SENTENZA N. 38
ANNO 1966
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 7, nn. 2, 3 e 4, della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, promossi con cinque ordinanze emesse il 14 gennaio 1964 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sui ricorsi di Ajroldi Luigi ed altri, Mastrogiovanni Tasca Lucio, Società Raytheon - Elsi ed altri, Carpinteri Vitale Francesco ed altri e Pottino Gaetano ed altri contro la Regione siciliana e il Comune di Palermo ed altri, iscritte ai un. 55, 71, 115, 119 e 132 del Registro ordinanze 1964 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 108 del 2 maggio 1964, n. 126 del 23 maggio 1964, n. 182 del 25 luglio 1964 e n. 212 del 29 agosto 1964.
Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione del Presidente della Regione siciliana, di Ajroldi Luigi ed altri, di Mastrogiovanni Tasca Lucio, della Società Raytheon-Elsi ed altri, di Agnello Luigi e Guido e del Comune di Palermo;
udita nell'udienza pubblica del 19 gennaio 1966 la relazione del Giudice Antonio Manca;
uditi gli avvocati Guido Aula, Salvatore Orlando Cascio, Enrico Restivo, Luigi Maniscalco Basile e Antonio Sangiorgi, per le parti private, l'avv. Camillo Orlando, per il Comune di Palermo, e il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per il Presidente della Regione siciliana.
Ritenuto in fatto
Alcuni gruppi di proprietari di zone di terreno comprese nel perimetro del piano regolatore generale per la città di Palermo, con separati ricorsi, hanno impugnato davanti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana: nei confronti della Regione, del Comune di Palermo e di altri convenuti, il decreto del Presidente della Regione in data 28 giugno 1962, n. 110/A (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione n. 9 del 3 febbraio 1963), che ha approvato il predetto piano regolatore, chiedendone l'annullamento, con gli atti del procedimento amministrativo, inerenti al decreto stesso.
Con cinque ordinanze della stessa data (14 gennaio 1964, un. 55, 71, 115, 119 e 132 del Registro ordinanze 1964), il Consiglio di giustizia amministrativa, ritenendola rilevante ai fini della definizione del giudizio, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, nn. 2, 3 e 4, della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, in riferimento all'art. 42, commi secondo e terzo, della Costituzione. Circa la non manifesta infondatezza, il Consiglio di giustizia amministrativa, per quanto attiene al dedotto contrasto con il secondo comma dell'art. 42, in sintesi ha osservato:
1) che, in questa disposizione sarebbe contenuta una riserva di legge, non soltanto relativamente al modo di acquisto e al godimento del diritto di proprietà, ma altresì riguardo ai limiti che possono essere autoritativamente imposti sulla proprietà privata nell'interesse generale;
2) che, appunto in relazione alle accennate limitazioni, dalla riserva di legge conseguirebbe che soltanto il legislatore dovrebbe preventivamente determinarne in astratto la natura, le caratteristiche e l'estensione pur rimettendone ai competenti organi amministrativi l'applicazione, in concreto, nei singoli casi;
3) che invece nel n. 2 del citato art. 7, sarebbe contenuto un generico deferimento all'autorità amministrativa di "imporre vincoli di zona da osservarsi nell'edificazione", delineando in tal modo un criterio meramente territoriale, senza stabilirne alcun altro per la determinazione delle caratteristiche e dell'ampiezza dei vincoli consentiti nell'ambito della zona; ed, in particolare, senza indicare fino a che punto possa, da tali vincoli, restare compresso il diritto di proprietà e possano essere imposti eventualmente anche obblighi ed oneri positivi di fare, essendo da tenere anche presente che, in base all'art. 40 della predetta legge urbanistica, i vincoli di zona non sono indennizzabili.
In collegamento con l'accennato profilo di incostituzionalità il Consiglio di giustizia amministrativa ha inoltre rilevato, in linea generale, che, dai precetti, contenuti nell'art. 42 della Costituzione, risulterebbe implicita l'esigenza che le accennate limitazioni non dovrebbero incidere radicalmente sul contenuto del diritto dominicale, ma dovrebbero riguardare soltanto la compressione di facoltà accessorie, o soltanto l'attenuazione di facoltà essenziali al diritto stesso.
