Sentenza n. 207 del 1971
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SENTENZA N. 207

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Michele FRAGALI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione siciliana, notificato il 2 marzo 1971, depositato in cancelleria il 13 successivo ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi 1971, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della circolare del Ministero delle finanze 11 dicembre 1970, n. 380925, avente per oggetto "Riscossione - Esenzione decennale dell'imposta di ricchezza mobile - Industria edilizia".

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1971 il Giudice relatore Angelo De Marco;

uditi gli avvocati Antonio Sorrentino e Pietro Virga, per la Regione, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Con ricorso notificato il 2 marzo 1971 il Presidente della Regione siciliana, debitamente autorizzato, ha proposto ricorso per la risoluzione del conflitto tra detta Regione e lo Stato, sorto per effetto della circolare del Ministero delle finanze 11 dicembre 1970, n. 380925, avente per oggetto "Riscossione - Esenzione decennale dell'imposta di ricchezza mobile - Industria edilizia", con la quale sono state date disposizioni alle Intendenze di finanza di assoggettare alla imposta di ricchezza mobile le imprese edili, anche se nei loro confronti la Regione siciliana abbia emesso decreti di esenzione.

A sostegno del gravame, si premette, in linea di fatto, quanto segue:

Mentre la legislazione statale a favore del Meridione fa discendere direttamente dal precetto legislativo le agevolazioni tributarie, accordate per incentivare le nuove iniziative industriali, la legislazione regionale siciliana per l'industrializzazione dell'Isola ha disposto che le nuove iniziative industriali, meritevoli di essere incentivate ed aventi, quindi, diritto alle agevolazioni fiscali, creditizie e contributive, venissero riconosciute tali mediante decreto interassessoriale emanato dall'Assessore per le finanze, di concerto con l'Assessore dell'industria e commercio.

Con l'art. 7 della legge regionale 7 dicembre 1953, n. 61, poi, a controllo del buon uso dei poteri accordati in materia agli Assessori delle finanze e dell'industria e commercio, si demandava al Presidente della Regione di determinare con proprio decreto, da emanarsi su proposta dell'Assessore dell'industria e commercio, d'intesa con quello per le finanze, sentita la Giunta di Governo, le categorie di stabilimenti industriali, tecnicamente organizzati, ammesse a beneficiare delle agevolazioni in materia di sviluppo industriale.

In particolare, con il decreto del Presidente della Regione 4 maggio 1954, n. 2, fra le attività industriali meritevoli di incentivazione veniva inclusa l'industria edilizia (art. 8 della tabella allegata) precisando che alle imprese esercenti tale attività l'esenzione decennale dall'imposta di ricchezza mobile (imposta devoluta alla Regione sia in base al regime provvisorio del 1948, sia a norma del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074) andava concessa, caso per caso, solo per i redditi di lavori eseguiti nell'ambito della Regione e sempre che per la esecuzione degli stessi venissero impiantati cantieri che, per la loro attrezzatura, potessero considerarsi stabilimenti industriali tecnicamente organizzati.

La legittimità costituzionale di tale sistema legislativo regionale é stata riconosciuta da questa Corte in vari giudizi sia in via principale, sia in via incidentale (sentenze 9 dicembre 1963, n. 167; 6 giugno 1965, n. 63; 23 novembre 1967, n. 122).

Con sentenza 21 settembre 1970, n. 1640 la Corte di cassazione a sezioni unite, invece, ha ritenuto che, ai fini delle agevolazioni fiscali prevedute per lo sviluppo del Mezzogiorno, non possono essere inclusi fra gli stabilimenti industriali i cantieri edili, in quanto impiantati per produrre una tantum un determinato bene e, conseguentemente, ha dichiarato illegittimi e disapplicati l'art. 4 ed il n. 8 della tabella inclusa nel decreto del Presidente della Regione siciliana 4 maggio 1954, n. 2.

In base a tale sentenza é stata emanata la impugnata circolare del Ministero delle finanze.

Tanto premesso in linea di fatto, vengono dedotti, in diritto, i seguenti motivi di gravame:

1) Violazione degli artt. 20 e 36 dello Statuto della Regione siciliana; violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del d.l. 12 aprile 1948, n. 507; violazione e falsa applicazione dell'art. 8 delle norme di attuazione, approvate con d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074; violazione degli artt. 113 e 134 della Costituzione.

