SENTENZA N. 149
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI, Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 7 del d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968 (Decentramento dei servizi del Ministero dell'interno), promossi con le seguenti ordinanze;
1) ordinanza emessa il 29 aprile 1976 dal TAR della Liguria sul ricorso di Badano F. Antonio contro il Comune di Genova, iscritta ai n. 488 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 dell'8 settembre 1976;
2) ordinanza emessa il 20 dicembre 1977 dai TAR della Puglia sul ricorso del Comune di Barletta contro il Ministero dell'interno e la Commissione centrale per la finanza locale, iscritta al n. 75 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 87 del 28 marzo 1979.
Visto l'atto di costituzione di Badano F. Antonio ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1981 il Giudice relatore Antonio La Pergola;
uditi l'avv. Giuseppe Pericu, per Badano F. Antonio ed altri e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa il 29 aprile 1976 il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, su ricorso di Badano F. Antonio ed altri contro il Comune di Genova, ha sollevato, in riferimento agli artt. 5 e 130 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968 (e delle norme con esso collegate). La normativa censurata assoggetta le deliberazioni dei Comuni e delle Province, rispettivamente contemplati negli artt. 332 e 336 del Testo Unico 3 marzo 1934, n. 383 ("Testo Unico della legge comunale e provinciale") - i Comuni e le Province, cioè che non abbiano il bilancio in pareggio - all'approvazione della Commissione centrale per la finanza locale, dove si tratti di modificazioni dei ruoli organici del personale, e delle relative norme regolamentari, che importino aumenti alla spesa globale di organico. La rilevanza della questione è motivata con l'affermare che lo stesso TAR della Liguria ha, con sentenza in pari data, ritenuto fondata l'istanza dei ricorrenti diretta ad ottenere l'accertamento del loro diritto, nei confronti del Comune di Genova, ad un'indennità commisurata, all'atto della cessazione del rapporto, ad una mensilità per ciascun anno di effettivo servizio o frazione infratrimestrale di anno, in applicazione dell'art. 173 bis, quinto comma, del Regolamento organico del personale (parte normativa), nel testo approvato con deliberazione della Giunta comunale 25 gennaio 1973; che tale deliberazione costituisce dunque il fondamento del diritto patrimoniale fatto valere dai ricorrenti; che essa è tuttavia inefficace, in quanto non approvata dalla Commissione centrale per la finanza locale. Di qui la conseguenza che il richiesto accertamento resta precluso finché non sia rimossa la norma attributiva del potere di approvazione.
Nel merito, si prospetta la divergenza della disciplina impugnata dai precetti costituzionali sopra menzionati, che riserverebbero ad "un organo della Regione, costituito nei modi previsti dalla legge della Repubblica" i controlli esercitati nella specie dalla Commissione per la finanza locale, laddove, "una diversa soluzione condurrebbe a ritenere lo Stato legittimato a mantenere o anche a introdurre altre figure di controllo", in difformità dalle espresse garanzie che si assume circondino, anche in ordine al regime dei controlli, l'autonomia degli enti territoriali minori.
2. - Interviene nel presente giudizio il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. La rilevanza della questione non sarebbe stata adeguatamente valutata dal giudice a quo. Alla deliberazione del Comune, che la Commissione per la finanza locale non ha approvato, ne è seguita un'altra, si dice, che per oggetto ha appunto l'interpretazione dell'art. 173 bis del Regolamento organico, concernente l'indennità di fine servizio. Quest'altra deliberazione, si soggiunge, è stata parimenti impugnata dai ricorrenti innanzi al TAR. Sarebbe, quindi, proprio, ed esclusivamente essa, ad impedire l'accoglimento della domanda, proposta in quella sede: di guisa che, per la definizione del giudizio a quo, occorreva accertare la legittimità, invece che dell'atto di controllo adottato dalla Commissione centrale, della seconda deliberazione consiliare: la quale, ancorché successiva all'atto di controllo che dallo stesso giudice a quo si assume illegittimo, costituirebbe pur sempre autonoma manifestazione della volontà, e della potestà regolamentare dell'ente territoriale.
Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata. Non ogni controllo attribuito allo Stato, si osserva, deve ritenersi incompatibile con gli artt. 5 e 130 Cost. La giurisprudenza della Corte (e specialmente la sentenza n. 12 del 1973, sulle tracce di una precedente pronunzia: sentenza n. 4 del 1966) avrebbe infatti assodato che l'art. 130 Cost. attribuisce agli organi regionali non l'intera sfera dei controlli sugli atti degli enti locali, ma soltanto i controlli generali e tipici, ossia quelli in precedenza esercitati dai Prefetti e dalle Giunte provinciali amministrative. Tali sarebbero, in particolare, gli ordinari controlli di merito, che si esercitano nell'interesse degli enti locali, sugli atti da questi emanati. Diversa natura, invece, avrebbe il potere attribuito nel caso in esame alla Commissione, perchè volto a fronteggiare il deficit finanziario del Comune. Qui, si deduce, viene in considerazione un interesse della collettività nazionale, il cui apprezzamento non può, secondo Costituzione, non competere ad un organo centrale. La competenza coesisterebbe, del resto, con i controlli già affidati - sempre con riferimento ai medesimi atti degli enti locali, ex art. 98, n. 3, del Testo Unico n. 383 del 1934 - alla Giunta provinciale amministrativa, ed ora devoluti, ai sensi della legge n. 62 del 1953, ai competenti organi regionali: e ciò, si afferma, appunto perchè i controlli istituiti nell'interesse degli stessi enti locali, si distinguono, soggettivamente e qualitativamente, da quello in esame. Infine, mentre la previsione censurata non lede i precetti costituzionali invocati nell'ordinanza di rinvio, la sua eventuale eliminazione offenderebbe gravemente i principi stabiliti negli artt. 41, terzo comma, 5, 117, e soprattutto nell'art. 119 della Carta fondamentale: i quali tutti si assume esigano, sotto vario riguardo, la necessità che le autonomie locali siano - per il tramite degli opportuni controlli statali, e anche sul terreno finanziario - coordinati con le esigenze unitarie del paese. Il potere della Commissione toccherebbe, peraltro, esclusivamente l'aspetto economico-finanziario dei provvedimenti soggetti ad approvazione, lasciando però salva la competenza, costituzionalmente garantita agli enti autonomi territoriali, di ristrutturare le piante organiche in conformità delle proprie esigenze. Non si potrebbe d'altra parte trascurare che la disposizione censurata è posta in attuazione del principio costituzionale di eguaglianza. Il controllo economico contabile della Commissione, gioverebbe, infatti, ad evitare che, dove il bilancio dell'ente è deficitario, le rispettive comunità locali godano di un ingiustificato privilegio nei confronti delle altre, dove gli amministratori sono più attenti all'equilibrio del bilancio.
3. - Si sono costituiti nel giudizio avanti alla Corte anche i ricorrenti impiegati comunali. L'attribuzione della Commissione centrale, essi deducono, riveste nella specie le caratteristiche che secondo dottrina sono proprie della funzione di controllo. Sennonché, si tratterebbe di un controllo nettamente incompatibile con le statuizioni degli artt. 5 e 130 Cost., e d'altra parte privo di alcun titolo giustificativo, che possa essere offerto da altre disposizioni costituzionali. Così, lo art. 119 Cost. servirebbe, se mai, a legittimare un'eventuale controllo sui bilanci, ma non quello che nella specie concerne le dette modificazioni dei ruoli organici. L'esigenza del coordinamento della politica economico-finanziaria da parte degli organi dello Stato, non può certo, si aggiunge, giustificare il puntuale controllo degli impegni di spesa degli enti locali. Se così fosse, ne discenderebbe inevitabilmente che l'ingerenza statale è consentita con riguardo a qualsiasi spesa dell'ente locale, con la conseguente vanificazione del principio stabilito nell'art. 130 Cost. Non potrebbe, d'altra parte, nemmeno ammettersi che lo Stato sia abilitato a istituire controlli "atipici", eccettuati dalla previsione del precetto costituzionale testè citato, la quale esige che l'organo di controllo sia regionale, e che il controllo sia svolto nelle forme ivi prescritte. La Costituzione adotta, si precisa, uno schema al quale lo Stato non può, dal canto suo, in alcun caso derogare, almeno nel senso di disattendere i principi che governano le modalità dei controlli, senza vulnerare la sfera garantita agli enti locali. Il che, invece, si verificherebbe nella specie. Lo Stato - si rileva ancora - ha altri strumenti per assicurare il contenimento della spesa pubblica, ivi inclusa l'adozione di possibili misure legislative. Dovrebbe però restare fermo che, approvato il bilancio, l'utilizzazione di fondi disponibili ricade nella scelta discrezionale degli enti soggetti a controllo; laddove le opposte tesi dell'Avvocatura, dischiuderebbero l'adito ad una indiscriminata e capillare compressione dell'autonomia locale.
4. - Altre deduzioni sono state prodotte dalla difesa di parte privata in prossimità dell'udienza. Quanto all'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura, si afferma che il TAR della Liguria ha ravvisato la rilevanza della questione nell'effetto ostativo, scaturente dalle norme denunziate con riguardo all'accoglimento della domanda di accertamento del diritto patrimoniale dei ricorrenti avanti al TAR: domanda, ritenuta fondata sotto ogni altro profilo. Gli stessi ricorrenti avevano, è vero, anche promosso l'annullamento della delibera interpretativa del Regolamento comunale, ma a scopo puramente cautelativo; e lo stesso giudice a quo, si soggiunge, ha, con sentenza contemporanea all'emissione dell'ordinanza in esame, ritenuto la deliberazione interpretativa del Comune inapplicabile alla specie. La pronunzia del TAR su questo punto non potrebbe, conseguentemente, essere oggetto di riesame ai fini del presente giudizio.
