Sentenza n.139 del 1972

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.139

ANNO 1972

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

 Prof. Michele FRAGALI

 Prof. Costantino MORTATI

 Dott. Giuseppe VERZÌ

 Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

 Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

 Dott. Luigi OGGIONI

 Dott. Angelo DE MARCO

 Avv. Ercole ROCCHETTI

 Prof. Enzo CAPALOZZA

 Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

 Prof. Vezio CRISAFULLI

 Dott. Nicola REALE

 Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

 ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3, 4, 8, 9, 13 e 14 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9 (trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di beneficenza pubblica e del relativo personale), promossi con ricorsi proposti dalle Regioni Lombardia, Puglia ed Emilia-Romagna, notificati il 2 marzo 1972, depositati in cancelleria il 9 e 10 mano 1972 ed iscritti ai nn. 46, 47 e 48 del registro ricorsi 1972.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 maggio 1972 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi gli avvocati Feliciano Benvenuti e Leopoldo Elia, per la Regione Lombardia, l'avv. Antonio Sorrentino, per la Regione Puglie, gli avvocati Francesco Galgano e Guido Viola, per la Regione Emilia-Romagna, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso notificato in data 2 marzo 1972 la Regione Lombardia ha proposto questione di legittimità costituzionale relativamente ad alcune disposizioni del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, per contrasto con gli artt. 117, 118, 119 e 76 della Costituzione.

In particolare, vengono impugnati:

a) l'art. 1, comma secondo, lett. a), che, nell'attuare il trasferimento dallo Stato alle Regioni delle funzioni amministrative concernenti le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sembra abbia inteso riferirsi a quelle sole istituzioni che operino nell'ambito delle singole Regioni, escludendo così le altre che, pur avendo sede in una Regione, svolgano la loro attività in un ambito più vasto;

b) l'art. 1, comma secondo, lett. h), poiché limita la competenza regionale in materia di interventi in favore dei profughi italiani e dei rimpatriati di cui alla legge 19 ottobre 1970, n. 744, integrata dalla legge 25 luglio 1971, n. 568, ai soli provvedimenti successivi alla "prima assistenza";

c) l'art. 3, comma primo, punto 1, che, oltre a ledere le competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni, sarebbe viziato anche per eccesso di delega rispetto all'art. 17, comma primo, lett. a) della legge 16 maggio 1970, n. 281, stabilendo che rimangono ferme le competenze degli organi statali in ordine "all’assistenza degli stranieri in relazione alle convenzioni internazionali";

d) l'art. 3, comma primo, punto 2, che mantiene la competenza amministrativa statale per quanto attiene "agli interventi assistenziali ai sensi della legge 8 dicembre 1970, n. 996, nonché per altre esigenze di carattere straordinario o urgente o di carattere perequativo in relazione alle necessità degli enti assistenziali nelle diverse Regioni", mentre solo nell'esercizio della sua competenza legislativa lo Stato potrebbe eventualmente, ai sensi del terzo comma dell'art. 119 della Costituzione, assegnare alle Regioni contributi speciali per provvedere a scopi determinati;

e) l'art. 3, comma primo, punto 3, che fa salva, sia pure transitoriamente, la competenza statale relativamente ai citati di soccorso ed alle altre istituzioni private di beneficenza operanti nel territorio regionale, previsti dai punti a) e b) dell'art. 2 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, e dall'art. 4 del relativo regolamento 5 febbraio 1891, n. 99, in quanto soggetti a vigilanza per motivi assistenziali in base alle leggi vigenti od in quanto ricevano finanziamenti pubblici e stipulino convenzioni con enti pubblici, mentre l'art. 117 della Costituzione non distinguerebbe fra istituzioni pubbliche ed istituzioni private di beneficenza, assegnando l'intero settore alla competenza regionale;

f) l'art. 3, comma primo, punto 4, che riserva allo Stato gli interventi a favore di particolari categorie di assistiti, mentre anche a voler interpretare restrittivamente gli artt. 117 e 118 correlandoli al disposto dell'art. trentotto della Costituzione avrebbero comunque dovuto essere stabiliti i limiti dell' integrazione statale a quegli enti ed istituti che agiscano nella materia trasferita alle Regioni e si avrebbe, inoltre, un eccesso di delega rispetto all'art. 17, comma primo, lett. b) della citata legge n. 281 del 1970 che prevede il trasferimento delle funzioni per settori organici e non per ritagli di materie;

