Sentenza n. 270 del 1986

 

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SENTENZA N. 270

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Antonio LA PERGOLA. Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 85 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (Statuto degli impiegati civili dello Stato); 41 legge 5 marzo 1961 n. 90 (stato giuridico degli operai dello Stato); 8, primo comma, lett. b) del d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza); 247 r.d. 3 marzo 1934 n. 383 (testo unico legge comunale e provinciale) nel testo sostituito con legge 27 giugno 1942 n. 851; 57, lett. a) del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 (Stato giuridico del personale delle Unità sanitarie locali), promossi con ordinanze emesse il 30 giugno 1981 dal T.A.R. per l'Abruzzo, il 24 novembre 1981 dal Consiglio di Stato, il 27 gennaio 1983 dal T.A.R. per la Liguria, il 12 luglio 1983 dal T.A.R. per la Campania, l'8 marzo 1984 dal T.A.R. per la Liguria, il 7 maggio 1984 dal Consiglio di Stato, il 14 febbraio 1985 dal T.A.R. per il Piemonte, il 14 giugno 1984 dal T.A.R. per la Liguria (n. 2 ord.), il 18 giugno 1985 dal T.A.R. per la Sicilia, il 29 marzo 1985 dal T.A.R. per la Sicilia, il 3 aprile 1985 dal T.A.R. per la Campania, il 24 gennaio 1985 dal T.A.R. per il Veneto, il 7 giugno 1985 dal T.A.R. per la Lombardia, il 12 giugno 1985 dal T.A.R. per la Lombardia, iscritte rispettivamente ai nn. 7 e 725 del registro ordinanze 1982, al n. 526 del registro ordinanze 1983, ai nn. 591, 1156 e 1162 del registro ordinanze 1984, ai nn. 373, 606, 607, 783, 843 e 885 del registro ordinanze 1985 e ai nn. 69, 162, 201 del registro ordinanze 1986 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 102 del 1982, 81 e 315 del 1983, 301 del 1984, 42 bis, 47 bis, 279 bis del 1985, 2, 3, 15, 16, 23, 27, 22 e 28 della 1 s.s. del 1986.

Visti gli atti di costituzione di Procida Angiolino, Trani Domenico, Addonizio Antonio, Coco Giovanni, Montiglio Enrico, Dessolis Massimo, Branca Antonio, Visotto Sergio, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1986 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;

uditi gli avvocati Lucio Moscarini per Procida Angiolino, Michele Del Re per Trani Domenico, Claudio Rossano per Addonizio Antonio, Antonio Funari per Montiglio Enrico, Giulio Correale per Coco Giovanni, Fabio Lorenzoni per Visotto Sergio, Franco Batistoni Ferrara per Dessolis Massimo e Branca Antonio e l'Avvocato dello Stato Paolo Vittoria per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1a. - Con ordinanze emesse: il 30 giugno 1982 dal T.A.R. Abruzzo - Sez. Pescara - (ord. n. 7/1982 R.O.) nel giudizio vertente tra Procida Angiolino e il Ministero delle PP. TT. ed altro; il 24 novembre 1981 (pervenuta in data 11 ottobre 1982) dal Consiglio di Stato - Sez. IV - (ord. n. 725/1982) nel giudizio vertente tra Trani Domenico e il Ministero della Difesa; il 27 gennaio 1983 dal T.A.R. Liguria (ord. n. 526/1983) nei giudizi riuniti tra Curto Bruno e il Ministero di Grazia e Giustizia; il 12 luglio 1983 (pervenuta il 24 maggio 1984) dal T.A.R. Campania (ord. n. 591/1984) nel giudizio tra Addonizio Antonio e il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale; il 18 giugno 1985 dal T.A.R. Sicilia - Sez. Catania - (ord. n. 783/1985) nel giudizio tra Messina Giovanni e il Ministero della P.I.; il 29 marzo 1985 dal T.A.R. Sicilia (ord. n. 843/1985) nel giudizio tra il Comune di Palermo e la Commissione provinciale di Controllo di Palermo ed altro; il 3 aprile 1985 dal T.A.R. Campania (ord. n. 885/ 1985) nel giudizio tra Pasquale Antonio e il Ministero delle PP.TT. é stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 85 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (Statuto degli impiegati civili dello Stato), che prevede la destituzione "di diritto" del dipendente statale condannato con sentenza passata in giudicato per uno dei reati specificati nella norma stessa, per contrasto con gli artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 Cost..

