SENTENZA N. 111
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZI'
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
AVV. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 501, primo e ultimo comma, del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 22 maggio 1968 dalla Corte di cassazione - sezione seconda penale - nel procedimento penale a carico di Leone Italo, iscritta al n. 221 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 305 del 30 novembre 1968;
2) ordinanza emessa il 10 dicembre 1968 dalla Corte d'appello di Caltanissetta nel procedimento penale a carico di Coljanni Michele Vincenzo Nunzio, iscritta al n. 8 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 del 26 febbraio 1969.
Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1970 il Giudice relatore Michele Fragali.
Ritenuto in fatto
La Corte di cassazione (ordinanza 22 maggio 1968) e la Corte di appello di Caltanissetta (ordinanza 10 dicembre 1968) hanno sottoposto a questa Corte la questione di legittimità costituzionale del comma primo dell'art. 501 del codice di procedura penale, limitatamente all'inciso "prima che sia cominciata la discussione finale", e l'ultimo comma di detto articolo. Le norme sono state ritenute in contrasto con l'articolo 24 della Costituzione, perché non consentono l'interrogatorio del contumace comparso durante il dibattimento dopo l'inizio della discussione; in tal modo, secondo le due ordinanze, l'imputato rimane privato dell'esercizio di un diritto che é fondamentale per la sua difesa.
Non v'é stata costituzione di parte.
Considerato in diritto
1. - Le due cause riguardano la stessa norma e debbono essere decise con unica sentenza.
2. - Il divieto di procedere ad interrogatorio dell'imputato contumace comparso durante la discussione finale, oggetto delle ordinanze indicate in epigrafe e delle norme con esse denunziate, non é in contrasto con la garanzia costituzionale del diritto di difesa.
La Corte ha altre volte deciso che questo diritto può essere regolato dalla legge, sia nel modo sia nel tempo, per evitare sviamenti dallo scopo della protezione datagli, e soprattutto per evitare che sia attuato in maniera ingiustificatamente dilatoria o del tutto sterile, così da pregiudicare l'ordinata amministrazione della giustizia, che é un'esigenza di interesse generale, e lo stesso svolgimento della funzione giurisdizionale, che non é nella disponibilità privata. Il diritto di difesa, é vero, va garantito in ogni stato e grado del procedimento; ma, non potendo affidarsene l'esercizio alla mera discrezione dell'interessato, la legge può ritenere conchiusa una fase del processo ed immutabilmente fissate le situazioni che vi si sono costituite, perché il processo possa progredire verso la decisione finale e se ne impedisca l'indefinito protrarsi: é questa un'esigenza logica prima che giuridica (sentenza di questa Corte 25 marzo 1970, n. 50). A tale esigenza risponde la norma denunciata.
La fase istruttoria, nel dibattimento, si conclude con l'inizio della discussione finale, secondo valutazioni di politica giudiziaria insindacabili in sede costituzionale (sentenza predetta); e si intende come si favorirebbero le pretestuosità e la dilatorietà, ove la comparizione del contumace potesse interrompere quella discussione o potesse farla rinnovare. La norma denunciata non esclude, del resto, l'applicazione dell'art. 468, terzo comma, del codice di procedura penale, che, a pena di nullità, impone al presidente o al pretore di dare la parola all'imputato e al difensore alla fine della discussione, se lo domandano; ed é ovvio che, in tal modo, pur non potendosi esigere che in quella fase le sue dichiarazioni assumano il contenuto e la forma di un interrogatorio, il contumace comparso é messo in grado di esporre i punti essenziali della propria difesa, dei quali il giudice non può non tener conto nella decisione che é chiamato a pronunciare.
Inoltre, la proibizione contenuta nelle norme denunciate non preclude l'interrogatorio nella fase di appello né la presentazione di prove nuove e l'istanza di rinnovare le prove assunte; il giudice é financo abilitato a rinnovare in tutto o in parte il dibattimento (art. 50 cod. proc. pen.). In modo che l'unico pregiudizio che il divieto stesso produce al contumace comparso sta, tutt'al più, nella perdita della prima fase del primo grado di cognizione; ma ciò accade perché l'imputato non vi era presente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 501 del codice di procedura penale per l'inciso "prima che sia cominciata la discussione finale" e dell'ultimo comma dello stesso articolo, promossa dalla Corte di cassazione con ordinanza 22 maggio 1968 e dalla Corte d'appello di Caltanissetta con ordinanza 10 dicembre 1968, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta il 17 giugno 1970.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 26 giugno 1970.