g) l'art. 3, comma primo, punto 5, che riserva allo Stato la potestà amministrativa di autorizzare gli enti assistenziali pubblici e privati ad accettare lasciti e donazioni e ad acquistare beni immobili, con violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione ed eccesso dalla delega di cui all'art. 17, primo comma, lett. a) della legge n. 281 del 1970, in quanto mira a soddisfare le esigenze di carattere unitario conservando allo Stato l'esercizio di alcune funzioni amministrative, in luogo di quella di indirizzo e di coordinamento sulle attività amministrative delle Regioni;

h) l'art. 4, che, collegandosi all'art. 1, comma secondo, lett. a), mantiene ferme le attribuzioni degli organi dello Stato in ordine agli enti pubblici a carattere nazionale e o pluriregionale operanti nel settore della beneficenza e dell’assistenza, come pure in ordine agli enti assistenziali privati a carattere nazionale o pluriregionale;

i) l'art. 8, che contrasterebbe con gli artt. 117, 118, 119, comma secondo, della Costituzione e 18 della legge n. 281 del 1970, riservando sia pure temporaneamente allo Stato spese inerenti alle normali funzioni delle Regioni ed omettendo di trasferire a queste ultime i mezzi necessari per far fronte alle spese impegnate o in corso di erogazione, già deliberate dallo Stato;

l) l'art. 9, che mantiene una competenza residua ai comitati provinciali di assistenza e beneficenza pubblica, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e dell'art. 17, comma primo, lett. b) della legge n. 281 del 1970;

m) gli artt. 13 e 14 per illegittimità derivata e conseguenziale rispetto a quella delle disposizioni innanzi ricordate.

2. - Anche la Regione Puglia, con ricorso notificato il 2 marzo 1972, ha proposto questione di legittimità costituzionale relativamente all'art. 3, comma primo, n. 3, ed all'intero art. 4 del decreto delegato n. 9 del 1972.

La prima norma contrasterebbe con l'art. 117 della Costituzione, escludendo praticamente le Regioni da ogni competenza in ordine a qualsiasi comitato di soccorso o istituzione privata di beneficenza e violerebbe altresì la legge di delega che assegna allo Stato soltanto funzioni di indirizzo e coordinamento rispetto all'attività regionale. Analoghi vizi di costituzionalità si prospettano per l'altra disposizione, che pur se temporaneamente, riserva allo Stato tutte le attribuzioni in ordine ad enti di beneficenza pubblici e privati, a carattere nazionale o pluriregionale.

3. - Un terzo ricorso proposto dalla Regione Emilia-Romagna con atto notificato il 2 marzo 1972, impugna di legittimità costituzionale l'art. 1, comma secondo, lett. a), l'art. 3, n. 3, n. 4 e n. 5, l'art. 4 e l'art. 9 dello stesso decreto delegato per contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, prospettando profili sostanzialmente non diversi da quelli posti in evidenza dalla difesa della Regione Lombardia. E rispetto all'art. 3, n. 3, solleva questione di legittimità costituzionale anche per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, in relazione alla delega contenuta nell'art. 17 della legge n. 281 del 1970, sotto un triplice aspetto: perché la norma in esame: a) impedirebbe il passaggio simultaneo ed organico delle funzioni per settori richiesto dalla legge; b) prorogherebbe al 6 giugno 1972 il termine fissato da tale legge ner il trasferimento delle funzioni amministrative; c) subordinerebbe questo trasferimento al previo riordinamento della materia.

4. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 22 marzo 1972, nelle quali replica analiticamente alle censure prospettate dalle tre Regioni ricorrenti.

