Sentenza n.62 del 1973
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SENTENZA N. 62

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO  Presidente

Prof. Giuseppe  CHIARELLI

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Ministro per l'interno, delegato dal Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 18 agosto 1972, depositato in cancelleria il 23 successivo ed iscritto al n. 22 del registro conflitti 1972, per conflitto di attribuzione sorto a seguito di sei delibere del Comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali - sezione di Arezzo - che avevano autorizzato il Comune di Cavriglia ad acquistare alcuni appezzamenti di terreno.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione Toscana;

udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1973 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri, e l'avv. Enzo Cheli, per la Regione Toscana.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso notificato il 18 agosto 1972 e depositato il 23 agosto successivo, il Ministro per l'interno, delegato dal Presidente del Consiglio dei ministri e rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti della Regione Toscana, impugnando sei delibere del Comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali - sezione di Arezzo - che avevano autorizzato il Comune di Cavriglia ad acquistare alcuni appezzamenti di terreno, ai sensi dell'art. 2 della legge 21 giugno 1896, n. 218.

Assume il ricorrente che l'attribuzione alle Regioni dei poteri di controllo sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali non può comprendere anche quello di autorizzare la accettazione di lasciti e l'acquisto di immobili, trattandosi di un istituto di portata comune a tutte le persone giuridiche e perciò estraneo alla sfera di competenza regionale, la quale é da intendere limitata ai controlli previsti dall'ordinamento speciale degli enti territoriali minori, i soli dei quali gli artt. 59 e 60 della legge n. 62 del 10 febbraio 1953 abbiano operato il trasferimento, a norma della VIII disposizione transitoria della Costituzione. Ciò che risulta ulteriormente ribadito dall'art. 3, n. 5, del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, concernente il trasferimento delle funzioni in materia di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, la cui conformità ai principi costituzionali é emersa dalla sentenza n. 139 del 1972 di questa Corte.

Anche la ratio ispirata all'interesse generale di assicurare la più ampia circolazione dei beni - interesse di cui non può essere portatore altri che lo Stato, quale ente esponenziale dell'intera comunità nazionale - confermerebbe la distinzione rispetto ai controlli affidati alle Regioni e preordinati, invece, a garantire il rispetto della legalità e l'adeguamento dell'azione amministrativa agli scopi istituzionali degli enti controllati, a tutela precipua degli interessi di questi ultimi.

Le conclusioni della parte ricorrente sono, pertanto, intese ad ottenere sia la dichiarazione che spetta allo Stato il potere di autorizzare i Comuni e le Province ad accettare lasciti e donazioni e ad acquistare immobili, sia l'annullamento degli atti regionali impugnati.

2. - Si é costituita in giudizio la Regione Toscana con atto depositato il 14 novembre 1972, sostenendo che per effetto dell'art. 130 Cost. e delle norme contenute nel capo III della legge n. 62 del 1953, sarebbero passati alla Regione tutti i poteri di controllo - di legittimità e di merito, ivi compresi quelli cosiddetti atipici - in precedenza spettanti al Prefetto ed alla Giunta provinciale amministrativa, sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali, mentre la VIII disposizione transitoria non potrebbe riguardare tale oggetto, riferendosi esclusivamente ai singoli rami della pubblica Amministrazione corrispondenti alle materie elencate nell'art. 117 della Costituzione. Tali poteri costituirebbero, in effetti, un insieme unitario in deroga anche all'ambito di operatività dell'art. 17 del codice civile, proprio per lo speciale rilievo costituzionale che caratterizza gli enti destinatari del controllo (artt. 114 e 128 segg. Cost.) e per la particolare garanzia inerente al rapporto che li collega all'ente regionale (artt. 118, 130 ed altri Cost.): in questo mutato contesto economico e sociale andrebbero, perciò, diversamente inquadrate e ricostruite anche le finalità originariamente poste a base della legge n. 218 del 1896.

Infine, la norma del decreto presidenziale n. 9 del 1972 ex adverso ricordata, come pure la sentenza n. 139 dello stesso anno, considerano unicamente le autorizzazioni per gli enti assistenziali pubblici e privati: ed anzi la esplicata formulazione della prima sembra corrispondere ad una esigenza che confermerebbe la tesi secondo cui, nel silenzio del legislatore delegato, l'art. 17 del codice civile non sarebbe stato di ostacolo per il trasferimento alle Regioni persino dei controlli sugli acquisti operati da questo tipo di istituzioni.

La parte resistente conclude, chiedendo la reiezione del ricorso con la declaratoria di spettanza all'organo regionale di controllo del potere di autorizzare i Comuni e le Province all'accettazione di lasciti e donazioni ed all'acquisto di beni immobili.

3. - Alla pubblica udienza le parti hanno sviluppato le rispettive argomentazioni ed insistito nelle conclusioni già formulate.

