Sentenza n.125 del 1985

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SENTENZA N. 125

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 99, comma secondo, 116, comma primo (nel testo sostituito dall'art. 25 d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834), e 117, comma secondo (nel testo sostituito dall'art. 26 dello stesso d.P.R. n. 834/81) del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra), promosso con ordinanza emessa il 23 marzo 1982 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Bevilacqua Leonardo, iscritta al n. 475 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 331 dell'anno 1982.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 dicembre 1984 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;

udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 23 marzo 1982 nella causa promossa con ricorso di Bevilacqua Leonardo, la Corte dei conti., Sez. II giurisdizionale speciale per le pensioni di guerra, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 99, comma secondo, 116 comma primo (nel testo sostituito dall'art. 25 d.P.R. 30 dicembre 1981 n. 834) e 117 comma secondo (nel testo sostituito dall'art. 26 dello stesso d.P.R. n. 834 del 1981) del T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, nella parte in cui prevedono il termine quinquennale di prescrizione per la richiesta della pensione di guerra, ovvero la salvezza - comunque - di tale termine per la proposizione dell'eventuale successivo ricorso alla Corte dei conti.

La questione é stata sollevata d'ufficio nel corso del giudizio nel quale il rappresentante del P.M. aveva richiesto che il ricorso avanzato dal Bevilacqua fosse dichiarato irricevibile, in quanto proposto oltre il termine quinquennale di prescrizione del diritto a chiedere la pensione.

Rammenta l'ordinanza "che, con sentenza n. 97 del 19-25 giugno 1980, la Corte costituzionale ha avuto già modo di dichiarare la illegittimità costituzionale degli artt. 114 della legge 10 agosto 1950, n. 648, e 109 della legge 18 marzo 1968, n. 313, ed inoltre degli artt. 86, primo comma, del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti approvato con R.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e 116 del T.U. approvato con d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, nella parte in cui prescrivevano, per la proposizione dei ricorsi in materia di pensioni di guerra, il termine perentorio di novanta giorni dalla notificazione o consegna del provvedimento impugnato.

A ciò la Corte costituzionale fu indotta per gli stessi motivi che avevano determinato la dichiarazione di incostituzionalità dell'analogo termine di 90 giorni per l'impugnazione dei provvedimenti in materia di pensioni ordinarie (sent. n. 8 del 1976)".

Secondo il giudice a quo i citati artt. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1978, 25 e 26 del d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, hanno invece reintrodotto una palese disparità di trattamento tra i titolari di pretese in materia di pensioni di guerra e i titolari di pretese in materia di pensioni ordinarie per i quali il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilità, "non si perde per prescrizione (art. 5 del T.U. 29 dicembre 1973 n. 1092)", mentre nessun termine di decadenza é fissato per la proposizione del ricorso alla Corte dei conti. In tal guisa, verrebbe a infrangersi quel processo di omogeneizzazione della tutela giurisdizionale dei due diritti alla pensione ordinaria e alla pensione di guerra, realizzato dalla stessa Corte costituzionale con le sentenze n. 170 del 1971; n. 38 del 1972; n. 41 del 1973; nn. 85 e 131 del 1975.

2. - Nel giudizio innanzi a questa Corte é intervenuto, con atto depositato il 9 novembre 1982, il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato.

Nell'atto di intervento, l'Avvocatura stessa osserva preliminarmente che per quanto attiene all'art. 26 del d.P.R. n. 834 del 1981 la dedotta questione di legittimità costituzionale appare inammissibile data la non rilevanza, per gli effetti di causa, della stessa. Per il resto, rammenta che la Corte costituzionale con sentenza 22 aprile 1980 n. 55, premesso che la pensione di guerra ha cause e finalità nettamente distinte da quelle delle pensioni ordinarie, ha affermato che "se sul piano processuale possono non sussistere elementi idonei a giustificare una differente disciplina in ordine alla tutela delle ragioni degli aventi diritto a pensioni ordinarie o di guerra, sussistono viceversa motivi i quali giustificano una differente normativa in ordine alla disciplina sostanziale, senza che ne risulti violato il principio di uguaglianza".

Precisato, altresì, che la razionale giustificazione del previsto termine quinquennale di prescrizione del diritto a conseguire il peculiare risarcimento costituito dalla pensione di guerra, risiede oltretutto nell'avere il legislatore ordinario inteso disciplinare la materia in maniera analoga a quanto stabilito in via generale in tema di risarcimento dei danni, dall'art. 2947 c.c., l'atto conclude chiedendo che la Corte costituzionale voglia dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale.

 

Considerato in diritto

 

1. - Viene in esame, anzitutto, l'eccezione di difetto della rilevanza opposto dall'Avvocatura dello Stato, in ordine alla verifica, per i fini di causa dell'art. 26 d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, secondo il cui disposto avrebbe trovato ingresso, nel procedimento pensionistico, una disparità di trattamento non giustificata ex art. 3 Cost., ove abbiano a concorrere istanze, da parte del medesimo soggetto, sia di pensione di guerra che di pensione ordinaria privilegiata per servizio allo Stato.

