SENTENZA N. 300
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN,Presidente
Avv. Oronzo REALE
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 27, lett. a, del Regolamento allegato A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), promosso con la ordinanza emessa il 12 aprile 1978 dal Pretore di Taranto nel procedimento civile vertente tra Lisi Stefano c/ Amministrazione Provinciale di Taranto ed altri, iscritta al n. 359 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 285 dell'anno 1978;
udito nella camera di consiglio dell'1 ottobre 1985 il Giudice relatore Francesco Greco.
Ritenuto in fatto
Con ricorso in data 17 marzo 1977 Lisi Stefano conveniva dinanzi al Pretore di Taranto la locale Amministrazione Provinciale e, premesso che aveva prestato la sua opera alle dipendenze della convenuta durante la sua gestione provvisoria del servizio di trasporto extraurbano con qualifica e mansioni di bigliettaio e che era stato licenziato con decorrenza dal 1 gennaio 1977 sul presupposto del superamento del sessantesimo anno di età, sebbene non fosse in possesso dei requisiti per il godimento della pensione di vecchiaia, chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre il risarcimento del danno.
Il giudice adito, esteso il contraddittorio nei confronti della Regione Puglia, che la convenuta indicava come titolare della legittimazione passiva, con ordinanza in data 12 aprile 1978 sollevava l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 27, lett. a del Regolamento allegato A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, in riferimento agli artt. 3, 4 e 38, primo capoverso, Cost. nella parte in cui consente il licenziamento dell'agente autoferrotramviario che abbia raggiunto il sessantesimo anno di età, anche se non sia in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia.
In punto di rilevanza della questione, il giudice a quo osservava che la fattispecie sottoposta al suo esame non era suscettibile di decisione senza preventiva risoluzione del dubbio di illegittimità della norma denunciata, posto che questa consente il licenziamento del dipendente ultrasessantenne pur non dotato dei requisiti per il pensionamento e che, nella fattispecie, il Lisi effettivamente, alla data dell'impugnato provvedimento, risultava privo di tali requisiti, non potendo far valere né l'anzianità contributiva (15 anni: art. 9 D.L. 14 aprile 1939, n. 636, come modificato dalla legge 4 aprile 1952, n. 218) per la pensione di vecchiaia, né quella (di pari entità) per la pensione definita di anzianità prevista dall'art. 10 della legge 28 luglio 1961, n. 830.
Osservava che la ratio della sentenza n. 174 del 1971 della Corte Costituzionale giustificava anche il sospetto di illegittimità della disposizione impugnata, trattandosi anche qui di rimuovere una situazione di discriminazione fondata sul solo fatto dell'età; aggiungeva, poi, che la disposizione denunciata violava il principio di uguaglianza sotto il duplice profilo: a) perché il discrezionale potere di recesso attribuito al datore di lavoro nei confronti di lavoratori ultrasessantenni impediva una disciplina conforme di situazioni identiche, o differenziata di situazioni non assimilabili e poteva, in ipotesi, determinare la assurda conseguenza del licenziamento di uno di tali lavoratori in luogo di altro che avesse, invece, maturato il diritto a pensione, senza che sulla scelta di parte datoriale fosse consentito alcun sindacato giurisdizionale; b) perché si operava una discriminazione nei confronti degli addetti al pubblico servizio di trasporto rispetto agli altri lavoratori del settore privato: senza, infatti, che la diversità di disciplina trovasse giustificazione nelle peculiarità di tale servizio in quanto solo per i primi il solo fatto dell'età assumeva rilievo legittimante del recesso ad nutum, indipendentemente dal fatto che il raggiungimento del relativo limite fosse accompagnato dal conseguimento del diritto a pensione.
Lo stesso giudice a quo considerava che, quand'anche si volesse attribuire rilievo alla presunzione di una sopravvenuta inidoneità fisica all'ulteriore espletamento del servizio come naturale conseguenza dell'età avanzata del lavoratore, lo stesso art. 27 del citato regolamento prevedeva specificamente l'esonero dell'agente per inidoneità, ma a tal fine apprestava una serie di garanzie e cautele che invece non esistevano per il lavoratore ultrasessantenne non pensionabile, con conseguente ulteriore discriminazione in danno del medesimo, ma con violazione anche del principio di cui all'art. 4 Cost..