Considerato in diritto

1. - Il conflitto di attribuzione sollevato con il ricorso di cui sopra ha per oggetto la spettanza del potere di autorizzare Comuni e Province ad accettare lasciti e donazioni e ad acquistare beni immobili, a norma dell'art. 2 della legge 21 giugno 1896, n. 218, e del relativo regolamento: potere esplicato - nella specie - dal Comitato regionale di controllo, sezione di Arezzo, attraverso sei delibere, datate dal 31 agosto al 4 dicembre 1971, con cui il Comune di Cavriglia veniva autorizzato ad acquistare determinati terreni, con la conseguente invasione, come si assume nel ricorso, della sfera di competenza statale.

Le deliberazioni impugnate si fondano espressamente, oltre che sulla legge del 1896 testo citata, sugli artt. 59 e 60 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, che in effetti disciplinano, in attuazione dell'art. 130 della Costituzione, l'esercizio da parte delle Regioni a statuto ordinario dei controlli di legittimità e di merito sugli atti degli enti locali minori (limitatamente però a Comuni, Province e loro consorzi). É da rilevare, più particolarmente, che, nella imminenza del concreto inizio di funzionamento delle Regioni a statuto ordinario, ed anteriormente alla adozione delle delibere in oggetto, due circolari, rispettivamente del Ministro per le Regioni, in data l4 ottobre 1970, e del Ministro per l'interno, in data 15 marzo 1971, avevano provveduto ad impartire le opportune disposizioni per realizzare, in via breve, il concreto passaggio alle Regioni medesime dei poteri di controllo ad esse attribuiti, precisandosi (nella seconda) che restava ferma, tra l'altro, la competenza statale alle autorizzazioni agli acquisti, trattandosi di "un potere di carattere generale conferito allo Stato nei confronti di tutti gli enti morali, volto a tutelare l'interesse dello Stato e di determinati soggetti in contrapposizione a quello dell'ente, in relazione a finalità di ordine pubblico". Mette anzi conto di osservare al riguardo - pur senza volerne trarre, sul piano giuridico, conseguenze contrastanti con il principio, sempre ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, della inapplicabilità dell'istituto della acquiescenza al campo della giustizia costituzionale - che avverso detta circolare né la Regione della Toscana né alcun'altra Regione ha ritenuto, a suo tempo, di ricorrere.

La questione é sorta, invece, in occasione dell'impugnativa promossa da alcune Regioni contro il decreto legislativo n. 9 del 15 gennaio 1972, emesso sulla base della legge di delega n. 281 del 1970 e concernente il trasferimento alle Regioni di diritto comune delle funzioni amministrative in materia di beneficenza pubblica, essendosene tra l'altro censurato l'art. 5, n. 3, che riserva allo Stato le competenze relative all'autorizzazione agli acquisti degli enti che svolgono la loro attività in tale settore. E la questione fu dalla Corte dichiarata non fondata, con la sentenza n. 139 del 1972, argomentando dalla peculiare figura di siffatta forma di controllo, "inerente al regime comune a tutte le persone giuridiche, quali che ne siano la natura e gli scopi istituzionali".

2. - Nella specie oggi sottoposta al giudizio della Corte, trattandosi di autorizzazioni a Comuni, non si versa nella materia cui aveva specifico riferimento detta sentenza, né in alcun'altra ira quelle elencate nell'art. 117 Cost. e ricomprese pertanto nell'ambito della delega di cui alla legge n. 281. Vengono, invece, in considerazione l'art. 130 Cost. e le sopra rammentate disposizioni della legge n. 62 del 1953, che ad esso strettamente si ricollegano per tutto quel che concerne Comuni, Province e loro consorzi.

Ma é chiaro che il principio affermato nella sentenza numero 139, per la sua generalità e per le considerazioni che lo sorreggono, non può non estendersi del pari all'interpretazione dell'art. 130, che, attribuendo ad organi regionali "il controllo di legittimità" e - in casi determinati dalla legge e nella forma della richiesta di riesame" - il controllo di merito" sugli atti dei predetti enti territoriali, mostra, anche letteralmente, di aver riferimento ai soli controlli generali e tipici, in precedenza esercitati dai prefetti e dalle giunte provinciali amministrative. I quali sono poi, anche per la coscienza comune e per la pratica amministrativa, i controlli quasi per antonomasia, che con la loro presenza, le loro modalità di applicazione e la varia intensità di cui sono di volta in volta dotati, condizionano nel loro complesso le autonomie degli enti territoriali e concorrono a definirne la posizione nell'ordinamento giuridico.

Di ciò consapevole, la difesa della Regione, nell'intento di dimostrare la legittimità dell'operato del Comitato di controllo, svolge un duplice ordine di argomenti: da un lato, cercando di individuare un attendibile motivo che valga a differenziare la posizione dei Comuni e delle Province da quella degli enti assistenziali e di beneficenza; dall'altro, insistendo sul rilievo dell'essere venuta meno, al giorno d'oggi, quella che fu la ratio originaria della speciale autorizzazione agli acquisti degli enti morali. Ma nessuno dei due ordini argomentativi può essere accolto.