In particolare, per quel che attiene all'art. 1, comma secondo, lett. a) - come pure all'art. 4 - del decreto presidenziale impugnato, ricorda che il limite territoriale vincola l'intera attività legislativa ed amministrativa regionale, mentre in riferimento alla successiva lett. b) della stessa disposizione considera la riserva ivi espressa in favore dello Stato come necessitata da finalità unitarie e perequatrici degli oneri che altrimenti graverebbero prevalentemente sulle Regioni di frontiera.

Parimenti non suscettibili di accoglimento sarebbero anche le questioni relative all'art. 3, comma primo: per il n. 1, concernendo detta norma l'assistenza agli stranieri assunta pattiziamente dallo Stato nei confronti di altri Stati o di organizzazioni internazionali e come tale non affidabile alle Regioni per la sua diretta inerenza ad una condotta di politica estera; per il n. 2, avendo la sentenza n. 208 del 1971 di questa Corte ammesso la legittimità di interventi concorrenti da parte dello Stato in ordine alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza per fronteggiare esigenze di carattere straordinario ed urgente occasionate da calamità naturali e costituendo, d'altra parte, il decreto presidenziale impugnato atto con forza di legge conformemente alla prescrizione dell'art. 119, comma terzo, della Costituzione; per il n. 3, difettando di interesse il ricorso relativamente a competenze della Regione rimaste impregiudicate in attesa del previsto riordinamento della materia; per il n. 4, avendo tale norma ad oggetto interventi globali a favore di intere categorie di cittadini per i quali l'aspetto assistenziale assumerebbe una funzione solo strumentale, e perciò marginale, rispetto a quello preminente del loro reinserimento nella società e nel mondo del lavoro; per il n. 5, riferendosi questo punto ad una normativa estranea alla materia in esame e comune a tutte le persone giuridiche, indipendentemente dalla loro attività (cfr. artt. 17 e 782, ultimo comma, codice civile).

Quanto, poi, all'art. 8, il suo contenuto transitorio risponderebbe al criterio generale della "perpetuatio", valido sia per la giurisdizione che per l'amministrazione e rifletterebbe spese già impegnate a carico del bilancio statale. La censura relativa all'art. 9 sarebbe, invece, inammissibile per carenza di interesse della Regione rispetto ad un problema che riguarda non materia ad essa spettante ma l'organizzazione di uffici rimasti statali. Ed anche rispetto agli artt. 13 e 14, che indicano soppressioni e riduzioni dei capitoli del bilancio statale, l'impugnazione dovrebbe respingersi sia per mancanza di interesse sia per insindacabilità del potere discrezionale esercitato dal Parlamento in sede di assestamento di alcune voci del bilancio dello Stato che nessuna entrata attribuiscono alle Regioni.

5. - Con successive memorie le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni, confermandole anche alla pubblica udienza, ove peraltro la Regione Lombardia ha dichiarato di rinunciare - e la rinuncia è stata accettata dall'Avvocatura dello Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri - alle censure proposte relativamente agli artt. 1, comma secondo, lett. h), e 3, n. 1 e n. 5 del decreto presidenziale impugnato.

 

Considerato in diritto

 

1. - I ricorsi delle Regioni Lombardia, Puglia ed Emilia-Romagna hanno ad oggetto disposizioni contenute nel decreto legislativo delegato 15 gennaio 1972, n. 9, proponendo questioni identiche od analoghe. Vengono pertanto riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - In seguito alla rinuncia della Regione Lombardia, accettata dal Presidente del Consiglio dei ministri, di cui in narrativa, deve dichiararsi cessata la materia del contendere limitatamente agli artt. 1, comma secondo lett. h) e 3, n. 1 (rapporti internazionali ed assistenza agli stranieri, diversi dai "profughi stranieri" menzionati nel n. 4 del medesimo articolo 3), perché la relativa questione di legittimità costituzionale era stata proposta unicamente dalla anzidetta Regione.

3. - Complessivamente riguardate, le restanti censure possono suddistinguersi in due gruppi, a seconda che involgano direttamente questioni relative alla determinazione della materia che, sotto il nome di "beneficenza pubblica", gli articoli 117 e 118 Cost. attribuiscono alla potestà legislativa ed amministrativa delle Regioni a statuto ordinario, ovvero denuncino particolari interferenze statali nell'ambito di quella stessa materia, pur se - come assumono - restrittivamente intesa, di cui il decreto in oggetto ha operato il trasferimento.

