SENTENZA N. 202
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21, primo comma, della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose d'interesse artistico e storico), promosso con ordinanza emessa i1 24 marzo 1972 dal tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra Messana Margherita e Felice e il Ministero della pubblica istruzione, iscritta al n. 227 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 194 del 26 luglio 1972.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione del Ministero della pubblica istruzione;
udito nell'udienza pubblica del 29 maggio 1974 il Giudice relatore Edoardo Volterra;
udito il sostituto Avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per il Ministero della pubblica istruzione.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del procedimento civile promosso da Margherita e Felice Messana nei confronti del Ministero della pubblica istruzione per ottenere il pagamento di un indennizzo relativo all'apposizione di un vincolo imposto su un loro fondo ai sensi dell'art. 21 legge 1 giugno 1939, n. 1089, il tribunale di Palermo, con ordinanza emessa il 24 marzo 1972, sollevava questione di legittimità costituzionale della disposizione citata nella parte in cui non prevede alcun diritto ad indennizzo per le limitazioni imposte alla proprietà privata al fine della salvaguardia degli immobili soggetti alla legge medesima, anche quando le limitazioni assumono contenuto espropriativo, in riferimento agli artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione.
Secondo il tribunale la Corte costituzionale ha sempre incisivamente ribadito il principio che la non indennizzabilità é da ritenersi legittima solo quando le limitazioni non siano tali "da svuotare di contenuto il diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso, o determinando il venir meno o una penetrante incisione del suo valore di scambio".
Ne discenderebbe che deve essere riconosciuta la garanzia costituzionale dell'indennizzo non soltanto per le limitazioni che assumano l'anzidetta intensità, ma anche per quelle che, pur senza svuotare di contenuto il diritto del proprietario, siano di "entità apprezzabile" e tali, comunque, da operare "un'incisione a titolo individuale sul godimento del singolo bene, la quale penetri al di là di quei limiti che la legislazione stessa abbia configurato in via generale (ai sensi dell'art. 42, secondo comma, Cost.) come propri di tale godimento in relazione alla categoria dei beni di cui trattasi".
Il tribunale dubita della compatibilità della norma denunziata col dettato dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione e della compatibilità della stessa norma col principio di uguaglianza sancito nell'art. 3, primo comma.
Sostiene infatti che, data la sostanziale identità tra il risultato pratico conseguente ad un formale atto di espropriazione e quello prodotto da un atto che, pur lasciando inalterata, come nella specie é avvenuto, la titolarità del diritto dominicale e la sottoposizione a tutti gli oneri relativi, compresi quelli fiscali, svuotasse il diritto stesso di ogni contenuto, si avrebbe un'evidente ed inammissibile disparità di trattamento fra le due situazioni, qualora si ammettesse l'indennizzabilità soltanto in rapporto alla prima.
2. - L'ordinanza é stata regolarmente comunicata notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Si é costituito il Ministero della pubblica istruzione ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentati e difesi dalla Avvocatura dello Stato.
Nel chiedere la reiezione dell'eccezione, l'Avvocatura osserva che é fermo l'indirizzo giurisprudenziale espresso dal Consiglio di Stato per cui "non hanno natura espropriativa e quindi non presuppongono la corresponsione dell'indennità" i provvedimenti di imposizione delle limitazioni previste dall'art. 21 della legge n. 1089 del 1939 ed ancor meno i provvedimenti di cui all'art. 3 della citata legge del 1939.
Gli istanti non potrebbero quindi dolersi del fatto che non sia stata loro corrisposta una indennità, non prevista dalla legge, per il pregiudizio in ipotesi derivante ai loro interessi privati dalla dichiarazione del notevole interesse pubblico del terreno ove é stato rinvenuto l'antico tempio e delle limitazioni che, in vista di tale dichiarazione, erano state disposte ai sensi dell'art. 21 della legge del 1939, che sono connesse (e ne costituiscono anzi una necessaria conseguenza) con il regime delle cose di interesse artistico e storico, protette dall'art. 9 della Costituzione e dalla legge medesima del 1939, considerate "come categoria. per la loro inerenza ad un interesse della comunità".
Il limite alla proprietà privata (e quindi al godimento del fondo) deriva dal fatto che nel fondo é stato rinvenuto l'antico tempio, non da un provvedimento ablativo adottato dall'autorità amministrativa; e l'atto amministrativo che accerta il notevole interesse storico od artistico di un bene ha, come si é già ricordato, carattere meramente "dichiarativo", come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 56 del 1968.
Sembrerebbe dunque chiaro che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di Palermo non é fondata in entrambi i profili delineati.
