Sentenza n. 202 del 1975
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SENTENZA N. 202

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'11 ottobre 1973 dal tribunale di Biella sul ricorso di Bergamasco Giulio, iscritta al n. 427 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15 del 16 gennaio 1974;

2) ordinanza emessa il 28 agosto 1974 dal tribunale di Siena sul ricorso di Gambelli Marcella, iscritta al n. 455 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 324 dell'11 dicembre 1974.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 1975 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel procedimento civile sorto a seguito del ricorso presentato da Bergamasco Giulio per ottenere, ai sensi dell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, la revisione delle disposizioni concernenti l'assegno mensile a favore della ex moglie, posto a suo carico nella sentenza di divorzio precedentemente pronunciata, il tribunale di Biella, con ordinanza 11 ottobre 1973, ha sollevato questione di legittimità del detto art. 9 della legge n. 898 del 1970, per presunta violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

Il giudice a quo osserva che ai sensi della norma impugnata, secondo cui é previsto soltanto che l'emanando provvedimento in camera di consiglio sia preceduto da "informazioni" e dalla audizione delle "parti" e del p.m., il procedimento di revisione in esame, che incide su materia decisa con efficacia di giudicato a conclusione di una lite giudiziaria condotta con tutte le garanzie processuali, si svolgerebbe invece secondo il rito camerale, previsto dagli art. 737 e seguenti cod. proc. civ., che non realizzerebbe tutte le garanzie processuali implicite nell'art. 24 della Costituzione.

Il ricorrente, invero, non avrebbe l'obbligo di rispettare le "normali regole processuali" per l'introduzione di una vera e propria domanda giudiziale, e difetterebbero, inoltre, le garanzie della difesa tecnica, di una disciplina dell'istruttoria e di una pronunzia del giudice con sentenza.

Le lamentate manchevolezze sarebbero evidenziate, secondo il giudice a quo, dal rapporto fra la procedura censurata e quella corrispondentemente prevista per la modifica delle pronunzie accessorie in caso di separazione personale, che deve necessariamente instaurarsi con una nuova procedura giudiziaria "propriamente contenziosa".

L'ordinanza é stata notificata e pubblicata come per legge ed il Presidente del Consiglio dei ministri si é costituito avanti a questa Corte, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

L'Avvocatura rileva che la sentenza di divorzio, e quella di separazione personale, per le parti che possono essere modificate, non avrebbero le caratteristiche degli altri giudicati, perché sarebbero valide solo rebus sic stantibus, ove cioé non sopravvengano mutamenti nelle condizioni obbiettive che hanno determinato la decisione. Il contraddittorio sarebbe, quindi, sufficientemente garantito dalla prevista audizione delle parti e del p.m., trattandosi di provvedimenti inidonei a passare in giudicato, e non essendo quindi invocabili, in relazione ad essi, le garanzie di cui all'art. 24 Cost., riferibili unicamente ai procedimenti giurisdizionali che abbiano contenuto decisorio. Né l'art. 24 Cost. sarebbe comunque violato per essere stato previsto il rito camerale ai fini delle modifiche previste dall'impugnato art. 9, perché la natura di questi provvedimenti imporrebbe l'adozione di forme processuali semplici ed agili.

L'Avvocatura osserva, in particolare, che, dopo la sentenza n. 151 del 1971 di questa Corte, con cui é stata dichiarata la incostituzionalità degli art. 707 e 708 c.p.c. nella parte in cui ai coniugi comparsi personalmente davanti al presidente del tribunale, in caso di mancata conciliazione, si inibiva di essere assistiti dai rispettivi difensori, anche nella specie dovrebbe ritenersi senz'altro ammissibile l'assistenza del difensore.

Con ordinanza emessa il 28 agosto 1974 nell'analogo procedimento di revisione promosso da Gambelli Marcella, il tribunale di Siena ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 9 della legge n. 898 del 1973 in relazione all'art. 24 Cost. per motivi sostanzialmente analoghi a quelli svolti nella precedente ordinanza, mettendo in evidenza l'assunto secondo cui ogni volta che si pone in essere una procedura giudiziaria volta alla risoluzione di un conflitto fra opposti interessi, come nella specie, l'osservanza del diritto di difesa esigerebbe l'attuazione di tutte le garanzie che implica l'art. 24 Cost. e, in particolare, la garanzia della difesa tecnica.

