SENTENZA N. 126
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI, Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213 (Soppressione dei compensi fissi per i ricoveri ospedalieri), e 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 17 marzo 1976 dal TAR per il Lazio nel procedimento civile vertente tra Andreani Francesco ed altri e l'Università degli Studi di Roma ed altro, iscritta al n. 581 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 274 del 13 ottobre 1976;
2) ordinanza emessa il 14 luglio 1977 dal TAR dell'Umbria nel procedimento civile vertente tra Larizza Paolo ed il Ministro della pubblica istruzione ed altri, iscritta al n. 511 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 del 18 gennaio 1978;
3) ordinanza emessa il 22 marzo 1979 dal TAR per la Lombardia nel procedimento civile vertente tra Burgio Giuseppe ed altri e l'Università degli Studi di Pavia ed altri, iscritta al n. 594 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 291 del 24 ottobre 4979;
4) ordinanze emesse il 22 febbraio 1979 dal TAR della Liguria nei procedimenti civili vertenti tra Giampalmo Antonio ed altri, De Toni Ettore ed altro, Scopinaro Domenico ed altro ed il Ministero della pubblica istruzione ed altri, iscritte ai nn. 713, 714 e 715 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 345 del 19 dicembre 1979.
Visti gli atti di costituzione di Andreani Francesco ed altri, del Pio Istituto di S. Spirito, di Larizza Paolo e dell'Università degli Studi di Roma, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 15 ottobre 1980 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen;
uditi gli avvocati Aldo Sandulli per Andreani Francesco ed altri, Mario Nigro per il Pio Istituto di S. Spirito, Rinaldo Ricci per Larizza Paolo e l'avvocato dello Stato Renato Carafa per l'Università degli Studi di Roma e per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - A seguito dell'impugnativa proposta dal prof. Francesco Andreani e da altri docenti della Facoltà di medicina e chirurgia dell'Università di Roma avverso il diniego opposto dall'Università alla richiesta di percepire, in aggiunta alla retribuzione di professore universitario, quella inerente alle funzioni di primario ospedaliero a tempo definito da essi espletate oltre ai compiti didattici e scientifici, il TAR del Lazio, con ordinanza 17 marzo 1976, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dell'art. 4, commi secondo, terzo e quarto, della legge 25 marzo 1971, n. 213.
L'ordinanza rileva che, a norma dell'art. 1 del d.P.R. n. 129 del 1969 "l'ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche e degli istituti universitari di ricovero e cura deve essere adeguato all'ordinamento interno dei servizi ospedalieri e deve prevedere un'organizzazione analoga a quella dei corrispondenti servizi ospedalieri", mentre l'art. 3 del medesimo d.P.R. n. 129, prevede che "i professori universitari di ruolo, i professori aggregati, i professori incaricati, in quanto responsabili di un servizio speciale di diagnosi e cura assumono, a tali effetti, la qualifica di primari ospedalieri e conseguentemente, nei confronti dell'ente ospedaliero, i diritti e i doveri dei primari, in quanto applicabili". Analoga disposizione è prevista per gli aiuti e gli assistenti universitari dal successivo comma dello stesso art. 3.
Nell'ambito di questa disciplina l'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213, dopo avere soppresso con l'art. 1 i compensi fissi e addizionali per i ricoveri ospedalieri previsti dall'art. 82 del r.d. 30 settembre 1938, n. 1631, che stabilisce che, a decorrere dal 1 gennaio 1971, al personale medico universitario che svolge attività assistenziale negli istituti clinici gestiti direttamente dalle Università o gestiti dagli enti ospedalieri sia corrisposta una indennità, non utile ai fini previdenziali, che non potrà essere superiore a quella necessaria per equiparare il trattamento economico del detto personale medico universitario a quello del personale medico ospedaliero di pari funzione e anzianità.
Il TAR del Lazio osserva che la suddetta normativa comporta per i professori universitari, i quali in qualità di primari prestano anche servizio ospedaliero, lo svolgimento di una attività sanitaria, in aggiunta a quella didattica e di ricerca che essi sono tenuti a svolgere in base al loro status, secondo quanto prevedono l'art. 62 del testo unico n. 1592 del 1933, sull'istruzione superiore, e l'art. 6 della legge n. 311 del 1958, con un compenso che, globalmente considerando entrambe le attività, non può superare il trattamento economico dei primari ospedalieri con pari funzioni e anzianità.