Che se invece, si osserva nelle ordinanze, dall'imposizione dei vincoli derivasse la soppressione degli attributi essenziali, inerenti al godimento ed all'utilizzazione della proprietà privata, pur senza che si proceda all'espropriazione, potrebbe profilarsi anche un contrasto col terzo comma dell'art. 42 della Costituzione, un'elusione cioè dello spirito informatore di tali precetti, i quali riconoscono e garantiscono la proprietà, ammettendone restrizioni per finalità sociali d'interesse generale e sociale.
L'opinione seguita da un prevalente indirizzo giurisprudenziale, nel senso che il diritto all'indennizzo sorgerebbe soltanto dal trasferimento coattivo della proprietà, non escluderebbe che se si considerassero compresi nelle limitazioni anche vincoli dai quali derivasse un pregiudizio, sostanzialmente analogo a quello prodotto dal procedimento formale dell'espropriazione, potrebbe ipotizzarsi un caso di eccesso di potere legislativo; poiché si utilizzerebbe il potere di imposizione dei limiti (comma secondo dell'art. 42 della Costituzione) per fini ed effetti diversi, equivalenti cioè ad una vera e propria espropriazione (comma terzo dell'art. 42), con la soppressione del diritto all'indennizzo, oggetto della garanzia preveduta ed imposta da tale precetto.
Applicando gli accennati principi fattispecie che hanno formato oggetto dei ricorsi in sede di giustizia amministrativa, nelle ordinanze si prospetta il dubbio di un contrasto, con i precetti costituzionali, delle disposizioni della legge urbanistica circa i vincoli sulle zone destinate a "verde pubblico"; vincoli che, sebbene compresi in una categoria di limiti in qualche modo, determinata dalla legge (art. 7, n. 3), peraltro sottrarrebbero, immediatamente ed a tempo indeterminato, ai proprietari l'jus aedificandi. Il quale si prospetterebbe come essenziale, in relazione alla natura pacificamente edificatoria delle aree, gravate da tale vincolo, senza che ai proprietari sia riconosciuto alcun diritto all'indennizzo. Questo diritto, infatti, sussisterebbe soltanto nel caso in cui il Comune procedesse all'espropriazione dell'area per adibirla alle finalità predette; esproprio per il quale non sarebbe preveduta alcuna determinazione di tempo.
Analoghe considerazioni si leggono nelle ordinanze n. 71 e n. 115, oltre che per le aree destinate a verde pubblico anche per quelle assoggettate al vincolo di "verde privato" e di "verde agricolo", come pure per le zone destinate ad edificazione scolastica (art. 7, n. 4, della legge).
Il Consiglio di giustizia amministrativa ha ritenuto invece manifestamente infondata la questione, che era stata sollevata in alcune controversie sottoposte al suo esame, relativa all'art. 6, secondo comma, della legge regionale 18 febbraio 1956, n. 12 (contenente provvedimenti per il piano regolatore di Palermo e per il piano regolatore di coordinamento), in quanto si assumeva contrastante con gli artt. 14, 17 e 20 dello Statuto della Regione siciliana.
Le anzidette ordinanze sono state regolarmente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
I ricorrenti, nei giudizi avanti al Consiglio di giustizia amministrativa, costituiti in questa sede, sono rappresentati dagli avvocati Aula, Orlando Cascio, Restivo, Maniscalco Basile e Sangiorgi, depositando nei termini di rito le deduzioni.
Si sono pure costituiti il Comune di Palermo rappresentato dagli avvocati Greco Scribani, Camillo Orlando, Noto Sardegna e Sansone, depositando le deduzioni il 2 maggio, il 20 giugno e il 31 luglio 1964; il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente della Regione, rappresentati dall'Avvocatura generale dello Stato, depositando le deduzioni il 2, il 13 e il 16 aprile 1964, il 16 maggio, il 26 e il 28 giugno successivi.
Le difese delle parti, nelle deduzioni, si riportano sostanzialmente alle ordinanze di rimessione, sia per quanto attiene alle disposizioni denunziate, sia riguardo alle argomentazioni ed alle conclusioni.