Nel merito, ribadite le tesi esposte in precedenza, si deduce che nessun precetto della Costituzione impedisce agli organi regionali di controllo di assumere - come, per esempio, è accaduto nel settore urbanistico, con l'approvazione dei piani regolatori - la cura di un interesse, che ecceda la sfera locale: d'altra parte, si dice, lo Stato è sempre in grado di perseguire l'interesse alla corretta gestione della spesa pubblica, che viene in rilievo nella specie, con mezzi diversi dal controllo ora attribuiti alla Commissione per la finanza locale. In ogni caso, la limitazione dell'autonomia locale, connessa con il controllo sugli atti dell'ente autonomo, sarebbe compatibile con il chiaro disposto dell'art. 130 Cost. solo in quanto strettamente indispensabile al conseguimento di una superiore istanza. Nel caso in esame, si tratta di soddisfare l'interesse della collettività nazionale a che le spese delle comunità locali siano contenute. Sarebbe pertanto ingiustificata l'ulteriore interferenza dello Stato nell'utilizzazione delle risorse degli enti locali, che la norma denunziata configura. Si osserva, infine, che, fuori dalla particolare sfera del controllo considerato, talune recenti innovazioni normative valorizzano la Commissione come organo del coordinamento della politica economico-finanziaria. Ciò confermerebbe che l'attribuzione prevista dalla norma censurata costituisce il residuo di un apparato organizzativo statuale superato dalla legislazione, intanto adeguatasi ai principi costituzionali.
5. - Con decisione adottata il 22 settembre 1976 la Commissione centrale per la finanza locale Sezione I organici, non approvava la deliberazione del Consiglio comunale di Barletta n. 935 dell'11 novembre 1974, mediante la quale detto Comune aveva trasformato in quaranta punti parametrali l'acconto mensile corrisposto ai dipendenti di ruolo e non di ruolo con decorrenza 1 gennaio 1973. Avverso tale decisione della CCFL, ed i suoi atti e presupposti, il Comune di Barletta proponeva ricorso avanti al TAR della Puglia, sollevando in quella sede il problema della compatibilità fra gli artt. 3, 5, 128 e 130 Cost. e l'art. 7 del d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968. Quest'ultima disposizione di legge assoggetta all'approvazione della suddetta Commissione le modificazioni degli organici di Comuni e Province con i bilanci deficitari. Il giudice a quo ritiene che la sopra accennata questione di legittimità costituzionale, sia rilevante per la definizione della controversia di cui egli è investito, e sotto i profili qui di seguito precisati, non manifestamente infondata.
a) La vigente legislazione in materia, si assume, dispone per più versi nel senso che il controllo affidato alla Commissione costituisce un ingiustificata anomalia, rispetto ad un sistema normativo ormai in armonia con i principi posti in Costituzione a presidio dell'autonomia locale. Sono infatti venute meno le Giunte provinciali amministrative, che dovevano essere sentite prima che la Commissione approvasse le deliberazioni sottoposte al suo esame; dove, poi, i Comuni abbiano meno dei 20.000 abitanti, i poteri già attribuiti alle Giunte provinciali amministrative sono in forza degli artt. 59, ultimo comma, e 60, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62 ("Costituzione e funzionamento degli organi regionali"), trasferiti agli organi regionali di controllo. Peraltro le norme contenute nella legge 12 novembre 1971, n. 952 e successive proroghe (cfr. leggi 23 dicembre 1972, n. 823; 29 gennaio 1974, n. 17) prescindono, nel considerare il caso degli enti locali deficitari, dall'intervento della Commissione: così, in particolare, l'art. 2 della citata legge n. 952 del 1971, ai sensi del quale l'autorizzazione ad assumere mutui a copertura di disavanzi economici dei bilanci delle Province e dei Comuni (appartenenti alle Regioni a statuto ordinario) spetta al Ministro per l'interno, dopo che i bilanci stessi siano stati approvati dai competenti organi regionali di controllo. Con tutto ciò, i dati della vigente legislazione non consentirebbero di escludere con certezza che la contestata competenza statale sia venuta a cessare. La norma istitutiva di tale competenza è quindi denunziata come incompatibile con il sistema instaurato dall'art. 130 Cost.
b) Il citato precetto costituzionale, si soggiunge, individua sia l'oggetto e la modalità del controllo, sia l'organo che ne è investito: la competenza dell'organo regione di controllo è esclusiva ed abbraccia tutte le deliberazioni delle Province e dei Comuni; il controllo di merito non può assumere forma diversa da quella, testualmente prescritta in Costituzione, della richiesta motivata di riesame. Con il che resterebbe necessariamente esclusa la legittimità del controllo statale, quale esso si atteggia nella specie.