Tale situazione normativa, inoltre, - secondo quanto ritenuto dal TAR del Lazio - risulta aggravata dall'art. 12 del d.l. 1 ottobre 1973, n. 580 (convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1973, n. 766), il quale, nel prevedere il trattamento economico del personale docente universitario, e nello stabilire la corresponsione di un assegno (sostitutivo dell'indennità di ricerca scientifica) nonché di altri assegni speciali, precisa, all'ottavo comma, che "il personale medico universitario che fruisce degli assegni previsti dal presente articolo, continua a beneficiare dell'indennità di cui all'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213, per la parte eccedente gli assegni medesimi". Con la conseguenza che, o l'indennità, o gli assegni di cui sinora si è detto, risultano, in buona parte, reciprocamente assorbiti.
Ne deriva - secondo l'ordinanza di rimessione - che con le disposizioni anzidette si sarebbe operata una sostanziale equiparazione del trattamento economico dei medici docenti universitari a quello dei medici ospedalieri, senza che si sia tenuto conto della essenziale diversità degli status funzionali delle due categorie ed in particolare che in base al r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, i professori universitari medici hanno compiti essenzialmente didattici e di ricerca scientifica, nei confronti dei quali l'attività assistenziale si atteggia come funzione strumentale, mentre i medici ospedalieri hanno come funzione istituzionale la cura e l'assistenza degli infermi.
Sulla base di tali considerazioni, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213 è sollevata innanzi tutto sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, in quanto detto articolo porrebbe in essere una disparità di trattamento a danno dei professori universitari:
1) nei confronti dei primari ospedalieri (medici ospedalieri), i quali percepiscono lo stesso compenso per l'assolvimento degli obblighi di sola assistenza, con esclusione degli obblighi di didattica e di ricerca, compenso totalmente utile sotto il profilo previdenziale e assistenziale, che in aggiunta viene aumentato ove i detti primari ospedalieri vogliano svolgere attività didattica;
2) nei confronti degli altri professori universitari, ai quali è consentito il cumulo dei diversi rapporti di lavoro, che viene retribuito, anche se con una decurtazione prevista ex lege (r.d.l. n. 2960 del 1923, art. 99 e d.P.R. n. 19 del 1956, art. 16).
Inoltre, secondo il TAR del Lazio, il suddetto art. 4 si porrebbe in contrasto anche con l'art. 36 della Costituzione, non essendo la retribuzione che ne deriva per i professori universitari primari ospedalieri proporzionata alla qualità e quantità del loro lavoro, nonché con l'art. 38 della Costituzione, nella parte in cui prevede che la indennità di che trattasi non sia utile ai fini previdenziali e assistenziali.
2. - Dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si è costituita l'Università degli Studi di Roma, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Nelle difese si rileva che l'art. 4 ha funzione perequativa fra primari ospedalieri che non siano professori universitari e primari ospedalieri che siano anche professori universitari e si osserva che la "duplicità" di funzioni di questi ultimi è più apparente che sostanziale in quanto il legislatore ha statuito (art. 3 d.P.R. n. 129/1969) che la loro attività didattico-scientifica ed assistenziale si svolga nei limiti della compatibilità e col necessario contemperamento. Si richiamano altresì i lavori parlamentari sulla legge n. 213 del 1971, dai quali si evincerebbe la razionalità della ratio dell'art. 4, diretta a parificare i trattamenti economici di tutti coloro che abbiano la qualifica di primari ospedalieri, per evitare esodi dalle università o dagli ospedali verso l'attività meglio retribuita.
Quanto alla violazione degli artt. 36 e 38 della Costituzione, secondo l'Avvocatura dello Stato nè il primo viene vulnerato dalla norma impugnata, una volta che l'attività assistenziale e didattica viene considerata nella sua globalità, né il secondo una volta che non è precluso al legislatore ordinario attribuire una "indennità" non utile ai fini previdenziali e assistenziali ad un pubblico dipendente che già gode di un suo trattamento previdenziale ed assistenziale.
Si è costituito pure il Pio Istituto di S. Spirito ed OO.RR. di Roma, chiedendo anch'esso che la questione sia ritenuta non fondata.
Nelle deduzioni depositate si osserva che la disparità di trattamento non esiste perchè l'indennità ex art. 4 ha soltanto il fine di compensare l'attività che i professori universitari che si trovano in questa situazione svolgono in più rispetto a tutti gli altri professori universitari per il fatto di essere preposti ad una unità ospedaliera.
Professori universitari preposti ad unità ospedaliere e primari per così dire "puri" non si trovano - secondo le note depositate - sotto il profilo dello svolgimento dell'attività di assistenza, in posizione paritaria, perchè i secondi fanno soltanto i primari mentre i professori universitari preposti ad unità ospedaliere svolgono anche ed, anzitutto, le attività cui li obbligano le leggi universitarie (art. 84 testo unico n. 1592/1933; art. 6 legge n. 311/1958), cosicché i professori universitari svolgono come tali e solo in forma e misura dipendenti dall'attività didattica e di ricerca compiti di assistenza; pertanto la retribuzione che percepiscono quali professori varrebbe anche a compensarli della attività di assistenza.