3. - Non il primo, al quale é agevole obiettare che, semmai, proprio nei confronti di Comuni e Province la permanenza in capo allo Stato del potere di cui si controverte troverebbe ancor più solido fondamento razionale e di diritto positivo che non in ordine ad altri enti locali, i quali, operando nell'ambito di materie su cui spettano alle Regioni competenze legislative ed amministrative, risultano in definitiva sottoposti per molteplici aspetti ai poteri di supremazia a quelle attribuiti.

Ed infatti, che l'autonomia comunale e provinciale sia garantita a livello costituzionale, é piuttosto un argomento contrario alla tesi difensiva della Regione, poiché lo stesso art. 128 rinvia in proposito a "leggi generali della Repubblica". In base alla normativa dettata dal testo costituzionale, d'altronde, in ordine a Comuni e Province spettano alle Regioni esclusivamente i poteri e le facoltà di cui agli artt. 118, ultimo comma (delega di funzioni amministrative od utilizzazione dei loro uffici) e 132, secondo comma, in relazione all'art. 117, secondo alinea (istituzione di nuovi Comuni e modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni), oltre - beninteso - a quei controlli sugli atti che sono previsti dall'art. 130 e dei quali é appunto questione nel presente giudizio.

Ma, al di fuori di queste particolari ipotesi, ogni altro aspetto del regime dei Comuni e delle Province ricade per intero nella competenza dello Stato: al quale sicuramente non é fatto obbligo - anche se non é vietato, quando non contrasti con principi o con specifiche norme della Costituzione - di decentrare, con apposita legge, alle Regioni taluni tra i compiti attualmente da esso esplicati in materia.

4. - Quanto fin qui osservato potrebbe anche rendere superfluo indugiare sul secondo ordine argomentativo svolto dalla difesa della Regione, perché, ad ammettere in ipotesi che l'istituto della autorizzazione agli acquisti degli enti morali sia ormai privo di una sufficiente giustificazione, non ne deriverebbe per questo che la relativa competenza debba considerarsi compresa nel trasferimento alle Regioni disposto dall'articolo 130 della Costituzione.

Ad abbondanza, può tuttavia rilevarsi che, se effettivamente parte della dottrina (quella su cui insiste la difesa regionale) ebbe ad esprimersi a suo tempo nel senso che alle finalità all'inizio proprie dell'autorizzazione in oggetto (impedire il formarsi della cosiddetta "manomorta" nonché quanto ai lasciti e donazioni, proteggere i diritti dei successibili) altre e diverse sarebbero venute poi accompagnandosi (di tutela dell'interesse degli enti, come negli ordinari controlli di merito), é anche vero, d'altro lato, che nella dottrina più recente si é visto al contrario riaffermarsi la configurazione tradizionale dell'istituto come tuttora dotato di una sua reale consistenza e ragion d'essere. E, quel che più conta, la legislazione positiva ha mostrato in più di un'occasione di mantener fermo il criterio, secondo cui l'esigenza fondamentale e sempre attuale alla quale risponde l'autorizzazione governativa é di contenere nei limiti del necessario gli acquisti patrimoniali destinati a mero scopo di investimento e di reddito.

Così, ad esempio, la generalità e inderogabilità dell'autorizzazione nei confronti degli enti ecclesiastici "di qualsiasi natura" non soltanto risulta espressamente prevista dalla legge 27 maggio 1929, n. 848, nell'art. 10, ma é stata ribadita negli artt. 11 del Trattato e 29 del Concordato con la Santa Sede: dove, all'atto di dichiarare esenti da ogni ingerenza statale gli enti centrali della chiesa cattolica, si é avuto cura di precisare tuttavia che anche ad essi sono applicabili "le disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali". Così ancora, le disposizioni della legge del 1896 sono state, in epoca recentissima, estese alle associazioni agrarie con la legge 4 marzo 1958, n. 180; mentre, per converso, con riferimento agli istituti autonomi per le case popolari, in relazione agli acquisti di immobili destinati alla realizzazione dei programmi costruttivi dagli stessi effettuati o da effettuarsi, é stato necessario - per eliminare l'esigenza dell'autorizzazione - che intervenisse una apposita deroga, disposta dalla legge del 26 luglio 1965, n. 970.

In breve: l'autorizzazione governativa vale a rimuovere, caso per caso, un limite generale di ordine pubblico che grava, in linea di principio, su tutte le persone giuridiche, pubbliche e private, ed é perciò qualitativamente diversa dagli ordinari controlli di merito, cui, nel loro stesso interesse, sono dalla legge sottoposti determinati atti degli enti pubblici dell'una o dell'altra specie, ed in particolare determinate deliberazioni dei minori enti territoriali.

Pertanto, poiché le leggi che attribuiscono il relativo potere allo Stato non sono in contrasto con l'art. 130 della Costituzione, il ricorso deve essere accolto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta allo Stato il potere di autorizzare Comuni e Province ad acquistare beni immobili e ad accettare lasciti e donazioni e pertanto annulla le deliberazioni del Comitato di controllo della Regione della Toscana, sezione di Arezzo, indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 23 maggio 1973.