Con tale motivo si sostiene la tesi che il Ministero delle finanze non ha la potestà di disapplicare leggi, regolamenti o atti amministrativi regionali, anche se esorbitano dalla sfera di competenza legislativa o meramente amministrativa della Regione per invadere la sfera di competenza statale, ma deve previamente chiederne la dichiarazione di illegittimità, promovendo giudizio di costituzionalità in via principale o incidentale, se si tratta di atti legislativi, oppure sollevando conflitto di attribuzione, se si tratta di regolamenti o di atti amministrativi.

Questo comportamento era tanto più necessario nella specie, in quanto la Corte si era già pronunciata in senso contrario all'assunto del Ministero delle finanze con la sentenza n. 63 del 1965.

2) Violazione sotto altro profilo degli artt. 20 e 36 dello Statuto della Regione siciliana e degli artt. 2 del d.l. 12 aprile 1948, n. 507 e 8 delle norme di attuazione in materia finanziaria.

Con questo motivo si sostiene la tesi che, anche ad entrare nel merito, deve riconoscersi la legittimità degli atti amministrativi disapplicati dal Ministero delle finanze, in quanto emanati in forza di una normativa regionale la cui legittimità costituzionale é stata affermata da questa Corte con le sentenze 9 dicembre 1963, n. 167, 6 giugno 1965, n. 63, 23 novembre 1967, n. 122.

In particolare, con quest'ultima sentenza, la Corte costituzionale, nel respingere la eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge regionale 7 dicembre 1953, n. 61, e del d.P.Reg. 4 maggio 1954, n. 2, ha esplicitamente affermato - e non in via incidentale - che il contenuto del d.P.Reg. n. 2 del 1954 e della annessa tabella indicante le categorie degli stabilimenti industriali ammessi ai benefici fiscali fanno parte integrante di un sistema legislativo armonico e organico nei cui confronti non sono proponibili censure di incostituzionalità.

Quanto, poi, alla sentenza delle sezioni unite della Cassazione, dalla quale vuole trarre fondamento la impugnata circolare del Ministero delle finanze, basta rilevare che il motivo essenziale e decisivo sul quale si basa é l'esclusione - in netto contrasto con quanto ritenuto con la citata sentenza di questa Corte n. 122 del 1967 - che l'elenco delle industrie ammesse ai benefici tributari, approvato con il d.P.Reg. n. 2 del 1954 sia divenuto parte integrante dell'art. 1 della legge regionale n. 51 del 1957.

Comunque, la sentenza della Cassazione fa stato soltanto limitatamente al caso deciso.

Si é costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, con l'atto di costituzione, dopo avere esposti i termini della controversia, chiede, in via principale, che il ricorso della Regione venga dichiarato inammissibile e, in via subordinata che, previa declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge regionale 7 dicembre 1953, n. 61, venga respinto nel merito.

A sostegno della richiesta dichiarazione di inammissibilità del ricorso, l'Avvocatura generale dello Stato, muovendo dalla considerazione che la Corte Suprema ha proceduto alla interpretazione dell'art. 7 della legge regionale 7 dicembre 1953, n. 61, a seguito di che ha dichiarato l'illegittimità ordinaria dell'art. 4 del d.P.Reg. 4 maggio 1954, n. 2 (nella parte in cui prevede la possibilità per i cantieri edili di essere ricompresi negli stabilimenti industriali ammessi a fruire di benefici fiscali) e che il Ministero delle finanze ha fatto propria l'interpretazione della legge adottata dalla Corte di cassazione, perviene alla conclusione che il contenuto di merito della predetta interpretazione non possa essere discusso in questa sede sotto il profilo dei rapporti tra Stato e Regione.

Soffermandosi, poi, alla richiamata sentenza delle sezioni unite della Cassazione, che ha dichiarato illegittimo e disapplicato il decreto regionale del 1954, n. 2, ai sensi dell'art. 5 dell'allegato E alla legge 20 marzo 1865, sul contenzioso amministrativo, ha affermato che il Ministero delle finanze era obbligato ad eseguire tale sentenza.

Riguardo alla incostituzionalità dell'art. 7 della legge regionale n. 61 del 1953, in esecuzione della quale venne emesso il decreto del Presidente della Regione n. 2 del 1954, la questione viene poi prospettata, in via subordinata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione ed agli artt. 17 e 36 dello Statuto della Regione siciliana.