Neppure sarebbero comparabili la posizione del professore universitario primario, per il quale la duplicità di funzioni è istituzionale, e quella del primario che occasionalmente assuma un incarico universitario.
Quanto alla disparità di trattamento nei confronti degli altri professori universitari, ai quali è consentito il cumulo di più rapporti di lavoro con retribuzioni decurtate in misura prevista dalla legge, si deduce che l'art. 4 ha proprio la funzione di compensare il professore universitario del di più di lavoro che gli deriva dalla contemporanea qualifica di primario, essendosi fuori dal campo di cumulo d'impieghi, tanto è vero che l'assegno ex art. 4 viene corrisposto dall'Università (e non dall'ospedale).
La questione non sarebbe fondata neppure in relazione agli artt. 36 e 38 della Costituzione, non essendo dimostrato che la retribuzione dei professori universitari-primari non sia proporzionata alla qualità e quantità del loro lavoro e godendo essi di trattamento previdenziale ed assicurativo sulla base dello stipendio di professori.
3. - Si sono costituiti anche i docenti universitari che avevano proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio, chiedendo che l'art. 4 della legge n. 213 del 1971 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo "in quanto esclude che i docenti universitari investiti anche delle funzioni di primario ospedaliero abbiano il diritto di ottenere, in aggiunta al trattamento ad essi spettante - in corrispondenza della qualifica, del coefficiente e della anzianità di ciascuno - in quanto professori universitari, altresì la retribuzione dovuta ai primari ospedalieri di pari anzianità, o, quanto meno, quella ridotta parte di essa che risulti corrispondente alle ulteriori (prevalenti) prestazioni che i ricorrenti sono tenuti ad effettuare (in aggiunta all'attività di professori universitari) in quanto preposti a reparti ospedalieri in qualità di primari, con decorrenza dalla entrata in vigore della legge n. 213/1971, e comunque dal cumulo dei due servizi da parte di ciascuno".
Si osserva nelle note depositate che dall'art. 7 del decreto interministeriale 24 giugno 1971 (Gazzetta Ufficiale 20 luglio 1971, n. 182) risulta che il tempo che il cattedratico responsabile del reparto è tenuto a dedicare alla direzione di esso deve corrispondere (dato che il responsabile è lui: art. 3 d.P.R. n. 129/1969) a quello di un primario ospedaliero a tempo definito.
Comunque - si deduce - l'attività sanitaria si aggiunge all'attività di insegnamento e tale aspetto addizionale appare ancora manifesto quando si raffronti la posizione dei accennati professori con quella dei professori di altre facoltà e degli stessi professori delle facoltà mediche che non abbiano responsabilità ospedaliera.
Detta attività addizionale, in forza dell'art. 4, resterebbe sostanzialmente priva di retribuzione, tenuto anche conto che in base alla sentenza n. 129 del 1975 di questa Corte, essendo stati i professori universitari della classe più alta di stipendio (parametro 825) agganciati ai dirigenti generali della qualifica A) con trattamento omnicomprensivo, tale trattamento comporta per i professori universitari della classe più alta di stipendio che nessuna indennità viene percepita ex art. 4.
Ne deriverebbe lesione dell'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificato trattamento deteriore fatto ai professori universitari primari ospedalieri rispetto ai docenti universitari che non siano anche primari ospedalieri, in quanto l'impugnato art. 4:
- o esclude ogni compenso (come per i professori che abbiano diritto al trattamento di dirigenti generali di qualifica A) per l'attività ospedaliera;
- o prevede un compenso, il quale, anziché commisurarsi alla qualità e quantità del lavoro addizionale prestato (e riferirsi perciò alla retribuzione dei sanitari ospedalieri, in correlazione col tempo - aggiuntivo - effettivamente dedicato all'attività di cui trattasi), è invece pari alla differenza per portare il trattamento complessivo ad un livello che non superi quello dei sanitari ospedalieri di pari funzioni (sanitarie) e anzianità.
Ulteriore sperequazione deriverebbe - secondo le parti private - dal fatto che l'"indennità" prevista dalla legge n. 213/1971 non è utile ai fini previdenziali e assistenziali.