I giudizi nel corso dei quali le ordinanze sono state emesse risultano promossi avverso i provvedimenti di destituzione di diritto adottati ex art. 85 d.P.R. n. 3 del 1957 dalle Amministrazioni interessate a seguito di condanna penale, passata in giudicato, per i commessi reati, da parte di dipendenti, rispettivamente di soppressione, occultamento di atti veri, falsità materiale e ideologica, furto semplice ecc..

In particolare il T.A.R. Abruzzo - Sez. Pescara - (ord. n. 7/82) rileva come la norma, prevedendo la destituzione di diritto senza procedimento disciplinare (atto a valutare in concreto le caratteristiche del commesso reato, la personalità del delinquente e il danno per il prestigio dell'Amministrazione), finisca per l'imporre uno stesso trattamento a comportamenti diversificati, violando così, con tale "omogeneità sanzionatoria", i principi di "ragionevolezza, congruità, giustificatezza", a danno anche del buon andamento dell'Amministrazione.

L'ordinanza si sofferma a considerare il processo di avvicinamento, nella legislazione e nella giurisprudenza, tra impiego pubblico e impiego privato (per il quale non vi sarebbe analoga misura sanzionatoria), nonché le introdotte garanzie a maggiore tutela del posto di lavoro, che costituisce, di regola, l'unica fonte di sostentamento del lavoratore e della sua famiglia. L'automatica destituzione di cui all'impugnato art. 85, in tal modo, verrebbe a volte a rappresentare la "sanzione di gran lunga più gravosa" per il pubblico impiegato, anche rispetto alla pena comminata a seguito di giudizio per un reato in ipotesi in sé lieve e destinato a restare privo, talvolta, di concrete conseguenze penali per effetto dei benefici di legge.

Il Consiglio di Stato - Sez. IV (ord. n. 752/1982) denuncia anche l'art. 41 l.5 marzo 1961 n. 90 (Estensione dell'applicabilità dell'art. 85 d.P.R. n. 3/1957 agli operai dello Stato), osservando che il rigore della legge, nell'obbligare l'amministrazione ad applicare - di diritto - la massima sanzione disciplinare, può apparire, in determinati "casi limite", "ingiustificato ed eccessivo". Ciò si verificherebbe nella fattispecie dedotta in giudizio, nella quale si verrebbe ad attuare una "irragionevole equiparazione della condanna penale per furto non aggravato, attenuato dal modico valore, senza continuazione o concorso con altri reati, con concessione di tutti i benefici di legge, commesso senza alcuna connessione col servizio da un dipendente non investito di pubbliche funzioni (operaio), con la condanna penale per reati risultanti di maggior gravità per il titolo o per l'oggetto o per l'esclusione dei benefici di legge o per la continuazione o il concorso con altri reati o per la relazione col servizio o per la posizione del reo nell'amministrazione". La norma non solo porrebbe irrazionale equiparazione tra operai e impiegati dello Stato, ma creerebbe altresì una ingiustificata discriminazione con i dipendenti privati investiti di analoghe mansioni poiché per questi ultimi sarebbero irrilevanti, ai fini disciplinari, fatti e comportamenti estranei al rapporto di lavoro. Tutto ciò in contrasto con l'art. 3 Cost..

