Sentenza n. 10 del 1978
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SENTENZA N. 10

ANNO 1978

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, terzo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio) e dell'art. 143, ultimo comma, del codice di procedura civile in relazione all'art. 142 stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 15 novembre 1974 dalla Corte d'appello di Palermo nel procedimento civile vertente tra Sposito Giuseppina e Accomando Carlo, iscritta al n. 90 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 108 del 23 aprile 1975.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1977 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

 

udito il vice avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

1. - Il Presidente del tribunale di Palermo, con decreto del 17 aprile 1973 (emesso in calce alla domanda con la quale Accomando Carlo aveva chiesto la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso contratto con Sposito Giuseppina, residente a New York), ordinava la comparizione delle parti per il successivo 25 giugno, facendo obbligo al ricorrente di notificare al coniuge copia del ricorso e del provvedimento almeno cinque giorni prima di tale data. La Sposito non si costituiva in giudizio e il tribunale, dichiaratane la contumacia, pronunciava, con sentenza del 19 marzo 1974, la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Avverso la sentenza la Sposito proponeva appello e impugnava - tra l'altro - la validità del decreto sopra indicato, deducendo che le era stato notificato in epoca successiva alla data fissata per la comparizione.

La Corte d'appello di Palermo adita per il giudizio di impugnazione, rilevato che tutte le formalità prescritte dall'art. 142 c.p.c. erano state, ad istanza dell'attore, eseguite entro il 14 maggio 1973 (con l'effetto di far risultare la notifica effettuata, secondo il disposto dell'ultimo comma dell'art. 143 c.p.c., alla data del successivo 3 giugno) ma che peraltro sui plichi spediti dall'ufficiale giudiziario e dal consolato generale d'Italia a New York (a mezzo dei quali, ai fini della notifica, il ricorso e il decreto in questione erano stati recapitati alla Sposito) i timbri a calendario degli uffici postali del luogo di destinazione recavano le date, rispettivamente, del 21 giugno e del 13 agosto 1973, ha sollevato, con ordinanza emessa il 15 novembre 1974, e in riferimento all'art. 24 Cost. (garanzia costituzionale del diritto di difesa):

a) questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, terzo comma, legge 1 dicembre 1970, n. 898, in base al quale il Presidente del tribunale presso il quale é proposta la domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio "fissa con decreto il giorno della comparizione dei coniugi davanti a sé e il termine per la notificazione del ricorso e del decreto";

b) questione di legittimità costituzionale dell'art. 143, ultimo comma, c.p.c. il quale dispone che nei casi previsti dal precedente art. 142 (e, cioè, nel caso di notificazione a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nella Repubblica) "la notificazione si ha per eseguita nel ventesimo giorno successivo a quello in cui sono compiute le formalità prescritte".

Nell'ordinanza, premesso che questa Corte, relativamente ai termini entro i quali le attività di difesa debbono essere svolte, ha in più occasioni ritenuto che essi non possono prendere corso se non da atti e fatti che siano effettivamente venuti a conoscenza degli interessati, si osserva che l'ultimo comma dell'art. 143 c.p.c. fissa la decorrenza per il destinatario degli effetti della notificazione con riferimento a situazioni che prescindono dall'effettiva presa di conoscenza, da parte del medesimo, dell'oggetto di essa e della sua stessa esistenza, stabilendo così una presunzione iuris et de iure che impedisce all'interessato di provare il difetto di una effettiva presa di conoscenza dell'atto.

La legittimità costituzionale dell'art. 4, terzo comma, legge 1 dicembre 1970, n. 898, é posta in dubbio, sempre in riferimento all'art. 24 Cost., sul rilievo che detta norma, consentendo al Presidente del tribunale di fissare discrezionalmente la data per la comparizione dei coniugi dinanzi a sé e quella entro la quale l'istante deve notificare all'altra parte il ricorso e il decreto di comparizione, non ponga alcun limite né stabilisca alcun criterio per la determinazione dell'intervallo necessario alle esigenze di difesa del convenuto.

2. - Le parti private non si sono costituite in giudizio. É intervenuto, invece, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato con atto depositato il 13 maggio 1975, proponendo deduzioni limitatamente alla prima delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con l'ordinanza in epigrafe (e, cioè, quella concernente l'art. 4, terzo comma, legge 1 dicembre 1970, n. 898).

Secondo l'Avvocatura (le cui conclusioni si precisano in una richiesta di declaratoria di non fondatezza della questione sollevata) i dubbi circa la legittimità costituzionale dell'art. 4, terzo comma, legge n. 898 del 1970, sono il frutto di un equivoco in quanto tale disposizione conferisce al giudice un potere indubbiamente discrezionale, da esercitarsi avendo riguardo alle varie possibili esigenze che vengono a prospettarsi, "ma che in nessun caso può ritenersi svincolato dal rispetto del principio del contraddittorio".