A sostegno della fondatezza della questione si sostiene altresì che, per quanto riguarda il servizio sanitario, fra i professori universitari - impiegati statali - e le Università, si instaura un nuovo rapporto di servizio, diverso da quello esistente fra professori e Stato. La duplicità e diversità di tali rapporti, renderebbe pertinente il richiamo, a fondamento della dedotta illegittimità costituzionale della norma impugnata, della giurisprudenza di questa Corte in materia di cumulo d'impieghi e di retribuzioni (sentenze n. 152/1970; n. 10/1973; n. 11 del 1973) secondo la quale il legislatore, in caso di cumulo d'impieghi, non può ridurre la retribuzione della seconda attività senza attenersi a criteri ragionevoli, come invece avrebbe fatto la norma impugnata.
Altra disparità di trattamento deriverebbe da tale norma nei confronti dei primari ospedalieri che, pur non cumulando gli obblighi didattici e di ricerca dei professori universitari, riceverebbero un pari trattamento e, se titolari di incarico universitario, riceverebbero anche una distinta retribuzione per tale incarico.
Altra disparità di trattamento sarebbe ancora da ravvisarsi fra professori universitari che siano anche primari ospedalieri, perchè l'indennità prevista per l'attività ospedaliera varia a seconda del maggiore o minore stipendio del docente sino ad annullarsi per i professori più anziani.
La questione, infine, sarebbe fondata anche sotto il profilo della violazione dell'art. 36 della Costituzione, comportando la norma impugnata una retribuzione non corrispondente alla qualità e quantità del lavoro prestato.
4. - il TAR dell'Umbria, con ordinanza emessa il 14 luglio 1977 nel corso di un giudizio promosso dal prof. Paolo Larizza nei confronti del Ministero della pubblica istruzione per far dichiarare l'illegittimità del provvedimento col quale era stato disposto il recupero delle somme corrispostegli a titolo d'indennità ex art. 4 legge n. 213/1971, non ostante che egli godesse del trattamento dirigenziale omnicomprensivo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, nella parte in cui il principio della omnicomprensività è riferito anche ai professori universitari con trattamento dirigenziale ed operanti in unità ospedaliere.
Il TAR, ritenuta la preclusione del cumulo fra trattamento dirigenziale omnicomprensivo e l'indennità su detta, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 50, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo, innanzi tutto, che "darebbe vita ad una irragionevole rottura con la logica volta ad assoggettare il sanitario universitario agli stessi obblighi di servizio e, quindi, allo stesso trattamento economico dei medici ospedalieri un regime, qual è quello della omnicomprensività, destinato ad assicurare ai clinici universitari in posizioni di vertice un trattamento economico deteriore rispetto a quello riconosciuto ai medici ospedalieri, ai quali i sanitari universitari risultano, per i profili passivi, interamente assimilati".
Ulteriore vizio di illegittimità costituzionale emergerebbe ponendo a raffronto la posizione dei clinici universitari al vertice della scala retributiva con quella dei clinici universitari collocati in posizione parametrale inferiore; mentre per i primi la disciplina dirigenziale comporta l'assegnazione del solo trattamento tabellare (corrispondente al livello A) della dirigenza statale) ai secondi risulta, invece, accordata la indennità integrativa prevista dall'art. 4 della legge n. 213 del 1971, destinata a condurre al raggiungimento del trattamento economico proprio del sanitario ospedaliero di corrispondente qualifica.
Una disciplina siffatta condurrebbe all'irragionevole risultato di non assicurare al medico universitario di maggiore livello un trattamento economico proporzionatamente maggiore a quello riservato ai clinici universitari di parametro inferiore, determinando un irragionevole sconvolgimento del sistema di sviluppo dei livelli retributivi connessi al diverso parametro posseduto.
Davanti a questa Corte si è costituito il prof. Larizza chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata fondata.
5. - Questione analoga alla precedente è stata sollevata anche dal TAR della Liguria nel corso di giudizi promossi da professori universitari avverso provvedimenti i quali attribuivano loro lo stipendio dirigenziale di livello A) e statuivano il contemporaneo assorbimento di tutte le altre indennità già da essi percepite, comprese quelle di cui all'art. 4 della legge n. 213/1971.
Il TAR della Liguria con ordinanze del 22 febbraio 1979, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione, degli artt. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 e 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213.
