Sentenza n. 9 del 1982
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SENTENZA N. 9

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 428, comma primo, cod. proc. pen. (assistenza all'udienza dell'imputato libero), promosso con ordinanza emessa il 23 maggio 1975 dal Tribunale di Varese, nel procedimento penale a carico di Valmaggia Antonio ed altri, iscritta al n. 466 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 306 del 19 novembre 1975.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 novembre 1981 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa all'udienza dibattimentale del 23 maggio 1975 nel procedimento penale a carico di Valmaggia Antonio ed altri, il Tribunale di Varese - premesso che l'imputato Paga Luigi, già interrogato, non era comparso perché legittimamente impedito (in quanto sottoposto il giorno prima ad appendicectomia presso un ospedale) - sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 428, primo comma, c.p.p., assumendone il contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.

Ad avviso del Tribunale, detta disposizione - nella parte in cui non consente (secondo la costante interpretazione della Corte di cassazione, peraltro suffragata dalla relazione, del Guardasigilli al codice vigente) la sospensione o il rinvio del dibattimento nel caso in cui l'imputato, dopo l'interrogatorio, si astenga dal comparire (o si allontani dall'udienza) per legittimo impedimento - si risolverebbe in una chiara compromissione del diritto di difesa, garantito dall'art. 24 Cost. non solo sotto il profilo della difesa tecnica ma anche sotto quello dell'autodifesa. A sostegno di tale assunto, il Tribunale richiamava la sentenza n. 205 del 1971 di questa Corte, ove si afferma che "l'autodifesa mediante risposte all'interrogatorio, discolpe e dichiarazioni in genere, é certamente diritto primario dell'imputato garantito dalla Costituzione, immanente a tutto l'iter processuale, dalla fase istruttoria a quella del giudizio (artt. 367, 441 e 443 c.p.p.) sino al momento di chiusura del dibattimento in cui l'imputato deve avere per ultimo la parola (art. 468 c.p.p.)".

Secondo il giudice a quo, inoltre, la norma in questione contrasterebbe anche con l'art. 3 Cost., in quanto dà luogo ad una disparità di trattamento tra imputato libero ed imputato detenuto, "cui, per contro, l'art. 427 cpv. c.p.p. assicura in qualsiasi momento e, quindi, anche dopo l'interrogatorio, in presenza di legittimo impedimento, il diritto alla sospensione o al rinvio del dibattimento".

Tale diversità di trattamento giuridico non é, ad avviso del Tribunale, razionalmente giustificabile, essendo le due situazioni omogenee nel loro nucleo essenziale (stato di legittimo impedimento) e dovendosi considerare irrilevante, perché marginale e secondario, l'elemento differenziatore costituito dallo stato di detenzione o di libertà dell'imputato.

La rilevanza della questione sarebbe poi indubbia, "vietando l'attuale normativa la possibilità di sospensione o rinvio del dibattimento e non prevedendo l'ordinamento giuridico altro mezzo succedaneo di tutela del diritto di autodifesa".

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 306 del 19 novembre 1975.

L'Avvocatura dello Stato, intervenuta nel giudizio, negava che la norma impugnata contrastasse con l'art. 24 Cost., osservando che "la pienezza della difesa é assicurata non solo dalla circostanza del già reso interrogatorio, nel quale l'imputato ha potuto fare, presente ai giudici ogni utile elemento a suo favore, ma anche dalla permanenza dell'assistenza del difensore". Infatti quest'ultimo, tra l'altro, potrà sempre sollecitare l'esercizio da parte del giudice delle facoltà previste dagli artt. 431 e 432 c.p.p., ove cioé si profili una ipotesi di assoluta necessità, quale potrebbe essere la ulteriore presenza dell'imputato al dibattimento.

Sotto il profilo, poi, dell'asserito contrasto col principio di uguaglianza, l'Avvocatura rilevava che il differente trattamento previsto dagli artt. 427 e 428 c.p.p. é giustificato dalla oggettiva diversità della situazione dell'imputato detenuto rispetto a quella dell'imputato libero, giacché "lo stato di detenzione determina sicuramente per l'imputato una diminuzione, anche sotto il profilo soggettivo, della piena possibilità di difesa".

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Varese dubita della legittimità costituzionale dell'art. 428, primo comma, del codice di procedura penale "nella parte in cui non consente la sospensione o il rinvio del dibattimento ove l'imputato (libero), già interrogato, si astenga dal comparire (o si allontani) dall'udienza per legittimo impedimento".