E poiché tale decreto è stato adottato sulla base della delega contenuta nell'art. 17 della legge n. 281 del 1970, la quale si limita a riferirsi alle materie di cui all'art. 117 Cost., così come in questo elencate, la maggior parte delle censure mosse dalle Regioni ricorrenti per asserita violazione dell'art. 117, e conseguentemente dell'art. 118 Cost., implicano al tempo stesso un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, per violazione anche della legge di delega (e perciò dell'art. 76 Cost.) con speciale riguardo al principio, enunciato nel suo art. 17, che il trasferimento delle funzioni avvenga "per settori organici di materie", riservando allo Stato - nelle materie stesse - la funzione di indirizzo e di coordinamento dell'attività delle Regioni che attengano ad esigenze di carattere unitario. Con il che torna a proporsi pregiudizialmente il problema della determinazione della materia costituzionalmente spettante alla competenza regionale, essendo in relazione a questa, come risulta anche testualmente dalla lett. a) dell'art. 17, che indirizzo e coordinamento trovano la loro ragion d'essere.

Una chiara indicazione al riguardo si trae dalla stessa dizione, "beneficenza pubblica", adoperata nell'art. 117 Cost., che trova sostanziale riscontro (nonostante qualche trascurabile oscillazione lessicale) nelle analoghe locuzioni adottate dagli statuti costituzionali delle Regioni ad autonomia differenziata: "assistenza e beneficenza pubblica", secondo la formula degli artt. 4, lett. h), dello Statuto della Sardegna; 3, lett. i) dello Statuto della Valle d'Aosta e 11, n. 25, dello Statuto del Trentino-Alto Adige, nel testo modificato dalla legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1; "pubblica beneficenza ed opere pie", come si legge invece nell'art. 14, lett. m), dello Statuto siciliano; "istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza", come si esprimeva inizialmente l'art. 5. n. 2, dello Statuto del Trentino-Alto Adige e si esprime adesso quello del Friuli-Venezia Giulia, nell'art. 5, n. 6.

A prima vista, anzi, la dizione dell'art. 117 potrebbe persino apparire più restrittiva, richiamando letteralmente l'intitolazione inizialmente propria della legge 17 luglio 1890, n. 6972, e del relativo regolamento (dove si contiene tuttora la disciplina fondamentale della materia); ma non vi ha dubbio - argomentando anche dalla previsione nel medesimo alinea, accanto alla "beneficenza pubblica", della "assistenza sanitaria ed ospedaliera" - che sia da considerare in realtà equivalente a quella, che più spesso ricorre, come si è ora visto, negli statuti speciali, di "assistenza e beneficenza": assunta nella nostra legislazione, in luogo della originaria intitolazione della legge del 1890, fin dalla riforma introdotta con il r.d. 30 dicembre 1923, n. 2841. Con tale formula - per ormai costante tradizione legislativa e dottrinale - si è soliti designare un settore normativo bene individuato, venutosi progressivamente sviluppando sul tronco della menzionata legge del 1890 ed avente ad oggetto un complesso di attività, tra loro sufficientemente omogenee, esplicate in misura prevalente da organi ed enti locali, che non si confondono - pur affiancandovisi ed integrandone, ove necessario, le carenze - con quelle che nel loro insieme danno vita alla "assistenza sociale", strettamente intesa, cui ha riferimento, con specifico riguardo ai cittadini inabili al lavoro, il primo comma dell'articolo 38 Cost., che, rimette poi, nel quarto comma, i compiti ad essa inerenti - al pari di quelli relativi alla "previdenza sociale" - ad "organi ed istituti predisposti od integrati dallo Stato".

La prima è caratterizzata essenzialmente - anche quando, come di regola, l'esercizio ne sia obbligatorio - dalla discrezionalità delle prestazioni, in denaro o in servizi, erogabili in favore di tutti coloro che - per qualsiasi causa ed a prescindere da particolari status e qualifiche - versino in condizione di bisogno: determinante è in essa la considerazione della concreta situazione del singolo individuo, la valutazione della personalità e delle condizioni di vita dell'assistibile, in relazione, peraltro, alle disponibilità materiali dell'ente od organo erogante.