Con memoria depositata il 28 ottobre 1971, il patrocinio della Regione, confermando quanto dedotto col ricorso, a confutazione dell'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, deduce, in sostanza, quanto segue:

a) Non si contesta la competenza del Ministero delle finanze ad emanare ai dipendenti uffici della Regione siciliana circolari ed istruzioni interpretative anche di leggi regionali, ma, con la circolare impugnata, il Ministero ha disapplicati atti amministrativi regionali, emanati in forza ed in conformità di leggi regionali, riconosciute da questa Corte costituzionalmente legittime;

b) Questo comportamento del Ministero non può trovare legittimazione nella più volte richiamata sentenza della Cassazione, in quanto questa ha efficacia limitata al caso deciso e non erga omnes;

c) La disapplicazione di atti amministrativi da essa dichiarati illegittimi é consentita soltanto all'autorità giudiziaria ordinaria dall'art. 5 della legge sul contenzioso amministrativo, mentre non é consentita né alla giurisdizione amministrativa, né, tanto meno, alle autorità amministrative;

d) La questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge regionale n. 61 del 1953 é già stata dichiarata sostanzialmente infondata da questa Corte con la sentenza n. 122 del 1967, anche se allora la pronunzia fu di semplice irrilevanza.

A maggiore ragione deve essere dichiarata infondata dopo che, con l'art. 8 della legge 22 luglio 1966, n. 614, emanata per le zone depresse del centro-nord, le imprese del settore edile sono state ammesse alle agevolazioni fiscali prevedute per l'industrializzazione del Mezzogiorno.  

Considerato in diritto 

1. - In via pregiudiziale dev'essere esaminata l'eccezione di improponibilità del ricorso prospettata dall'Avvocatura generale dello Stato sotto il profilo che l'atto impugnato trova il suo fondamento in una sentenza delle sezioni unite della Cassazione, interpretativa dell'art. 7 della legge regionale 7 dicembre 1953, n. 61, alla quale il Ministero delle finanze, nell'esercizio del suo non contestato potere di impartire ai dipendenti uffici della Regione siciliana istruzioni e direttive, in ordine all'applicazione delle leggi fiscali anche regionali, ha inteso uniformarsi, cosicché non esisterebbe un conflitto tra Stato e Regione, ma se mai tra Corte costituzionale e Corte di cassazione.

L'eccezione é manifestamente infondata:

Col ricorso in esame la Regione contesta come lesiva della sua autonomia la potestà del Ministero delle finanze, quale organo dello Stato, di disapplicare provvedimenti amministrativi emanati da organi regionali, in applicazione (in ipotesi, anche errata) di leggi regionali.

Con la circolare impugnata il Ministero delle finanze nell'impartire agli uffici finanziari della Regione siciliana l'ordine di assoggettare le imprese edili al pagamento della imposta di ricchezza mobile, anche se nei loro confronti la Regione abbia emesso decreto di esenzione, ha evidentemente disapplicato ed ordinato di disapplicare tali decreti.

Nelle opposte posizioni così assunte dalla Regione, da un lato, dallo Stato, dall'altro, non può non ravvisarsi un conflitto tra questi due Enti e non fra altri organi dello Stato.

Si può, quindi, passare all'esame del ricorso.

2. - Col primo motivo di ricorso si prospetta appunto il problema di accertare se allo Stato - e per esso al Ministero delle finanze - incombesse addirittura l'obbligo, come assume l'Avvocatura generale dello Stato, o, quanto meno, la potestà di disapplicare i decreti regionali oggetto della impugnata circolare.

L'obbligo discenderebbe dalla sentenza della Cassazione a sezioni unite 21 settembre 1970, n. 1640 pronunziata sui ricorsi del Ministero delle finanze contro Semilia e di Semilia contro il Ministero delle finanze.

Con questa sentenza, infatti, sono stati dichiarati illegittimi il decreto del Presidente della Regione siciliana 4 maggio 1954, n. 2, nonché i decreti di esenzione emessi in esecuzione di esso nei confronti del Semilia ed é stato affermato l'obbligo degli uffici statali, che provvedono all'accertamento dei tributi erariali spettanti alla Regione siciliana, di controllare la legittimità dei decreti di esenzione da questa emanati, disapplicandoli ove ne ritengano l'illegittimità.

Come esattamente oppone il patrocinio della Regione questa sentenza fa stato soltanto fra le parti nei confronti delle quali é stata pronunciata (é da notare che la Regione non era fra tali parti) e limitatamente al caso deciso.

Che, entro questi limiti, il Ministero delle finanze avesse l'obbligo di conformarsi a tale sentenza non vi é dubbio, dato il disposto del secondo comma dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865, All. E, cui dopo l'istituzione della giurisdizione amministrativa, fa riscontro l'art. 27, n. 4 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054.

