SENTENZA N. 186
ANNO 1973
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 134, 169, 266 e 304 del codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse il 20 aprile 1971 dalla sezione istruttoria della Corte d'appello di Bologna nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Giannini Domenico e La Bella Vittorio, iscritte ai nn. 371 e 420 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 273 del 27 ottobre 1971 e n. 323 del 22 dicembre 1971.
Udito nella camera di consiglio dell'8 novembre 1973 il Giudice relatore Nicola Reale.
Ritenuto in fatto
1. - Risulta dall'ordinanza del 20 aprile 1971 della sezione istruttoria presso la Corte di appello di Bologna che Giannini Domenico, sorpreso in flagrante furto di un'autovettura ed arrestato, s'abbandonò ad atti di violenza, onde si rese necessario il di lui ricovero nel manicomio giudiziario di Reggio Emilia. Sottoposto a perizia psichiatrica con ordinanza comunicata al difensore di ufficio, nominato dopo che egli aveva revocato la prima nomina del difensore di fiducia, il Giannini veniva ritenuto totalmente infermo di mente.
Avverso la sentenza istruttoria di proscioglimento dell'imputato, giudicato non imputabile per incapacità assoluta di intendere o di volere, proponeva appello il procuratore generale presso la Corte d'appello di Bologna, il quale, tra l'altro, eccepiva l'illegittimità costituzionale degli artt. 88, 134 e 305 del codice di procedura penale, assumendone il contrasto con gli artt. 2, 3, 24 e 27 della Costituzione, in quanto non prevedono la partecipazione nel processo penale di un legale rappresentante dell'imputato infermo di mente per l'esercizio del diritto di difesa.
Con la citata ordinanza del 20 aprile 1971 la sezione istruttoria, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 Cost., ha sollevato dubbi sulla legittimità degli artt. 134 e 304 cod. proc. pen., nella parte in cui non dispongono che, ai fini della nomina del difensore di fiducia, l'imputato infermo di mente sia rappresentato dal tutore eventualmente già nominato o assistito da un curatore speciale, nonché degli artt. 169 e 266 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che la copia dell'atto notificando sia consegnata anche al tutore o al curatore suddetti.
2. - Identiche questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dalla stessa sezione istruttoria con ordinanza in pari data, nel corso del procedimento penale a carico di La Bella Vittorio. Questi, ricoverato presso l'Ospedale psichiatrico di Rieti, veniva sottoposto a perizia psichiatrica e riconosciuto infermo di mente. Avverso la sentenza istruttoria di proscioglimento dell'imputato, giudicato non imputabile per incapacità assoluta d'intendere o di volere, proponeva appello il procuratore generale con le medesime argomentazioni surriferite, cui seguiva la correlativa decisione della sezione istruttoria, anch'essa nei medesimi termini.
3. - Nei giudizi innanzi a questa Corte non vi é stata Costituzione di parte né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Con le ordinanze di cui in epigrafe della sezione istruttoria presso la Corte d'appello di Bologna sono sollevate identiche questioni, che possono essere decise con unica sentenza, previa riunione dei relativi giudizi.
2. - Nel corso di due procedimenti penali a carico di soggetti, per i quali si rese opportuno, dopo la cattura in esecuzione di appositi mandati, l'accertamento della capacità d'intendere o di volere, la sezione predetta prospetta il dubbio che gli artt. 134 e 304 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che, ai fini della nomina del difensore di fiducia, l'imputato che si assuma infermo di mente, sia legalmente rappresentato dal tutore, nel caso che questi risulti già nominato, o da un curatore speciale, contrastino con i principi di cui agli artt. 2, 3 e 24, secondo comma, della Costituzione. E ciò in analogia con le disposizioni degli artt. 155, quarto comma, cod. pen. e 14, terzo comma, cod. proc. pen., che disciplinano l'intervento del rappresentante legale dell'imputato all'atto di accettazione della remissione della querela, nonché sul presupposto che dalla normativa impugnata derivi una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dell'imputato pienamente capace, nel concreto esercizio del diritto di difesa personale.
La sezione istruttoria inoltre denunzia, sotto profili analoghi, anche gli artt. 169 e 266 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono, per l'ipotesi predetta, che la copia dell'atto da notificarsi all'imputato sia consegnata anche al legale rappresentante, tutore o curatore speciale.
3. - Occorre preliminarmente precisare che, in aderenza ai limiti che all'attuale giudizio di costituzionalità sono segnati dalle fattispecie di merito ed atteso che in entrambi i procedimenti non risulta essere stata previamente dichiarata l'interdizione degli imputati, impropriamente nelle ordinanze si profila l'esigenza della partecipazione del tutore a taluni atti processuali penali.
Il "thema decidendum" resta in tal guisa limitato alla sola problematica concernente l'interposizione di uno speciale rappresentante legale nell'atto di nomina del difensore o nella ricezione degli atti notificandi all'imputato che si assuma essere infermo di mente.
Le questioni così prospettate ed intese non sono fondate.
