SENTENZA N. 120
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 77 e 78 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 16 dicembre 1981 dal Pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Martini Maria, iscritta al n. 224 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 255 dell'anno 1982;
2) ordinanza emessa il 25 maggio 1982 dal Pretore di Saluzzo nel procedimento penale a carico di Giorgis Roberto, iscritta al n. 631 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 dell'anno 1983;
3) ordinanza emessa il 2 novembre 1982 dal Pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Cardone Raffaele, iscritta al n. 945 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 156 dell'anno 1983.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri:
udito nell'udienza pubblica del 16 settembre 1983 il Giudice relatore Giovanni Conso;
udito l'avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Martini Maria, tratta a giudizio avanti al Pretore di Torino per rispondere del reato di guida senza patente, richiedeva, prima dell'apertura del dibattimento, la sostituzione della pena detentiva con la libertà controllata.
Aperto il dibattimento, il pubblico ministero d'udienza esprimeva parere contrario alla richiesta dell'imputata.
Con ordinanza del 16 dicembre 1981, il Pretore ha, quindi, sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità degli artt. 77 e 78 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui dal loro combinato disposto viene stabilito che il parere sfavorevole del pubblico ministero circa l'applicazione delle sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato esclude la possibilità per il giudice di pronunciare la sentenza prevista dal primo degli articoli impugnati.
Il principio di eguaglianza sarebbe vulnerato perché, a causa del suo carattere vincolante, il parere sfavorevole del pubblico ministero farebbe conseguire "un'inammissibile ed irragionevole disparità di trattamento tra parte pubblica e parte privata": e ciò in quanto, mentre le ragioni dell'imputato debbono, per poter venire accolte, essere vagliate dall'organo giurisdizionale, le ragioni del pubblico ministero, contrarie alla richiesta di applicazione delle sanzioni sostitutive, s'impongono al giudice prescindendo dalla loro fondatezza e senza essere oggetto di "una obiettiva ed imparziale valutazione".
Vi sarebbe, inoltre, violazione dei diritti di azione e di difesa perché all'imputato verrebbe impedita la possibilità di far valere le proprie argomentazioni in sede giurisdizionale a causa di un vero e proprio veto imposto dal pubblico ministero.
Non sarebbe rispettato, infine, l'art. 101, secondo comma, Cost., determinandosi "un vincolo alla" autonomia decisionale" del giudice "sulla base di un atto meramente discrezionale della parte pubblica".
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 15 settembre 1982.
Nel giudizio é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
Circa la denunciata violazione dell'art. 3, primo comma, Cost., l'Avvocatura, premesso che "tutta la giurisprudenza costituzionale univocamente ribadisce che il conclamato principio di eguaglianza va valutato nell'ambito delle peculiarità delle situazioni specifiche prese in considerazione dal legislatore ordinario", deduce che nelle norme impugnate la violazione dell'invocato principio costituzionale andrebbe riguardata in funzione della posizione specifica che nel processo penale ha, rispetto alla parte privata, il pubblico ministero: la differenziazione tra le facoltà spettanti al secondo rispetto a quelle spettanti alla prima troverebbe la sua giustificazione nella sostanziale difformità degli interessi e delle istanze rispettivamente fatte valere.
Nessuna violazione dei diritti di azione e difesa sarebbe, poi, ipotizzabile, giacché col sistema instaurato dalla disciplina contestata non verrebbe attuata alcuna preclusione nei confronti dell'imputato al fine di dare al giudice la prova della sua innocenza. La tematica in questione, secondo l'Avvocatura, atterrebbe, invece, alle modalità per l'applicazione delle sanzioni sostitutive, sanzioni, che, essendo più favorevoli rispetto a quelle edittali, richiederebbero una più meditata ponderazione da parte degli organi istituzionali cointeressati nel rapporto giuridico processuale penale.
Quanto all'ultimo parametro costituzionale invocato dal giudice a quo, rileva l'Avvocatura che nessun vincolo all'autonomia decisionale del giudice potrebbe fondatamente prospettarsi: "sia l'affermazione di colpevolezza, che l'eventuale pronunzia assolutoria " - conclude l'atto d'intervento - "non sono condizionate sotto alcun aspetto dalle potestà conferite dagli artt. 77 e 78 della legge n. 329" (recle: n. 689) "al rappresentante della Pubblica accusa".
