazione del suolo.
L'ordinanza ritualmente notificata e comunicata, é stata iscritta al n. 206 R.O. del 1982 e pubblicata sulla G. U. n. 255 del 15 settembre 1982.
Non vi é stata costituzione delle parti private. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha sollecitato la declaratoria di infondatezza della questione, svolgendo argomentazioni coincidenti con quelle riassunte nel precedente n. 1.
3. - Nella causa civile introdotta da Rinaldi Ugo contro Mari Augusto, per conseguirne la condanna all'estirpazione di una magnolia e di un pino, sorgenti presso il confine dei fondi di rispettiva proprietà a distanza inferiore a quella legale, il Pretore di Busto Arsizio, con ordinanza emessa il 12 dicembre 1983, ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 894 c.c. in relazione all'art. 892 c.c., per contrasto con gli artt. 9, comma secondo, e 42, comma secondo, Cost..
Il giudice a quo svolge considerazioni sostanzialmente coincidenti con quelle espresse dal Pretore di San Vito al Tagliamento, e riassunte al precedente n. 2.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata é stata iscritta al n. 370 R.O. del 1984 e pubblicata sulla G. U. n. 259 del 19 settembre 1984.
Nessuna delle parti private si é costituita. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, richiamando gli argomenti già esposti nel precedente n. 1.
Considerato in diritto
1. - Con le ordinanze in epigrafe é impugnata, in riferimento agli stessi parametri, vale a dire agli artt. 9, comma secondo, Cost., in tema di tutela del paesaggio, e 42, comma secondo, Cost., in tema di funzione sociale della proprietà, la normativa, che risulta dagli artt. 892 e 894 c.c., concernente la distanza da osservare nelle piantagioni e il potere del vicino di esigere l'estirpazione degli alberi e delle siepi piantati o nati a distanze inferiori a quelle prescritte.
Attesa la sostanziale identità delle questioni, i giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - I giudici a quibus premettono che la nozione di paesaggio ai sensi dell'art. 9 Cost. deve ora ritenersi comprensiva di ogni elemento naturale ed umano attinente alla forma esteriore del territorio e che ad ogni elemento del genere deve ritenersi potenzialmente estesa (si intende: al di là dei vincoli positivamente imposti nei modi previsti dalla legislazione di settore) la protezione assicurata dal precetto costituzionale.
Quindi essi sospettano che la normativa impugnata sia suscettiva di frustrare il precetto stesso ed in pari tempo l'art. 42 Cost., siccome la funzione sociale della proprietà ripete anche dalla protezione del paesaggio contenuti concreti. Ciò in quanto, con il sancire che il vicino possa incondizionatamente pretendere, ed il giudice debba necessariamente ordinare, l'abbattimento di piante poste in violazione della distanza, la normativa stessa non consente la comparazione (in relazione al caso concreto) fra interesse paesaggistico ed interesse proprietario. Tale comparazione dovrebbe - secondo il Tribunale di Genova - essere effettuata ad opera dello stesso giudice; mentre le altre due autorità rimettenti (Pretori di S. Vito al Tagliamento e di Busto Arsizio) postulano che l'abbattimento degli alberi in violazione delle distanze legali sia condizionato all'accertamento positivo di un danno concreto per il vicino: o, in mancanza, a una comparazione tra interesse paesaggistico e interesse proprietario da parte delle autorità investite della cura dell'interesse paesaggistico e/o della gestione urbanistica del territorio.
3. - Occorre anzitutto osservare che la questione si connota per aspetti peculiari.
Essa é, cioé, posta nei termini di un conflitto fra la disciplina dei rapporti di vicinato e un valore costituzionalmente protetto, prospettandosi che il rigore col quale i limiti reciproci fra vicini sono stabiliti, o almeno il rigore col quale l'osservanza di tali limiti é sanzionata, in quanto si risolve in un eccesso del potere proprietario del vicino, può urtare contro il valore anzidetto implicandone (con certezza o eventualmente) il sacrificio.
La denunciata illegittimità costituzionale della disciplina dei rapporti di vicinato (cioé dei limiti reciproci delle rispettive proprietà) presuppone peraltro non soltanto che la detta disciplina trascuri di considerare l'ipotesi di incidenza del valore costituzionalmente protetto, sibbene anche che l'ordinamento escluda l'incidenza stessa imponendo che i conflitti fra i vicini siano incondizionatamente risolti senza tenerne conto, o non offrendo comunque i mezzi perché essa possa effettivamente esplicarsi.