Nei predetti scritti difensivi si pone in rilievo il fatto che il n. 2 dell'art. 7 della legge urbanistica lascerebbe all'Amministrazione un potere pressoché illimitato, mentre una corretta interpretazione del precetto costituzionale (art. 42 comma secondo) condurrebbe a ritenere che la norma ordinaria, non soltanto dovrebbe stabilire i confini dei poteri dell'Amministrazione nella pianificazione urbanistica, ma altresì individuare, con rigorosa previsione, i vincoli di zona e le caratteristiche afferenti ai medesimi, o quanto meno, le categorie dei vincoli da imporre nelle singole zone.
Per ciò che riguarda poi la seconda questione, relativa all'indennizzo per i vincoli nelle varie zone, si pone in rilievo che si tratterebbe di limitazioni di immediata attuazione e di carattere permanente, perciò assimilabili ad una vera e propria espropriazione, col conseguente diritto all'indennità.
La difesa del Comune di Palermo, circa la riserva di legge obietta, in sostanza, che il secondo comma dell'art. 42 della Costituzione, in relazione allo spirito informatore della norma ed in conformità ai precedenti storici e tradizionali, col deferire alla legge, non soltanto il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata, ma anche la determinazione dei modi di acquisto, di godimento e le limitazioni, intenderebbe riferirsi al potere generale dello Stato. Il quale, attraverso le norme legislative, stabilirebbe il regime e il funzionamento del diritto di proprietà nell'ordinamento, in vista della funzione sociale, alla quale esso deve essere indirizzato. E ciò a differenza del terzo comma dello stesso art. 42, dove il termine "legge" sarebbe usato in senso tecnico, per la determinazione dei casi in cui la proprietà privata può essere espropriata. Dovendosi peraltro rilevare che la riserva di legge, contenuta nel predetto terzo comma lascerebbe, data la genericità della statuizione, un ampio campo di discrezionalità a favore dell'Amministrazione, apponendo soltanto il limite dell'interesse generale. Onde, anche se si ammettesse che, pure nel secondo comma fosse contenuta una riserva di legge, questa non potrebbe avere una portata più rigorosa di quella risultante dal terzo comma.
Conclude quindi, su questo punto, ai fini dell'infondatezza della questione, ponendo il dilemma: o il secondo comma dell'art. 42, non contiene alcuna riserva di legge; oppure se si riscontrasse tale riserva sarebbe del tutto relativa analogamente a quella contenuta nel terzo comma.
Del pari infondata sarebbe, secondo la difesa del Comune, la questione relativa alla violazione del terzo comma dell'art. 42.
Si sostiene, in proposito, che l'indennizzo sarebbe preveduto non già per le limitazioni anche estese, delle facoltà di edificare, bensì soltanto per il caso in cui l'Amministrazione procedesse all'espropriazione delle aree gravate dal vincolo.
L'indennizzo, infatti, non avrebbe una funzione risarcitoria, di carattere generale, per ogni e qualsiasi limitazione imposta alla proprietà privata per ragioni di interesse generale, bensì una finalità specifica e determinante di controprestazione, quando si proceda al trasferimento della titolarità del bene. Donde la conseguenza che le disposizioni della legge urbanistica, denunziate con le ordinanze, non violerebbero il comma terzo dell'art. 42, salvo che si giungesse ad un'applicazione analogica della norma stessa, non consentita in questa sede, in quanto importerebbe un completamento o una correzione della legge ordinaria.
L'Avvocatura dello Stato, nelle deduzioni, non contesta che, nel secondo comma dell'art. 42 sarebbe contenuta una riserva di legge di carattere relativo. Ritiene però che nessuna violazione potrebbe riscontrarsi nella disposizione impugnata, poiché in essa, si riscontrerebbe una sufficiente determinazione del contenuto dei vincoli urbanistici, tenuto conto sia della finalità della legge, sia del fatto stesso della "zonizzazione", con le particolari caratteristiche inerenti a ciascuna zona, in cui é diviso il territorio comunale dal piano regolatore.
Per ciò che riflette poi la seconda questione sollevata dalle ordinanze, l'Avvocatura accenna all'inammissibilità della questione stessa, in quanto la si volesse considerare sotto il profilo di un eccesso di potere legislativo riguardo alla portata, estensione ed effetti dei limiti: indagine che non sarebbe consentita in questa sede, secondo la giurisprudenza di questa Corte.