Il lamentato difetto comporterebbe, poi, secondo l'ordinanza, anche la violazione del principio di eguaglianza perché, per la modifica delle pronunzie accessorie in caso di separazione personale, sarebbe prevista, a norma dell'art. 710 c.p.c., una nuova procedura ordinaria, con tutte le garanzie relative, mentre, attesa la identità della materia regolata, non sarebbe dato rinvenire la ratio della lamentata differenziazione sancita dalla norma impugnata nel procedimento di divorzio.

Anche in questo giudizio l'ordinanza é stata debitamente notificata, comunicata e pubblicata e si é ritualmente costituito il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura, quanto alle censure relative alla violazione dell'art. 24 Cost., svolge le stesse argomentazioni contenute nella difesa concernente la precedente ordinanza.

Per quanto riguarda poi la pretesa violazione del principio di eguaglianza, osserva che la differenziazione di disciplina concernerebbe situazioni non omogenee.

Invero la procedura prevista dall'art. 9 impugnato investe persone non più legate dal vincolo matrimoniale, mentre l'art. 710 c.p.c., riguarda persone ancora unite da tale vincolo.

La celere ed agile procedura camerale risponderebbe, quindi, all'esigenza di ridurre al minimo i rapporti fra persone divenute estranee fra loro.

Ulteriore diversità di situazioni sarebbe poi da ravvisare circa la natura dell'assegno patrimoniale disposto con la sentenza di divorzio, che avrebbe natura composita, partecipante di funzioni nello stesso tempo assistenziali, risarcitorie e compensative a favore dell'ex coniuge destinatario, e pertanto differirebbe da quella dell'assegno attribuito nell'ambito del procedimento di separazione, che avrebbe funzione di mantenimento, o alimentare, connessa comunque al permanere del vincolo matrimoniale.

Anche la censura riferita all'art. 3 Cost. sarebbe pertanto infondata.

Considerato in diritto

1. - Le due ordinanze di cui in narrativa riguardano questioni, in parte simili ed in parte coincidenti. Pertanto, é opportuno disporre la riunione dei giudizi per decidere con unica sentenza.

2. - Secondo l'ordinanza di rinvio del tribunale di Biella, il procedimento in camera di consiglio previsto dall'art. 9, secondo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, ai fini della revisione delle disposizioni patrimoniali date, a norma del precedente art. 5, con la sentenza che ha pronunziato il divorzio, non garantirebbe sufficientemente l'osservanza del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione. Ciò perché, pur vertendosi in materia già decisa con valore di giudicato e previa osservanza delle garanzie processuali del rito ordinario, la norma in esame sancirebbe, ai fini dell'emanazione del provvedimento di modifica, l'introduzione del giudizio su semplice ricorso dell'interessato senza prevedere la difesa tecnica delle parti, consentirebbe, poi, al giudice la massima libertà nell'istruzione probatoria, rimessa alle "informazioni" che egli ritenga di assumere, ed attribuirebbe, infine, efficacia modificativa di una sentenza, al decreto con cui si conclude il procedimento camerale.

Il tribunale di Siena formula una censura analoga, ma di portata più generale, affermando, in sostanza, che la norma impugnata contrasterebbe con il diritto di difesa, perché la procedura prevista, concernendo un conflitto di interessi, avrebbe carattere contenzioso e, in tal caso, dovrebbero attuarsi le garanzie previste dall'art. 24 Cost. in misura più ampia di quelle apprestate dal procedimento in esame.

3. - É da premettere che, pur ammettendo la natura decisoria del provvedimento emesso a norma dell'art. 9, secondo comma, impugnato, l'ordinamento conosce vari casi di provvedimenti decisori adottati in camera di consiglio, in cui la procedura é disposta anche in presenza di elementi della giurisdizione contenziosa.

Basti qui ricordare, oltre ad alcune fasi del procedimento di separazione personale dei coniugi, l'interdizione, l'inabilitazione, l'assenza e la dichiarazione di morte presunta.