c) Detto controllo non troverebbe, del resto, miglior fondamento in altre statuizioni costituzionali. Si assume al riguardo che gli artt. 117 e 119 del testo fondamentale non riguardino la sfera dei controlli sugli enti territoriali minori, e sui loro provvedimenti. L'una e l'altra di queste sfere, rispettivamente delimitate dalle apposite e tassative previsioni degli artt. 125 e 130 Cost., non sarebbero suscettibili di ampliamento, tanto meno per il tramite di competenze attribuite agli organi statali. Ma questo non significa, si asserisce, che, una volta rimosso il controllo in questione, non vi sia modo di contenere gli abusi della finanza locale. Soccorrerebbero a tal fine i rimedi amministrativi e penali previsti dal vigente ordinamento, e altri ancora, che il legislatore voglia introdurre - quando la normale vigilanza dell'organo regionale di controllo si riveli inadeguata - curando tuttavia di non ricorrere ai mezzi tecnici preclusi dalla Costituzione. Una possibile salvaguardia contro gli abusi della finanza locale sarebbe, per esempio, quella di comminare la nullità ipso iure delle delibere comunali o provinciali adottate in violazione dei limiti finanziari, posti con legge dello Stato. L'innegabile esigenza che gli enti locali non sconfinino in eccessi finanziari andrebbe comunque soddisfatta contemperando opportunamente gli interessi che fan capo a soggetti di diverso livello istituzionale, senza vulnerare il sistema regionale di controllo, e l'autonomia garantita anche per questo verso agli enti locali.
6. - Si costituisce in giudizio il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per dedurre l'infondatezza della questione. La questione, si osserva anzitutto, è stata esaminata in sede consultiva dal Consiglio di Stato, che con parere n. 1878 del 1973 ha affermato la permanenza dei poteri della Commissione, e ne ha quindi ritenuto la compatibilità con la Costituzione: e, nello stesso senso, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Cons. Stato Sezione V 27 gennaio 1978, n. 120) e dal TAR per il Lazio (1a Sezione 5 novembre 1976, n. 641). Conforterebbero inoltre la tesi dell'Avvocatura varie decisioni di questa Corte. Così, la sentenza n. 4 del 1966, che ha escluso dalla sfera del controllo ordinario sugli enti locali il potere di annullamento degli atti comunali e provinciali ex art. 6, legge comunale e provinciale 1934, argomentando in base al rilievo che "l'interesse generale, che legittima e muove di volta in volta questo strumento, è quello generale dell'intera comunità". Altra pronuncia (sentenza n. 21 del 1966), affermerebbe espressamente la costituzionalità del contestato potere della Commissione; sebbene resa con riguardo ad una Regione a regime differenziato qual è la Sardegna, essa gioverebbe alla decisione del caso in esame sotto un duplice profilo: le norme poste in materia di controlli in quello statuto speciale non differirebbero sostanzialmente dalle corrispondenti statuizioni del testo costituzionale, e della legge n. 62 del 1953; il permanente potere della Commissione troverebbe - non importa se con riferimento agli ordinamenti delle Regioni speciali, nei quali esso è previsto, o agli ordinamenti delle Regioni comuni - lo stesso supporto giustificativo, che la Corte avrebbe individuato nella peculiarità tecnica delle funzioni affidate alla Commissione, e nella loro incidenza in un vario ambito di pubblici interessi, del resto rispecchiata dalla composizione dell'organo, di cui fan parte rappresentanti delle amministrazioni sia centrali sia locali.
Ancora un'altra pronunzia (sentenza n. 62 del 1973) avrebbe chiarito che i controlli trasferiti ai competenti organi regionali in forza degli artt. 59 e 60, legge n. 62 del 1953, sono soltanto quelli generali e tipici; il trasferimento non opererebbe invece con riguardo ai controlli atipici, diversi dai precedenti, perchè preordinati alla tutela dei superiori interessi della comunità nazionale. Altrimenti, si dice, la Corte ha ritenuto che l'attribuzione del controllo alla Regione debba trarre fondamento da un'esplicita e puntuale previsione di uno statuto speciale. Così avrebbe statuito la sentenza n. 140 del 1977, che concerne l'ordinamento del Friuli-Venezia Giulia, in cui non trova accoglimento la distinzione tra controlli tipici (regionali), e atipici (statali): ma anche qui sull'assunto che il controllo regionale si giustifica solo se diretto al perseguimento degli interessi degli enti locali.
Il controllo di merito, precisa invero l'Avvocatura, è quello che si esercita nell'interesse dell'ente, da cui emana l'atto controllato. Tale, infatti, sarebbe la figura tipizzata dalla previsione dell'art. 130 Cost. Nella specie, invece, il potere di approvare le modifiche dei ruoli organici che importano aumenti di spesa di Comuni e Province è conferito alla Commissione per il perseguimento di interessi non esclusivi degli enti territoriali, ma propri dell'intera comunità nazionale. Non si tratterebbe, pertanto, di un controllo nel senso caratteristico del termine, e perciò limitativo dell'autonomia dell'ente controllato, quanto piuttosto, di un'attività di amministrazione, che giova alla tutela del superiore interesse (leso dell'ente territoriale minore, e distinto dagli interessi di cui quest'ultimo è istituzionalmente investito) o, quanto meno, al contemperamento di interessi contrapposti, affidati alla cura di soggetti diversi.