Secondo tali ordinanze, la disciplina della omnicomprensività stabilita dall'art. 50 del d.P.R. n. 748, riferita ai sanitari universitari pervenuti all'ultima classe di stipendio, i quali svolgano attività assistenziale in unità ospedaliere clinicizzate o convenzionate, sarebbe in contrasto con i detti articoli della Costituzione, in quanto i professori con parametro 825, che svolgono attività assistenziale sanitaria, verrebbero ad avere un trattamento ingiustificatamente indiscriminato non soltanto nei confronti degli altri docenti con eguale parametro e dei sanitari ospedalieri, ma anche nei confronti dei sanitari universitari con parametro inferiore a 825, i quali, continuando a percepire l'indennità ex art. 4 della legge n. 213/1971 ed i compensi per altre prestazioni aggiuntive, si troverebbero ad avere un trattamento economico globale superiore a quello attribuito ai docenti con le stesse funzioni e con qualifica superiore.
Unitamente a tale questione e subordinatamente alla declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 50 anzidetto, il TAR della Liguria ha sollevato anche questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 213 del 1971, in relazione agli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione, con motivazione identica a quella del TAR del Lazio.
In tale giudizio non vi è stata costituzione di parti.
6. - Questione di legittimità costituzionale, analoga alle precedenti, dell'art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, è stata sollevata anche dal TAR della Lombardia, con ordinanza 22 marzo 1979.
Neanche nel giudizio di legittimità costituzionale così promosso vi sono state costituzioni di parte.
Considerato in diritto
1. - Con le ordinanze di rimessione di cui in epigrafe sono state sottoposte all'esame della Corte due questioni riguardanti l'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213 (recante: "Soppressione dei compensi fissi per i ricoveri ospedalieri di cui all'art. 82 del regio decreto 30 settembre 1938, n. 1631, e della Cassa nazionale di conguaglio di cui al decreto-legge 18 novembre 1967, n. 1044, convertito in legge 17 gennaio 1968, n. 4") ed una terza questione riguardante l'art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (recante: "Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo"): tali questioni attengono tutte al trattamento economico dei professori universitari delle facoltà di medicina e chirurgia che operino in unità ospedaliere ed involgono l'esame di problemi analoghi o connessi. I relativi giudizi vanno pertanto riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Con la prima questione (prospettata dal TAR della Liguria) si denuncia la illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213, con riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, in quanto in forza di esso ai professori universitari, i quali abbiano anche la qualifica di primari ospedalieri, spetterebbe una retribuzione non proporzionata alla quantità e qualità del loro lavoro, nonché una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti:
a) dei primari che non siano anche professori universitari, percependo i professori universitari per una (doppia attività, assistenziale e didattica uno stipendio non maggiore di quello dei primari non professori, i quali esplicano solo attività assistenziale;
b) nei confronti dei primari che abbiano un incarico universitario, perchè costoro sono retribuiti per tale seconda attività;
c) nei confronti degli altri professori universitari, essendo per essi consentito il cumulo delle retribuzioni in relazione al cumulo dei rapporti di lavoro.
La seconda questione (sollevata dal TAR del Lazio) denuncia l'art. 4 della legge n. 213 del 1971, per violazione dell'art. 38 della Costituzione, nella parte in cui statuisce che l'indennità in esso prevista non è utile ai fini previdenziali ed assistenziali.
Con la terza questione, infine (sollevata dai TAR dell'Umbria, della Liguria e della Lombardia) si dubita, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, nella parte in cui stabilisce che il principio dell'omnicomprensività retributiva si riferisce anche ai professori universitari con trattamento dirigenziale operanti in unità ospedaliere, in quanto l'applicazione ad essi di tale principio comporterebbe:
a) un deteriore trattamento per i clinici universitari rispetto ai medici ospedalieri;
b) una ingiustificata differenza di trattamento fra clinici universitari, a seconda che usufruiscano del trattamento dirigenziale e omnicomprensivo ovvero non ne usufruiscano, potendo in tale ultimo caso usufruire di altre indennità;
c) una ingiustificata differenza di trattamento rispetto a tutti gli altri professori universitari, che hanno uguale trattamento e non svolgono attività di assistenza sanitaria;
d) una retribuzione non proporzionata alla qualità e quantità del lavoro.
3. - La prima delle questioni sottoposte alla Corte investe l'art. 4, secondo comma, della legge 213 del 1971, partendo dal presupposto che i professori universitari operanti nelle cliniche universitarie sarebbero titolari di un duplice rapporto d'impiego o, quanto meno, sarebbero tenuti ad una pluralità di prestazioni lavorative la quale imporrebbe una retribuzione diversa e maggiore di quella posta con la norma in parola.
Ciò richiede che la Corte accerti preliminarmente la reale situazione giuridica dei professori universitari che siano anche direttori di cliniche universitarie ò più in generale, dei professori universitari che operino nelle cliniche stesse.