Se, infatti, era vero che il diritto al lavoro ivi garantito non può essere inteso come diritto assoluto al conseguimento di un'occupazione o alla conservazione di quella ottenuta, non era men vero che, quando la risoluzione del rapporto di lavoro sia, in determinati casi, circondata da particolari limitazioni o garanzie in favore del lavoratore (come nella suddetta ipotesi di esonero dell'agente per inidoneità), l'eliminazione di queste in altri casi può risultare in contrasto con il testé citato precetto costituzionale solo in presenza di giustificate ragioni, quali certamente non sono ravvisabili nel solo fatto della diversa età degli interessati.
Infine, la norma che, come quella denunciata, costituisce un sicuro ostacolo alla continuazione del lavoro fino al conseguimento del diritto a pensione, si pone anche in contrasto con l'art. 38, capoverso primo, Cost. e con il diritto ivi garantito ai lavoratori a che siano assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia.
L'ordinanza era regolarmente pubblicata nella G.U. dell'11 ottobre 1978, n. 285.
Nel giudizio introdotto con l'esposta ordinanza nessuno si é costituito.
Considerato in diritto
Con l'ordinanza di rinvio sottoposta all'esame della Corte, il Pretore di Taranto solleva il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 27, lett. a, del "Regolamento" allegato A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, nella parte in cui consente il licenziamento dell'agente che abbia raggiunto il sessantesimo anno di età, anche se non in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia e ciò in violazione:
a) dell'art. 3 Cost. per l'irrazionale disparità di trattamento così determinata fra i dipendenti ultrasessantenni, tutti soggetti ad identico potere di recesso senza che abbia rilievo la circostanza della sussistenza o meno del diritto a pensione; nonché fra i lavoratori ultrasessantenni senza diritto a pensione, alle dipendenze di aziende esercenti il pubblico servizio di trasporto in concessione ed altri lavoratori dipendenti del settore privato, che versino in identica situazione;
b) dell'art. 4 Cost., in quanto risulta ingiustificatamente limitato il diritto al lavoro, pur nel contesto di una normativa che, in caso di esonero del dipendente per inidoneità fisica, prevede particolari garanzie a favore di questi, non operanti, invece, nei confronti del lavoratore ultrasessantenne;
c) dell'art. 38, primo capoverso, Cost. perché, ostacolando la protrazione del lavoro fino al conseguimento del diritto a pensione, contrasta con il diritto del lavoratore di vedersi assicurati adeguati mezzi di vita in caso di vecchiaia.
La questione non é fondata.
Questa Corte ha più volte affermato (sentt. nn. 39/69; 130/70; 57/72; 168/73; 257/84) la piena legittimità della disciplina particolare del rapporto di lavoro dei dipendenti delle imprese concessionarie dei pubblici servizi di trasporto di cui é fulcro il R.D. 8 gennaio 1931, n. 148 e il regolamento allegato A al detto decreto n. 148/1931, in quanto trattasi di un rapporto che, per alcuni profili, può essere considerato alla stessa stregua di un rapporto di lavoro subordinato privatistico e per altri (vedasi ad es. il previsto procedimento per l'applicazione delle sanzioni disciplinari) é qualificabile come rapporto di impiego pubblico dandosi maggiore risalto all'interesse pubblico relativo al servizio di trasporto in concessione.
Ma anche per quanto riguarda i profili privatistici, siccome il rapporto in massima parte é finalizzato alla realizzazione di interessi pubblici, la disciplina resta particolare e, quello che più rileva, compiutamente attuata dalle norme speciali apprestate dal legislatore a regolarlo e rimane differenziata da quella del rapporto di lavoro subordinato, dovendosi valutare, nel loro complesso, gli oneri ed i vantaggi.
Questi principi sono costantemente applicati anche dai giudici di merito e dalla stessa Corte di cassazione.