Il T.A.R. Campania (ord. n. 591/1984) denuncia, ancora, il citato art. 85, oltre che per contrasto con l'art. 3 Cost., "per violazione del diritto alla difesa dei dipendenti pubblici, consentita nelle sole ipotesi di destituzione in seguito a procedimento disciplinare (art. 84, stesso d.P.R. n. 3/1957) per reati anche più gravi, in relazione all'art. 24 Cost."; nonché, per violazione del principio di imparzialità della P.A., di cui all'art. 97 Cost., in relazione al potere-dovere di adottare procedimenti sanzionatori razionalmente omogenei.

Con argomentazioni analoghe a quelle sopra esposte sono stati invocati dall'ord. 526/83 i parametri di cui agli artt. 3, 24 e (in uno a questo) 113,4,35 e 97 Cost.; dalle ordinanze nn. 783 e 843/85 i parametri di cui agli artt. 3,24 e 97 Cost..

1b. - L'art. 85, lett. a), parte seconda, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, é stato oggetto di censura, per sospetta violazione degli artt. 3 e 97 Cost., anche da parte delle ordinanze n. 1162/1984, emessa il 7 maggio 1984 dal Consiglio di Stato - Adunanza Plenaria nel giudizio tra Coco Giovanni e il Ministero delle PP.TT. e n. 69/1986, emessa il 24 gennaio 1985 (pervenuta il 28 gennaio 1986) dal T.A.R. Veneto nel giudizio tra Visotto Sergio e Provveditore agli Studi di Venezia e altro.

In particolare, rilevate trascorse interpretazioni giurisprudenziali dell'art. 85 d.P.R. citato, in base alle quali, ai fini dell'applicazione della sanzione ivi prevista, viene equiparata alla fattispecie del delitto consumato anche quella del delitto tentato i collegi rimettenti deducono la violazione della ragionevolezza per l'"ingiustificata dilatazione dell'ottica punitiva" attuata con detta equiparazione tra le due figure criminose, che resterebbero distinte solo per il personale ferroviario fruente di specifica normativa; nonché "per ingiustificata imposizione a situazioni che in base alla legge penale sono oggettivamente diverse di una identica disciplina legislativa, mentre costituisce un principio fermo quello secondo cui la sanzione unica può essere giustificata solamente quando, per la sua misura e per la natura dell'illecito, essa possa ragionevolmente considerarsi proporzionata all'intera gamma di comportamenti, riconducibili allo specifico tipo di reato".

1c. - L'art. 8, lett. b), d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), comminante la destituzione di diritto a seguito di interdizione anche temporanea dai pubblici uffici, per l'indicato personale é stato pure sospettato di incostituzionalità, in termini sostanzialmente riferibili a quelli già enunciati, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., dal T.A.R. Liguria con due ordinanze emesse il 14 giugno 1985 (pervenute il 17 settembre 1985) nei giudizi tra Dessolis Massimo e Ministero dell'Interno (ord. n. 606/85) e tra Branca Antonio e Ministero dell'Interno ed altro (ord. n. 607/85).

1d. - La destituzione di diritto, prevista dall'art. 85 d.P.R. n. 3 del 1957 per gli impiegati civili dello Stato, é parimenti contemplata negli specifici ordinamenti dettati per altre categorie di pubblici dipendenti; cosicché le rispettive norme disciplinanti detta irrogazione automatica della sanzione sono state anch'esse oggetto di impugnazione con argomentazioni, motivi e profili di incostituzionalità identici a quelli sovra riportati.

In particolare, il T.A.R. Lombardia - Sez. Brescia sul ricorso proposto da Pini Primo contro il Comune di Pieve d'Olmi ha sollevato, con ordinanza (n. 162/86) del 7 giugno 1985 (pervenuta in data 8 marzo 1986), questione di legittimità costituzionale dell'art. 247 r.d. 3 marzo 1934 n. 383 (Testo unico della legge comunale e provinciale) in relazione agli artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 Cost.. L'art. 247 é stato altresì impugnato con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. sempre dal T.A.R. Lombardia (in Milano), nel giudizio tra Ungaro Maurizio e Comune di Milano, con ordinanza n. 201/1986 del 12 luglio 1985 (pervenuta il 20 marzo 1986).

