SENTENZA N. 149
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 128 e 131 del codice di procedura penale e della legge 14 marzo 1968, n. 157, tabella D, punto 13, lettere a) e b), recante la previsione di diritti di cancelleria per il rilascio di copie, promosso con ordinanza emessa il 29 ottobre 1970 dal pretore di Trieste nel procedimento penale a carico di Fabijanovic Lajzija, iscritta al n. 384 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49 del 24 febbraio 1971.
Udita nella camera di consiglio dell'8 giugno 1972 la relazione del Presidente.
Ritenuto in fatto
Nel giudizio penale pendente davanti al pretore di Trieste a carico di Fabijanovic Lajzija, residente all'estero, poiché questi non aveva adempiuto all'invito di eleggere domicilio in Italia, ne veniva dichiarata la contumacia e si procedeva in stato di irreperibilità del prevenuto. Nel corso del procedimento, il difensore d'ufficio affermava di essersi trovato nella impossibilità di esplicare seriamente il mandato e di approfondire le questioni di fatto e di diritto, non conoscendo gli atti della causa, per avere copia dei quali la legge 14 marzo 1968, n. 157, Tab. D, punto 13, lett. a) e b), richiede il versamento in cancelleria dei cosiddetti diritti di copia e di certificazione. Sollevava quindi questione di legittimità costituzionale della predetta legge, in relazione agli artt. 128 e 131 del codice di procedura penale, per contrasto con vari articoli della Costituzione.
Il pretore, ritenendo la questione rilevante e non manifestamente infondata, con ordinanza 29 ottobre 1970 rimetteva a questa Corte la questione di legittimità costituzionale degli artt. 128 e 131 c.p.p. e della predetta legge 14 marzo 1968, n. 157, limitatamente alla Tabella D, punto 13, lett. a) e b), in riferimento agli artt. 3, prima e seconda parte; 24, prima, seconda e terza parte; 35; 36; 38 e 53 della Costituzione.
La causa é stata decisa in camera di consiglio, a norma dell'art. 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale 16 marzo 1956, non essendoci stata costituzione di parti.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza ripropone la questione di legittimità costituzionale degli artt. 128 e 131 del codice di procedura penale, già decisa da questa Corte, in riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione, nella sentenza n. 114 del 1964 (ricordata nella stessa ordinanza).
Prospetta inoltre un nuovo profilo della questione, in relazione alla legge 14 marzo 1968, n. 157, Tab. D, punto 13, lett. a) e b), e con riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma; 24, primo, secondo e terzo comma; 38 e 53 della Costituzione.
2. - In ordine alla prima censura, l'ordinanza ritiene che l'istituto della difesa d'ufficio, che, così come oggi opera, é gratuita per gli indigenti e quasi sempre rende difficile il recupero delle competenze del difensore negli altri casi, lede il principio di parità dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.) e quello del diritto alla retribuzione (artt. 35 e 36 Cost.).
Ma già nella citata sentenza n. 114 del 1964 questa Corte ha rilevato, per quanto attiene al gratuito patrocinio, che la tutela del lavoro non esclude "che, in base alla legge, possano essere imposte prestazioni gratuite, per ragioni di interesse generale, a norma dell'art. 23 della Costituzione", ed ha affermato che l'obbligo degli esercenti la professione forense di assumere gratuitamente la difesa dei non abbienti, trovando la sua ragione nell'interesse pubblico di fornire l'assistenza giudiziaria a questi ultimi ed avendo carattere saltuario così da non alterare la disciplina economica della professione, non contrasta con i principi costituzionali di eguaglianza dei cittadini e di tutela del lavoro.
Per quanto concerne, poi, l'obbligo più generale dei professionisti forensi di assumere, con il rischio patrimoniale di non essere retribuiti, la difesa di ufficio anche dei cittadini abbienti (che sono tenuti, in base all'art. 4 disp. att. del codice di procedura penale, a corrispondere l'onorario al difensore), questa Corte, con decisione n. 97 del 1970, ha ritenuto che, essendo la difesa dell'imputato, con o senza retribuzione, di interesse pubblico, in quanto attinente alla validità del giudizio, può senz'altro essere imposta a norma dell'art. 23 della Costituzione, senza che ciò comporti, dato il suo carattere occasionale, violazione dell'art. 36.
