SENTENZA N. 190
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge Regionale Siciliana 30 dicembre 1976 n. 90 (Interventi per gli enti economici regionali) promosso con ordinanza emessa il 23 novembre 1977 dal T.A.R. per la Sicilia sui ricorsi riuniti proposti da Coniglio Francesco ed altro c. il Presidente della Regione Siciliana ed altri iscritta al n. 371 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 293 dell'anno 1978;
visti gli atti di costituzione di Coniglio Francesco e della Regione Sicilia;
udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 1986 il Giudice relatore Ettore Gallo;
uditi l'Avvocato Federico Sorrentino per Coniglio Francesco e l'Avvocato dello Stato Paolo Vittoria per il Presidente della Regione Sicilia.
Ritenuto in fatto
1. - Con ord. 13 novembre 1977, il T.A.R. per la Sicilia sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della 1. 30 dicembre 1976 n. 90 (Interventi per gli enti economici regionali) per contrasto con gli artt. 24, 25 e 113 Cost., nonché con l'art. 20 Stat. spec. siciliano.
Riferiva l'ordinanza che l'on. Avv. Francesco Coniglio e l'Avv. Elio La Tassa, nella loro rispettiva qualità di Presidente e Vicepresidente dell'Ente Siciliano per la promozione industriale (E.S.P.I.), tali nominati con d. P.Reg. 12 giugno 1974 n. 55/A per la durata di un quadriennio, avevano impugnato il d. P.Reg. 17 gennaio 1977 n. 1/A con il quale era stata dichiarata la decadenza dell'intero Consiglio di Amministrazione dell'Ente, in esecuzione a quanto disposto dall'art. 10 della citata legge: con lo stesso decreto era stato nominato un Commissario per la straordinaria gestione, in attesa della ricostituzione dell'organo ordinario.
Ricordava, tuttavia, l'ordinanza che, quando veniva emanato il provvedimento ora impugnato, erano già pendenti innanzi allo stesso Tribunale altri due ricorsi interposti dalle stesse parti contro altro decreto 20 ottobre 1976 n. 155 A dello stesso Presidente, pure di scioglimento del Consiglio in parola, con riferimento alla 1. reg. n. 74/1976 che aveva dettato una nuova disciplina in tema di procedimento di formazione dei Consigli, e di titoli di legittimazione e di partecipazione dei singoli componenti negli Enti economici regionali.
Quei precedenti ricorsi, peraltro, già debitamente istruiti, erano pervenuti alla stessa udienza di discussione di quelli attuali, e con questi contestualmente assunti in decisione e poscia riuniti.
Il contestato art. 10 della legge impugnata sostanzialmente dispone che i Consigli di Amministrazione degli enti di cui all'art. 2 della 1. reg. 21 dicembre 1973 n. 50 (fra cui, appunto, l'E.S.P.I.) "tuttora in carica, ed ancorché siano stati adottati provvedimenti di scioglimento dei medesimi, decadono ipso jure con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge". Dopodiché la norma fa obbligo al Presidente della Regione di dichiarare la predetta decadenza con suo decreto entro il mese di gennaio 1977, disciplinando il procedimento di ricostituzione e i provvedimenti transitori.
Sulla base della considerazione che il tenore della legge non lasciava al Presidente della Regione alcun margine di discrezionalità, sì che il suo decreto, così come emanato, doveva considerarsi atto obbligato e dovuto, il T.A.R. giudicava che avrebbe dovuto disattendere le censure mosse al decreto per violazione di legge ed eccesso di potere, mentre riteneva non manifestamente infondata l'eccezione d'illegittimità costituzionale subordinatamente formulata dalle parti nei sensi sopra ricordati.