Questa Corte, con la sentenza n 103 del 1977 ha già riconosciuto che l'attività che viene svolta dai docenti universitari nelle cliniche e negli istituti di ricovero e cura non solo non è incompatibile con l'attività didattico-scientifica, ma, al contrario, che esse sono "suscettibili di ottimale collegamento o addirittura compenetrazione". Ed infatti, come è noto, le cliniche annesse alla Facoltà di medicina e chirurgia forniscono i mezzi necessari per lo svolgimento delle lezioni e delle esercitazioni universitarie nonché per le indagini scientifiche alle quali è tenuto il personale insegnante ed assistente delle Facoltà medesime, sicché loro caratteristica è la preminenza del fine didattico-scientifico su quello meramente assistenziale. Da ciò discende che le cliniche costituiscono organi delle Università e che l'attività assistenziale dei docenti predetti si inquadra senz'altro nella attività propria dei docenti universitari.
Sulla base di questa premessa sia l'art. 84 del r.d. 31 agosto 1933, n. 1592 ("Testo unico delle leggi sull'istruzione superiore"), sia l'art. 6, ultimo comma, della legge 18 marzo 1958, n. 311 (recante: "Norme sullo stato giuridico ed economico dei professori universitari") hanno chiarito che fra gli obblighi dei professori universitari rientrano anche quelli di attendere alla direzione o alla esplicazione della propria attività di collaborazione nei gabinetti, istituti, cliniche, laboratori e simili, cioè in tutte quelle istituzioni che concorrono in vario modo allo svolgimento delle attività proprie delle Università: in altri termini, il servizio prestato dai docenti universitari nei reparti clinico-ospedalieri fa parte integrante dei doveri inerenti al loro status, alla pari di qualsiasi altra forma di partecipazione alla vita universitaria in genere (laboratori, istituti, ecc.). Di conseguenza tale servizio non può non essere ricompreso nella normale retribuzione spettante ai docenti medesimi.
Il carattere proprio delle cliniche universitarie e la natura dell'opera ivi espletata dai professori addetti non è stata mutata dalla riforma ospedaliera del 1968.
L'art. 1, terzo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132, infatti, si limita a constatare che l'assistenza ospedaliera viene svolta anche nelle cliniche universitarie, aggiungendo che ad esse si applicano le norme di detta legge "limitatamente all'esercizio della attività assistenziale".
Come questa Corte ha osservato nella citata sentenza n. 103 del 1977, con le disposizioni in parola il legislatore ha inteso mobilitare, per l'assolvimento del servizio in cui si concreta l'assistenza ospedaliera pubblica, anche gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, le cliniche e gli istituti universitari, dichiarandoli soggetti, per la parte assistenziale, alla disciplina unitaria posta dalla stessa legge di riforma: ma ciò se ha inciso sull'ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche, non ha operato sulla posizione giuridica dei docenti universitari incaricati nei accennati istituti e cliniche, posizione giuridica la quale rimane soggetta alle norme precedentemente ricordate.
Di conseguenza modifiche non sono state apportate, su questo punto, neppure dalle norme contenute nel d.P.R. 27 marzo 1969, n. 129 (recante: "Ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche e degli istituti universitari di ricovero e cura"), emanato in attuazione della delega di cui agli artt. 40 e 42 della legge n. 132 del 1968 e destinato a dare applicazione al principio affermato nell'art. 1, terzo comma, già citato.
In particolare l'art. 3, quando stabilisce che i professori universitari di ruolo (nonché gli aggregati e gli incaricati) in quanto responsabili di una divisione o di un servizio speciale di diagnosi e cura, assumono "a tali effetti", la qualifica di primari ospedalieri e, conseguentemente, nei confronti dell'ente ospedaliero, i diritti ed i doveri dei primari "in quanto applicabili", altro non fa che meglio chiarire e precisare la posizione del professore in rapporto alla attività assistenziale che si svolge nell'ambito della clinica, non essendo da dubitare che anche prima della riforma detti docenti fossero soggetti agli obblighi ed alle responsabilità inerenti all'esercizio delle relative funzioni.
Non diversamente dispone il secondo comma del medesimo art. 3 per quel che riguarda gli aiuti e gli assistenti.
Il concetto è stato ripreso integralmente dall'art. 102, primo comma, del d.P.R. il luglio 1980, n. 382 (recante: "Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica"), aggiungendosi che dell'adempimento dei doveri inerenti alle funzioni assistenziali il personale universitario "risponde alle autorità accademiche competenti", il che sottolinea la unicità del rapporto di impiego dei detti professori.
Consegue da quanto si è detto che gli stessi professori universitari inseriti nelle cliniche ed istituti di ricovero e di cura non sono soggetti ad un duplice rapporto di impiego e neppure che essi, in quanto operino in dette cliniche ed istituti, svolgano una attività la quale abbia caratteristiche diverse da quella loro propria.