Le rimanenti deduzioni dell'Avvocatura sono in sostanza quelle già esposte con riferimento all'ordinanza del TAR della Liguria.
7. - Le ordinanze sono state regolarmente notificate e pubblicate. All'udienza pubblica del 21 gennaio 1981 la difesa di parte privata e l'Avvocatura dello Stato hanno illustrato e sviluppato le conclusioni già prese.
Considerato in diritto
1. - Nel presente giudizio è denunziato, per presunto contrasto con gli artt. 3, 5, 128 e 130 della Costituzione, l'art. 7 del d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968 ("Decentramento dei servizi del Ministero dell'interno") e le norme ad esso collegate. La disposizione impugnata è così testualmente formulata:
"In caso di modificazioni ai ruoli organici del personale ed alle relative norme regolamentari, che importino aumenti alla spesa globale di organico, le relative deliberazioni dei comuni e delle province, di cui al primo comma dell'art. 332 e dell'art. 336 Testo Unico 3 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni, sono sottoposte all'approvazione della Commissione centrale per la finanza locale, sentito il parere della Giunta provinciale amministrativa". La statuizione testè citata modifica a sua volta il decreto legislativo luogotenenziale 18 gennaio 1945, n. 48 ("Nuove norme per la modificazione delle piante organiche dei personale degli Enti locali), che già contemplava il suddetto potere di approvazione della Commissione, sotto due profili: a) dispone che le delibere soggette ad approvazione sono soltanto quelle emesse dai Comuni e Province che non conseguono il pareggio economico del bilancio (cfr. artt. 332, primo comma, 336 Testo Unico 3 marzo 1934, n. 383 legge comunale e provinciale); b) prevede, ai fini che qui interessano, una speciale composizione della Commissione: la quale delibera, precisamente, sotto la presidenza del Ministro per l'interno o del Sottosegretario da lui designato e con l'intervento di tre funzionari di grado non inferiore al quinto, designati, rispettivamente, dai Ministri per l'interno, per le finanze e per il tesoro, nonché di un Presidente di Giunta provinciale, in relazione alla materia trattata, designato dal Ministro per l'interno.
2. - La previsione del potere di approvazione, così configurato, confliggerebbe con gli invocati parametri costituzionali per le seguenti considerazioni:
a) l'evoluzione della normativa in materia di finanza locale avrebbe profondamente inciso sul contesto in cui il controllo in esame trovava razionale e opportuna collocazione. Per un verso, venute meno le Giunte provinciali amministrative, il cui parere era prescritto prima che la Commissione esercitasse il suo potere di approvazione, sarebbe caduto il raccordo con gli organi periferici di controllo, che costituiva un essenziale elemento dell'originario disegno della norma impugnata. Inoltre, dove si tratti di Comuni con popolazione fino a 20.000 abitanti (e non capoluoghi di provincia), le attribuzioni della Commissione erano state demandate alla Giunta provinciale amministrativa (art. 332, sesto comma, citato Testo Unico n. 383 del 1934): per modo che esse sono state poi trasferite ai competenti organi regionali di controllo, ai sensi degli artt. 59 e 60 della legge n. 62 del 1953 ("Costituzione e funzionamento degli organi regionali"), con la conseguenza di distribuire fra organi statali e organi regionali un potere che - pur variando da un caso all'altro, secondo popolazione, la cerchia degli enti controllati - rimane identico.
Sotto altro riguardo, la competenza attribuita alla Commissione risulterebbe, dopo le modifiche intervenute nella legislazione, priva del nesso strumentale, che dovrebbe collegarla con il sistema delle misure dirette a fronteggiare il disavanzo dei bilanci degli enti locali. In particolare, si osserva che, ai sensi dell'art. 2 della legge 12 novembre 1971, n. 952 ("Integrazione dei bilanci comunali e provinciali dei Comuni e delle Province deficitarie") l'autorizzazione ad assumere mutui a copertura dei disavanzi economici delle Province e dei Comuni, appartenenti alle Regioni a statuto ordinario, che siano stati approvati dai competenti organi regionali di controllo, viene concessa con decreto del Ministro per l'interno. Da questa disposizione, e dalle successive altre che ne hanno prorogato l'efficacia, scompare, si soggiunge, ogni menzione della Commissione. Le osservazioni sopra esposte - viene poi precisato - deporrebbero addirittura nel senso che il potere di approvazione qui considerato non abbia ragione di sopravvivere. In quanto, tuttavia, non risulta con certezza che esso sia stato soppresso, si denunzia la norma che lo istituisce, come lesiva delle statuizioni costituzionali concernenti i controlli sugli atti degli enti locali.