La seconda, invece, specie nei più recenti sviluppi della legislazione, è orientata nel senso di eliminare o ridurre entro limiti rigorosi, ancorandola all'accertamento di dati oggettivi, la discrezionalità degli organi od enti erogatori, così da rendere progressivamente concreto quel "diritto" all'assistenza sociale, che il primo comma dell'art. 38 Cost. vuole sia attribuito ad ogni cittadino "inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere". Preminente è in essa la tipizzazione legislativa di determinate categorie di assistibili, per modo che le prestazioni rispettivamente previste abbiano a spettare a chiunque vi rientri, e per il sol fatto di rientrarvi. E, rispettivamente, anche le prestazioni sono, a loro volta, uniformemente stabilite alla stregua di valutazioni medie, configurandosi - tendenzialmente - come sostitutive od integrative di un reddito da lavoro mancante od insufficiente.

Che si tratti di due diverse forme di assistenza, delle quali soltanto la prima è considerata, a livello costituzionale, come di competenza di tutte le regioni (siano queste di diritto comune o ad autonomia speciale) è ulteriormente confermato dalla circostanza che in alcuni statuti costituzionali risultano altresì disciplinate - separatamente e, per solito, diversamente da quella in materia di assistenza e beneficenza - competenze regionali differenziate (di integrazione e adattamento della legislazione statale) aventi ad oggetto, appunto, la "assistenza sociale", prevista in unico contesto con le analoghe competenze aventi ad oggetto il "lavoro" e la "previdenza sociale"; così, nell'art. 5 lett. b), dello Statuto della Sardegna e nell'art. 6, n. 2, dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia; così pure, sostanzialmente, nell'art. 17, lett. f) dello Statuto della Regione siciliana. Ed è ovvio che siffatte previsioni, che ben si accordano con i principi posti dall'art. 38 Cost., non avrebbero senso, ove la "assistenza sociale" già fosse ricompresa in quella "assistenza e beneficenza pubblica", alla quale puntualmente corrisponde, secondo quanto fin qui rilevato, la "beneficenza pubblica" di cui all'articolo 117 della Costituzione.

Se questa è la materia che l'art. 117 Cost. prescrive sia trasferita alla potestà legislativa delle Regioni a statuto ordinario (e conseguentemente, alla loro potestà amministrativa), deve soggiungersi che, in conformità al testuale disposto della VIII disposizione transitoria della Costituzione (avente specifico riferimento al passaggio alle regioni delle funzioni "statali" ad esse spettanti, nonché dei funzionari e dipendenti delle amministrazioni anche centrali "dello Stato"), l'oggetto della delega conferita al Governo dall'art. 17 è sicuramente circoscritto alle sole competenze per l'innanzi spettanti ad organi statali, come risulta d'altronde confermato dalla successiva disposizione dell'art. 18 concernente le soppressioni o riduzioni da apportare conseguentemente agli stanziamenti previsti "nei singoli stati di previsione della spesa dei ministeri competenti".

Né il legislatore delegato avrebbe potuto, senza incorrere in violazione dell'art. 76 Cost., attuare quel riordinamento degli enti a carattere nazionale o interregionale, preannunciato nel primo comma dell'art. 4 e che rientra d'altronde nella più lata previsione della IX disp. trans. Cost., a seguito del quale soltanto potrebbero eventualmente enuclearsi ulteriori settori di materia attribuibili alle regioni.

4. - Alla stregua di tali premesse, risulta la non fondatezza delle censure all'art. 4, poc'anzi richiamato, nella parte in cui - per l'appunto - mantiene ferme le attribuzioni statali concernenti istituti od enti a carattere nazionale o pluriregionale, sino al loro riordinamento. A quanto già osservato in proposito non è superfluo aggiungere il rilievo, di ordine pratico, della inammissibile confusione che si determinerebbe ove enti con finalità, dimensioni e strutture nazionali o comunque eccedenti l'ambito di una singola regione, finché perdurino con siffatti caratteri, venissero disciplinati, pur nel rispetto dei limiti dei principi e degli interessi stabiliti dall'art. 117 Cost., da una molteplice varietà di distinte e diverse legislazioni, emanate da ciascuna Regione per la sua parte.