Rilevava, infatti, l'ordinanza innanzitutto che il provvedimento impugnato aveva avuto come effetto immediato la vanificazione del procedimento giurisdizionale in corso avverso il precedente provvedimento di scioglimento, impedendo l'eventuale ripristino della situazione giuridica precorsa, qualora la sentenza, che stava per essere emanata, avesse accertato l'illegittimità del provvedimento originario: tant'é vero che, con separata pronunzia di pari data, il Tribunale non aveva potuto fare altro che prendere atto della situazione che era venuta così a determinarsi dichiarando l'improcedibilità.
Si sarebbe, per tal modo, verificato ad avviso dei giudici amministrativi un contrasto della norma con i principi costituzionali di garanzia della tutela giurisdizionale del cittadino proclamati, sotto diversi profili, dagli artt. 24, 25 e 113 della Costituzione. E ciò in quanto la volontà del legislatore, intesa a disciplinare un caso concreto, mediante una cosidetta "legge - provvedimento", era venuta a sostituirsi all'apprezzamento discrezionale dell'Amministrazione nell'applicazione della legge, privando il destinatario di una siffatta determinazione del riesame inerente al sindacato di legittimità in sede giurisdizionale. Fra l'altro, da tutto ciò discendeva anche una compressione dei diritti fondamentali dell'interessato, quale nella specie lo "jus ad officium , pure costituzionalmente garentito (art. 51 Cost.).
D'altra parte - continuava l'ordinanza - anche alla stregua di significativi orientamenti di questa Corte (di cui viene citata la sent. 2 marzo 1962 n. 13), lo strumento della legge - provvedimento, se é riconosciuto ammissibile per il legislatore ordinario, altrettanto non sembra potersi ritenere per quello regionale. E ciò sia perché, à sensi dell'art. 117 Cost. (principio statuito bensì per le regioni di diritto comune, ma valido anche per quelle a statuto speciale essendo espressione di principio generale e regioni emanano "norme" e non "provvedimenti legislativi", sia perché soltanto il legislatore ordinario, titolare della posizione dei princìpi generali dell'ordinamento, ha il potere di derogarvi in taluni casi eccezionali.
Comunque sia, le eventuali limitazioni a diritti fondamentali del cittadino devono discendere dalla legge generale, enunciante ipotesi astratte, in guisa da essere successivamente concretate nel provvedimento applicativo dell'Amministrazione, contro il quale l'interessato possa esperire i rimedi giurisdizionali. Altrimenti, nei confronti della legge non resterebbe al cittadino che la tutela costituzionale, cui egli peraltro può accedere solo attraverso un'eventuale ed incerta mediazione dell'autorità giudiziaria.
Trascurando siffatti princìpi, il legislatore regionale si é appropriato di un atto sostanzialmente amministrativo, che ha sottratto alle attribuzioni istituzionali proprie degli organi della Regione, con conseguente violazione anche dell'art. 20 dello Statuto reg. della Sicilia.
2. - L'ordinanza veniva regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Innanzi a questa Corte si costituivano l'avv. Francesco Coniglio, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Sorrentino, ed il Presidente della Regione Sicilia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato.
Nelle deduzioni di costituzione 12 giugno 1978, la parte privata precisava alcuni particolari del fatto che non risultavano esplicitamente dall'ordinanza di rimessione. Veniva spiegato, infatti, che i due precedenti ricorsi, cui l'ordinanza aveva effettivamente fatto cenno, erano stati interposti l'uno avverso il decreto 5 marzo 1976 del Presidente della Regione che, appena a 18 mesi dalla nomina, aveva sciolto il Consiglio (destinato a durare in carica quattro anni) sotto il pretesto di scarsa funzionalità: il T.A.R., però, aveva concesso la sospensione dell'esecuzione. L'altro ricorso era stato proposto contro successivo provvedimento di scioglimento pronunziato dallo stesso Presidente sulla base della legge regionale n. 74/ 1976, per i motivi indicati dall'ordinanza.
Nel diritto, la parte ribadiva e sviluppava gli argomenti dell'ordinanza.
L'Avvocatura Generale dello Stato chiedeva, invece, che la questione venisse dichiarata infondata.