Al più è possibile parlare di un'attività la quale può rendere e di fatto rende più oneroso il lavoro dei docenti addetti agli istituti in parola ed è certamente in considerazione di ciò che il legislatore, fin ab antiquo, ha rivolto una particolare attenzione a questa situazione prevedendo qualche speciale compenso. Ne è già parola nel r.d. 13 novembre 1859, n. 3725 (comunemente conosciuto come "legge Casati"): nella nota alla tabella B) ivi allegata si dice infatti che "i professori i quali oltre le lezioni hanno od una clinica o uno stabilimento cui prestar la loro cura e sorveglianza godranno dell'aumento determinato dalla relativa pianta".
Contrariamente a quanto si afferma dalle parti private, il testo unico n. 1592 del 1933, non parla espressamente di compensi del genere (limitandosi, nell'art. 59, che prevede prestazioni a pagamento, a rinviare al regolamento di esecuzione circa la loro utilizzazione: e l'art. 133 del r.d. 6 aprile 1924, n. 674, che approvò il regolamento generale universitario, a sua volta, parla genericamente della destinazione delle somme provenienti da dette prestazioni, fra l'altro, a compensi al personale). Invece con l'art. 82 del r.d. 30 settembre 1938, n. 1631 (recante: "Norme generali per l'ordinamento dei servizi sanitari e del personale sanitario degli ospedali") si introdusse la facoltà di imporre un compenso fisso per ogni ricoverato in corsia comune a carico di enti mutualistici, compenso che sarebbe stato poi devoluto ai sanitari curanti.
Ma con la legge 25 marzo 1971, n. 213, il legislatore, nella sua discrezionalità e per scopi chiaramente perequativi, ha ritenuto di mutare sistema, sopprimendo i compensi fissi previsti dal r.d. n. 1631 del 1938 e stabilendo con l'art. 4 (ora riprodotto nell'art. 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, recante: "Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali") che gli enti ospedalieri versino alle Università la somma corrispondente al costo necessario per dotare di personale medico ospedaliero a tempo definito ogni unità a direzione universitaria. É poi l'Università che destina tale somma alla corresponsione al personale medico universitario che svolga comunque attività assistenziale di una indennità che non può essere superiore, nel suo ammontare, a quanto occorrente per equiparare il trattamento economico a quello del personale medico ospedaliero di pari funzioni ed anzianità; in tal modo si è voluto fondamentalmente addivenire alla equiparazione economica fra sanitari ospedalieri e docenti universitari che operino nelle cliniche universitarie, ma rispettando la posizione dei docenti universitari i quali ricevono la indennità non dall'ente ospedaliero ma dalla Amministrazione universitaria.
Il legislatore, pertanto, ha preso in considerazione la posizione degli universitari inseriti nelle cliniche, ma ha più volte variato il criterio in base al quale calcolare l'emolumento: da ultimo ha ritenuto di dovere seguire il criterio, certo non irrazionale, di equiparare, nei limiti del possibile, la posizione economica dei sanitari ospedalieri e dei docenti universitari operanti nelle cliniche.
4. - Da tutto quanto si è venuto fin qui esponendo emerge, ad avviso della Corte, che per i docenti universitari dei quali si tratta non è possibile parlare di un duplice rapporto di impiego né di un lavoro supplementare o aggiuntivo che sia da considerare al di fuori dei doveri inerenti allo status di professore universitario: il compenso per il più oneroso svolgimento della loro attività trova tradizionalmente base in una valutazione discrezionale del legislatore, la quale soprattutto non deve trascurare la posizione dei professori a tempo pieno.
Ma se così è, nessuno dei profili di incostituzionalità denunciati dalle ordinanze di rimessione risulta fondato.
Infatti per quanto attiene alla pretesa violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) si osserva che:
a) non può parlarsi di disparità di trattamento con gli ospedalieri che non siano docenti universitari e che percepiscono il medesimo stipendio pure svolgendo solo attività assistenziale, poiché per i professori dei quali qui si tratta la attività assistenziale si compenetra con quella didattico-scientifica;
b) non esiste possibilità di operare un confronto fra i professori in parola e gli ospedalieri cui sia conferito un qualsiasi incarico di insegnamento universitario, in quanto questi ultimi svolgono in effetti due lavori separati e distinti e sono titolari di due distinti rapporti di impiego;
c) infine non può parlarsi di disparità di trattamento con i docenti universitari appartenenti ad altre facoltà ai quali sia consentito il cumulo di più rapporti di impiego, sempre perchè per i docenti in questione non si ha alcun cumulo ma, ripetessi, soltanto la esplicazione di una attività sostanzialmente unitaria.