Non in relazione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto la norma denunciata, anche a prescindere da quanto sopra osservato in ordine alla sua piena compatibilità con la Costituzione, trae in definitiva fondamento nel secondo comma dello stesso art. 42, là dove appunto si consente al legislatore di limitare la proprietà fondiaria per assicurarne la funzione sociale.
Non in relazione all'art. 3 della Costituzione, in quanto le "limitazioni" consistono in sostanza in un complesso di "divieti" di svolgere certe attività senza l'autorizzazione della Sovrintendenza alle antichità ed il principio di eguaglianza postula, come é ben noto, una parità sostanziale di situazioni, non rinvenibile e neanche ipotizzabile tra proprietario "espropriato" e proprietario "limitato" ex art. 21 della legge n. 1089 del 1939.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza del tribunale di Palermo solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, primo comma, della legge 1 giugno 1939, n. 1089, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, per la parte in cui la norma denunziata non prevede diritto ad indennizzo per l'imposizione di limitazioni alla proprietà privata al fine della salvaguardia degli immobili soggetti alla medesima legge, anche quando tale imposizione si traduca in sostanza in ablazione del diritto dominicale. Tale ablazione, aggiunge l'ordinanza, "in tanto può ritenersi permessa in quanto sia attuata nelle forme e con le garanzie previste per l'esproprio". Di conseguenza, il giudice a quo ritiene che l'art. 21 della legge n. 1089 del 1939, non stabilendo alcun diritto ad indennizzo, violi il terzo comma dell'art. 42 della Costituzione nonché contrasti col primo comma dell'art. 3 della Costituzione, in quanto attua una disparità di trattamento fra la situazione del proprietario cui viene applicato il disposto del citato art. 21 e quella del proprietario espropriato.
2. - La questione é infondata.
La Corte ha ripetutamente precisato che l'art. 42 della Costituzione non impone indennizzo quando la legge regoli in via generale i diritti dominicali in relazione a determinati beni al fine di assicurarne la funzione sociale e per evitare lesioni all'interesse pubblico. La riserva di legge espressa nel citato articolo consente al legislatore di attribuire alla pubblica Amministrazione il potere di incidere sulla concreta disciplina del godimento degli immobili "qualora nella legge ordinaria siano contenuti elementi e criteri idonei a delimitare chiaramente la discrezionalità dell'Amministrazione" (sentenza n. 38 del 1966 e n. 94 del 1971). L'obbligo dell'indennizzo é imposto soltanto in caso di espropriazione per pubblico interesse.
La norma denunziata non concerne l'espropriazione di immobili di proprietà privata, ma attribuisce al Ministro per la pubblica istruzione la facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia posta in pericolo la integrità delle cose immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro.
La norma pertanto non prevede nessuna ablazione del diritto di proprietà, ma, riconoscendo l'inerenza di un pubblico interesse rispetto alla categoria dei beni predetti, ne disciplina il regime, accordando alla pubblica Amministrazione il potere di imporre dei limiti all'esercizio dei diritti privati in relazione ad un preciso interesse pubblico in base ad apprezzamento tecnico sufficientemente definito e controllabile, la cui discrezionalità é chiaramente determinata.
Di conseguenza la norma denunziata non contrasta con l'art. 42, comma terzo, della Costituzione in quanto non rientra nei casi da questo previsti.
Tale interpretazione é pienamente condivisa dal Consiglio di Stato, il quale in particolare ha più volte dichiarato manifestamente infondata, in relazione al predetto art. 42, comma terzo, della Costituzione, l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 21 della legge n. 1089 del 1939.
Come ha esattamente individuato il supremo organo di giustizia amministrativa nella sua costante giurisprudenza, la medesima legge n. 1089 del 1939, attribuendo nell'art. 55 la facoltà al Ministro per la pubblica istruzione di espropriare aree e edifici "quando ravvisi ciò necessario per isolare o restaurare monumenti, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l'accesso", determina in modo preciso i diversi scopi di questa norma e di quella di cui all'art. 21 e di conseguenza i confini della discrezionalità della pubblica Amministrazione nell'applicazione dell'uno o dell'altro articolo.
Ove l'atto amministrativo che determini i vincoli alla proprietà privata ecceda i limiti fissati dall'art. 21 della legge n. 1089 del 1939 o violi il disposto di questo che é, ripetesi, conforme ai principi costituzionali, l'interessato avrà tutela giurisdizionale avanti gli organi competenti.
Non sussiste nemmeno violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione in quanto il denunziato art. 21 della legge n. 1089 del 1939 prevede limitazioni della proprietà che non s'identificano con l'ablazione di questa e pertanto pone in essere una situazione che non é in alcun modo parificabile a quella del proprietario espropriato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, primo comma, della legge 1 giugno 1939, n. 1089, (Tutela delle cose d'interesse artistico e storico), in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, sollevata con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 4 luglio 1974.