Si tratterebbe comunque di questione infondata.
Muovendo dal presupposto che i vincoli, di che trattasi, non comportano alcun trasferimento, ne della proprietà né delle facoltà ad essa inerenti, in favore della pubblica Amministrazione, si osserva che tali vincoli sarebbero compresi nell'ambito del secondo comma dell'art. 42 della Costituzione. Costituirebbero perciò vere e proprie limitazioni imposte nell'interesse generale e sociale, non equiparabili ad espropriazioni delle facoltà attribuite ai proprietari: espropriazioni che potrebbero invece effettuarsi in base al piano particolareggiato di esecuzione.
Non sussisterebbe quindi nessuna elusione del precetto contenuto nell'art. 42, terzo comma, della Costituzione.
Conclude pertanto perché si dichiarino non fondate le questioni sollevate dal Consiglio di giustizia amministrativa.
Le difese di alcuni gruppi di proprietari hanno depositato memorie in data 19, 20 e 21 ottobre 1965, nelle quali si dà un ulteriore sviluppo alle tesi già enunciate nelle deduzioni a sostegno della incostituzionalità delle disposizioni impugnate.
Circa l'inosservanza della riserva di legge, pur confermandosi il concetto che si tratterebbe di riserva di carattere assoluto, si fa rilevare tuttavia (con ampi richiami alla giurisprudenza di questa Corte) che l'illegittimità non potrebbe negarsi anche se si ritenesse, come sostiene l'Avvocatura, trattarsi di riserva relativa. La disposizione della legge urbanistica, infatti, non avrebbe posto alcun limite al potere discrezionale dell'Amministrazione, non essendo neppure circoscritto a particolari categorie di vincoli. Né, d'altra parte, sarebbe sufficientemente delimitato in vista delle finalità della legge, in quanto intesa alla pianificazione; ovvero per il fatto della "zonizzazione"; dato che la legge non fornisce criteri atti a stabilire le caratteristiche delle varie zone con i conseguenti vincoli.
In altra memoria si fa altresì notare, per chiarire vieppiù la deficienza della norma impugnata rispetto alla riserva di legge, che soltanto in base ad un'interpretazione giurisprudenziale, vi sarebbero compresi tra i vincoli di zona oltre al "verde pubblico" anche il "verde privato", il "verde agricolo", i vincoli monumentali ecc.; dal che ne sarebbe derivato un indiscriminato potere dell'Amministrazione, di imporre alla proprietà privata limitazioni di varia natura, a tempo indeterminato, senza alcun indennizzo e senza procedere all'espropriazione. Situazione analoga si sarebbe altresì creata per l'inutilizzazione edilizia in attesa della realizzazione di opere di pubblico interesse (art. 7, n. 4).
Particolare rilievo viene dato in tutte le memorie alla dedotta violazione del comma terzo dell'art. 42 della Costituzione.
Muovendo dal presupposto, sancito dal secondo comma dell'art. 42 della Costituzione, che la proprietà privata é riconosciuta e garantita dalla legge, si sostiene, in sostanza, che il concetto di espropriazione non potrebbe ritenersi circoscritto esclusivamente al trasferimento del titolo dominicale, ma che, invece, il fenomeno ablativo ricorrerebbe altresì quando, pur in mancanza di un atto formale di trasferimento, la proprietà privata venisse compressa nella sua sostanza e ne restasse paralizzato, in tutto o nella maggior parte, il contenuto economico, in rapporto al godimento e alla disponibilità. In tali casi, ed in relazione appunto al principio che starebbe alla base dell'art. 42 della Costituzione, cioè il riconoscimento e la garanzia della proprietà, non si sarebbe più in presenza di limiti compresi nel secondo comma dell'art. 42, bensì si tratterebbe di ipotesi espropriative in senso lato. Onde non sarebbe legittimo prescindere dall'indennizzo, dato che le limitazioni, pur essendo imposte nell'interesse sociale della collettività, verrebbero ad incidere non già nella generalità dei proprietari, bensì su una categoria precisamente individuata dei medesimi.