L'adozione di tale procedimento nei casi suddetti risponde a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore ha compiuto in relazione alla natura degli interessi regolati ed alla opportunità di adottare determinate forme processuali. Questa scelta é discrezionale ed é indubbiamente esente da sindacato in questa sede, poiché, mentre, come questa Corte ha espressamente affermato con la sentenza n. 122 del 1966, il procedimento in camera di consiglio non é, di per sé, contrastante con il diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost., il problema della scelta concreta del procedimento da adottare é problema di politica processuale, ii cui esame sfugge alla competenza della Corte (sent. n. 142 del 1970) nei limiti in cui, ovviamente, non si risolva nella violazione di specifici precetti costituzionali e non sia viziata da irragionevolezza.

Pertanto, la scelta del rito camerale per la revisione delle pronunzie di ordine patrimoniale di cui alla sentenza di divorzio, si presenta con le suesposte caratteristiche di legittima discrezionalità. D'altra parte, le caratteristiche particolari del rito prescelto, nella specie, non sono tali da incidere, di per sé sole, in modo determinante, sulla garanzia del diritto di difesa.

Occorre anzitutto ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, l'osservanza del diritto di difesa non preclude la possibilità che la relativa disciplina si conformi alle speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti, purché ne vengano assicurati lo scopo e la funzione, cioé la garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti (per tutte v. sent. n. 46 del 1957). Il procedimento in esame, per quanto riguarda i punti evidenziati nelle ordinanze di rinvio, riflette condizioni generalmente tali da garantire l'osservanza del diritto di difesa, salvo che in un punto particolare che verrà esaminato in seguito. Infatti, secondo quanto espressamente dispone l'articolo impugnato, le parti debbono essere sentite ed é certo, quindi, che compete al giudice il potere-dovere di controllarne la convocazione, il che costituisce sufficiente garanzia della possibilità per le parti stesse di esporre le proprie ragioni in relazione all'oggetto del ricorso. D'altra parte, la lettera e la "ratio" della norma non escludono l'assistenza del difensore, non rinvenendosi nessuna disposizione ostativa al riguardo, mentre, come questa Corte ha affermato con la sent. n. 111 del 1972, "é nel sistema, anche a proposito dei procedimenti speciali, che la parte si possa far rappresentare o almeno assistere da un difensore. Onde, in mancanza di una norma che vieti codesta assistenza, si deve ritenere che la stessa sia implicitamente ammessa e consentita". Ed é, d'altra parte, nota la giurisprudenza della Corte con cui é stato ripetutamente affermato il principio in base al quale l'assistenza del difensore in ogni tipo di procedimento ed in ogni fase processuale non é assolutamente inderogabile, essendone possibile la disciplina in aderenza alle speciali caratteristiche del singolo atto o procedimento preso in considerazione purché sia assicurata la finalità sostanziale (sent. n. 63 del 1972). Il diritto di difesa deve, quindi, ritenersi garantito da norme in virtù delle quali, come quelle in esame, é assicurata alla parte la "possibilità" di tutelare in giudizio le proprie ragioni facendosi assistere da un difensore.

4. - Uguali considerazioni vanno fatte per quanto riguarda la lamentata violazione del diritto di difesa, che deriverebbe dal fatto che le modifiche, in revisione delle statuizioni contenute nella sentenza di divorzio, sono disposte con decreto, e verrebbero ad incidere, pertanto, su materia già decisa con sentenza e con efficacia di giudicato.

Deve riconoscersi, al riguardo, che vi sono sentenze, le quali, nella regolazione di tutto o di parte del rapporto dedotto in giudizio, vengono pronunziate sulla base di una valutazione discrezionale, da parte del giudice, delle circostanze di fatto assunte a base della decisione. Tali sentenze sono modificabili con una nuova decisione, qualora intervengano mutamenti nelle dette circostanze, nell'evidente intento di salvaguardare le esigenze di giustizia ed equità cui la sentenza si deve ispirare. Ed é, appunto, espressione di tale principio la modificabilità del regime patrimoniale della separazione personale e del divorzio, le cui disposizioni vengono infatti assunte dal giudice rebus sic stantibus in base a valutazione discrezionale delle condizioni obbiettive dei coniugi separati o divorziati al momento della pronunzia.