2. - Il Pretore di Saluzzo, con ordinanza del 25 maggio 1982 emessa nel procedimento penale a carico di Giorgis Roberto, imputato del reato di cui agli artt. 81, secondo comma, c.p. e 116, n. 2, del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736 (emissione continuata di assegno privo di copertura), premesso che il Giorgis all'apertura del dibattimento aveva richiesto l'applicazione della sanzione sostitutiva (ammettendo, poi, i fatti addebitatigli) e che (al termine dell'istruttoria dibattimentale) il pubblico ministero d'udienza, nell'esprimere parere sfavorevole, aveva eccepito l'illegittimità dell'art. 77 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ha denunciato, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, il suddetto articolo della legge n. 689 del 1981; nella parte in cui "subordina la possibilità da parte del giudice di applicare la particolare procedura ivi prevista al parere favorevole del pubblico ministero".
Secondo il giudice a quo la disciplina impugnata opererebbe una "commistione di attribuzioni tra autorità giudicante ed autorità requirente, in contrasto con i principi fissati nella Costituzione" (rilevabili dagli artt. 107, ultimo comma, 108, secondo comma, e 112), la quale, nel delineare le figure degli organi giudicanti e del pubblico ministero, in relazione alla loro diversa natura, ne avrebbe separato nettamente le funzioni ed i poteri (viene citata la sentenza n. 190 del 1970 di questa Corte). Di qui la conseguenza che al pubblico ministero non potrebbe spettare alcuna competenza ad emettere provvedimenti decisori (e tale dovrebbe ritenersi il parere espresso ex art. 77 della legge n. 689 del 1981), "essendo egli titolare solo dell'esercizio dell'azione penale, che é qualificabile come giurisdizionale soltanto in senso lato ed é cosa ben diversa dalla potestà di giudicare" (sentenze n. 40 del 1963, n. 148 del 1963 e n. 97 del 1975 di questa Corte).
Più in particolare, secondo il Pretore, la norma denunciata contrasterebbe con l'art. 101, secondo comma, Cost., perché nella procedura prevista dall'art. 77 della legge n. 689 del 1981 il giudice incontrerebbe "nel parere dell'organo del - l'accusa un ostacolo insuperabile non solo all'eventuale applicazione del particolare meccanismo processuale, ma altresì all'adozione dello speciale trattamento sanzionatorio introdotto dalla novella".
L'art. 102, primo comma, Cost., verrebbe violato perché, in caso di parere sfavorevole, sarebbe il pubblico ministero ad esercitare, praticamente, col proprio veto (data l'impossibilità di configurare nel nostro ordinamento - atteso il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale espresso dall'art. 112 Cost. - una "trattativa" fra pubblico ministero ed imputato, comportante una sostanziale rinuncia all'esercizio dell'azione penale), una funzione giurisdizionale a contenuto decisorio che l'ordinamento giudiziario, cui l'indicata norma costituzionale fa esplicito rinvio, riserva all'organo giudicante.
Infine, dato che l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali dovrebbe considerarsi strettamente connesso con il diritto di difesa, la norma impugnata confliggerebbe con il combinato disposto degli artt. 24 e 111 Cost.:
da un lato, infatti, il "parere del pubblico ministero, per il quale non é richiesta alcuna motivazione, malgrado abbia contenuto di decisione giurisdizionale, non é autonomamente impugnabile, partecipando di una insindacabile discrezionalità, in quanto sottratto a qualsiasi gravame; dall'altro, verrebbero meno per l'imputato le garanzie di difesa "correlate con gli istituti dell'incompatibilità e della ricusazione, non applica - bili al pubblico ministero, ma solo al giudice, a salvaguardia dell'obbiettività del giudizio".
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 53 del 23 febbraio 1983.
É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Riprodotto, sostanzialmente, il contenuto del precedente atto di intervento, l'Avvocatura, con riferimento alle nuove censure dedotte, nega il carattere decisorio e, quindi, giurisdizionale del parere del pubblico ministero.