Strettamente connessa con l'art. 4 è la questione proposta nei confronti del criterio adottato nell'art. 1, comma secondo, lett. a), per la localizzazione regionale delle istituzioni pubbliche assistenziali, in forza del quale passerebbero alle singole Regioni quelle tra esse a che operano nel territorio regionale": con la possibile conseguenza - come si assume dalle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna - di sottrarre illegittimamente dal trasferimento le funzioni attualmente esplicate da organi statali in ordine ad istituzioni che, come spesso accade, svolgono la loro attività operativa fuori del territorio della Regione in cui hanno la loro sede.

Ma diverso è il significato che deve correttamente attribuirsi alla disposizione impugnata. L'espressione va, infatti, intesa come avente riferimento a quelle istituzioni che nella Regione hanno la loro sede (e in essa quindi "operano", nel senso che quivi si esplica la loro attività organizzativa e decisionale) e che - da norme di leggi o regolamenti, dagli statuti o dalle tavole di fondazione, e in mancanza alla stregua della prassi costante - risultano al tempo stesso destinate, esclusivamente o prevalentemente, a vantaggio della rispettiva popolazione (ed anche in questo senso, finalistico, "operano" perciò nella Regione). Così interpretata, la disposizione dell'art. 1, comma secondo, lett. a), non è costituzionalmente illegittima.

5. - Discende altresì dalle premesse sopra affermate al punto 3 l'infondatezza delle censure all'art. 3, n. 3, che mantiene ferme le competenze statali in ordine ai comitati di soccorso ed altre istituzioni private di beneficenza operanti nel territorio regionale, "fino a quando la materia non sarà disciplinata con successivo provvedimento da emanarsi entro il 6 giugno 1972" (vale a dire entro il biennio prefissato per l'esercizio della delega conferita al Governo dall'art. 17 della legge n. 281 del 1970): giacché gli enti privati, l'attività esplicata dai quali è oggi ricoperta dalla garanzia dell'ultimo comma dell'art. 38 Cost. ("L'assistenza privata è libera"), non rientrano nella materia della beneficenza pubblica. Ché, anzi, già la legge fondamentale del 1890, nell'art. 2, riferendosi alla fenomenologia del tempo, dichiarava espressamente sottratti alla disciplina da essa dettata i comitati di soccorso ed altre istituzioni temporanee, in ragione del loro carattere precario; le fondazioni in pro dei membri di famiglie determinate, non soggette a devoluzione alla beneficenza pubblica, a causa della natura particolaristica dei loro scopi; nonché le associazioni e società, regolate dalle disposizioni del codice civile (e cioè, aventi struttura meramente privatistica).

Ed è perciò che, nei confronti degli anzidetti enti assistenziali privati, i poteri attribuiti dalla nostra legislazione alle pubbliche autorità sono diversi, e comunque più tenui, rispetto a quelli esercitabili in ordine alle istituzioni assistenziali pubbliche, come risulta dallo stesso art. 2, commi secondo e terzo, della legge del 1890 e più recentemente dall'art. 4, lett. e), del d.l.lgt. 22 marzo 1945, n. 173, sui comitati provinciali di assistenza e beneficenza.

L'infondatezza della censura principale coinvolge l'infondatezza anche delle ulteriori questioni sollevate nei confronti della disposizione dell'art. 3, n. 3, poiché queste muovono tutte dal presupposto della appartenenza delle istituzioni private alla materia spettante alle regioni.