Secondo il giudice a quo, la disposizione di legge denunziata contrasterebbe, anzitutto, con l'art. 24, secondo comma, Cost., perché il diritto di difesa é ivi garantito all'imputato "nella sua interezza, e cioè sotto il duplice profilo dell'assistenza e rappresentanza (c.d. difesa tecnica) e della partecipazione personale al dibattimento (c.d. autodifesa o difesa materiale)". Il divieto che l'art. 428 c.p.p., nella interpretazione consolidata, pone al giudice di sospendere o rinviare il dibattimento se l'imputato, libero, comparso e già interrogato si allontani o si astenga dall'ulteriormente comparire, anche quando l'assenza di lui é dovuta ad assoluta impossibilità per legittimo impedimento, "si risolve", perciò, "in una chiara compromissione dell'inviolabile diritto di difesa, costituzionalmente garantito", in quanto impedisce il pieno esercizio della difesa, sotto il profilo della autodifesa o difesa materiale.

In secondo luogo, sempre secondo il Tribunale di Varese, la disposizione di legge censurata contrasterebbe con l'art. 3, primo comma, Cost., per l'ingiustificata disparità di trattamento riservato all'imputato libero nei confronti di quello detenuto, dal momento che ove quest'ultimo, per legittimo impedimento, versi nella impossibilità assoluta di continuare a presenziare o di comparire al dibattimento pur dopo aver reso l'interrogatorio, il giudice sospende o rinvia, anche di ufficio, il dibattimento stesso (art. 427 cpv. in relazione all'art. 497, primo comma, c.p.p.).

2. - Questa Corte, chiamata a decidere questioni di legittimità costituzionale prospettate con riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., ha avuto modo di rilevare che tale disposto costituzionale contiene la "categorica affermazione del diritto inviolabile di difesa", ma non anche "l'indicazione dotata di pari forza cogente del o dei modi di esercizio di quel medesimo diritto"; con la conseguenza che spetta al legislatore, considerate le peculiarità strutturali e funzionari ed i diversi interessi in gioco nei vari stati e gradi del procedimento, dettare le modalità per l'esercizio del diritto di difesa, alla condizione, si intende, che esso venga, nelle diverse situazioni processuali garantito a tutti su un piano di uguaglianza e in forme idonee (sent. n. 125 del 1979 e n. 188 del 1980).

Muovendo da queste premesse, con riferimento al processo penale ed alla fase dibattimentale, nella quale si tende a realizzare la pienezza del contraddittorio, questa Corte ha osservato che in essa la difesa dell'imputato può essere esercitata mediante attività svolte dall'imputato stesso e/o dal suo difensore, l'una e l'altra pienamente garantite dalle vigenti norme processuali, che, peraltro, non disciplinano rigidamente i rapporti tra i due soggetti, di talché sono possibili sostanziosi spostamenti nell'equilibrio delle attività consentite vuoi all'imputato vuoi al suo difensore, senza pregiudizio della piena autonomia delle scelte difensive, la cui incoercibilità rappresenta, oltre che un dato di fatto, l'immediato risvolto della inviolabilità del diritto in questione. Ha rilevato ancora la Corte che "la possibilità di una piena difesa personale é riconosciuta all'imputato in tutto il corso del dibattimento ed a conclusione di esso (artt. 443 e 468, terzo comma, c.p.p.) dal momento che egli ha facoltà di fare tutte le dichiarazioni che ritiene opportune e di avere per ultimo la parola, incontrando il solo limite della pertinenza delle sue dichiarazioni rispetto al giudizio nonché i limiti generali costituzionalmente posti alla libertà di manifestazione del pensiero (estendendosi, peraltro all'imputato l'esimente di cui all'art. 598 c.p.); ed ha inoltre facoltà di conferire con il proprio difensore tutte le volte che lo desideri, tranne che durante l'interrogatorio o prima di rispondere a domande rivoltegli. Veniva così riconosciuto che "il diritto all'autodifesa, sancito dall'art. 24, secondo comma, Cost., quale diritto irrinunciabile dell'imputato, distinto dal parallelo diritto di difesa tecnica" (sent. n. 186 del 1973; sent. n. 205 del 1971) trova adeguata tutela nelle vigenti norme processuali, in quanto esse, per la fase dibattimentale, garantiscono all'imputato stesso la possibilità di esercitarlo per tutta la durata ed a conclusione del dibattimento medesimo.