3. - Cardone Raffaele, imputato del reato di cui all'art. 72 della legge 1 aprile 1981, n. 121 (abbandono del posto di servizio da parte di un agente della Polizia di Stato), formulava avanti al Pretore di Torino richiesta di applicazione delle sanzioni sostitutive, richiesta sulla quale il pubblico ministero d'udienza esprimeva parere contrario.
Con ordinanza del 2 novembre 1982, emessa al termine del dibattimento, il Pretore di Torino ha sollevato questione di legittimità, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, 101, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., dell'art. 77 della legge 24 novembre 1981, n.689, nella parte in cui attribuisce al parere sfavorevole del pubblico ministero, relativamente all'applicazione di sanzioni sostitutive richieste dall'imputato, natura vincolante per il giudice.
Secondo il Pretore, poiché la particolare procedura prevista dalla legge n. 689 del 1981 consente al difensore di esplicare le sue funzioni nei confronti del solo pubblico ministero, al fine di ottenerne il parere favorevole circa l'applicazione delle misure sostitutive - che solo in caso di giudizio positivo potranno essere concesse dal giudice - si verrebbe a creare "una ingiustificata e non controllabile subordinazione di una parte processuale (imputato) ad un'altra (pubblico ministero) ed una inammissibile ed irragionevole disparità, in contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost.": nel senso che, mentre in caso di parere favorevole "le ragioni dell'imputato debbono essere sottoposte, per poter essere accolte, al vaglio dell'organo giurisdizionale ", "le ragioni del pubblico ministero, contrarie alla richiesta dell'imputato, s'impongono all'organo giurisdizionale, a prescindere dalla propria fondatezza e senza soggiacere ad una obiettiva ed imparziale valutazione".
L'art. 24 Cost. sarebbe violato perché avverso il parere sfavorevole del pubblico ministero il difensore non potrebbe svolgere alcuna difesa, mentre l'impossibilità per il giudice di valutare le ragioni del diniego renderebbe del tutto inutile l'intervento del difensore.
Verrebbe, poi, vulnerato l'art. 111, secondo comma, Cost., non consentendosi all'imputato di proporre ricorso per cassazione avverso un provvedimento - che sia inficiato da violazione di legge - avente ad oggetto la libertà personale, come il parere negativo del pubblico ministero in merito all'applicazione delle richieste sanzioni sostitutive.
Infine, poiché tale parere, se sfavorevole, obbliga il giudice ad una pronuncia negativa, creando un vincolo alla sua autonomia decisionale sulla base di un atto meramente discrezionale ed insindacabile della parte pubblica, risulterebbe non osservato anche l'art. 101, secondo comma, Cost..
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 156 dell'8 giugno 1983.
Anche in questo giudizio é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, che - per probabile scambio di atti difensivi - ha svolto argomentazioni non pertinenti alla proposta questione di legittimità costituzionale.
Considerato in diritto
1. - Le tre ordinanze in epigrafe sottopongono alla Corte questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente coincidenti; i relativi giudizi vengono, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
2. - Oggetto comune di censura é quella parte dell'art. 77, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, che subordina al "parere favorevole del pubblico ministero" la possibilità per il giudice di "disporre con sentenza, su richiesta dell'imputato", l'applicazione della sanzione sostitutiva" della libertà controllata o della pena pecuniaria.
Una precisazione s'impone preliminarmente al fine di individuare con esattezza la norma giuridica impugnata. In ciascuno dei procedimenti a quibus il problema dell'applicabilità della libertà controllata o della pena pecuniaria su richiesta dell'imputato é venuto in discussione solo dopo l'apertura del dibattimento, mentre l'art. 77, primo comma, prende in diretta considerazione l'esercizio di detto potere " nel corso dell'istruzione e fino a quando non sono compiute per la prima volta le formalità di apertura del dibattimento": opportunamente, quindi, una delle tre ordinanze - quella del Pretore di Saluzzo - coinvolge nel giudizio anche l'art. 78, il cui secondo comma si riferisce al "giudice del dibattimento" ed al "pubblico ministero di udienza". Questa precisazione comporta che non si possa, altresì, prescindere dall'art. 79, che la stessa legge 24 novembre 1981, n. 689, appositamente ed espressamente dedica all'applicazioi1e del nuovo istituto "nell'ulteriore corso del procedimento", vale a dire "in ogni stato e grado del procedimento" successivi all'avvenuta apertura del dibattimento davanti al giudice di primo grado.