Pertanto "la fissazione di un termine, che rendesse assolutamente impossibile per una parte l'esercizio del diritto di difesa, sarebbe sanzionata dalla nullità che l'art. 156, secondo comma, c.p.c., commina ad ogni atto del processo, che manchi dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo".

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - Con l'ordinanza in epigrafe sono state sottoposte alla Corte le seguenti questioni:

a) se sia costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 24 Cost., l'art. 4, terzo comma, legge 1 dicembre 1970, n. 898 (in base al quale il Presidente del tribunale adito per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio "fissa con decreto il giorno della comparizione dei coniugi davanti a sé e il termine per la notificazione del ricorso e del decreto"), in quanto non fissa alcun limite né stabilisce alcun criterio per la determinazione dell'intervallo, necessario alle esigenze di difesa del convenuto;

b) se sia costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 24 Cost., l'art. 143, u.c. c.p.c. (secondo il quale le notificazioni eseguite ai sensi del precedente art. 142 alle persone non residenti, né dimoranti, né domiciliate nella Repubblica "si hanno per eseguite nel ventesimo giorno successivo a quello in cui sono compiute le formalità prescritte"), sotto il profilo che detta disposizione fissa la decorrenza, per il destinatario, degli effetti della notificazione con riferimento a situazioni che prescindono dall'effettiva cognizione, da parte del medesimo, dell'atto da notificare, stabilendo una presunzione iuris et de iure di conoscenza di esso che impedisce all'interessato di provare il contrario.

2. - La questione puntualizzata alla lettera a) del precedente n. 1 non é fondata.

Essa é stata sollevata dal giudice a quo nel presupposto che la norma denunziata lasci il Presidente del tribunale assolutamente libero di determinare l'intervallo tra la notificazione del provvedimento e l'udienza di comparizione, senza vincolarlo in alcun modo al rispetto delle esigenze difensive del convenuto.

L'assunto non può essere condiviso.

Invero, una corretta interpretazione dell'art. 4, terzo comma, legge 1 dicembre 1970, n. 898, che tenga conto dell'inserimento di tale norma nel sistema del diritto processuale vigente e dei principi che lo caratterizzano, induce a ritenere che detta disposizione conferisca al giudice un potere indubbiamente discrezionale ma che non é certo svincolato dall'osservanza del principio del contraddittorio, il quale ha carattere generale e la cui rilevanza trascende l'interesse privato delle singole parti per investire quello pubblico, attinente al regolare svolgimento della funzione giurisdizionale.

Sicché, anche nell'ipotesi prevista dalla norma denunziata, la fissazione di un termine di comparizione, che rendesse impossibile o anche estremamente difficile l'effettiva partecipazione di una delle parti al giudizio, sarebbe sicuramente inficiata di nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 164 e 101 c.p.c.

Alla luce di queste premesse, appare evidente la infondatezza della questione.

3. - Più delicato si presenta l'esame delle censure rivolte, sempre in relazione all'art. 24 Cost., all'art. 143, ultimo comma, c.p.c., nella parte riguardante le notificazioni a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nella Repubblica. Come é noto, in tal caso la notifica si perfeziona nei confronti dell'istante con l'espletamento delle formalità previste nel precedente art. 142, che sono affidate al suo impulso, e diviene operante per il destinatario in un momento successivo, dopo venti giorni dal compimento delle predette formalità.

La notificazione si compie quindi in Italia e le ulteriori attività richieste al pubblico ministero e agli altri organi perché l'atto pervenga al destinatario nulla aggiungono alla notificazione in quanto tale e rilevano come meri adempimenti materiali di recapito. Il margine di venti giorni, concesso dalla norma denunziata, ha lo specifico ed esclusivo fine di consentire al destinatario non residente, né dimorante né domiciliato nello Stato, di fruire, in vista della particolare situazione in cui si trova e per la quale può venire a conoscenza dell'atto con un certo ritardo, di un maggior lasso di tempo per provvedere agli adempimenti processuali.

Il sistema adottato (che trova il suo fondamento nell'impossibilità per lo Stato italiano di procedere, in territorio estero, ad un atto autoritativo qual é la notificazione, in assenza di specifiche convenzioni internazionali che a ciò autorizzano o, comunque, del consenso dello Stato estero) non é tuttavia privo di inconvenienti per il destinatario perché stabilisce a suo carico, una volta decorso il termine di grazia, una presunzione di conoscenza iuris et de iure del contenuto dell'atto a lui indirizzato che non ammette prova contraria.

Di qui il dubbio, prospettato nell'ordinanza in epigrafe, che detta disposizione contrasti con la garanzia costituzionale del diritto di difesa.