Quest'ultima, più volte ed anche di recente (25 febbraio 1982, n. 1216; 28 giugno 1984, n. 3794 e n. 3798; 16 luglio 1984, n. 4152; 18 ottobre 1984, n. 5272; 14 gennaio 1985, n. 51) ha ribadito che il R.D. 8 gennaio 1931, n. 148 ed il relativo allegato, con le successive leggi di interpretazione, modificazione ed estensione, costituiscono un compiuto "corpus" normativo per la disciplina del rapporto di lavoro degli addetti ai pubblici servizi di trasporto in regime di concessione; che il detto rapporto nella sua costituzione e nelle sue vicende, si distingue dal comune rapporto di lavoro di diritto privato poiché il personale gode di uno speciale "status" costituito da una posizione intermedia tra quella dell'impiegato pubblico e quella dell'impiegato privato e che, pertanto, ad esso, siccome garantito da una disciplina sostanzialmente più favorevole, non si applicano né la legge sui licenziamenti individuali (la n. 604 del 1966, relativa ai rapporti di lavoro di diritto comune a tempo indeterminato, non forniti della garanzia di stabilità) né lo statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970).
In tale situazione non hanno fondamento i motivi addotti dal giudice a quo a sostegno dell'illegittimità costituzionale della norma denunciata. Anzitutto non é pertinente il richiamo alla sentenza n. 174 del 1971 di questa Corte in quanto essa é stata emessa in una fattispecie di lavoro subordinato con un'azienda privata e per una particolare causa posta a base del licenziamento (motivi politici e religiosi di un licenziamento di dipendente ultrasessantacinquenne da un ospedale, all'epoca privato).
Inoltre, tutti i motivi hanno come presupposto l'applicabilità della legge sui licenziamenti individuali che presuppone la disciplina del rapporto di lavoro subordinato con imprese private e, a sostegno del licenziamento, richiede una giusta causa o un giustificato motivo.
Trattandosi di situazioni non omogenee (quella cioé del dipendente delle aziende di concessione di pubblico servizio di trasporto e quella del dipendente di imprese private) non sussiste la denunciata violazione dell'art. 3 Cost..
Parimenti infondato é il profilo della dedotta diversità di trattamento, con conseguente impossibilità di sindacato della scelta operata dall'azienda che, ad avviso del giudice a quo, si verificherebbe in seno alla stessa (azienda) tra lavoratore ultrasessantenne con diritto a pensione e lavoratore ultrasessantenne senza diritto a pensione.
Invero, l'attenta lettura della norma e la sua interpretazione letterale portano a ritenere che non sussiste alcuna possibilità di scelta, tanto meno affidata alla discrezione dell'azienda, sul punto esonero dal lavoro, tra le due categorie di lavoratori in quanto nella richiamata disciplina particolare del rapporto é posto, in ogni caso, come limite massimo della sua durata, il compimento del sessantesimo anno di età.
Il verbo "può" usato dal legislatore nell'articolo oggetto della denuncia sta ad indicare non una scelta discrezionale del datore di lavoro ma solo l'esercizio del suo potere-dovere, anche perché nella stessa regolamentazione del rapporto non é prevista alcuna possibilità di impiego dei dipendenti ultrasessantenni a differenza di quelli ultracinquantacinquenni.
Per quanto riguarda la violazione dell'art. 4 Cost., la Corte rileva che essa deve intendersi dedotta in relazione all'art. 3 Cost. in quanto é denunciata, in sostanza, una disparità di trattamento tra dipendenti esonerati per inidoneità fisica, per i quali la norma di previsione dà una serie di garanzie, e dipendenti esonerati per il raggiungimento del limite di sessanta anni di età per i quali, per una presunzione di una loro inidoneità fisica, non sarebbe apprestata alcuna garanzia.
Per disattendere la effettuata denuncia di legittimità costituzionale così intesa é sufficiente richiamare il costante indirizzo di questa Corte. Essa ha più volte affermato che a ciascun cittadino non é garantito il diritto al conseguimento di una occupazione così come non gli é garantito il diritto alla conservazione del lavoro e che là dove non sono previsti i casi, i tempi, i modi dei licenziamenti, la disciplina, per essere conforme alla Costituzione, deve rispecchiare l'esigenza di un trattamento giuridico eguale per situazioni eguali che, in relazione a queste, esso può essere diversificato solo in presenza di giustificate ragioni (sent. n. 15/83).
