Sentenza n. 114 del 1964
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SENTENZA N. 114

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 128, secondo comma, e 131, secondo comma, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18 dicembre 1963 dalla Sezione istruttoria della Corte d'appello di Caltanissetta nel procedimento disciplinare a carico dell'avv. Domenico Blanca, iscritta al n. 8 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 47 del 22 febbraio 1964.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 21 ottobre 1964 la relazione del Giudice Giuseppe Chiarelli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

L'avv. Domenico Blanca, nominato difensore d'ufficio dal Pretore di Valguarnera in un procedimento penale a carico di tal Paolo Mirisciotti, all'inizio del dibattimento chiedeva domandarsi all'imputato perché non avesse difensore. Alla risposta di costui, di essere privo di mezzi finanziari, l'avv. Blanca sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 128, 129, 130 e 131 del Codice di procedura penale, e di tutte le altre disposizioni, che, pur tendendo ad assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi avanti ogni giurisdizione, sono in contrasto con gli artt. 35 e 36 della Costituzione. In considerazione di ciò, si rifiutava di continuare nel patrocinio d'ufficio.

Il Pretore, ritenendosi incompetente a prendere in esame la questione e a rimettere eventualmente gli atti alla Corte costituzionale, inoltrava rapporto alla Sezione istruttoria della Corte d'appello di Caltanissetta, la quale iniziava procedimento disciplinare a carico dell'avv. Blanca. Avendo quest'ultimo insistito nella dedotta questione di legittimità costituzionale, la Sezione istruttoria rimetteva gli atti a questa Corte, con ordinanza 18 dicembre 1963, regolarmente notificata e comunicata.

In tale ordinanza si considera rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale limitatamente agli artt. 128, secondo comma, e 131, secondo comma, del Codice di procedura penale, rispetto agli artt. 24, terzo comma, e 35, primo comma, della Costituzione.

Quanto all'art. 24, terzo comma, l'ordinanza osserva che scopo di esso sarebbe stato di indicare al legislatore nuove direttive per concrete determinazioni legislative.

In particolare, parlando di "istituti" destinati ad assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi in giudizio, il costituente avrebbe fatto riferimento non alle norme vigenti relative all'argomento (e quindi non alle norme degli artt. 128, secondo comma, e 131, secondo comma, del Codice di procedura penale), ma ad organismi da costituire per uno scopo al cui perseguimento non é sufficiente la personalità umana e la capacità economica individuale.

Non si può quindi affermare, osserva l'ordinanza, la legittimità delle indicate norme in base all'art. 24, secondo comma, che intendeva, invece, riferirsi a mezzi di difesa diversi da quelli da esse previsti.

L'ordinanza esclude, inoltre, che l'obbligo di cui ai detti articoli possa farsi rientrare tra i doveri di solidarietà sociale, di cui all'art. 2 della Costituzione, e che possa esser considerato come una delle prestazioni personali previste dall'art. 23.

Parimenti si esclude che la figura giuridica del difensore sia quella del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, essendo esso inquadrato dalla stessa legge tra le persone che esercitano un servizio di pubblica necessità (art. 359 del Cod. penale). Esaminate le varie teorie in proposito, l'ordinanza conclude che é possibile prospettarsi un contrasto degli artt. 128 e 131, oltre che con l'art. 24, con l'art. 35, primo comma, della Costituzione, in quanto la tutela del lavoro, ivi affermata, ha per oggetto anche la garanzia del compenso del lavoro autonomo, mentre non occorre richiamare l'art. 36, il quale, ritenuto dalla giurisprudenza applicabile solo al lavoro subordinato, é essenzialmente collegato all'art. 35, di cui contiene una specificazione in ordine alla misura della rimunerazione di una categoria di lavoratori.

Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto d'intervento e deduzioni, depositate il 21 febbraio 1964.

In tale atto si osserva preliminarmente che non vi é corrispondenza fra la questione sollevata e le norme denunciate, in quanto l'avv. Blanca lamenta, non la imposizione autoritaria di un cliente, ma l'irrecuperabilità dell'onorario quando il cliente sia povero. Ma ciò non avrebbe niente a vedere con gli artt. 128 e 131 del Codice di procedura penale; se mai, verrebbe in discussione l'art. 4 del R. D. 28 maggio 1931, n. 602. La Presidenza del Consiglio si rimette, quindi, alla Corte, perché giudichi sull'eventuale inammissibilità del giudizio.

Nel merito, la difesa della Presidenza rileva che sia dalla interpretazione semantica dell'art. 24 e del termine "istituti", ivi adoperato, sia dall'indagine storica, risulta che é nettamente da escludere che la Costituzione abbia voluto una forma di difesa giudiziaria dei meno abbienti diversa dal gratuito patrocinio. Si afferma quindi che la normativa vigente sul gratuito patrocinio adempie al precetto di cui all'art. 24, e perciò non può violare l'art. 35, coprendo i due articoli - aree diverse.

Se mai può ammettersi, al limite, che l'art. 24 deroghi, al servizio della giustizia, all'art. 35.

In relazione all'art. 23 della Costituzione la difesa dello Stato osserva che le prestazioni ivi previste non debbono necessariamente essere imposte a favore della pubblica Amministrazione, e cita, a conferma, varie norme di leggi ordinarie. Conclude, quindi, che l'iscrizione a un albo professionale determina un assoggettamento a una speciale supremazia da parte dello Stato, particolarmente evidente per la professione di avvocato, per cui tutta la materia della difesa d'ufficio non ricade nell'ambito del contratto di lavoro e, quindi, dell'art. 35. Chiede, pertanto che sia dichiarata infondata la sollevata questione.

L'avv. Blanca non si é costituito.

