Ordinanza n. 206 del 1976
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ORDINANZA N. 206

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2, n. 1, del d.l. 24 luglio 1973, n. 427 (Disciplina dei prezzi di beni di largo consumo), convertito in legge 4 agosto 1973, n. 496, promosso con ordinanza emessa il 10 gennaio 1976 dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra De Rossi Francesco e il Prefetto di Roma, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 92 del 7 aprile 1976.

Visti gli atti di costituzione di De Rossi Francesco e del Prefetto di Roma, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 giugno 1976 il Giudice relatore Guido Astuti;

uditi l'avv. Emilio Cappelli, per De Rossi Francesco, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Prefetto di Roma e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il giudice a quo solleva, in riferimento allo art. 11 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2, n. 1, del decreto-legge 24 luglio 1973, n. 427, "Disciplina dei prezzi di beni di largo consumo", convertito in legge 4 agosto 1973, n. 496, assumendo che le disposizioni denunciate, con le quali fu disposto il temporaneo blocco fino al 31 ottobre 1973 dei prezzi di vendita d'una serie di beni di largo consumo, tra cui le "carni fresche di qualunque specie animale" (comprese quindi le carni bovine vendute all'ingrosso: cfr. artt. 2 e 13 del successivo decreto ministeriale 3 agosto 1973), dovrebbero ritenersi incompatibili con il regolamento 27 giugno 1968, n. 805, del Consiglio delle Comunità europee, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine, che avrebbe "privato in radice gli Stati membri del potere di legiferare in materia di prezzi, restando affidati ai competenti organismi comunitari anche gli interventi straordinari per far fronte a situazioni congiunturali"; talché l'asserito contrasto con la disciplina comunitaria determinerebbe l'incostituzionalità delle disposizioni sopra ricordate, "nella parte in cui sottopongono a blocco il prezzo di vendita all'ingrosso delle carni fresche bovine, in contrasto con il regolamento 805/68 del Consiglio delle Comunità europee, e quindi in violazione dell'art. 11 Cost.".

Considerato che l'ordinanza di rimessione fa richiamo alla giurisprudenza di questa Corte circa l'immediata efficacia dei regolamenti comunitari, che, secondo il disposto dell'art. 189 del Trattato di Roma, "sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri", e pertanto, sempreché presentino completezza di contenuto dispositivo, non richiedono né ammettono provvedimenti statali di recezione o adattamento; ciò che comporta l'illegittimità delle norme interne di attuazione o esecuzione aventi contenuto riproduttivo, integrativo o modificativo, in quanto, sostituendosi alle disposizioni dei regolamenti comunitari, violano i principi sanciti dal Trattato di Roma, e quindi confliggono con l'art. 11 della Costituzione (cfr. le sentenze n. 183/1973; 232/1975; 205/1976);

che peraltro la questione proposta dal giudice a quo si presenta in termini parzialmente diversi, poiché il regolamento 27 giugno 1968 n. 805 del Consiglio delle C.E.E., istitutivo d'un mercato unico nel settore delle carni bovine, é entrato puntualmente in vigore in Italia come negli altri Stati della Comunità, ed é stato oggetto di regolare applicazione anche nel nostro Paese dal 1968 al 1973, e d'altra parte le disposizioni emanate con il decreto-legge n. 427 del 1973 non hanno sostituito la normativa comunitaria sull'organizzazione comune di mercato nel settore delle carni bovine - normativa sempre vigente e non contestata nel suo complesso sistema -, ma sono state dettate unicamente per fronteggiare una grave e contingente situazione del mercato interno con un provvedimento a carattere temporaneo e limitato, "ritenuta la straordinaria necessità e l'urgenza di disciplinare i prezzi dei beni di largo consumo";

che inoltre il provvedimento in questione non imponeva nuovi prezzi, bensì manteneva fermi quelli praticati al 16 luglio 1973 in conformità al regime comunitario; e non era sicuramente destinato a sottrarre stabilmente il mercato interno al sistema introdotto con il regolamento n. 805/1968, poiché anzi prevedeva espressamente che i prezzi delle carni bovine potessero essere variati anche prima del 31 ottobre 1973, "in relazione alla normativa comunitaria sugli scambi tra i Paesi membri e con i Paesi terzi" (art. 2, secondo e terzo comma: e v. anche artt. 5-7);

che il giudice a quo afferma l'incompatibilità tra la disciplina comunitaria e il disposto blocco del prezzo interno di vendita all'ingrosso delle carni bovine fresche, facendo richiamo alle statuizioni contenute nella sentenza 23 gennaio 1975 della Corte di Giustizia delle Comunità, resa in causa n. 31/1974, sulla analoga situazione verificatasi in rapporto ai regolamenti C.E.E. n. 120/67 e 136/66 relativi alla organizzazione comune dei mercati nei settori dei cereali e dei grassi;

che in senso contrario l'Avvocatura dello Stato ha rilevato come la ricordata sentenza - concernente fattispecie diverse e avente efficacia limitata ad esse - abbia dichiarato l'inammissibilità di interventi unilaterali degli Stati membri che siano "atti ad incidere sul normale funzionamento del sistema di prezzi istituito dal regolamento", ossia soltanto nel caso in cui il regime interno di blocco, pregiudicando in forma diretta o indiretta il commercio intracomunitario, "alteri il processo di formazione dei prezzi previsto dall'organizzazione comune di mercato", sì da mettere in pericolo "gli obiettivi o il funzionamento di detta organizzazione", come la stessa Corte di Giustizia ha dichiarato nella successiva sentenza 26 febbraio 1976 (cause riunite n. 88-90/1975), ciò che nel caso concreto non si sarebbe potuto verificare, data la speciale e limitata portata del provvedimento temporaneo di cui é causa;

che inoltre - secondo l'Avvocatura dello Stato - detto provvedimento non potrebbe ritenersi emanato in assoluta carenza di potere, per violazione della competenza esclusiva degli organi comunitari ratione materiae, ma potrebbe in ipotesi far sorgere soltanto un problema di scorretto esercizio del potere, di cui gli Stati membri certo dispongono, di fronteggiare situazioni congiunturali di emergenza del mercato interno dei generi alimentari di generale consumo; talché non potrebbe prospettarsi una questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 11 della Costituzione, ma semmai solo la eventualità di un procedimento à sensi degli artt. 169 e 170 del Trattato, che peraltro non risulta essere stato promosso né dalla Commissione né da altro Stato membro;

che pertanto, di fronte al rilevato contrasto interpretativo circa l'effettivo contenuto dispositivo e la sfera di applicazione del regolamento C.E.E. n. 805/1968, - il cui accertamento, in via definitiva, é riservato dall'art. 177 del Trattato di Roma alla competenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee -, questa Corte non può, allo stato, pronunciarsi sulla dedotta incostituzionalità delle norme interne denunciate, la cui legittimità é già stata riconosciuta, sotto altro profilo, dalla sentenza n. 200 del 10 luglio 1975, con espresso riguardo alla eccezionalità del momento, alle alte finalità che il provvedimento perseguiva, e ai temperamenti che le stesse norme prevedevano per limitare il blocco, con la possibilità di variazione dei prezzi in relazione alle disposizioni della C.E.E.;

che occorre quindi disporre la restituzione degli atti al giudice a quo, perché riconsideri la questione alla stregua di quanto precede.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al pretore di Roma.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1976.