6. - Rappresenta ulteriore corollario dei criteri in precedenza enunciati al punto 3 la infondatezza delle censure rivolte al n. 4 dell'art. 3, che riserva allo Stato le attuali competenze in ordine alle pensioni ed assegni "a carattere continuativo", cui hanno diritto, ricorrendo le condizioni rispettivamente stabilite dalle leggi 27 maggio 1970, n. 382, 26 maggio 1970, n. 381, 30 marzo 1971, n. 118, i ciechi, i sordomuti ed i mutilati e invalidi civili; in ordine ai soccorsi, a norma della legge 22 gennaio 1934, n. 115, e successive modificazioni, alle famiglie dei militari richiamati o trattenuti alle armi; all'assistenza - a norma della legge 12 aprile 1962, n. 185, e successive modificazioni - agli orfani dei caduti per servizio e alle donne uscite dalle soppresse case di tolleranza o che, già avviate alla prostituzione, intendano tornare ad onestà di vita (legge 20 febbraio 1958, n. 75), nonché - limitatamente alla fase del primo intervento - ai profughi italiani e rimpatriati, di cui alle leggi 19 ottobre 1970, n.744, e 25 luglio 1971, n. 568. Tutte queste ipotesi, infatti, pur nella varietà delle rispettive discipline, hanno in comune, per un verso, la tipizzazione legislativa, su piano nazionale, di particolari categorie di aventi titolo all'assistenza, l'appartenenza alle quali è accertabile alla stregua di criteri oggettivi; e, per altro verso, la predeterminazione, talora minuziosamente regolata, delle prestazioni ad essi spettanti.

Per quanto concerne, infine, il riferimento dello stesso n. 4 dell'art. 3 "ai profughi stranieri", la competenza statale si giustifica in base al rilievo che si tratta di ottemperare, con misure immediate, ad obblighi internazionali dello Stato (accordo tra Governo italiano e IRO, reso esecutivo con legge 25 giugno 1952, n. 907, e Convenzione di Ginevra, resa esecutiva con legge 24 luglio 1954, n. 722), del cui inadempimento, sia pure per un singolo caso, lo Stato medesimo diverrebbe responsabile: di guisa che non sarebbe sufficiente il ricorso a quella funzione di indirizzo e coordinamento cui si richiamano i ricorsi e che, comunque, contrariamente a quanto in essi si afferma, non è prevista dall'art. 17 della legge n. 281 del 1970 come l'unico modo per fare legittimamente fronte - nelle materie di competenza regionale - agli obblighi internazionalmente assunti dallo Stato.

7. - Infondate sono anche le altre questioni, di ordine più particolare, proposte dalle Regioni ricorrenti.

Per quanto riguarda gli interventi assistenziali previsti dalla legge n. 996 del 1970, sulla protezione civile, e più precisamente dall'art. 6, lett. a), n. 2, della legge medesima (assistenza di primo soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali, mediante reparti del Corpo nazionale vigili del fuoco e centri assistenziali di pronto intervento), riservati allo Stato dall'art. 3, n. 2, del decreto in oggetto, valgono le considerazioni con cui questa Corte ebbe a ritenere infondate analoghe questioni di legittimità costituzionale, a suo tempo sollevate dalla Regione del Trentino-Alto Adige (sent. n. 208 del 1971).

Da un lato, infatti, l'applicabilità della norma denunciata, come della legge n. 996 nel suo insieme, è condizionata alla ipotesi di calamità naturali che "per la loro natura o estensione debbano essere fronteggiate con interventi tecnici straordinari", secondo il principio affermato nell'art. 1: onde l'esigenza di assicurare - in presenza di eventi che trascendono l'ambito regionale e nel corso della fase operativa - effettiva unità di indirizzo e di azione, accentrandone il compito e la responsabilità nello Stato, quale ente esponenziale dell'intera collettività. D'altro lato, come pure venne messo in rilievo nella menzionata sentenza, gli interventi di competenza statale non incidono sulle normali attribuzioni regionali in materia di assistenza e beneficenza, ché anzi, come risulta da numerose disposizioni della legge n. 996, gli enti territoriali e locali, comprese le pubbliche istituzioni assistenziali, sono chiamati a dare il loro contributo, secondo i programmi predisposti dai comitati regionali per la protezione civile, nei più vari settori, e tra l'altro proprio nel campo dell'assistenza (testualmente richiamato nell'art. 7 della legge).