b) Il regime di tali controlli, si assume, infatti, è tassativamente prescritto nell'art. 130 Cost. Essi sono esercitati sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali, anche in forma decentrata, esclusivamente da un organo della Regione, composto nei modi stabiliti dalla legge statale. Il controllo di merito è consentito solo nei casi predeterminati dalla legge e non può assumere forma diversa dalla richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione. La norma impugnata vulnererebbe dette prescrizioni, sia con l'affidare il controllo in questione ad un organo dello Stato, anziché al competente organo della Regione, sia con il prevedere che esso operi mediante un'approvazione, il cui eventuale diniego impedisce all'atto, emanazione del potere di autonomia, di esplicare i suoi effetti. Dal vizio di illegittimità così prospettato scaturirebbe anche la lesione degli altri precetti costituzionali, invocati nell'ordinanza di rinvio.
c) Si esclude, infine, che il potere di approvazione della Commissione possa trovar miglior fondamento in altre norme della Costituzione: e così, nemmeno negli artt. 117 e 119, che si assumono non pertinenti alla sfera in cui opera il controllo in esame, e che comunque non legittimerebbero l'ingerenza di un organo statale, quale si configura nella specie, nell'utilizzazione delle risorse finanziarie degli enti locali, riservata al discrezionale apprezzamento di questi ultimi. A contenere gli abusi della finanza locale soccorrono, si conclude, i rimedi amministrativi e penali previsti dal vigente ordinamento, o altre salvaguardie degli interessi della collettività nazionale, che il legislatore voglia introdurre: senza però, per questo vulnerare l'autonomia costituzionalmente garantita agli enti locali, anche sotto il profilo dell'ordinamento dei controlli.
3. - Le ordinanze in epigrafe prospettano - sia pure sotto profili in parte diversi - la stessa questione. I giudizi con esse promossi possono, dunque, essere riuniti e decisi con unica sentenza.
4. - Preliminarmente, è da considerare il rilievo formulato, in punto di ammissibilità, dall'Avvocatura dello Stato: la quale afferma, com'è spiegato in narrativa, che la rilevanza della prospettata questione non è stata adeguatamente valutata dal TAR della Liguria.
Ora, detto giudice ha, con pronunzia emessa nella stessa data dell'ordinanza di remissione, ritenuto fondata l'istanza dei ricorrenti, diretta ad ottenere l'accertamento del loro diritto, nei confronti del Comune di Genova, ad un'indennità di fine servizio, in applicazione di una norma dei Regolamento organico del personale, nel testo approvato, il 25 gennaio 1973, dalla Giunta comunale. Tale deliberazione costituisce dunque il fondamento del diritto patrimoniale, fatto valere avanti al TAR. Essa è tuttavia inefficace, difettando l'approvazione, alla quale va sottoposta, appunto in forza della disposizione di legge censurata nel presente giudizio. Così, avverte il TAR, resta precluso l'accertamento che gli è richiesto. E dunque chiaro che un'eventuale pronunzia di accoglimento della questione prospettata alla Corte non mancherebbe di influire sulla definizione del giudizio a quo. L'Avvocatura eccepisce, è vero, che alla delibera comunale non approvata dalla Commissione, ne è seguita un'altra, la quale ha per oggetto precisamente l'interpretazione della norma dei Regolamento comunale, relativa all'indennità di servizio. Tale ultima delibera, prosegue la difesa dello Stato, è stata parimenti impugnata avanti al TAR, in quanto proprio da essa discende l'effetto ostativo nella fattispecie: di guisa che il giudice a quo avrebbe, per la decisione di cui è investito, dovuto valutare la legittimità, non dell'atto di controllo adottato dalla Commissione, ma della successiva ed autonoma manifestazione di volontà dell'ente controllato, posta in essere con la suddetta delibera interpretativa. Sennonché, questa era stata impugnata avanti al TAR solo a scopo tuzioristico; i ricorrenti in quella sede assumevano, in via principale, che essa fosse inapplicabile alla specie. Tale, infatti, essa è stata ritenuta dal giudice a quo, che ha dichiarato inammissibile lo specifico capo del ricorso; e la sua pronunzia non può costituire oggetto di alcun esame da parte della Corte.
5 a). - Nel merito, la questione è fondata. Di fronte alle censure sopra riferite, la difesa dello Stato osserva che l'art. 130 (o alcun altro precetto costituzionale, di cui si assume la violazione) non esaurisce la previsione dei controlli esperibili sugli atti degli enti locali ma concerne i soli controlli tipici, quali sono stati definiti dalla Corte, soprattutto nella sentenza n. 62 del 1973: di guisa che, fuori dall'ambito di questa classificazione del fenomeno, non opererebbe quella preclusione delle competenze statali, che nelle ordinanze di rinvio si assume, invece, come inderogabile. Con ciò si vuol, quindi, dedurre che lo Stato può istituire controlli o, altrimenti, direttamente esplicare i poteri di amministrazione, anche delle materie attribuite agli enti locali, senza che l'autonomia, della quale questi godono, risulti indebitamente compressa: ma sempre che, precisa la stessa Avvocatura, l'intervento degli organi centrali sia legittimato dall'esigenza, necessariamente affidata alla loro cura, di coordinare l'attività dei Comuni e delle Province con gli interessi della collettività nazionale.