Ma al riguardo non può ignorarsi che la giurisprudenza risalente della cassazione civile (sent. 10 luglio 1934, n.2527) e la dottrina costante affermano che il diritto del vicino alla estirpazione degli alberi posti a distanza non legale cede di fronte all'eventuale vincolo della vegetazione secondo la legislazione di settore relativa alle bellezze naturali (all'epoca la legge n. 778 del 1922, successivamente la legge n. 1497 del 1939), legislazione di settore che ora assume funzione attuativa del valore costituzionalmente protetto di cui si tratta.
Né può ignorarsi che, al di fuori dell'ipotesi di vincolo già imposto, chiunque abbia interesse ad opporsi al taglio degli alberi posti a distanza non legale (il proprietario del terreno in cui essi sono posti o altri) può sollecitare l'attivazione dei poteri della Regione o del Ministero per i beni ambientali e culturali (art. 82 d.P.R. 616/1977, anche in riferimento alla legge 1497/1939).
Se, quindi, l'ordinamento, lungi dal sancire la reciproca indifferenza tra sfera della legislazione di settore attuativa del valore costituzionale e sfera codicistica, offre, secondo il diritto vivente, mezzi per realizzare l'incidenza della legislazione di settore, e per suo tramite del valore costituzionalmente protetto, sui rapporti interprivati, la censura non può trovare ingresso se non in quanto diretta a denunciare l'inadeguatezza della cennata legislazione di settore.
Del resto siffatta inadeguatezza implicitamente postulano le ordinanze di rimessione quando pretendono che la protezione non sia attuata in relazione ai soli beni di particolare pregio paesistico singolarmente individuati secondo la legge n. 1497 del 1939, o secondo la legislazione urbanistica - cfr. artt. 10 della legge n. 1150 del 1942, come modificato dall'art. 3 della legge n. 765 del 1967, e 7 della suindicata legge n. 1150, come modificato dall'art. 1 della legge n. 1187 del 1968 -, ma sia attuata in relazione a qualsiasi pianta (soprattutto se facente parte di pluralità di piante, ordinate o no) mediante una valutazione globale da effettuare ad opera dell'autorità preposta alla tutela dei beni ambientali, ovvero ad opera dell'autorità preposta al rilascio della concessione edilizia o alla vigilanza sulle modificazioni territoriali, in occasione di ogni intervento esterno.
Ma in tal caso é la legislazione (o le legislazioni) di settore che le ordinanze avrebbero dovuto prendere specificamente di mira. La denuncia delle norme codicistiche sui limiti reciproci delle proprietà finitime si palesa pertanto, sotto questo profilo, come frutto di una aberratio ictus, implicante l'inammissibilità della questione.
4. - In ogni caso, la questione é inammissibile perché la pronuncia additiva - qual é sollecitata dai giudici a quibus - non può consistere qui nell'adozione di una soluzione obbligata, immediatamente desumibile dalle norme costituzionali assunte a parametro o da altri principi dell'ordinamento. Viceversa questa Corte dovrebbe operare una scelta tra più soluzioni possibili: quali sono appunto quelle, fra loro significativamente non tutte compatibili, proposte o implicitamente postulate dai giudici a quibus (come la previsione di una valutazione paesaggistica relativamente ad ogni intervento su piante affidata, unicamente alla comparazione di interessi che essa implica, al giudice o all'autorità preposta al settore paesaggistico e/o a quello urbanistico; il coordinamento in fase di cognizione o in fase di esecuzione tra tutela giurisdizionale e tutela amministrativa) ed altre ipotizzabili. Ma una scelta del genere non può che spettare al legislatore.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi indicati in epigrafe.
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 892 e 894 c.c., sollevata, in riferimento agli artt. 9, comma secondo, e 42, comma secondo, Cost., con ordinanze del Tribunale di Genova del 3 aprile 1978, del Pretore di S. Vito al Tagliamento del 5 febbraio 1982 e del Pretore di Busto Arsizio del 12 dicembre 1983.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 1986.
Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO
Depositata in cancelleria il 3 marzo 1986.