Premesso che i tre Enti economici (A.Z.A.S.I. - E.M.S. ed E.S.P.I.), istituiti a partire dal 1960, rappresentano gli strumenti di intervento della Regione nei settori della produzione mineraria e industriale, e che si tratta di interventi di importante dimensione (molti miliardi erogati per raggiungere finalità pubbliche di alto rilievo), si spiega lo scrupoloso interesse dell'Assemblea Regionale. La quale é dovuta intervenire con leggi successive che ne hanno via via determinato in astratto la composizione dei Consigli di Amministrazione, rendendone indifferenziata la struttura, ed hanno dettato precetti vincolanti, intesi ad imporre agli amministratori determinazioni a contenuto vincolato.
Alla fine l'Assemblea ha ritenuto che per i tre Enti fosse necessaria una gestione improntata a criteri nuovi: da qui la determinazione impugnata che, provenendo da organo legislativo, non poteva non assumere la veste della legge.
D'altra parte, secondo l'Avvocatura, tutta la costruzione dell'ordinanza di rimessione si fonda sul rilievo che la norma impugnata avrebbe natura di indebita legge regionale - provvedimento, in quanto il suo contenuto concernerebbe unicamente il Consiglio di Amministrazione dell'E.S.P.I.
Ebbene, ciò sarebbe contraddetto dalla realtà documentale perché, sulla base della legge impugnata, provvedimenti di identico contenuto sarebbero stati adottati per l'E.M.S. (Ente minerario siciliano) e per l'A.Z.A.S.I. (Azienda asfalti siciliana) per cui sarebbe da escludersi che la legge regionale impugnata costituisca provvedimento ad hominem.
Una volta che essa appare applicabile ad una generalità di Enti, non importa quanto vasta, vanno riconosciuti alla volontà del legislatore quei caratteri di astrattezza e di generalità che appunto contraddistinguono la legge generale. Ne conseguirebbe che tutte le mosse censure perdono il necessario presupposto logico.
Né può parlarsi di confisca da parte del legislatore dei poteri istituzionalmente spettanti agli organi dell'Amministrazione attiva della Regione, perché qui l'Amministrazione aveva già deliberato nella sua competenza, e il legislatore si é mostrato dello stesso avviso. Oltre tutto, osserva l'Avvocatura che tali ragioni sarebbero, comunque, proprie ed esclusive del soggetto pubblico che avrebbe subìto la confisca e non certo dei privati proponenti, visto che non esiste nell'ordinamento un'azione popolare.
Quanto poi all'art. 51 Cost., rileva l'Avvocatura che la garanzia dell'accesso agli uffici ed alle cariche pubbliche non é anche garanzia di permanenza: certamente quest'ultima non é costituzionalmente tutelata. La legge ordinaria, perciò, può liberamente disporre soppressione di uffici e cessazioni dalle funzioni di corpi collegiali che, giusta il suo responsabile apprezzamento, debbano essere costituiti in modo diverso.
Infine, la tutela giurisdizionale non può avere per effetto l'invariabilità delle strutture che il progresso impone di aggiornare. Anche se fosse vittoriosamente sperimentata, la tutela giurisdizionale non comporterebbe, nella specie, un adempimento in forma specifica, ma semmai, in ipotesi, in forma generica, attraverso un'azione risarcitoria qualora fosse accertata l'illiceità del fatto. Perciò, non é vero che la norma abbia privato i ricorrenti della tutela giurisdizionale.
Per tacere - dice l'Avvocatura - del rilievo che viene definito "sbadataggine", secondo cui le regioni a Statuto speciale non potrebbero emanare provvedimenti legislativi, ma soltanto "norme".
Considerato in diritto
1. - Come esposto in narrativa, il T.A.R. per la Sicilia denunzia l'art. 10 della legge regionale siciliana 30 dicembre 1976, n. 90, che dispone la decadenza ipso jure dei consigli di amministrazione degli Enti di cui all'art. 2 della precedente legge regionale 21 dicembre 1973, n. 50 (Ente siciliano per la promozione industriale, Ente minerario siciliano, Azienda asfalti siciliana), ancorché siano stati adottati provvedimenti di scioglimento dei medesimi.