Pertanto la modificabilità delle statuizioni in esame, ampiamente giustificata dall'oggetto del giudizio, non infrange l'autorità del giudicato, nel senso prospettato nell'ordinanza di rinvio. Né, d'altronde, la circostanza, che qui le modifiche vengano adottate a conclusione di un procedimento in camera di consiglio e con le forme proprie di tale rito, mentre i provvedimenti modificati seguono ad un procedimento ordinario e sono contenuti in una sentenza, configura un contrasto con la garanzia costituzionale del diritto di difesa. Ciò é, infatti escluso dalla menzionata naturale modificabilità dei provvedimenti stessi, di fronte alla quale é ovviamente indifferente, per quanto riguarda l'osservanza della garanzia costituzionale invocata, l'adozione del rito camerale, nelle forme previste dalla norma impugnata, una volta dimostrato, come già esposto, che il rito stesso non contrasta, di per sé, con l'art. 24 della Costituzione.

5. - Con l'ordinanza del tribunale di Siena viene poi prospettata la violazione del principio di eguaglianza, che conseguirebbe alla differenziazione di disciplina ravvisata fra il rito previsto per la modifica delle situazioni patrimoniali in materia di separazione personale che, a norma dell'art. 710 c.p.c., deve svolgersi mediante una nuova procedura ordinaria, e la disciplina impugnata, che nonostante l'identità della materia regolata, prevede invece il rito camerale.

Neppure detta censura é fondata, poiché é formulata unicamente nel presupposto della omogeneità delle situazioni poste a raffronto, che invece non sussiste.

La dottrina e la giurisprudenza hanno identificato i peculiari caratteri dell'assegno pecuniario a favore del coniuge divorziato, individuandone la complessa struttura la quale partecipa di molteplici aspetti (assistenziali in senso lato, risarcitorio e compensativo) che lo differenziano nettamente dall'assegno previsto in caso di separazione, che é invece pacificamente caratterizzato dalla funzione alimentare o di mantenimento. Trattasi di una differenziazione di portata sostanziale e coinvolgente valutazioni che investono essenzialmente la funzione dell'assegno quale elemento economico che si iscrive nella nuova realtà giuridica e sociale conseguente all'istituzione del divorzio, la cui portata innovativa rispetto alla situazione normativa precedente in materia non ha ovviamente bisogno di essere illustrata. Onde, anche sotto questo profilo, la scelta del rito camerale si inserisce nell'ambito della discrezionalità del legislatore, senza che emergano, d'altra parte, elementi di irrazionalità tali da escludere la giustificazione della diversità di disciplina adottata.

6. - Così ritenuta non fondata la questione di costituzionalità sotto i profili dianzi considerati, devesi, tuttavia, passare all'esame di altro particolare profilo, che le ordinanze prospettano, nel senso che il sistema creato dalla legge del 1970 sarebbe carente di congrua "disciplina dell'istruttoria in funzione dell'esercizio del diritto di prova giudiziaria" (ordinanza del tribunale di Biella) o di "difesa tecnica, scritta e orale" (tribunale di Siena).

Al riguardo, la Corte ritiene fondata la questione.

L'art. 9 della citata legge, nell'indicare i mezzi probatori consentiti, per coonestare o per contraddire la domanda di revisione, fa riferimento testuale alla sola "assunzione di informazioni" ossia ad un mezzo di indagine non formale, ma atipico, consistente tradizionalmente nell'acquisizione di dati forniti, a richiesta, dalla polizia giudiziaria o dalla pubblica amministrazione.

Ciò può concorrere al fine dell'indagine da compiere, ma non esaurirla, trattandosi, in materia, di accertamenti che richiedono ogni possibile approfondimento, data la pluralità, come si é detto, degli elementi di giudizio, in relazione all'istituto del divorzio e delle sue conseguenze. Così potrebbe profilarsi, nel corso delle indagini ufficiose affidate al giudice, ovvero richieste con istanza di parte, la necessità o l'opportunità di acquisire una diretta e personale attestazione da parte di terzi, sotto forma di testimonianza, circa i fatti in controversia: come le stesse esigenze potrebbero verificarsi per quanto riguarda l'espletamento di una consulenza tecnica.

In questi casi, l'attuale formula di legge é espressa in senso restrittivo, che solo con evidente forzatura del testo, potrebbe essere ritenuta estensibile ad ipotesi non contemplate.

Da ciò consegue, constatata questa limitazione del diritto di difesa, la dichiarazione di illegittimità in parte qua della disposizione impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma secondo, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nella parte in - cui non consente il normale esercizio di facoltà di prova;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione suindicata, proposta dal tribunale di Siena con l'ordinanza in epigrafe in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 10 luglio 1975.