5 b). - Ecco, allora, il primo punto da fissare per l'indagine rimessa alla Corte: sebbene il disposto dell'art. 130 Cost. non abbracci tutti i possibili controlli sugli enti locali, o sugli atti da essi emanati, questo non significa che esso consenta d'altra parte un'indiscriminata o capillare ingerenza dello Stato nella sfera a detti enti attribuita. Dove viene in rilievo il regime di controllo, si deve anzi aggiungere, l'autonomia dei Comuni e delle Province è - grazie appunto alle specifiche previsioni del citato precetto - direttamente garantita nel nostro testo fondamentale. Non si può, poi, trascurare la peculiarità della specie. La contestata attribuzione della Commissione integra gli estremi di un controllo di merito, e si aggiunge al controllo parallelamente esercitato - con le modalità e agli effetti prescritti dalla legge n. 62 del 1953, in conformità del dettato costituzionale, e sempre in ordine alle stesse delibere soggette all'approvazione dell'organo statale dal competente organo della Regione. É questo un motivo in più per ritenere che la sopravvivenza del controllo in esame abbisogna di un idoneo fondamento giuridico. Occorre, piu precisamente, stabilire se la norma istitutiva della competenza statale resista alle censure, che ne denunziano la divergenza dallo schema dei controlli, sancito in Costituzione. Il potere di approvazione deve in questa prospettiva non soltanto strumentalmente connettersi con un fine che, proprio della collettività nazionale, trascenda la sfera dell'ente controllato; è altresì indispensabile che soccorra un disposto costituzionale, in cui si radichi il fine perseguito dall'organo statale, e del quale, con il mezzo tecnico del controllo, si vuol assicurare l'adempimento.
6. - L'Avvocatura deduce che il potere di approvazione della Commissione è chiaramente e pienamente giustificato dalla superiore istanza di contenere gli abusi della finanza degli enti locali, e in primo luogo il disavanzo dei rispettivi bilanci. Dal TAR della Puglia, e più diffusamente dalla difesa della parte privata, costituitasi nel giudizio promosso dal TAR della Liguria, si argomenta per contro - anche in base agli orientamenti prevalsi nella più recente legislazione - che il controllo operante nella specie ha cessato di rispondere al fine che dovrebbe perseguire, rimanendo ormai isolato dal contesto, in cui si ordinerebbero le altre vigenti misure sulla finanza locale. A ciò si aggiunge che la stessa Commissione è stata spogliata delle rimanenti attribuzioni, funzionalmente connesse con quella in esame: e così, anzitutto, del potere di approvazione dei bilanci degli enti deficitari, ora esclusivamente sottoposti al controllo del competente organo della Regione.
7. - Su questi ed analoghi rilievi non è, tuttavia, il caso di indugiare. Alla stregua del criterio sopra enunciato, s'impone, infatti, l'altro e assorbente rilievo, che la disposizione censurata non trae titolo giustificativo da alcuna norma costituzionale. Delle statuizioni invocate in proposito dall'Avvocatura - gli artt. 3, 41, terzo comma, 117 e 119, primo comma - solo quest'ultima tocca la materia ed i fini specifici per cui si esercita il controllo statale: "le Regioni" - essa dispone - "hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni". Sennonché, ci troviamo di fronte ad un precetto, la cui attuazione esige il rispetto della riserva di legge ivi configurata. Il legislatore è dunque tenuto a modellare in conformità di quest'esigenza le attribuzioni, che, ai fini contemplati dall'art. 119, sono affidate, anche in sede di controllo, agli organi statali. Il che implicava che, nella specie, istituito il potere di approvazione della Commissione, ne fosse anche regolato l'esercizio, in guisa da adeguano alle forme e ai limiti, richiesti, ex art. 119, per una corretta configurazione del coordinamento. Il censurato testo dell'art. 7 del d.P.R. n. 968 del 1954 non adotta, però, simili cautele. La figura di controllo in esso prevista deve quindi essere ritenuta non solo anomala, o atipica, ma anche costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 130 Cost.