4. - Secondo il costante orientamento di questa Corte "ove un termine sia prescritto per il compimento di tale attività, la cui omissione si risolva in pregiudizio per la situazione tutelata, deve essere assicurata all'interessato la conoscibilità del momento di iniziale decorrenza del termine stesso, onde poter utilizzare, nella sua interezza, il tempo assegnatogli" (sent. nn. 14 e 15 del 1977). Con più specifico riferimento alle notificazioni, si é poi statuito che "la notificazione degli atti processuali é uno strumento necessario ed indispensabile per instaurare il contraddittorio e che questa esigenza fondamentale non può ritenersi soddisfatta nel caso in cui, pur essendo possibile adottare una forma di notificazione tale da portare il contenuto dell'atto nella effettiva sfera di conoscibilità del destinatario, si faccia ricorso ad altra forma di notifica dalla quale derivi una semplice presunzione legale di conoscenza" (sent. nn. 57 del 1965 e 170 del 1976).

Alla stregua di tali principi, appare evidente che la disciplina dettata dalla norma denunziata (che assoggetta le notificazioni da effettuare all'estero allo stesso regime previsto per quelle a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti) può dirsi giustificata solo quando lo Stato estero rifiuti la propria collaborazione, attiva o passiva, allo svolgimento delle attività necessarie a far pervenire l'atto al destinatario residente nel suo territorio. Solo in tal caso, infatti, sussiste l'effettiva impossibilità di svolgere o far svolgere una attività notificatoria in territorio estero e può consentirsi (a salvaguardia dell'interesse, di preminente valore pubblico, a che l'esercizio della funzione giurisdizionale non resti paralizzato) il ricorso ad una forma di notificazione, come quella prevista dalla norma denunziata, dalla quale derivi una semplice presunzione legale di conoscenza. In caso contrario non ricorre alcun apprezzabile motivo, di carattere pratico o giuridico, per derogare alla disciplina generale delle notificazioni, che é ispirata all'opposto principio per cui la notificazione non é operante fino a quando la copia dell'atto non sia pervenuta al destinatario o nella sua sfera di disponibilità.

5. - Entro tali limiti, la questione puntualizzata alla lettera b) del n. 1 é fondata.

Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 143, ultimo comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede, per quanto attiene all'operatività della notifica nei confronti del destinatario non residente, né dimorante, né domiciliato nel territorio della Repubblica, che la sua applicazione sia subordinata all'impossibilità di eseguire la notificazione nei modi consentiti dalle convenzioni internazionali e dal D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, recante nuove disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari (c.d. regolamento consolare).

In tal modo, la disciplina delle notificazioni all'estero risulta più adeguata all'attuale momento storico nel quale gli strumenti di collaborazione esistenti (v. ad es., oltre alla Convenzione dell'Aja del 1 maggio 1954, resa esecutiva in Italia con la legge 3 gennaio 1957, n. 4 e alle numerose convenzioni bilaterali che regolano l'assistenza giudiziaria in materia civile, la Convenzione postale universale del 5 luglio 1974, entrata in vigore il 1 gennaio 1976, che prevede la possibilità di spedire raccomandate con ricevuta di ritorno tra gli stati aderenti all'Unione Postale Universale, tra i quali é l'Italia) rendono più agevole che per il passato il recapito di un atto ad una persona che si trovi all'estero. E, nello stesso tempo, si pone rimedio alle incongruenze della norma denunziata (che, come si é osservato, detta per la notificazione di un atto a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nella Repubblica la stessa disciplina prevista per le notifiche a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti) senza peraltro pregiudicare gli interessi del notificante (poiché la notificazione nei suoi confronti si perfeziona e produce i suoi effetti, compresi quelli impeditivi della decadenza, con il compimento delle formalità indicate nell'art. 142 c.p.c.) o gli interessi pubblici connessi allo svolgimento della funzione giurisdizionale, in quanto ove non sia possibile svolgere attività notificatoria nel territorio dello Stato estero il processo ha egualmente il suo corso, perfezionandosi la notifica nei confronti del destinatario con il decorso del termine di venti giorni stabilito nell'ultimo comma dell'art. 143 c.p.c.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 143, ultimo comma, c.p.c. nella parte in cui non prevede, per quanto attiene alla operatività della notifica nei confronti del destinatario dell'atto da notificare, nei casi previsti dal precedente art. 142, che la sua applicazione sia subordinata alla accertata impossibilità di eseguire la notificazione nei modi consentiti dalle convenzioni internazionali e dal D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, recante nuove disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari;

b) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, terzo comma, legge 1 dicembre 1970, n. 898 (disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) sollevata, in riferimento all'articolo 24, secondo comma, Cost., dalla Corte d'appello di Palermo con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 febbraio 1978.

 

 Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE

 

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1978.