L'ordinanza di rinvio non contiene argomenti tali da potere indurre questa Corte a mutare opinione, né ha rilevanza, ai fini del giudizio di costituzionalità, la constatazione, con cui la stessa ordinanza giustifica la riproposizione della questione, che il legislatore non abbia ancora accolto il suggerimento, contenuto, de lege ferenda, nella sentenza n. 114 del 1964, di creare un sistema diretto ad assicurare in ogni caso un compenso al difensore d'ufficio. Se, infatti, sussistono tuttora le ragioni per cui é auspicabile una rielaborazione legislativa della materia, il fatto che ad essa non sia stato ancora provveduto non modifica i termini della già esaminata questione di legittimità costituzionale.
3. - Sotto l'altro profilo, ora per la prima volta proposto, l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate deriverebbe dall'obbligo del difensore d'ufficio di corrispondere i cosiddetti "diritti di cancelleria", previsti dalla legge n. 157 del 1968, per il rilascio delle copie di atti processuali necessarie alla difesa. Ciò importerebbe una violazione del principio della rispondenza del concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva, di cui all'art. 53 della Costituzione; del principio, che deriverebbe dall'art. 38 Cost., secondo cui gli oneri di assistenza sociale sono a carico di tutta la collettività; del diritto alla difesa (art. 24 Cost.), in quanto la non gratuità delle dette copie ostacolerebbe una seria ed efficace attività difensiva; del principio di eguaglianza, in quanto il cittadino meno fortunato si troverebbe in condizione di dover rinunciare a una completa difesa, ove non possa pagare quel tributo.
Ma le censure così dedotte non hanno fondamento.
La legge attribuisce al difensore la facoltà di prendere visione degli atti processuali depositati e di estrarne copia (articoli 201, 304 quater, 320, 372, 407, n. 4, 410, 533 c.p.p.). La possibilità, offerta al difensore, di chiederne copia alla cancelleria é un mezzo per agevolare la sua opera, e il versamento dei "diritti di cancelleria" é il corrispettivo di un servizio che il difensore può utilizzare, ove lo ritenga opportuno, secondo le sue libere valutazioni. Resta quindi escluso il raffronto delle norme impugnate, sia con l'art. 53 della Costituzione, di cui, del resto, la Corte ha già ritenuto la non applicabilità agli oneri processuali (sentenze n. 30 del 1964 e n. 23 del 1968), che con l'art. 38 della Costituzione, il quale, d'altra parte, non esclude che oneri di assistenza sociale possano essere posti a carico di determinate categorie e dei loro appartenenti.
Del pari infondato é il denunciato contrasto col diritto di difesa e con il principio di eguaglianza.
La ricordata facoltà del difensore di prendere visione, direttamente o a mezzo di persona di fiducia, degli atti depositati consente di adempiere al mandato con serietà e coscienza. I vantaggi che indubbiamente offre, per il professionista, la disponibilità nello studio degli atti processuali non vanno confusi con l'impossibilità di adempiere all'obbligo e all'onere di preparare una adeguata difesa ove non sia fornita dall'ufficio giudiziario copia degli atti.
É da escludere, di conseguenza, che la previsione dei "diritti di cancelleria" per il rilascio di tali copie dia luogo a una disparità di trattamento nell'esercizio del diritto di difesa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 128 e 131 del codice di procedura penale e della legge 14 marzo 1968, n. 157, limitatamente alla Tab. D, punto 13, lett. a) e b), recante la previsione di diritti di cancelleria per il rilascio di copie, sollevata con ordinanza del 29 ottobre 1970 dal pretore di Trieste, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma; 24, primo, secondo e terzo comma; 38 e 53 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1972.
Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria il 27 luglio 1972.