Un siffatto principio risulterebbe, del resto, anche dall'art. 46 della legge 20 giugno 1865, n. 2359, in quanto ammette il pagamento di una indennità, nel caso in cui la proprietà sia gravata dall'esecuzione di un'opera pubblica, da una servitù o risenta pregiudizio per la perdita o diminuzione di un diritto.
Si fa, d'altra parte rilevare che un'interpretazione, non strettamente legata alla formulazione letterale del terzo comma dell'art. 42, sarebbe autorizzata anche dalla giurisprudenza di questa Corte come risulterebbe dalla sentenza n. 70, del 1960, nel senso che, non alla lettera del precetto costituzionale sarebbe necessario attenersi, bensì alla sostanza del precetto stesso; a parte il rilievo che un concetto restrittivo dell'espropriazione, in senso tecnico, potrebbe anche integrare, sotto certi aspetti, una violazione del principio di eguaglianza.
Da tutto ciò si trae quindi la conseguenza, in relazione alle attuali controversie, che se detti principi non sarebbero applicabili, nell'ipotesi di vincoli, come ad esempio quelli di zona, intesi ad una disciplina organica delle costruzioni, lo sarebbero invece quando si tratta, come nella fattispecie in esame, di limitazioni, o vincoli, tali da privare i proprietari di talune sostanziali facoltà di godimento o di utilizzazione, particolarmente per quanto riguarda l'jus aedificandi. Ciò si verificherebbe appunto per quanto riguarda le limitazioni prevedute nei un. 3 e 4 dell'art. 7 della legge urbanistica, da ritenersi immediatamente operative, fin dal momento dell'approvazione del piano regolatore generale.
Posto tutto ciò, si aggiunge, per ritenere l'illegittimità delle disposizioni denunziate non sarebbe necessario ricorrere all'ipotesi di un eccesso di potere legislativo, nel senso indicato nelle ordinanze.
Nelle memorie delle parti ricorrenti si fa cenno infine all'ipotesi che l'imposizione dei vincoli per destinazione a verde pubblico, a verde privato, o a verde agricolo, potrebbe ritenersi in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione. E ciò in quanto, in concreto, ne deriverebbe una disparità di trattamento: riguardo ai proprietari di zone destinate a verde pubblico, fra quelli espropriati prima e indennizzati, quelli espropriati dopo, o non espropriati; per i proprietari di aree destinate a verde privato e a verde agricolo, fra i proprietari di aree soggette al vincolo e proprietari di aree non vincolate, particolarmente riguardo alle proprietà contigue, le quali, esenti dalle limitazioni verrebbero valorizzate.
Nella memoria depositata il 21 ottobre 1965 la difesa dello Stato e della Regione, nel confermare le tesi sostenute nelle deduzioni, chiarisce ulteriormente in base a quali elementi non potrebbe ritenersi violato il precetto costituzionale della riserva relativa. Elementi deducibili anzitutto dalla finalità stessa della legge, nel senso già precisato da questa Corte con la sentenza n. 64 del 1963. La legge inoltre determinerebbe il contenuto del piano regolatore generale, la cui formazione sarebbe la risultante di un complesso procedimento di carattere tecnico-giuridico, che si svolge attraverso le fasi della compilazione, dell'approvazione e dell'esecuzione, e che deve rispondere alle diverse esigenze inerenti alle varie zone, in cui viene diviso il territorio comunale.
In tale situazione, secondo l'Avvocatura, la legge non potrebbe contenere un'elencazione particolareggiata delle limitazioni, a cui deve essere assoggettata la proprietà privata; limitazioni derivanti da fattori topografici, demografici, storici e inerenti alla viabilità ed al traffico.
Per quanto riguarda in particolare l'jus aedificandi, il vincolo, nota l'Avvocatura, troverebbe base sufficientemente determinata nella disposizione impugnata e dalla medesima circoscritta in virtù delle finalità da perseguire. In quanto cioè la limitazione (caratteri e vincoli di zona inerenti alla edificabilità) sarebbe logicamente e strettamente collegata ai diversi fattori inerenti alle esigenze delle singole zone, integrando, in sostanza, quelle prescrizioni di carattere tecnico-giuridico necessarie per una compiuta disciplina dell'espansione urbanistica, più o meno intensive, a seconda delle varie esigenze delle costruzioni urbane.