A motivo dell'impugnazione si sostiene l'incompetenza del legislatore regionale ad emanare leggi - provvedimento - e tale sarebbe quella in questione - con riferimento all'art. 20 dello Statuto siciliano, che attribuirebbe in via esclusiva alla Giunta regionale funzioni esecutive ed amministrative, nonché agli artt. 24, 25 e 113 della Costituzione che imporrebbero alla Regione l'adozione di provvedimenti amministrativi per limitare diritti dei cittadini (come nella specie lo jus ad odicium) a conclusione di un procedimento nel corso del quale i privati siano posti in condizione di esprimere le proprie ragioni: provvedimenti e procedimento a loro volta passibili di riesame di legittimità in sede giurisdizionale.
2. - La legge denunziata, nonostante sia suscettibile di applicazione ad un intero complesso di enti, é certo priva dei requisiti dell'astrattezza e della ripetibilità.
Del primo, in quanto essa, sovrapponendosi a precedenti decreti di scioglimento dei consigli di amministrazione per confermarne sostanzialmente il tenore, esegue in definitiva la legge regionale 14 maggio 1976, n. 74, che modificava l'originaria composizione degli organi degli enti in esame. Del secondo, in quanto il precetto da essa recato si esaurisce in un unico contesto.
Ma, pur potendo il contenuto dell'atto in questione assumere la forma propria dei provvedimenti, la Corte non accede alla tesi di una riserva a favore dell'esecutivo regionale siciliano della potestà amministrativa quand'anche esercitata nella forma della legge, così risultando non fondate le censure mosse dal giudice a quo.
3. - Infatti, in tutte le precedenti occasioni in cui sono state sottoposte a sindacato leggi regionali siciliane prive di astrattezza o della ripetibilità (Sent. n. 61 del 1958 in materia di istituzione di borgate, Sent. n. 29 del 1966 in materia di commissione di inchiesta, Sent. n. 90 del 1966 in materia di espropriazione delle aree necessarie al costruendo palazzo della Regione, Sent. n. 95 del 1966 ancora in materia di espropriazione, Sent. n. 80 del 1969 in materia di proroga di contratto di esercizio di miniera), la Corte non ha mai enunziato un divieto generalizzato di leggi - provvedimento, ma con diversi esiti ha sempre esercitato un controllo sostanziale sull'atto, sia pure con le particolarità richieste dal suo specifico oggetto.
É quindi da escludere che l'art. 20 dello Statuto della Regione Sicilia, oltre a prevedere l'ordinaria attribuzione delle funzioni amministrative, crei altresì una riserva a favore dell'esecutivo nei confronti delle stesse leggi - provvedimento adottate dall'Assemblea; riserva che irrigidirebbe ingiustificatamente solo per la Sicilia, la forma di governo delle regioni
4. - Consentita così dallo Statuto, l'adozione della legge regionale, per disporre la decadenza dei Consigli di amministrazione, rende estraneo al giudizio il parametro costituito dall'art. 113 della Costituzione, il quale, a tutto ammettere, riguarda il procedimento amministrativo regionale (cfr. sent. nn. 13 del 1962 e 23/1978) ma non quello legislativo, né incide sul riparto di competenze. Del pari deve dirsi delle garanzie di cui agli artt. 24 e 25 della Costituzione, apprestate per l'impugnazione di atti diversi da quelli legislativi, il sindacato sui quali é riservato alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge regionale siciliana 30 dicembre 1976, n. 90 in riferimento all'art. 20 dello Statuto siciliano ed agli artt. 24, 25 e 113 della Costituzione, promossa dal T.A.R. per la Sicilia con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1986.
Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA
Depositata in cancelleria il 14 luglio 1986.