1e. - Infine l'art. 57 d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 (Stato giuridico del personale delle Unità sanitarie locali), recante normativa identica a quella dell'art. 85 d.P.R. n. 3/1957, é stato denunciato dal T.A.R. Liguria con ordinanza dell'8 marzo 1984 (ord. n. 1156/1984) nel giudizio tra Ligutti Ilario e U.S.L. n. 4 "Albenganese "con riferimento agli artt. 3 e 35 Cost.; nonché dal T.A.R. Piemonte, con ordinanza del 14 febbraio 1985 (ord. n. 373/1985) nel giudizio tra Montiglio Enrico e l'U.S.L. n. 76 di Casale Monferrato, con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost..

2a. - Per Angiolino Procida (ord. n. 7/1982), Domenico Trani (ord. n. 725/1982), Antonio Addonizio (ord. n. 591/1984), Giovanni Coco (ord. n. 1162/1984), Sergio Visotto (ord. n. 69/1986), Massimo Dessolis (ord. n. 606/1985), Antonio Branca (ord. n. 607/1985) e Pier Enrico Montiglio (ord. n. 373/1985) sono state depositate memorie di costituzione nelle quali vengono condivisi, con identiche argomentazioni, i dubbi di costituzionalità espressi nelle rispettive ordinanze di rimessione.

2b. - L'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza e difesa della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha spiegato intervento nei giudizi di cui alle ordd. nn. 7/1982, 725/1982, 526/1983, 591/1984, 783/1985, 1162/1984, 1156/1984.

Ad avviso dell'Avvocatura, premesso che il legislatore ha il potere di determinare la capacità del soggetto ad essere parte nel rapporto di pubblico impiego, la destituzione di diritto non si presterebbe ad essere sindacata sul piano di una sua assunta irragionevolezza, sotto il profilo che non si terrebbe conto dei singoli e concreti comportamenti, per l'impossibilità di introdurre una normazione esaustiva di tutte le specificazioni possibili.

D'altronde, l'univoco fine della normativa in parola risponde all'esigenza di "evitare il pericolo che valori fondamentali di funzionamento e prestigio della pubblica amministrazione siano messi in questione dalla considerazione di interessi e valori diversi".

In ordine alla comparazione con l'impiego privato, ci si troverebbe "in un campo in cui si manifesta una differenza di fondo fra i due ordinamenti". Né si potrebbe affermare che la soluzione di rimettere all'amministrazione la valutazione della concreta gravità di certi fatti implicherebbe una maggior tutela del diritto al lavoro (ex artt. 4 e 35 Cost.), il quale diritto deve essere visto in un ambito più generale e quindi anche in relazione al principio inerente al buon andamento ed alla imparzialità dell'amministrazione (ex art. 97 Cost.).

Non pertinenti sarebbero ancora i richiami all'art. 24 (e con questo al 113) Cost., poiché la mancata instaurazione di un procedimento disciplinare troverebbe giustificazione nell'obbligatorietà del provvedimento medesimo sulla base di presupposti di garanzia fondati su obiettivi riscontri del giudice penale, seguiti da sentenza passata in giudicato.

In ordine alla assunta irragionevole equiparazione tra delitto tentato e delitto consumato, per l'Avvocatura, richiamato quanto già esposto, viene in rilievo l'identico disdoro che ad essi consegue ai danni dell'immagine e della credibilità della P.A..

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze in epigrafe sollevano identiche o connesse questioni di legittimità costituzionale concernenti le medesime, ovvero correlate, disposizioni di legge. I giudizi vanno, pertanto, riuniti ai fini di un'unica pronuncia.

2a. - Per l'art. 85, lett. a), del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (Statuto degli impiegati civili dello Stato) l'impiegato incorre nella destituzione di diritto, escluso cioé il procedimento disciplinare, allorché abbia subito condanna, passata in giudicato, per taluno dei reati indicati espressamente nella menzionata norma.