Per quanto attiene al n. 3 dell'art. 7 della legge impugnata, l'Avvocatura, a parte l'inammissibilità della questione, precisa che, per ciò che riguarda l'jus aedificandi, la destinazione delle aree a "verde pubblico" o ad opere ed impianti di interesse pubblico, il vincolo non avrebbe attuazione concreta fino al momento dell'emanazione del piano particolareggiato. Fino a quel momento, si osserva, il privato conserverebbe integra la disponibilità del bene, restando peraltro esposto all'obbligo della demolizione, senza indennizzo.
Quanto alla configurazione di tali vincoli si rileva che si tratterebbe di limiti di diritto pubblico al contenuto della proprietà privata, relativi ad un regolamento generale della medesima, per esigenze di carattere generale, ed in relazione alla funzione sociale della detta proprietà, con una estensione non circoscritta nemmeno agli obblighi negativi. E perciò, in quanto concernenti il normale esercizio del diritto stesso, tali limiti sarebbero al di fuori dell'istituto dell'espropriazione, al quale non potrebbero essere equiparati, neppure in via di analogia, in dipendenza del contenuto menomativo, più o meno intenso, di alcuni fra i limiti accennati.
L'Avvocatura, per questa parte, riferendosi ad un orientamento dottrinale e richiamando anche una decisione del Consiglio di Stato n. 269 del 27 febbraio 1959, conferma la tesi che l'indennizzo non costituirebbe un elemento essenziale inerente sia in generale alle limitazioni, sia in particolare, alle servitù di diritto pubblico, ma sarebbe esclusivamente collegato all'espropriazione in senso tecnico e tradizionale; cioè quando, in seguito al prescritto procedimento, sia effettuato il trasferimento della titolarità del diritto dominicale. Tale sistema sarebbe stato confermato dalla Costituzione ed, in particolare, dall'art. 42, secondo comma; nel quale, si assume, sarebbe stata accolta una disciplina pubblicistica più rigorosa di quella di cui alla precedente legislazione. Ciò per quanto attiene appunto alle limitazioni imposte alla proprietà privata in relazione anche al disposto dell'art. 832 del Codice civile, con incidenza sulle facoltà di godimento e di disposizione del titolare, mediante quelle restrizioni giustificate dalla funzione sociale della proprietà stessa, e non limitate all'imposizione di obblighi soltanto negativi. Ciò che il terzo comma dell'art. 42 ha inteso garantire sarebbe soltanto che, all'espropriazione dei beni si addivenga nei casi dalla legge stessa preveduti, fermo restando il disposto del secondo comma quanto alle limitazioni.
Secondo il sistema dell'art. 42 della Costituzione perciò nessun indennizzo sarebbe dovuto per le limitazioni prevedute nel secondo comma; indennizzo dovuto invece in relazione al terzo comma che prevede appunto tale corresponsione, qualora si effettui l'esproprio in senso tecnico e restrittivamente inteso. Tale sistema troverebbe ulteriore conferma sia nelle disposizioni dell'art. 43 della Costituzione che impone il pagamento dell'indennizzo nei casi ivi indicati, sia in quelle dell'art. 44, che invece non prevede l'indennità nei casi di limitazione della proprietà terriera per ragioni di interesse generale.
Da tutto ciò deriverebbe l'infondatezza della questione sollevata nelle ordinanze circa i vincoli di destinazione a verde o ad impianti pubblici. Anzitutto perché sarebbero attuabili in tempo successivo al piano regolatore generale, e d'altra parte, non integrerebbero ipotesi di limitazione totalmente ablative delle facoltà inerenti al godimento ed alle disponibilità dei beni, pur determinando un'alterazione del contenuto economico dei beni stessi, effetto questo normale derivante dall'incidenza delle restrizioni di diritto pubblico.
Ad ulteriore conferma e illustrazione delle tesi già prospettate, l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria aggiuntiva in data 7 gennaio 1966.