Di conseguenza, la norma da esaminare é rappresentata dagli artt. 77, primo comma, e 78, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, in relazione all'art. 79 della stessa legge, nella parte concernente i rapporti tra pubblico ministero e giudice. Infatti, pur non avendo i giudici a quibus espressamente indicato tale ultimo articolo, dalle ordinanze di rimessione risulta nettamente individuata e chiaramente evidenziata nei sensi suddetti la norma sottoposta a vaglio di costituzionalità (v., in proposito, la sentenza n. 63 del 1982: cioé, la norma secondo cui, in qualsiasi stato e grado del procedimento, anche al di là dell'istruzione e degli atti preliminari al dibattimento di primo grado, sempre occorrerebbe il parere favorevole del pubblico ministero per addivenire all'applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato.
3. - Questa norma, ad avviso dei giudici a quibus, sarebbe in contrasto con una pluralità di parametri costituzionali, alcuni dei quali invocati da tutte le ordinanze (artt. 24 e 101, secondo comma, Cost.) ed altri non così unanimemente (artt. 3, primo comma, 102, primo comma, e 111, secondo comma, Cost.), ma sempre facendo leva sul ruolo esorbitante che ne deriverebbe al pubblico ministero non solo nei confronti dell'imputato, bensì anche e soprattutto nei confronti del giudice. Essa viene ricavata da un'interpretazione della sezione II del capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, decisamente orientata ad intendere come globale il rinvio che l'art. 79 fa all'art. 77 e, quindi, a riconoscere come valevole in ogni stato e grado del procedimento la portata di tutte le prescrizioni contenute nell'art. 77, a cominciare da quella che richiede il parere favorevole del pubblico ministero
Si tratta, innegabilmente, di un'interpretazione assai diffusa tanto nella giurisprudenza di merito quanto in dottrina. Tuttavia, consentono di escludere cI1e si debba, al momento, ritenere formato un diritto vivente la mancanza di precedenti nella Giurisprudenza della Corte di cassazione e, insieme, l'ancor breve periodo di applicazione dell'istituto in questione, totalmente nuovo per il nostro ordinamento (e con solo vaghe affinità in ordinamenti stranieri) sia sotto il profilo dell'introduzione di sanzioni sostitutive della detenzione, sia soprattutto sotto il profilo della loro applicabilità su richiesta dell'imputato, cui può seguire un'atipica "estinzione del reato".
4. - Prima ancora che da considerazioni di ordine logico - sistematico (non va trascurata, in particolare, la differenza intercorrente, quanto a legittimazione soggettiva attiva, tra il parere demandato nell'istruzione al procuratore della Repubblica ed il parere demandato nel dibattimento al pubblico ministero di udienza, tutte le volte - e sono le più - che il procedimento interessato sia di competenza pretorile), é dalla stessa lettera dell'art. 79 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che, secondo un indirizzo dottrinale, prende spunto una diversa prospettazione dei suoi rapporti con l'art. 77: una prospettazione tale da circoscrivere l'incidenza del rinvio racchiuso nell'art. 79 al riconoscimento della possibilità per il giudice di adottare, anche nel corso ulteriore del processo, il provvedimento configurato dall'art. 77, in tutti i suoi contenuti.