La situazione di colui che é licenziato per inidoneità fisica indipendentemente dall'età non é identica a quella dell'esonerato per raggiunto limite di età che, come si é detto, in nessun caso può superare il sessantesimo anno di età.
Del resto, si tratta di uno degli aspetti della particolare regolamentazione del rapporto per i ferrotramvieri, affidata alla discrezione del legislatore e che, in via generale, stante la compensazione tra i vantaggi e gli svantaggi, non più deve considerarsi irrazionale e quindi costituzionalmente legittima.
La stessa presunzione di inidoneità al sessantesimo anno sarebbe razionale e pienamente giustificata attesi gli elementi pubblicistici del rapporto di lavoro de quo.
Non é fondata nemmeno la dedotta violazione dell'art. 38 Cost..
L'assunto poggia sul rilievo secondo cui l'ostacolo alla protezione del lavoro fino al conseguimento del diritto a pensione contrasta con il diritto del lavoratore di vedersi assicurati adeguati mezzi di vita in caso di vecchiaia.
Nella fattispecie é certamente prevista la cessazione del rapporto di lavoro del dipendente al compimento del sessantesimo anno di età ma i dipendenti che a quel momento non avessero diritto a pensione non sono sprovvisti di mezzi adeguati. Anzitutto, secondo l'art. 27 del R.D. n. 148/31, agli agenti esonerati é corrisposta l'indennità di buonuscita di cui ai precedenti quinto e sesto commi dell'art. 26 (un mese di stipendio o paga per i primi cinque anni e 15 giorni per i restanti anni).
L'art. 10 della legge 28 luglio 1961, n. 830 prevede poi la pensione di anzianità per coloro che siano iscritti al fondo di previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto (D.L. 28 maggio 1945, n. 402) che abbiano almeno quindici anni di contribuzione ma il successivo art. 25 faculta gli agenti esonerati dal servizio, che non abbiano conseguito il diritto a pensione al momento della cessazione o della modificazione del rapporto di lavoro, a continuare in forma volontaria la loro iscrizione al fondo predetto se vi abbiano contribuito almeno per cinque anni.
Infine, l'art. 33 della legge 29 ottobre 1971, n. 889 consente, per coloro che non si avvalgono della detta facoltà, la costituzione, per il periodo corrispondente a quello di iscrizione al fondo, di una posizione assicurativa nella assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, valida a tutti gli effetti dell'assicurazione stessa e, quindi, anche con la possibilità di contribuzione volontaria.
Questa regolamentazione esclude certamente il dedotto contrasto con gli invocati precetti costituzionali così come interpretati da questa Corte e di essi, quindi, nella situazione, non può ritenersi la violazione.
Invero, secondo questa Corte, l'art. 38 Cost., comma secondo, contiene un principio di natura politica che esaurisce i suoi effetti e la sua portata nell'affermazione del dovere dello Stato di provvedere all'assistenza sociale e pone un principio di ordine generale che riguarda tutte le situazioni bisognevoli di prestazioni previdenziali ma non esclude che la legge disciplini variamente gli ordinamenti che meglio si adeguano in concreto alle particolarità delle varie situazioni predisponendo i mezzi finanziari all'uopo necessari (sentenze nn. 22/76; 23/73; 164/74).
Alla stregua di questa valutazione non può essere esclusa una certa discrezionalità del legislatore nella scelta dei modi, dei tempi, degli strumenti di applicazione del precetto costituzionale purché non si giunga allo svuotamento ed alla elusione in concreto del precetto (sent. n. 28 del 1984). Il che non é avvenuto nella fattispecie.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, lett. a, del Regolamento allegato A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, in riferimento agli artt. 3, 4, 38 - primo cpv. - Cost., sollevata dal Pretore di Taranto con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 1985.
Livio PALADIN - Francesco GRECO
Depositata in cancelleria il 22 novembre 1985.