4. - La peculiare natura del processo penale e degli interessi in esso coinvolti implica necessariamente la diretta e personale partecipazione dell'imputato al compimento degli atti che involgono l'esercizio della di lui difesa in ordine a circostanze di fatto e situazioni che lo riguardano. Si pone, quindi, come eccezionale la possibilità che in rappresentanza dell'imputato intervenga altro soggetto. Ed anzi, anche nel caso di giudizio per reato che la legge punisce soltanto con la multa o con l'ammenda, nel quale é ammesso che l'imputato possa, con mandato speciale, farsi rappresentare dal difensore, il giudice ha potestà di ordinare che egli compaia personalmente (art. 125, secondo comma, cod. proc. pen.), quando ne ritenga opportuna la presenza ai fini degli accertamenti processuali. In particolare, in omaggio ai principi della difesa, la vigente disciplina del processo penale non consente che siano eseguite nei confronti di alcun rappresentante le notificazioni degli atti, la cui legale conoscenza si richiede sia acquisita dall'imputato personalmente, né che altri si sostituisca all'imputato nella nomina del difensore di fiducia.
Siffatta disciplina, secondo unanime dottrina e giurisprudenza, ha fondamento nell'affermata coincidenza nel sistema positivo tra la capacità di essere imputato e la capacità di agire nel processo penale, salve le eccezioni specificamente previste dalla legge (artt. 155, terzo e quarto comma, cod. pen.; 192, secondo comma, e 193, primo comma, cod. proc. pen.). Essa trova d'altronde puntuale riscontro nella garanzia costituzionale del diritto all'autodifesa sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione quale diritto inviolabile dell'imputato, distinto dal parallelo diritto di difesa tecnica (sent. n. 205 del 1971 di questa Corte).
L'autodifesa, nell'ambito del principio del contraddittorio ha riguardo ad un complesso di attività mediante le quali l'imputato, come protagonista del processo penale, ha facoltà di eccitarne lo sviluppo dialettico contribuendo all'acquisizione delle prove ed al controllo della legalità del suo svolgimento.
A tali fini sono specialmente preordinati così il diritto dell'imputato di designare il difensore di fiducia, come il requisito della personalità delle notificazioni degli atti a lui diretti, in quanto volti a renderlo edotto dell'accusa contestatagli, ai fini dell'autodifesa. E ciò senza pregiudizio per l'imputato, ancorché l'organo giudiziario procedente ignori quale sia l'effettivo stato mentale di lui, attesi i poteri-doveri che a riguardo sono conferiti all'organo predetto, in sede di accertamento critico della verità nel processo. Accertamento cui in nessun caso, per effetto di interposizione rappresentativa, può impedirsi all'imputato di partecipare, indicando quegli elementi e quelle circostanze di fatto che egli ritenga utili.
Non può d'altra parte dubitarsi che anche l'incapace d'intendere e di volere può, con le sue dichiarazioni e con i suoi comportamenti, contribuire all'accertamento della verità ed alla realizzazione pratica degli scopi del processo penale.
5. - L'esigenza di assicurare il diritto di difesa materiale anche all'imputato che si assuma incapace d'intendere o di volere, esclude quindi che le norme impugnate creino una irrazionale disparità di trattamento, a causa del pregiudizio di fatto che possa eventualmente derivare all'imputato dall'omesso o non avveduto esercizio della propria difesa, e siano pertanto in contrasto con gli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione. Va osservato al riguardo che gli inconvenienti connessi all'eventuale carenza di una responsabile valutazione, da parte dell'imputato non pienamente capace d'intendere o di volere, delle conseguenze del suo comportamento processuale trovano congruo rimedio nella tempestiva nomina del difensore, da parte dell'organo procedente: difensore che, anche se nominato d'ufficio, deve essere informato degli atti riguardanti il suo assistito, onde possa pienamente espletare, sotto i profili deontologico e giuridico-processuale, le funzioni inerenti al mandato conferitogli.
Né va trascurato il potere-dovere dell'organo giudiziario di procedere scrupolosamente agli accertamenti che si rendano opportuni vagliando criticamente la fondatezza delle dichiarazioni dell'imputato, particolarmente quando, o nel corso dell'interrogatorio o per informative da parte di autorità o di soggetti che vi abbiano interesse, vengano posti in evidenza anormalità psichiche o comportamenti tali da esigere che siano disposte indagini medico-legali.
Alla tematica del diritto di auto-difesa é infine ispirato il disposto dell'art. 88 cod. proc. pen., inteso ad evitare, nell'ambito della razionale interpretazione di esso, ovviamente demandata al giudice del merito, che l'imputato rimanga pregiudicato, nell'esercizio dei suoi diritti, dalla circostanza che non sia in grado di attendere consapevolmente ed efficacemente alla propria difesa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 134, 169, 266 e 304 del codice di procedura penale, sollevate dalla sezione istruttoria presso la Corte d'appello di Bologna con le ordinanze in epigrafe, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1973.
Francesco PAOLO BONIFACIO – Giuseppe VERZÌ – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1973.