La formula "il giudice può procedere ai sensi dell'art. 77 in ogni stato e grado del procedimento" non implica necessariamente un concomitante richiamo dell'iter procedimentale antecedente l'adozione del provvedimento. Potrebbe trarsene conferma dal fatto che l'art. 79 prosegue e si conclude con l'esplicitare l'esigenza che l'imputato abbia "formulato la richiesta di cui allo stesso articolo (il 77) nel termine previsto": se il "può procedere ai sensi dell'art. 77" fosse comprensivo di tutti gli aspetti disciplinati da quest'ultimo, inclusi quelli di natura procedimentale, correrebbe il rischio di apparire superflua l'espressa prescrizione che esista una richiesta formulata dall'imputato entro il termine stabilito dall'art. 77 La verità é che l'art. 77 pone sì un termine ("fino a quando non sono compiute per la prima volta le formalità di apertura del dibattimento"), ma lo pone non tanto con riguardo all'iniziativa dell'imputato, quanto con riguardo all'esercizio del potere di sostituzione da parte del giudice nei modi ivi previsti, compreso il parere favorevole del pubblico ministero. Scaduto quel termine, l'ambito di applicazione dell'art. 77, completato, per ciò che attiene alla determinazione delle competenze, dall'art. 78, primo comma, sarebbe di per se esaurito. L'art. 79, in uno con il già ricordato secondo comma dell'art. 78, gli ridà spazio, ma soltanto per gli aspetti chiaramente richiamati dallo stesso art. 79 e, comunque, non suscettibili di trovare soluzione nelle prescrizioni del diritto comune. Per gli altri aspetti, invece, non strettamente collegati alla specialità del rito, le norme generali, in quanto non espressamente derogate, tornano nuovamente ad operare.
In particolare, per quel che concerne il pubblico ministero, nell'assenza di un sicuro rinvio in proposito dell'art. 79 all'art. 77, nulla impedisce di riconoscere piena applicabilità alle disposizioni generali che il libro primo del codice di procedura penale, da integrare con le disposizioni dettate per il dibattimento, dedica alle conclusioni del pubblico ministero, prescrivendole (art. 76 c.p.p.) come necessarie, mai come vincolanti.
5. - Prestandosi la normativa da applicare nei procedimenti a quibus ad una interpretazione diversa dalla lettura offertane dalle ordinanze di rimessione, donde la possibilità di avvalersene per la definizione delle relative controversie, le sollevate eccezioni di legittimità risultano senz'altro superabili, dal momento che proprio l'interpretazione or ora delineata consente di pervenire nei casi di specie a quella soluzione che i giudici a quibus riterrebbero raggiungibile soltanto in forza dei principi costituzionali invocati (cfr., per analoghi precedenti, le sentenze n. 13 del 1979 e n. 191 del 1983).
Più precisamente, una volta escluso che, per poter far luogo all'applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato dopo l'apertura per la prima volta del dibattimento di primo grado, sia indispensabile il parere favorevole del pubblico ministero, dovendosi intendere limitata alle fasi dell'istruzione e del predibattimento la portata preclusiva del parere sfavorevole del pubblico ministero, due diventano le conseguenze da trarre: per un verso, viene meno, con il cadere del presupposto da cui hanno preso le mosse i giudici a quibus, la stessa possibilità di ravvisare l'esistenza di un contrasto della normativa applicabile nel dibattimento con i vari parametri richiamati nelle ordinanze, mentre, per l'altro verso, viene ad emergere la non fondatezza del contrasto con i medesimi parametri ipotizzabile nei confronti della norma che trova applicazione prima del dibattimento.
Infatti, la principale argomentazione addotta dall'Avvocatura dello Stato per sostenere la non fondatezza delle questioni sollevate - e, cioé, l'argomentazione secondo cui il legislatore farebbe soltanto "discendere da un apprezzamento discrezionale del pubblico ministero l'applicabilità o meno di uno specifico schema processuale", senza, pertanto, introdurre, allorquando il parere del pubblico ministero sia negativo, né ingiustificati squilibri con la difesa, sempre in grado di "far valere le proprie argomentazioni" nella pienezza degli sviluppi dello schema processuale ordinario, né, tanto meno, inaccettabili limitazioni per il giudice, che conserva "integro" il suo potere decisionale - merita adesione se ed in quanto riferita a fasi anteriori al dibattimento di primo grado, laddove non si potrebbe dire altrettanto se al parere negativo del pubblico ministero fosse riconosciuta natura vincolante anche dopo l'apertura del dibattimento.