3. - Invero, nel vigente sistema processuale penale, appunto per questo denominato "misto", di regola, ad una fase istruttoria segreta e documentale ispirata, non ostante i temperamenti introdotti, a criteri inquisitori, segue una fase di stampo accusatorio, dominata dai principi della pubblicità, dell'oralità, dell'immediatezza e della concentrazione e nella quale il contraddittorio deve potersi realizzare nella sua pienezza, non solo a tutela dell'imputato ma anche per il più efficace esercizio della stessa funzione giurisdizionale. In questo senso, in relazione al dibattimento, si parla di "garanzia del contraddittorio", proprio perché nel dibattimento si rinnovano ed eventualmente si completano le prove fornite nell'istruzione e si discute la pretesa punitiva fatta valere dal pubblico ministero; soltanto attraverso il dibattimento essendo possibile pervenire alla condanna dell'imputato (salva l'ipotesi della condanna per decreto penale, art. 506 c.p.p.).

Garanzia del contraddittorio significa che la legge deve assicurare alle parti e - per quanto qui interessa - all'imputato la possibilità di partecipare al dibattimento per l'esercizio della attività difensiva consentita, con la conseguenza che soltanto la volontaria rinuncia dell'imputato a presenziare al dibattimento, in quanto espressione di una sua libera e incoercibile scelta difensiva può giustificare, sul piano costituzionale, la limitazione del contraddittorio che in tal modo si attua.

A questo criterio appare ispirata la normativa vigente per ciò che concerne l'assenza dell'imputato al dibattimento. Così, il giudizio contumaciale, é escluso quando é provato che l'assenza dell'imputato é dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento, presumendosi negli altri casi, una volta accertata la regolarità delle notificazioni, la volontà dell'imputato - che non abbia chiesto o consentito che si proceda in sua assenza - di non partecipare al dibattimento (artt. 497 e 498 c.p.p.).

Così, una volta iniziato il dibattimento, costituisce una scelta dell'imputato detenuto rifiutare di assistervi, senza esservi costretto da una assoluta necessità determinata da legittimo impedimento e del pari riconducibile ad un suo comportamento volontario é l'evasione da lui consumata (art. 427 c.p.p.) così come é il suo allontanamento - temporaneo, o anche definitivo in caso di duplice espulsione, ma salvo sempre il diritto a prendere per ultimo la parola - per ordine del presidente, del pretore, o in loro assenza, del pubblico ministero (art. 434 c.p.p., nel testo modificato dall'art. 9 del decreto legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito con modificazioni nella legge 18 maggio 1978, n. 191).

In tutti questi casi l'imputato é rappresentato dal difensore, "ad ogni effetto", statuiscono le pertinenti disposizioni del c.p.p. anche se in realtà la rappresentanza vale solo ai fini del termine per impugnare, di talché l'espressione usata sta, per il resto, a ribadire la intatta possibilità dell'esercizio di attività difensive da parte del difensore.

4. - Dallo schema così riassunto, che vuole garantita all'imputato la possibilità di partecipare al dibattimento, dall'inizio alla fine e consente si proceda senza di lui solo se l'assenza sia, in modo esplicito od implicito, frutto di una sua libera scelta, o comunque di un suo comportamento volontario, fuoriesce la norma denunziata di cui all'art. 428, primo comma, c.p.p., che vieta la sospensione o il rinvio del dibattimento quando l'imputato, libero, si allontana dall'udienza o si astiene dal comparire, in qualsiasi momento dopo l'interrogatorio; norma che, per giurisprudenza costante, in coerenza con il disposto del secondo comma dell'articolo medesimo, per l'uso ivi fatto dell'avverbio "soltanto", viene interpretata nel senso che essa comporta per il giudice un vero e proprio divieto di sospendere o rinviare il dibattimento anche se e quando sia stato accertato - attraverso la libera valutazione operata dal giudice stesso della relativa prova - che l'imputato libero e già interrogato si trova nella assoluta impossibilità di essere presente per legittimo impedimento.