Né può ritenersi violato l'art. 36 della Costituzione, poiché, come si è veduto, la legge riconosce ai professori in parola, proprio per il maggior lavoro al quale essi sono assoggettati, uno speciale compenso, la cui entità rientra, come già detto, nell'apprezzamento discrezionale del legislatore.
Quanto, infine, alla pretesa violazione dell'art. 97 della Costituzione, l'ordinanza di rimessione non precisa in alcun modo il contenuto della violazione stessa.
5. - Fondata, invece, appare la seconda questione sottoposta all'esame della Corte.
Invero la indennità che viene corrisposta a norma dell'art. 4 costituisce pur sempre una componente del complessivo trattamento economico spettante al professore universitario quando svolga attività assistenziale sanitaria e come tale essa non può non essere utile ai fini assistenziali e previdenziali, in applicazione dell'art. 38 Cost.: il divieto all'uopo posto nell'art. 4 viola, di conseguenza, tale norma costituzionale, tanto più che gli enti assistenziali, nel versare alle Università le somme di cui al ripetuto secondo comma dell'art. 4, vi comprendono anche i contributi previdenziali, i quali non possono poi rimanere nelle casse universitarie e non produrre, quindi, alcun benefico effetto nei riguardi dei soggetti ai quali si riferiscono.
Deve, di conseguenza, dichiararsi la illegittimità costituzionale del citato art. 4, secondo comma, nella parte nella quale stabilisce "non utile ai fini previdenziali ed assistenziali" la indennità de qua.
6. - In conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 4, secondo comma, nella parte ora citata, la Corte, avvalendosi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve dichiarare la illegittimità costituzionale anche dell'art. 31, primo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui stabilisce che la indennità ivi preveduta, identica a quella già preveduta dall'art. 4 suddetto, non e utile ai fini previdenziali ed assistenziali.
7. - Fondata è, infine, anche la terza delle questioni sottoposte a questa Corte, che investe il disposto dell'art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748.
Questa disposizione, come è noto, ha posto il divieto di corrispondere ai "funzionari dirigenti", oltre all'indennità di funzione, ulteriori "indennità, proventi o compensi a qualsiasi titolo in connessione con la carica, salvo che abbiano carattere di generalità per tutti gl'impiegati civili dello Stato". Tale divieto, in conseguenza di quanto statuito nella sentenza n. 219 del 1975 di questa Corte, si applica anche ai professori universitari con parametro 825, ancorché prestino la loro opera in cliniche universitarie, cosicché essi non possono usufruire dell'indennità prevista dall'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213.
Ma il suddetto divieto, nei limiti in cui si estende all'indennità prevista dall'art. 4 sopra citato, appare irragionevole, ove si tenga conto della particolare finalità della indennità in questione, diretta a perequare il trattamento dei professori universitari con quella dei medici ospedalieri di pari funzioni e anzianità.
La circostanza che un professore universitario raggiunga il parametro 825, non elimina l'esigenza di perequazione, ove per qualunque ragione il suo stipendio venga ad essere inferiore a quello del medico ospedaliero di pari funzioni ed anzianità.
L'art. 50 del d.P.R. 50 giugno 1972 va pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui esclude che ai docenti universitari che operino in cliniche universitarie ed abbiano raggiunto il parametro 825 possa essere corrisposta l'indennità prevista già dall'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213 ed ora dall'art. 31 del citato d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761.
Rimane assorbita la dedotta violazione dell'art. 36 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213 (recante: "Soppressione dei compensi fissi per i ricoveri ospedalieri di cui all'art. 82 del regio decreto 30 settembre 1938, n. 1631, e della Cassa nazionale di conguaglio di cui al decreto-legge 18 novembre 1967, n. 1044, convertito nella legge 17 gennaio 1968, n. 4"), nella parte in cui stabilisce che l'indennità in esso prevista non è utile ai fini assistenziali e previdenziali;
b) dichiara altresì d'ufficio, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e negli stessi limiti, l'illegittimità costituzionale dell'art. 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (recante: "Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali");
c) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (recante: "Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo"), nella parte in cui esclude che ai docenti universitari i quali operino in cliniche universitarie ed abbiano raggiunto il parametro 825 possa essere corrisposta l'indennità prevista dall'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213 e dall'art. 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761;
d) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213, sollevata dai TAR del Lazio e della Liguria, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1981.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Giuseppe FERRARI.
Giovanni VITALE – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 10 luglio 1981.