L'art. 41, poi, della legge 5 marzo 1961 n. 90 (stato giuridico degli operai dello Stato) stabilisce che la disposizione é applicabile anche al personale operaio.

Analoga disciplina, tuttora vigente, già recava l'art. 247 del testo unico della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934 n. 383, sostituito dalla legge 27 giugno 1942 n. 851, nei confronti dei segretari comunali, dei segretari provinciali, nonché degli impiegati e salariati degli enti locali.

Normativa identica nei contenuti a quella dell'art. 85 d.P.R. n. 3/1957 concerne i dipendenti delle Unità sanitarie locali (art. 57, lett. a, del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761: Stato giuridico del personale delle UU.ss.ll.).

2.b - Il Consiglio di Stato, sez. IV (ord. n. 725/82) e i Tribunali amministrativi dell'Abruzzo (ord. n. 7/82), della Liguria (ordd. 526/83; 1156/84), della Campania (ordd. 591/84, 885/85), della Sicilia (ordd. 783, 843/84), del Piemonte (ord. 373/81), della Lombardia (ordd. 162, 201/86) hanno denunciato il complesso di norme qui riferite, ravvisando contrasto nell'istituto della destituzione di diritto con i parametri di cui agli artt. 3, 4, 24, 35, 97, 113 della Costituzione, variamente proposti con le rispettive ordinanze.

Concordemente per i giudici remittenti l'assenza di un procedimento disciplinare comporterebbe l'impossibilità di valutare le singole fattispecie per i fini di idonea corrispondente sanzione (non esclusa anche la destituzione). Per contro, a fronte per i fatti ascritti della irrogazione sul piano penale di pene anche modiche, addirittura seguite talvolta dalla concessione dei benefici di legge, si configura sul piano amministrativo l'applicazione automatica della massima sanzione espulsiva.

In ordine alla condanna riportata per il mero tentativo del delitto, viene dedotto specifico dubbio di irrazionale squilibrio e dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (ord. n. 1162/84) e dal T.A.R. per il Veneto (ord. n. 69/86), nella considerazione che la normativa di cui si controverte non reca distinzione veruna, ai richiamati fini sanzionatori, con il delitto consumato, quando invece tratterebbesi di figure criminose autonome e quindi a sé stanti, per oggettività e struttura.

Il Tribunale amministrativo della Liguria (ordd. 606 e 607/805) poi, in presenza della norma che prevede specificamente la destituzione di diritto per tutto il personale dipendente dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, quando sia incorso nella pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici (art. 8, lett. b, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737), prospetta dubbi consimili ai precedenti riportati sopra, rimarcandosi, ex artt. 3 e 97 Cost., l'impossibilità di valutazione e di graduazione in rapporto sempre alla gravità dei fatti seguiti da condanna.

3.a - Va chiarito a questo punto che, nel loro intreccio di contenuti, le ordinanze ravvisano violata, intanto, la tutela del lavoro, ancorché gli invocati parametri - artt. 4 e 35 Cost. - rivestano sol connotato di lettura introduttiva d'ogni altra specifica disposizione (sentenze 52 e 105 del 1985).

Ancora, secondo taluno dei remittenti sussisterebbe contrasto col diritto di difesa e in apodittica derivazione da questo con la tutela giurisdizionale avverso la pubblica amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.) senza che - peraltro - siasi posta attenzione di sorta, così l'Avvocatura dello Stato, sugli elementi di protezione dispiegati e dispiegabili, in concreto, nel pregresso procedimento penale; a tacer poi che il provvedimento destitutorio resta pur sempre impugnabile nell'area della corretta applicazione della norma che ne é fondamento.

3.b - Ma i rilievi si incentrano essenzialmente sulla contraddizione che si assume palese con i principi contenuti nell'art. 3 Cost., per la irrazionalità del descritto sistema normativo, appiattito sulla massima sanzione di stato e perciò fonte di irrazionale, abnorme, squilibrio in rapporto a sanzioni, per gli identici fatti, irrogate dal giudice penale secondo criteri - all'incontro - valutativi nella graduazione della pena. E con ciò resterebbe, altresì, compromesso il buon andamento amministrativo protetto ex art. 97 Cost..

