SENTENZA N. 102
ANNO 1964
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIEACIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 74, ultima parte, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 novembre 1963 dal Pretore di Pieve di Cadore nel procedimento penale a carico di Sartori Rodolfo, iscritta al n. 36 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 67 del 14 marzo 1964.
Udita nella camera di consiglio del 22 ottobre 1964 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì.
Ritenuto in fatto
Nel procedimento contro Sartori Rodolfo, imputato del reato previsto e punito dall'art. 590 del Codice penale, il Pretore di Pieve di Cadore, con ordinanza del 10 luglio 1963, ha dichiarato non doversi promuovere l'azione penale a sensi dell'art. 74 ultima parte del Codice di procedura penale. Il Procuratore della Repubblica di Belluno, esaminati gli atti del processo, ha disposto che si proceda a perizia delle lesioni riportate dalla parte offesa. Ma il Pretore - con ordinanza del 13 novembre 1963 - ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 74, ultima parte, del Codice di procedura penale in riferimento agli artt. 101, primo capoverso, 107, secondo capoverso, nonché in generale al titolo IV, sezione I, della parte II della Costituzione.
Nella ordinanza si osserva che la norma impugnata attribuisce al Procuratore della Repubblica il potere di dare ordini, in quanto il Pretore non può sottrarsi all'obbligo di procedere, ed il potere di annullamento del decreto di non doversi promuovere l'azione penale, emesso da un organo giurisdizionale. Ma poiché detti poteri caratterizzano il rapporto gerarchico, deve ritenersi che, limitatamente all'istituto in parola, intercede un rapporto siffatto fra il Procuratore della Repubblica ed il Pretore, tanto più contrastante con le norme costituzionali in quanto trattasi di sottoposizione di un organo giudicante ad un organo requirente.
L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 67 del 14 marzo 1964.
Nel presente giudizio non vi é stata costituzione di parti.
Considerato in diritto
Secondo l'ordinanza di rimessione, la norma dell'art. 74 del Codice di procedura penale, in quanto prescrive che, dopo il decreto del Pretore di non doversi promuovere l'azione penale, il Procuratore della Repubblica può "richiedere gli atti e disporre invece che si proceda", sarebbe in contrasto con le norme della Costituzione che intendono escludere qualsiasi principio di gerarchia nell'ordine giudiziario: la norma conferirebbe al Procuratore della Repubblica il potere di dare ordini ed il potere di annullamento, i quali sarebbero fra gli elementi costitutivi più importanti del rapporto gerarchico.
La questione non é fondata.
Nel processo penale, la legge regola i rapporti fra organo requirente ed organo giudicante tenendo conto della specifica funzione del P. M., cui compete promuovere ed esercitare l'azione penale. Rispetto all'assunzione delle prove, il P. M. formula richieste alle quali il giudice dà corso, in attuazione della esigenza di giustizia sostanziale che nessuna indagine venga pretermessa nella ricerca della verità. Quello del P. M., dunque, é un potere di richiesta che non si risolve in quello di dare ordini, nonostante la impropria formula legislativa della norma impugnata "dispone" e nonostante la necessaria adesione del giudice alla richiesta stessa.
Nella ipotesi prevista dall'ultima parte dell'art. 74 del Codice di procedura penale, secondo la quale, quando il Pretore ritenga di non dovere promuovere l'azione penale, può intervenire il Procuratore della Repubblica per una ulteriore valutazione, i due diversi organi operano non in ragione di un rapporto gerarchico da superiore ad inferiore, ma nella esplicazione di funzioni diverse, necessarie per il raggiungimento dei fini che il processo persegue. Così come il Procuratore generale od il Procuratore della Repubblica - impugnando una sentenza del Tribunale o del Pretore - agiscono in quanto la legge affida loro l'esercizio di una facoltà intesa ad appagare esigenze di giustizia (artt. 512 e 513 del Codice di procedura penale), l'intervento del Procuratore della Repubblica nel suindicato decreto del Pretore deve essere inteso siccome esplicazione di una necessaria funzione processuale, prevista per le stesse esigenze.
Né appare esatto che la norma impugnata conferisca al Procuratore della Repubblica un potere di annullamento, siccome ritiene l'ordinanza. Prima che l'art. 74 venisse modificato dall'art. 6 del D. L. L. 14 settembre 1944, n. 288, il provvedimento col quale il P.M. ordinava la trasmissione degli atti in archivio aveva carattere amministrativo ed era revocabile. Anche dopo la emanazione della nuova disposizione di legge, il decreto col quale il giudice dichiara di non doversi promuovere l'azione penale (questa formula non va confusa, siccome fa l'ordinanza, con quella di non doversi procedere che riguarda casi diversi) non chiude né definisce alcun procedimento istruttorio, che anzi dichiara di non volere iniziare, e, riferendosi soltanto all'esperimento di indagini, conserva il carattere di atto che non preclude l'esercizio dell'azione penale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 74, ultima parte, del Codice di procedura penale, sollevata dal Pretore di Pieve di Cadore con ordinanza del 13 novembre 1963, in riferimento agli artt. 101, primo capoverso, e 107, secondo capoverso, nonché in generale al titolo quarto, sezione prima, della parte seconda della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 1964.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 1964.