Considerato in diritto
Le cause indicate nell'epigrafe, trattandosi delle stesse questioni, possono essere riunite e decise con unica sentenza.
1. - Le ordinanze di rimessione prospettano il dubbio sulla legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nei nn. 2, 3 e 4 dell'art. 7 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150.
Circa il n. 2, come si é accennato, si osserva che, in quanto autorizza l'imposizione, mediante i piani regolatori generali, di "vincoli di zona nell'edificazione", importerebbe la violazione della riserva legislativa, di cui al secondo comma dell'art. 42 della Costituzione. La disposizione impugnata, infatti, si limiterebbe ad indicare l'ambito territoriale, entro il quale in concreto funzionerebbero i vincoli predetti, conseguente alla spartizione in zone del territorio comunale, senza peraltro contenere, come sarebbe necessario ai fini della legittimità, alcun altro elemento idoneo a determinare la natura, le caratteristiche e sopra tutto la portata delle limitazioni (negative o positive) alla proprietà privata, imposte dai piani.
2. - La questione non é fondata.
Indubbiamente il secondo comma dell'art. 42 della Costituzione, contrariamente a quanto sostiene la difesa del Comune di Palermo, contiene una riserva legislativa di carattere analogo a quella del precedente art. 41, come ha già affermato questa Corte con la sentenza n. 40 del 1964. Nella quale si pone in luce che l'art. 42 fa parte di un sistema unitario, comprendente precetti costituzionali variamente operanti nell'ambito della libertà economica privata (artt. da 41 a 44), e si chiarisce altresì che, pure l'art. 42. concernente il godimento e l'utilizzazione dei beni, demanda al legislatore ordinario, al pari dell'art. 41, la normazione relativa a posizioni subiettive ritenute costituzionalmente rilevanti, con la possibilità che la disciplina concreta delle medesime sia attribuita alla pubblica Amministrazione.
Ora, é noto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, formatasi specialmente in riferimento all'art. 23 ed al citato art. 41, tale attribuzione di potere é da ritenere legittima, qualora, nella legge ordinaria, siano contenuti elementi e criteri idonei a delimitare chiaramente la discrezionalità dell'Amministrazione.
3. - Si tratta perciò di vedere se, anche nella fattispecie, l'accennata esigenza possa ritenersi osservata.
A questo fine, ed in relazione alle censure mosse dalle ordinanze e dalle difese delle parti private, occorre anzitutto chiarire il contenuto e la natura della disposizione impugnata, quali si desumono dal necessario coordinamento con altre disposizioni della legge, nell'ambito del sistema in cui é destinata ad operare.
Al n. 2 dell'art. 7, infatti, vanno collegati, non soltanto il secondo comma dell'art. 11 ed il primo comma dell'art. 17, che parlano rispettivamente delle linee e degli allineamenti dei fabbricati, ma anche l'art. 33 della legge urbanistica; il quale contiene particolari indicazioni in ordine alle caratteristiche dei fabbricati nelle varie zone e circa gli altri vincoli inerenti alla "zonizzazione". É vero che quest'ultimo articolo é stato dettato per la compilazione dei regolamenti edilizi comunali; ma poiché, secondo il primo comma, le relative prescrizioni devono essere armonizzate con quelle della legge, la logica del sistema, considerato nel complesso unitario delle varie norme, importa che, anche le prescrizioni stesse, debbano essere intese come una specificazione della disposizione generale contenuta nel citato n. 2, al fine della concreta attuazione della medesima.
Tutto ciò autorizza a ritenere che i vincoli di zona consistano nelle limitazioni della proprietà privata inerenti alla costruzione, modificazione e ricostruzione dei fabbricati; limitazioni che la dottrina, formatasi anche in relazione alla pregressa legislazione in materia, ha individuato negli allineamenti dei fabbricati rispetto alle strade ed aree pubbliche e nelle altre prescrizioni che si ricollegano alle varie particolari esigenze delle singole zone, secondo la loro qualificazione (residenziali, a villini, a palazzine, industriali, ecc.).
4. - Per la risoluzione della questione, in secondo luogo, non si può prescindere dal considerare inoltre il carattere, l'oggetto, la finalità della legge del 1942 ed il sistema che ha inteso instaurare.