Inoltre, sempre ex art. 3 Cost. sotto il profilo circoscritto di una ingiustificata disparità, é stata prospettata l'irragionevolezza normativa sia in relazione ad un raffronto esegetico col lavoro privato; sia - all'interno del sistema - per l'indistinto accorpamento tra i soggetti colpiti: impiegati ovvero operai.

4.a - Orbene, devesi subito rilevare che non sembra acquistare particolare significazione, nei termini della causa, la diversità tra il rapporto pubblico di impiego e quello privato di lavoro; per quanto entrambi abbiano - in ordine alle prestazioni sinallagmatiche che ne conseguono - connotazioni tendenzialmente ravvicinabili per obblighi e diritti, va considerato che i pubblici impiegati si contraddistinguono per essere al servizio esclusivo della Nazione. Tale tipica caratteristica, posta nell'art. 98 Cost., li identifica vincolandoli ad una peculiare doverosità di comportamento rispetto ad ogni altra categoria di lavoratori dipendenti (onde la riserva di legge ex art. 51 Cost. per la individuazione, in condizioni di uguaglianza, dei requisiti attitudinali per l'accesso agli uffici).

All'interno del rapporto poi, si osserva, sotto un'ottica sistematica, che la categoria del personale operaio é stata vieppiù resa contigua, nei diritti e negli obblighi, a quella impiegatizia, per effetto già della legge 13 maggio 1975 n. 157 (Estensione delle norme sullo stato degli impiegati civili dello Stato agli operai). Ed ora, più compiutamente in virtù della legge 11 luglio 1980 n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato) che ha addirittura con gli artt. 2 e 4 (fatte salve nei profili professionali giusta il d.P.R. 29 dicembre 1984 n. 1219 solo le tipologie delle prestazioni) rese unitarie le qualifiche funzionali operaie con quelle del personale impiegatizio esecutivo ed ausiliario.

4.b - Tuttavia, in termini più ampi di quelli dei quali sin qui si é discusso, l'esame della questione porta a considerare che l'ordinamento appare vieppiù tendenziale, oggi, verso la esclusione di sanzioni rigide, non graduate - cioé - in rapporto al caso concreto occorso. Tutto ciò ovviamente, in adempimento del principio di uguaglianza, non può impingere nella mera area punitiva penale bensì incide largamente anche nel campo amministrativo (sentenze n. 95 del 1967 e n. 50 del 1980).

Il che, comunque, non porta a doversi espungere senz'altro sintomatiche e ben individuate previsioni inerenti a fattispecie di estrema gravità intrinseca; tali, in altre parole, da rendere ineluttabile - nell'assenza, cioé, di ulteriori margini di scelta sanzionatoria alternativa - l'adozione vincolata della misura espulsiva, sulla base delle verifiche definitive disposte nel pregresso processo penale.

Ma non può neppure affermarsi, con un richiamo che suonasse conferma a trascorsa e superata giurisprudenza, che non sussiste, in ogni altra ipotesi, l'esigenza obiettiva di un procedimento valutativo della compatibilità del dipendente con le sue specifiche attribuzioni in seno alla pubblica amministrazione di appartenenza, sulla scorta di ponderato esame dell'illecito commesso, che potrà anche risolversi nella irrogazione della massima sanzione destitutoria, ovvero d'altra di minor rigore, nella comparazione del caso concreto con le astratte ipotesi vulnerate.

4.c - Del resto la potestà disciplinare, nelle sue forme proprie, opera in sfera diversa da quella che inerisce al magistero penale, tant'é che di regola anche le formule assolutorie, fatta eccezione della pronuncia perché il fatto non sussiste, ovvero l'imputato non lo ha commesso, non precludono ingresso all'azione disciplinare.