La disposizione di legge in esame con la quale, contro il parere della Commissione parlamentare, venne modificato il sistema del codice del 1913 (che dava facoltà al giudice, nella fattispecie considerata, di sospendere o rinviare il dibattimento per "giusti motivi") fu giustificata (nella relazione al re sul nuovo codice di procedura penale, n. 138) con l'intento di evitare ritardi "non necessari" allo svolgimento del processo, sulla base dell'assunto per cui "dopo aver reso l'interrogatorio, l'imputato, di regola, non ha altro da dire, che l'attività inerente alla difesa viene esercitata dal difensore". É chiaro, per quanto si é sin qui detto, che una affermazione del genere, se può trovare riscontri nella pratica giudiziaria, esprime una concezione estremamente riduttiva della partecipazione personale dell'imputato al dibattimento, che deroga alla regola generale dettata, per questa parte, dallo stesso codice processuale penale e che si pone in netto contrasto non solo e non tanto con i mutamenti intervenuti nei livelli culturali e nei rapporti sociali - che si riflettono nei rapporti tra cittadini e autorità - quanto soprattutto con il diritto di difesa nel processo penale, sotto il profilo della difesa personale, garantito dall'art. 24, secondo comma, Cost., e con la libertà della scelta, appunto, difensiva che esso comporta. Ciò che l'imputato ha (ancora) da dire dopo aver reso l'interrogatorio, non può formare materia di presunzione: certamente non di una presunzione formulata in termini così assoluti come quelli che si desumono dalla norma in questione, che, si ripete, comporta il tassativo divieto di sospendere o rinviare il dibattimento anche là dove - come ad esempio in caso di emergenze processuali del tutto nuove - la necessità di consentirgli di fornire ulteriori discolpe ai fini di un pieno esercizio del diritto di difesa appaia evidente.

Ciò che rileva dunque, ai fini dell'osservanza del disposto dell'art. 24, secondo comma, Cost., é garantire all'imputato la possibilità di intervenire. In un sistema che consente all'imputato di rendere l'interrogatorio anche rifiutandosi di rispondere, senza che perciò, venga minimamente affievolita la sua facoltà di fare successivamente tutte le dichiarazioni che ritiene opportune in sua difesa o di conferire con il suo difensore, escluderlo aprioristicamente dal prosieguo del dibattimento contro la sua volontà in ragione della impossibilità assoluta in cui egli si trovi, per legittimo impedimento, di presenziare ad una udienza determinata comporta un ingiustificato sacrificio dello stesso diritto di difesa, nell'aspetto considerato. Certamente, non sfugge alla Corte la esigenza - al fine di garantire un'ordinata amministrazione della giustizia che "il processo possa progredire verso la decisione finale e se ne impedisca l'indefinito protrarsi" (sentenza n. 111 del 1970). Essa tuttavia, non può valere a giustificare una compressione così incisiva del diritto di difesa quale quella che discende dalla norma impugnata. Da un punto di vista più generale, se la pienezza del contraddittorio al dibattimento é condizione ottimale per lo svolgimento della funzione giurisdizionale possono legittimamente consentirsi soltanto quelle attenuazioni di siffatta garanzia posta - si ripete, nell'interesse non solo dell'imputato ma anche della società - che discendano dall'incoercibilità del diritto di difesa espressione di un fondamentale diritto di libertà, intatto restando l'obbligo del legislatore di predisporre le condizioni che ne rendano possibile l'esercizio.

Né si può condividere l'opinione per cui all'assenza dell'imputato nel dibattimento può sempre e comunque supplire il difensore tecnico, posto che la rappresentanza processuale affidata a quest'ultimo ex lege, volta a consentire, in assenza dell'imputato, uno svolgimento non monologico del dibattimento e soprattutto al fine pratico di cui all'art. 472, ultimo comma, c.p.p., non può fuoriuscire dall'ambito dei compiti di "assistenza" tecnica cui é preposto il professionista, quale ne possa essere l'ampiezza e l'incidenza, strettamente dipendenti, peraltro, dal tipo di rapporto che in concreto si instaura tra i due soggetti. Ed é appena il caso di ricordare che l'unica ipotesi in cui é consentito all'imputato di farsi rappresentare nel giudizio dal difensore é quella prevista dall'art. 125, secondo comma, c.p.p., nella quale tuttavia, é riservata al giudice la facoltà di ordinarne la comparizione personale. Ulteriore dimostrazione questa della ritenuta insostituibilità della presenza dell'imputato al dibattimento (ribadita sotto un profilo sostanziale, dall'art. 445, secondo comma, c.p.p.) e, comunque, della libertà e della autonomia di ogni sua scelta in proposito.

La questione sollevata dal giudice a quo - nei limiti logici in cui si propone, attesa la rigidità della norma impugnata - é dunque fondata in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., restando assorbito l'ulteriore profilo dedotto con riferimento all'art. 3, primo comma, Cost..

In applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, si deve altresì dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 428, secondo comma, c.p.p. limitatamente all'avverbio "soltanto".

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 428, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente la sospensione o il rinvio del dibattimento ove l'imputato, già interrogato, si astenga dal comparire o si allontani dall'udienza per legittimo impedimento;

dichiara - in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - l'illegittimità costituzionale dell'art. 428, secondo comma, del codice di procedura penale, limitatamente all'avverbio "soltanto".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI – Giuseppe SAJA.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 1 febbraio 1982.