É noto che detta legge é stata emanata per dare disciplina unitaria, su scala nazionale, ad una materia che, in precedenza e in tempi diversi, aveva formato oggetto di una legislazione differenziata, riguardante i maggiori centri abitati, con gli inconvenienti rilevati dalla dottrina e dalla pratica. Tale finalità risulta espressamente enunciata nell'art. 5, secondo il quale sono subordinati alle disposizioni della legge l'assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio nazionale: finalità che, secondo il sistema, é da conseguire mediante la formazione dei piani territoriali di coordinamento, dei piani regolatori generali e dei piani particolareggiati di esecuzione; i primi due a tempo indeterminato e il terzo della durata di dieci anni. Ciò imprime alla legge, come si rileva anche nella relazione ministeriale, carattere programmatico, a cui é collegato anche un piano di finanziamento, secondo quanto dispone l'art. 30: ed importa, d'altra parte, che, per l'attuazione concreta della legge stessa, debba essere necessariamente riconosciuto ai Comuni (nella formazione dei piani regolatori di loro competenza) un margine di discrezionalità, sia per quanto concerne la ripartizione in zone del territorio comunale (del che ora non si discute), sia per ciò che riguarda il regime della proprietà privata nell'ambito delle singole zone, in relazione alle esigenze, modificabili anche nel tempo, della vita moderna e dell'espansione urbanistica.
La natura dei vincoli di zona, peraltro, secondo i rilievi sopra esposti, sta a dimostrare che non si tratta di discrezionalità indiscriminata ed incontrollabile - come si assume nelle ordinanze e si sostiene dalle parti private - bensì di discrezionalità tecnica. La quale, secondo il concetto espresso da questa Corte con le sentenze n. 122 del 1957 e n. 48 del 1961, essendo condizionata da elementi di valutazione di carattere tecnico, importa che l'attività normativa devoluta all'Amministrazione (nella specie ai Comuni), si deve svolgere entro determinati confini di carattere obbiettivo, e che, per ciò stesso, rimane, sotto questo aspetto, delimitata nella libertà dell'apprezzamento.
5. - Occorre aggiungere poi che l'operato dei Comuni, nella formazione dei piani regolatori generali, é pure soggetto a vari controlli a tutela della proprietà privata. L'emanazione, infatti, dei piani, con decreto del Capo dello Stato, é preceduta, nel sistema della legge del 1942, da un complesso procedimento amministrativo, delineato negli artt. 9 e 10 della legge. Esso ha inizio con l'approvazione del piano (compilato dagli organi tecnici del Comune - art. 41 della legge - ) mediante deliberazione del Consiglio comunale, soggetta all'approvazione dell'autorità tutoria; deliberazione che é preceduta dalla pubblicazione del progetto, affinché gli interessati possano prospettare le proprie osservazioni (nella specie numerosissime ed in parte accolte). Interviene quindi l'attività del Ministero dei lavori pubblici che provvede, previo parere delle Amministrazioni interessate e di concerto col Ministero dei trasporti se il piano interessa impianti ferroviari, e sentito inoltre il Consiglio superiore dei lavori pubblici, organo di consulenza tecnica del Ministero per i progetti e le questioni di carattere urbanistico (art. 2 della legge).
Da tutte le considerazioni esposte deriva pertanto che la garanzia inerente alla riserva legislativa, di cui al secondo comma dell'art. 42 della Costituzione, deve ritenersi, nel caso, osservata. Donde l'infondatezza della questione sollevata relativamente al n. 2 dell'art. 7 della legge n. 1150 del 1942.
6. - Per quanto attiene, invece, alla questione di legittimità costituzionale relativa alle disposizioni contenute nei un. 3 e 4 dell'art. 7, le quali autorizzerebbero l'imposizione di limitazioni incidenti sugli attributi essenziali del diritto di proprietà (disponibilità ed utilizzazione) sopprimendo, nella specie, l'jus aedificandi, senza prevedere al riguardo alcun indennizzo, la Corte provvede con separata ordinanza di pari data.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riunite le cause, indicate nell'epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, n. 2, della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, in riferimento all'art. 42, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 maggio 1966.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO
Depositata in cancelleria il 14 maggio 1966.