Mediante tale azione, ferma l'autorità del giudicato quanto all'accertamento dei fatti (art. 28 c.p.p.), viene in positivo rilievo - a fronte dell'unico e perciò indistinguibile interesse sociale penalmente perseguito - la tutela propria e caratteristica dell'amministrazione pubblica. É noto, infatti, come questa si rivolga, attraverso l'opera dei dipendenti, al soddisfacimento di compiti e di interessi pur generali ma individuati nell'ambito delle finalità collettive da conseguire: necessita, adunque, di un sistema sanzionatorio esclusivo, articolato nelle sue misure per i diversi modelli di comportamento dal dipendente infranti.

Così ricondotto l'atto illecito perpetrato - e a diverso titolo colpito dal giudice penale - nell'area del procedimento disciplinare e delle valutazioni ivi esperibili, correlativamente si configura - per quanto sin qui esposto - l'esigenza di adozione di criteri normativi idonei alla commisurazione delle misure sanzionatorie conseguenti alla irrevocabile condanna penale; tanto, non per un diffuso interesse al giusto procedimento, che sfugge a censure d'ordine costituzionale (sentenza 234 del 1985), bensì, si ribadisce, quale esigenza - ex art. 3 Cost. - di adeguatezza tra illecito e irroganda sanzione.

Il che coinvolge predisposizioni fuori da ogni indeterminatezza, con discrimine, quando del caso, tra reati consumati ovvero tentati (di ciò rinvenendosi traccia positiva sol per il personale ferroviario ai sensi della legge 26 marzo 1958 n. 425, art. 123); inoltre - e ciò in relazione anche alla specifica destituzione automatica del personale tutto di polizia per qualsivoglia condanna seguita da interdizione temporanea - tra fatti commessi a causa ovvero in connessione delle attribuzioni ed altri che dalla attività pubblica del soggetto esulino.

Né é a sottacersi, a tali precisi scopi di riequilibrio normativo aderente ai principi costituzionali, l'obiettiva sussistenza ordinamentale, nello status del dipendente, di intreccio della figura impiegatizia con quella del funzionario; come anche della nozione di pubblico uff1ciale e di incaricato di pubblico servizio, che - propria dell'area penale - sovente non coincide coi principi, sia funzionali che di gerarchia, poiché identificata - in tal sede - solo per lo stretto esercizio esterno dell'imperium in confronto dei terzi.

5. - A tutti gli assentiti effetti per razionalizzare un sistema, che appare stemperato oggi - sovente - nell'indistinto, é il legislatore chiamato ad apprestare omogenei e ben identificati rimedi esaustivi, secondo principi che in nuce si rinvengono già nei termini essenziali dettati dalla legge-quadro sul pubblico impiego (29 marzo 1983 n. 93: artt. 1; 2 n. 7; 4; 22), diretta all'intero comparto in discorso, ivi compreso il personale delle regioni. Poiché vanno operate, infatti, delle scelte nell'ambito di soluzioni coerenti per corrispondere alle varie esigenze qui prospettate, non é dato alla Corte provvedere in tali sensi, nella sfera, cioé, di complessi, la cui enunciata, avvertita estensione é di per sé dimostrativa di una serie di previsioni che soltanto il Parlamento può ed é in grado di effettuare compiutamente. E la Corte auspica al riguardo che il legislatore proceda anche all'attenta riconsiderazione dei valori oggetto di tutela.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 85 d.P.R. 10 gennaio 1957 n.3 (statuto degli impiegati civili dello stato); 41 legge 5 marzo 1961 n. 90 (stato giuridico degli operai dello stato); 8, primo comma, lett. b), d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza), nonché dell'art. 247 r.d. 3 marzo 1934 n. 383 (testo unico legge comunale e provinciale) nel testo sostituito con legge 27 giugno 1942 n. 851 e dell'art. 57, lett. a), d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 (stato giuridico del personale delle Unità sanitarie locali) sollevata, in relazione agli artt. 3, 4, 24, 35, 97, 113 Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1986.

 

Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE

 

Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1986.