Nemmeno possono considerarsi lesivi dell'autonomia regionale nella materia assistenziale gli altri interventi previsti nello stesso n. 2 dell'art. 3, poiché essi hanno carattere aggiuntivo rispetto ai compiti ordinariamente esplicabili dalle Regioni, in relazione a situazioni particolari ed imprevedibili, cui esse non sarebbero in grado di far fronte (o di far fronte con la necessaria tempestività ed efficacia). E non è pertinente, con specifico riguardo agli interventi perequativi, il richiamo al terzo comma dell'art. 119 Cost., che prescrive, bensì, lo strumento della legge, ma per l'assegnazione a singole Regioni di contributi istituzionalizzati, rivolti al conseguimento di scopi permanenti o comunque duraturi nel tempo: che sono cosa diversa da quei bisogni sporadici, che possano manifestarsi qua e là, secondo le circostanze e le condizioni locali, cui si riferisce la disposizione impugnata.

Vanno altresì disattese le doglianze delle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna quanto alla riserva allo Stato delle competenze relative alla autorizzazione agli enti assistenziali ad accettare lasciti e ad acquistare immobili (n. 5 dell'art. 3), trattandosi di una particolarissima figura di controlli, oggi disciplinata nell'art. 17 del codice civile e negli artt. 5 e 7 delle rispettive Norme di attuazione, inerente al regime comune a tutte le persone giuridiche, quali che ne siano la natura e gli scopi istituzionali.

Sono del pari prive di fondamento le censure all'art. 8, che detta norme transitorie per quel che riguarda i procedimenti amministrativi in corso, mantenendo la competenza statale per la definizione di quelli che abbiano comportato l'assunzione di impegni anteriormente alla data del trasferimento delle funzioni o che trovino il proprio finanziamento in somme imputate al conto dei residui del bilancio dello Stato. Il criterio adottato è razionale e, mentre si adegua alle norme generali sulla contabilità di Stato, non contrasta con alcun principio costituzionale né può dirsi sottragga frazioni di materia alla competenza regionale o disconosca - come - si assume dalle Regioni ricorrenti - il diritto delle stesse, a norma del secondo comma dell'art. 119 Cost., ad avere assicurati i mezzi per assolvere ai loro compiti "normali". È, infatti, caratteristica naturale delle disposizioni transitorie di dettare una disciplina provvisoria e differenziata, per regolare il passaggio da una vecchia ad una nuova disciplina legislativa di determinati oggetti, com'è il caso, appunto, dei procedimenti in corso previsti dall'art. 8: i quali, proprio perché in corso al momento dell'inizio dell'attività delle Regioni a statuto ordinario, non rientrano tra i compiti "normali" a queste spettanti.

La non fondatezza delle questioni fin qui prese in esame implica la non fondatezza anche delle censure - prospettate d'altronde come conseguenziali - all'art. 9, che conserva ai comitati provinciali di assistenza e beneficenza le attuali funzioni, ad eccezione di quelle trasferite alle Regioni a statuto ordinario, e agli artt. 13 e 14 che, in connessione al medesimo trasferimento, indicano - rispettivamente - le soppressioni e riduzioni da apportare agli stati di previsione della spesa dei Ministeri dell'interno e del tesoro, nonché i criteri per il computo delle spese aggiuntive, determinandone l'ammontare, per l'anno 1972, in lire 5.733,8 milioni.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma secondo, lett. a), del decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 9, sul trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di beneficenza pubblica e del relativo personale, proposta in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione dalle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna con i ricorsi di cui in epigrafe;

b) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 8, 9, 13 e 14 dello stesso decreto presidenziale, proposte, in riferimento agli artt. 76, 77, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalle Regioni Lombardia, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi di cui in epigrafe;

c) dichiara cessata la materia del contendere per la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma secondo, lett. h) e dell'art. 3, n. 1, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, dello stesso decreto presidenziale, proposta, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Lombardia con il ricorso di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 1972.

Pres. Giuseppe CHIARELLI - Rel. Vezio CRISAFULLI

Deposito in cancelleria: 24 luglio 1972 (*)

(*) V. anche l'ordinanza di correzione n. 156

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 194 del 26 luglio 1972.