8. - Le considerazioni fin qui svolte sono del resto avvalorate da altri elementi, che possono desumersi dalla normazione successiva alla disposizione impugnata, nella quale la Commissione è sotto vario riguardo presa in considerazione. Per quel che qui interessa, basta ricordare i provvedimenti urgenti e altra disciplina della finanza locale d.l. 29 dicembre 1977, n. 946, convertito nella legge 27 febbraio 1978, n. 43; d.l. 10 novembre 1978, n. 702, convertito nella legge 8 gennaio 1979, n. 3; d.l. 7 maggio 1980, n. 153, convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299; d.l. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito nella legge 23 aprile 1981, n. 153. Quanto alle norme del citato d.l. del 1977, e alle altre ivi richiamate, esse pongono - sempre in funzione del contenimento della spesa pubblica - larghi e penetranti limiti alla competenza degli enti locali, in materia di organici e di assunzione del personale. Nell'art. 6 della relativa legge di conversione (n. 43 del 1978) è detto, al quindicesimo comma, che la Commissione mantiene (fino all'entrata in vigore della riforma della finanza locale) come unica attribuzione quella concernente le deliberazioni (diverse dalle altre, oggetto della disciplina dettata nella stessa legge), in tema di trattamento economico del personale, e delle connesse modifiche dei ruoli; e si aggiunge che la Commissione esercita tali residue competenze nella composizione della sezione organici, qual è configurata nella norma censurata in questa sede. Comincia, così, a profilarsi nel nostro ordinamento una più attenta e circoscritta definizione delle competenze attribuite alla Commissione. il legislatore, pur mantenendo espressamente in vigore il contestato potere di approvazione, vuol limitarlo, con riferimento sia alla materia che ne è oggetto, sia alla sua possibile estensione temporale.
9. - Lo stesso criterio trova, poco più tardi, ulteriore accoglimento nel d.l. n. 702 del 1978 e nella relativa legge di conversione (n. 3 del 1979). In quest'ultima è tra l'altro previsto, in sede di modifica dell'art. 4 del d.l. testè citato, "il piano generale degli uffici e servizi, che Province Comuni e loro consorzi devono adottare per assicurare, con le nuove strutture, la massima efficienza e produttività di gestione". Detta norma prescrive altresì il necessario contenuto del piano (quadro delle strutture esistenti, funzioni degli enti e delle aziende, modalità applicative del principio di mobilità del personale, conseguente riassetto delle piante organi che). Altra disposizione dello stesso testo normativo (art. 4) assoggetta i sopra richiamati piani di organizzazione all'esame della Commissione; statuisce che la norma impugnata nel presente giudizio è soppressa e d'altra parte prefigura, allargando la rappresentanza degli enti locali, una nuova composizione dell'organo; demanda al Ministro per l'interno di istituire, con decreto, una o due sottocommissioni nonché, entro centoventi giorni dall'entrata in vigore della legge, di disciplinare il funzionamento della Commissione (e delle sottocommissioni), emanando le opportune norme procedurali "per l'adozione delle relative determinazioni, e modalità di audizione, su richiesta delle Amministrazioni locali di più grande dimensione" - e infine ristrutturando e potenziando, in seno all'organo uffici di segreteria e servizi di coordinamento.
Mutata la fisionomia della Commissione - anche mediante la previsione di una diversa rappresentanza, e della consultazione delle Amministrazioni locali - si è così provveduto a valorizzarne la funzione, proprio nel settore del coordinamento con l'attività finanziaria dei Comuni e delle Province.
Su questa base, appunto, riposa la nuova competenza, che si esercita con il sindacare la conformità del piano di riorganizzazione dei servizi e degli uffici a quel che in merito richiede la vigente legislazione. Quest'ultima disciplina della finanza locale non prescinde, allora, dal fissare i criteri, ai quali il controllo demandato alla Commissione deve uniformarsi: criteri che si trovano, del resto, precisati e sviluppati nell'art. 20 del d.l. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito nella legge 23 aprile 1981, n. 153, con riferimento, anche qui, ai suddetti piani di riorganizzazione (e di modifica delle piante organiche, adottate ai sensi del d.l. n. 38 del 1981 e della relativa legge di conversione). La Commissione è ivi chiamata ad assicurare che l'espansione organizzativa richiesta dai singoli enti non gravi eccessivamente sulla pubblica finanza. Il potenziamento delle strutture locali è consentito solo in presenza di certi documentati elementi, che sono puntualmente, anche se non tassativamente indicati nella norma citata: incremento demografico costante nell'ultimo quinquennio; estensione territoriale; numero delle presenze alberghiere ed extra alberghiere annue nei Comuni con prevalente attività turistica; popolazione effettivamente dimorante nei Comuni sedi di Università adiacenti a città metropolitane o centri di notevole attività industriale e sedi di importanti uffici pubblici. In conclusione: quando esso è assistito da idonei parametri di valutazione, l'esame demandato alla Commissione può svolgersi, anche nelle forme e con il caratteristico effetto impeditivo del potere di approvazione, in conformità del sistema costituzionale; la riserva di legge stabilita nell'art. 119 Cost., e la garanzia delle autonomie locali che è in essa implicitamente sancita, sono fatte salve. Il che, se si guarda al diverso atteggiarsi del caso di specie, conferma il risultato sopra raggiunto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 del d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1981.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 24 luglio 1981.