La censura opposta va accolta. Dal giudizio a quo non emerge in alcun modo che il ricorrente avesse potuto esperire pretese bivalenti siffatte, qualificato come é egli, in atti, per girovago (recte: zingaro) illetterato; né che - comunque - tali pretese abbia, in concreto, esperite. Di conseguenza, sotto questo non pertinente profilo, la questione va dichiarata inammissibile.

2. - Il giudice a quo ha ancora prospettato, sempre ex art. 3 Cost., disparità di trattamento, risultante dagli artt. 99, comma secondo d.P.R. n. 915/1978 e 116, comma primo stesso decreto, nel testo sostituito dall'art. 25 del già menzionato d.P.R. n. 834/1981, là dove é stabilito, o richiamato, che il diritto a richiedere la liquidazione della pensione (di guerra) si prescrive trascorsi cinque anni dal servizio di guerra ovvero dagli eventi che ai fatti bellici si riconnettono. E tanto - ad avviso sempre dell'ordinanza di rimessione - nel confronto con "i titolari di pretese in materia di pensioni ordinarie per i quali il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilità, non si perde per prescrizione (art. 5 del T.U. 29 dicembre 1973, n. 1092)".

3. - La questione non é fondata. Questa Corte ha già avuto, più volte, l'occasione di porre a raffronto le diverse discipline normative che caratterizzano l'ordinamento delle pensioni ordinarie e rispettivamente delle pensioni, assegni o indennità di guerra. E pur sottolineando il distinto titolo giuridico ha riconosciuto la pari esigenza di tutela nei confronti delle rispettive pretese (sentenze nn. 170/1971; 38/1972; 41/1973; 85 e 131/1975; 97/1980). . Quest'ultima sentenza (n. 97), pur ricordata nell'ordinanza di rimessione, ha peraltro posto in chiara luce le motivazioni logiche che si riconnettono alla statuizione del qui dedotto art. 99 d.P.R. n. 915/1978 (e quindi anche, per la parte che interessa, dell'art. 25 d.P.R. n. 834/1981), riconducendole alla ovvia "esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della morte o invalidità da causa di servizio o fatto di guerra ad opera delle competenti autorità amministrative o sanitarie". Tant'é - può ancora osservarsi a completamento - che il quinquennio, senza indagare qui sulla natura di detto termine, é elevato ad anni dieci, per effetto del penultimo comma del più volte indicato art. 99, nei confronti degli invalidi, affetti da parkinsonismo.

Orbene, se é questa l'esigenza accertativa racchiusa nella dedotta disciplina, il giusto tertium comparationis va ricercato - nella disciplina dei trattamenti ordinari - per fattispecie d'analoga natura: nell'ambito del trattamento privilegiato cioé, là dove - in altri termini - il rapporto di impiego o di servizio riveste solo la caratteristica, pur indispensabile e rilevante, di mera premessa storica di fondo; mentre ivi, per contro, vengono positivamente esaltate le correlazioni e i nessi, concernenti gli altrettanto indispensabili accertamenti medico-legali dell'occorso evento, tali - conclusivamente - da far pervenire, se favorevoli, alla liquidazione della pensione, ancorché fuori dallo scorrere temporale nell'attività di servizio, richiesto, altrimenti, in via normale.

Pertanto, nella comparazione delle norme al riguardo é bastevole ricordare che l'art. 169 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) testualmente stabilisce l'inammissibilità della domanda di liquidazione ove "il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione del servizio senza chiedere l'accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte" (termine elevato ad anni dieci per invalidità derivata da parkinsonismo).

Non solo: la sentenza di questa Corte n. 149 del 1979 ha dichiarato, all'incontro, la illegittimità costituzionale del già ricordato art. 169 T.U. n. 1092, nella parte in cui non consente la sospensione dei termini nei confronti dei minori e dei dementi così come invece, prescritto, per la pensionistica di guerra, dall'art. 99 del d.P.R. n. 915/1978.

Sicché quel processo di omogeneizzazione nella tutela delle pretese pensionistiche, sia per i trattamenti ordinari che di guerra, e di cui il giudice a quo si é rettamente preoccupato, appare razionalmente e incontrovertibilmente garantito nel diritto positivo vigente.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 del d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834 (sostitutivo del secondo comma dell'art. 117 del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915) nella parte in cui é previsto un termine quinquennale di prescrizione per la richiesta della pensione di guerra, sollevata dalla Corte dei conti, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 99, comma secondo e 116, comma primo (sostituito quest'ultimo, dall'art. 25 del d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834) del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, nella parte in cui prevedono un termine quinquennale di prescrizione per la richiesta della pensione di guerra, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con la medesima ordinanza della Corte dei conti.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1985.

Leopoldo ELIA - Giuseppe BORZELLINO

Depositata in cancelleria il 2 maggio 1985.