SENTENZA N. 57
ANNO 1965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 173 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 2 aprile 1964 dal Tribunale di Brescia nel procedimento penale a carico di Lodi Adolfo, iscritta al n. 113 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 169 dell'11 luglio 1964.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 12 maggio 1965 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 2 aprile 1964, emessa nel procedimento penale contro Lodi Adolfo, il Tribunale di Brescia ha sollevato, su richiesta della difesa, la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 173 del Codice di procedura penale, relativa alla notificazione degli atti all'imputato renitente (che cioè non si presenti a rendere l'interrogatorio senza un legittimo impedimento), con riferimento all'art. 24 della Costituzione.
Nell'ordinanza si osserva che, secondo detta norma, l'imputato renitente viene equiparato, agli effetti della notificazione degli atti processuali, al latitante od all'evaso, nonostante l'esistente disparità di situazioni in relazione alla volontarietà del comportamento, che per il renitente può dipendere anche da cause indipendenti dalla sua volontà. Si rileva, altresì, che la disciplina adottata dal legislatore, secondo la quale per l'imputato renitente le notificazioni vengono eseguite, a termini del capoverso dell'art. 170 del Codice di procedura, mediante deposito in cancelleria, rappresenta una misura di carattere indiscriminato e sanzionatorio, la quale, tenuto conto delle conseguenze che ne scaturiscono, lede, sostanzialmente, attraverso il mancato intervento dell'imputato, il suo diritto alla difesa, riconosciuto dall'art. 24 della Costituzione.
L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 169 dell'11 luglio 1964. Nel presente giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dell'Avvocatura generale dello Stato, la quale, nell'atto di intervento del 16 maggio 1964, contesta la fondatezza della questione, rilevando, innanzi tutto, che il giudice o il P. M. deve provvedere a nominare un difensore all'imputato renitente, che ne sia privo; il che già porterebbe ad escludere la assenta violazione del diritto di difesa. Osserva, poi, che, anche nel caso in cui l'imputato, per circostanze non dipendenti dalla sua volontà, non abbia potuto dare comunicazione del legittimo impedimento, le conseguenze sono facilmente eliminabili facendo ricorso agli strumenti di una comune diligenza, nulla vietando che si ponga rimedio all'inconveniente con la successiva presentazione al giudice, senza che il diritto di difesa venga per nulla pregiudicato. E conclude rilevando che una eventualità del tutto accidentale e raramente possibile a verificarsi nella pratica non può condurre ad una grave conseguenza, quale sarebbe quella della illegittimità della norma.
Considerato in diritto
Secondo l'ordinanza di rimessione, il diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione sarebbe violato nella ipotesi in cui - secondo la norma dell'art. 173 del Codice di procedura penale - le notificazioni all'imputato che non si sia presentato per l'interrogatorio, si eseguono mediante deposito nella cancelleria o nella segreteria, a termini del primo capoverso dell'art. 170.
L'ordinanza, adduce, a sostegno della tesi della illegittimità della norma, una particolare ipotesi di fatto, che non rientra nella previsione legislativa dell'art. 173 e che perciò non puo avere alcuna importanza ai fini della decisione della questione proposta. Il caso dell'imputato il quale non riesca a dare tempestivamente notizia al giudice del legittimo impedimento, va esaminato sotto altri aspetti, perché allorquando sussista il legittimo impedimento e la mancata presentazione non sia, quindi, volontaria, non si può configurare uno stato di renitenza; e la questione si sposta nella ricerca dei possibili rimedi rispetto alla difficoltà in cui si sia trovato l'imputato di portare a conoscenza del giudice l'impedimento.
L'art. 173 presuppone un volontario comportamento dell'imputato, il quale, avendo ricevuto regolare notifica del mandato o dell'ordine non si presenti per l'interrogatorio, e rinunci quindi implicitamente a prospettare le sue difese. La norma impugnata, va esaminata pertanto sotto questo aspetto.
La questione é fondata.
La norma impugnata ha il carattere di una sanzione per un comportamento processuale dell'imputato. Pur essendo reperibile nel suo domicilio, il renitente non gode del diritto di ricevere notizia degli atti processuali nella forma di notificazione prevista dall'art. 169 del Codice di procedura penale, soltanto per non avere ubbidito all'ordine del giudice di presentarsi per l'interrogatorio. Alla forma di notificazione adottata per coloro che possono in qualunque momento essere rintracciati, viene sostituita - senza plausibile motivo - quella del deposito degli atti, la quale non dà la stessa certezza di conoscibilità da parte del destinatario, importando solamente una presunzione legale di conoscenza. Il che costituisce una ingiustificata diminuzione di garanzie del diritto di difesa.
Mentre per il latitante o l'evaso la notifica ai sensi dell'art. 170 del Codice di procedura penale non comporta la limitazione di alcun diritto, in quanto essi si sono resi irreperibili ed hanno quindi posto la giustizia in condizioni di dovere - in mancanza di altra possibilità - ricorrere a questa forma di notificazione, lo stesso non può dirsi per l'imputato renitente.
La notificazione degli atti processuali é uno strumento necessario ed indispensabile per instaurare il contraddittorio e per dar modo all'imputato di provvedere alla sua difesa. Questa esigenza fondamentale non può ritenersi soddisfatta nel caso in cui pur essendo possibile adottare una forma di notificazione tale da portare il contenuto dell'atto nella effettiva sfera di conoscibilità del destinatario, si faccia ricorso ad altra forma di notifica, dalla quale deriva una semplice presunzione legale di conoscenza.
Pertanto, la norma impugnata, che - senza necessità e senza che ne ricorrano i presupposti - prescrive per il renitente la notificazione a termini dell'art. 170, primo capoverso, del Codice di procedura penale, limita la garanzia del diritto di difesa per ciò che attiene alla instaurazione del contraddittorio, ponendosi così in contrasto con l'art. 24 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, l'illegittimità costituzionale dell'art. 173 del Codice di procedura penale, nella parte in cui dispone che le notificazioni all'imputato renitente si eseguono mediante deposito nella cancelleria o nella segreteria a termini del primo capoverso dell'art. 170.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1965.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 1965.