Fino a che il dibattimento non sia stato aperto, la formulazione di un parere negativo con efficacia vincolante da parte del pubblico ministero altro non significa che preclusione ad un epilogo del procedimento in anticipo rispetto alla fase processuale maggiormente garantita, qual é il dibattimento imperniato sul contraddittorio diretto tra le parti. In altre parole, il no del pubblico ministero, circoscritto alle fasi dell'istruzione e degli atti predibattimentali, equivale, in armonia con le normali prerogative del pubblico ministero (v. artt. 74, 396, 502 c.p.p.), ad una determinata scelta del rito processuale, nel senso di un passaggio - assolutamente non eludibile con la sentenza che dichiara estinto il reato per intervenuta applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato - alla fase del dibattimento: fase nel corso della quale le parti avranno la piena possibilità di tutelare le rispettive posizioni, in parità di armi, compresi sia il mantenimento della richiesta di una sanzione sostitutiva ai sensi dell'art. 77, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, sia un nuovo interpello del pubblico ministero, ed il giudice avrà ogni potere decisionale, compreso quello di accogliere o no la richiesta dell'imputato, indipendentemente dall'atteggiamento assunto dal pubblico ministero.
Così circoscritta alle fasi precedenti il dibattimento di primo grado, la norma che conferisce portata vincolante al parere negativo del pubblico ministero non contrasta, dunque, con nessuno dei parametri costituzionali invocati: A) Non con il primo comma dell'art. 3 Cost., perché le ragioni del pubblico ministero, contrarie alla richiesta dell'imputato, non si impongono in modo definitivo al giudice, ma anch'esse, come quelle dell'imputato, riceveranno obiettiva ed imparziale valutazione nella fase del dibattimento: la differenza riscontrabile fra pubblico ministero ed imputato per le fasi che precedono il dibattimento trova giustificazione nelle esigenze sottostanti all'esercizio dell'azione penale, sulle cui forme e modi il legislatore chiama il pubblico ministero a vigilare (v., per tutte, la sentenza n. 93 del 1974), sino al punto di addivenire ad uno sdoppiamento tra pretore e procuratore della Repubblica nei momenti più delicati dell'intervento pretorile (si pensi, come norma alla quale l'art. 77, primo comma, é sotto certi aspetti maggiormente suscettibile di accostamento, all'art. 74, quarto comma, c.p.p, di cui questa Corte ha escluso - v. le sentenze n. 102 del 1964 e n. 95 del 1975 - la dedotta illegittimità). B) Non con l'art. 24, primo e secondo comma, Cost., perché la richiesta dell'imputato non viene ad essere sottratta in modo definitivo alla valutazione del giudice, restando acquisita al processo, in attesa di un più approfondito esame nel contraddittorio della fase dibattimentale. C) Non con l'art. 101, secondo comma, Cost.' perché, con il pretendere il passaggio al dibattimento, il pubblico ministero lascia intatte, anzi esalta, le attribuzioni di organo giudicante proprie del giudice, nella pienezza della sua libertà di valutazione e di convincimento, ben potendo questi emettere in sede dibattimentale qualsiasi tipo di sentenza, compresa la declaratoria di estinzione del reato per applicazione della sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato. D) Non con l'art. 102, primo comma, Cost., perché ciò che attiene all'esercizio dell'azione penale, nelle varie forme di impulso processuale previste dal legislatore, com'è il caso di ogni richiesta vincolante di passaggio al dibattimento da parte del pubblico ministero, "se pur evidentemente implica una valutazione in senso logico delle prove raccolte, non per questo acquista natura decisoria, essendo diversa dal giudizio in senso tecnico, in quanto non contiene alcuna decisione sulla notitia criminis, così da non "sconfinare nel campo dell'attività decisoria riservata al giudice" (cfr. la sentenza n. 96 del 1975): una diversità che, nella fattispecie, risulta ulteriormente sottolineata, quando si tratta di procedimenti pretorili, dal già ricordato sdoppiamento di compiti tra pretore e procuratore della Repubblica. E) Non con l'art. 111, secondo comma, Cost., perché, per le ragioni dianzi evidenziate, un parere negativo dalla cui formulazione discende soltanto la necessità di far posto al dibattimento non integra in alcun modo gli estremi di un provvedimento decisorio da sottoporre a ricorso per cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 77 e 78 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 1984.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA -Giovanni CONSO - Ettore GALLO
Depositata in cancelleria il 30 aprile 1984.