Nella discussione, l'Avvocato dello Stato si é riportato alle difese scritte.

 

Considerato in diritto

 

1. - I dubbi sollevati dalla difesa della Presidenza del Consiglio circa l'ammissibilità del giudizio per non corrispondenza fra la questione sollevata e le norme denunciate non possono essere condivisi.

Non vi é, infatti, incertezza sui termini della questione, né vi é errore, da parte dell'ordinanza, nella individuazione delle norme impugnate.

Nel vigente ordinamento l'obbligo, per gli avvocati e procuratori, della difesa d'ufficio nei giudizi penali, posto dall'art. 128, secondo comma, del Codice di procedura penale, comprende l'obbligo della difesa gratuita dei non abbienti, come risulta precisato dall'art. 4 del R. D. 28 maggio 1931, n. 602, secondo il quale la difesa d'ufficio é gratuita per gli imputati che si trovano nelle condizioni per cui é ammesso il gratuito patrocinio. Pertanto lo stato di povertà dell'imputato non costituisce giusta causa per il rifiuto dell'incarico, ai sensi dell'art. 131, secondo comma, del Codice di procedura penale, rendendosi così applicabili, ove tale rifiuto si verifichi, le sanzioni ivi previste.

La dedotta questione di legittimità costituzionale investe, quindi, le due indicate disposizioni, in quanto, nella loro connessione con le norme sulla difesa dei non abbienti, esse implicano l'obbligo, penalmente sancito, della difesa gratuita di questi ultimi.

2. - Nel merito la questione é infondata.

In relazione all'art. 24 della Costituzione va osservato che né dal linguaggio legislativo, né dal comune linguaggio giuridico possono trarsi argomenti per ritenere che l'espressione "istituti", nella disposizione costituzionale in esame, vada intesa nel senso di organismi super individuali, e non nel senso di complessi di norme regolatrici di determinati rapporti, unitariamente considerati. É ben noto come in questo senso, a quel modo che si parla di istituto della proprietà, della famiglia e via dicendo, si parla anche di istituto del gratuito patrocinio e, in genere, di istituto della difesa gratuita dei non abbienti. Sarebbe pertanto arbitrario ritenere, da un punto di vista esegetico, che il gratuito patrocinio, anche nella sua attuale disciplina, e il complesso delle vigenti norme comunque dirette ad assicurare la difesa dei non abbienti, non possano considerarsi compresi nella espressione "appositi istituti" adoperata dal costituente.

Diversa questione, e non di legittimità costituzionale, é quella della adeguatezza di tale disciplina al fine garantito dalla Costituzione. De lege ferenda e da un punto di vista di politica legislativa può anche auspicarsi una diversa e migliore disciplina della difesa dei non abbienti; ma dall'opinione che un diverso ordinamento del servizio potrebbe meglio corrispondere alle finalità dell'art. 24 della Costituzione non si può trarre l'induzione della incostituzionalità dei mezzi ora esistenti, che a quelle finalità sono ugualmente diretti.

Considerare, in ipotesi, tali mezzi come insufficienti, o scarsamente efficienti, rispetto allo scopo voluto dalla Costituzione, non potrebbe mai voler dire riconoscerli contrari alla Costituzione stessa, col risultato di privare i non abbienti anche dell'attuale forma di assistenza.

3. - La questione proposta si presenta ugualmente infondata in relazione all'art. 35 della Costituzione.

La tutela del lavoro in tutte le sue forme, enunciata nel detto articolo, non esclude, infatti, che, in base alla legge, possano essere imposte prestazioni gratuite, per ragioni di interesse generale, a norma dell'art. 23 della Costituzione. Certo, per quanto riguarda il lavoro dei liberi professionisti, queste imposizioni non possono esser tali da trasformare lo status del libero professionista nello status di soggetto prevalentemente tenuto alla prestazione di un servizio obbligatorio non rimunerato, o comunque da impedire che l'esercizio della libera professione possa essere sufficiente ad assicurare la soddisfazione delle esigenze economiche e morali del professionista. Ma nel caso in esame non vi ha dubbio che la previsione, contenuta nella legge, di una saltuaria prestazione obbligatoria eventualmente gratuita non contrasta con l'indicata norma costituzionale, né col sistema di principi che da essa si ricava.

Infatti, in primo luogo, si tratta di un obbligo che ha la sua ragione nell'interesse pubblico: e precisamente, nell'interesse di fornire l'assistenza giudiziaria ai non abbienti, e di assicurare il migliore esercizio dei poteri processuali e della funzione giudiziaria con la collaborazione della difesa.

In secondo luogo, l'obbligo della prestazione non incide sulla tutela della posizione economica del professionista, sia perché la gratuità di essa é limitata ai casi in cui non vi é possibilità di ripetizione degli onorari (art. 11 del R. D. L. 30 dicembre 1923, n. 3282), sia perché il gratuito patrocinio é, nel nostro ordinamento, un ufficio della categoria degli avvocati e dei procuratori (R. D. L. 30 dicembre 1923, citato, e, in origine, R. D. 6 dicembre 1865, n. 2627), il cui adempimento non altera la disciplina economica della professione in modo da impedire che l'esercizio di essa possa corrispondere alle esigenze del professionista e al decoro della professione.

Ciò non toglie che, in armonia con quanto si é precedentemente osservato a proposito dell'attuazione dell'art. 24, terzo comma, della Costituzione, potrebbe essere opportunamente creato un sistema che assicurasse in ogni caso un compenso al difensore d'ufficio.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 128, secondo comma, e 131, secondo comma, del Codice di procedura penale, sollevata dalla Sezione istruttoria della Corte di appello di Caltanissetta con ordinanza del 18 dicembre 1963, in riferimento agli artt. 24, terzo comma, e 35, primo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 1964.