Neppure é dubbio che il Ministero delle finanze potesse e possa adottare l'interpretazione dell'art. 7 della legge regionale n. 61 del 1953 e dell'art. 1 della legge regionale n. 51 del 1957, in base alla quale la Corte di cassazione é pervenuta alla decisione sopra riportata, adeguando ad essa il proprio operato.

Ma da ciò non discende che si possa estendere senz'altro erga omnes la efficacia cogente di quella sentenza e, soprattutto, a disapplicare direttamente tutti i decreti regionali di esenzione dalla imposta di ricchezza mobile riguardanti imprese edili.

Come chiaramente risulta dal suo testo, l'art. 5 della legge 20 marzo 1865, All. E, pone in essere soltanto un correttivo di quanto disposto dal secondo comma del precedente art. 4; dal complesso di questi due articoli, infatti, scaturisce il seguente sistema.

L'autorità giudiziaria, di fronte ad un atto amministrativo lesivo di un diritto deve limitarsi a conoscere degli effetti dell'atto stesso, in relazione all'oggetto del giudizio, ma l'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sopra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali hanno l'obbligo di conformarsi al giudicato dei tribunali, in quanto riguarda il caso deciso.

Comunque, le autorità giudiziarie - e, come si vedrà, esse soltanto - possono applicare gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali, solo in quanto siano conformi alle leggi, ossia debbono disapplicarli, se li riconoscono illegittimi.

Questo sistema é, poi, stato completato con l'istituzione della giurisdizione amministrativa, alla quale é attribuita non soltanto la potestà di annullare gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali riconosciuti illegittimi, ma, nei residui casi, nei quali ha competenza di merito, anche quella di revocarli o modificarli.

É molto significativo, al riguardo, che, fra i casi di competenza di merito, vi é tra l'altro quello contemplato dall'art. 27, n. 4 del t.u. n. 1054 del 1924, sopra citato, riguardante i ricorsi diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico.

Deve, inoltre, tenersi presente che, in forza dell'art. 6 della legge comunale e provinciale, del quale é stato riconosciuto il carattere generale e l'applicabilità anche agli atti amministrativi delle Regioni a statuto speciale (v. sentenze di questa Corte n. 24 del 1957 e nn. 23 e 58 del 1959) il Governo dello Stato ha la potestà di annullare di ufficio, per gravi ragioni di interesse pubblico, gli atti amministrativi sia emanati da organi dello Stato, sia da Enti pubblici autonomi territoriali o istituzionali, che siano riconosciuti illegittimi.

Occorre, infine, ricordare che nell'esercizio della cosiddetta autotutela, tutte le autorità amministrative hanno il potere-dovere di annullare i propri atti che riconoscono illegittimi e di revocare quelli che riconoscono non più opportuni o convenienti.

Di fronte a questo sistema, anche in applicazione del principio di interesse pubblico di assicurare la stabilità e la certezza degli atti amministrativi, che abbiano acquisita la definitività, la potestà di disapplicare gli atti amministrativi é ammissibile soltanto allorché l'ordinamento non preveda altri mezzi per rimuoverli.

Passando al caso concreto, il Ministero delle finanze dopo aver data piena esecuzione alle pronunzie della Cassazione, com'era suo obbligo, nel caso Semilia, ove, condividendo e adottando la interpretazione delle leggi regionali n. 61 del 1953 e n. 51 del 1957, avesse voluto estendere erga omnes la disapplicazione del decreto del Presidente della Regione siciliana n. 2 del 1954, conseguente a quella interpretazione, aveva la possibilità di promuovere l'annullamento d'ufficio, in forza dell'art. 6 della legge comunale e provinciale, dato che non ha nei confronti degli organi della Regione poteri di supremazia tali da consentirgli l'annullamento diretto.

Né può opporsi a questo riguardo, che questa Corte, con sentenza n. 167 del 1963, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso il decreto del Presidente della Regione siciliana 4 maggio 1954, n. 2, dato che nel caso così deciso quel decreto era stato impugnato in via diretta e non in sede di conflitto di attribuzione, nel falso presupposto che avesse il carattere di decreto legislativo.

3. - Le considerazioni che precedono dimostrano che il Ministero delle finanze non aveva la potestà di disapplicare, come ha fatto con la impugnata circolare, i decreti assessoriali di concessione alle imprese edili della esenzione decennale dell'imposta di ricchezza mobile, cosicché il ricorso della Regione dev'essere accolto senza che occorra passare all'esame del secondo motivo.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara che non spetta allo Stato di disapplicare direttamente i decreti regionali di esenzione dalla imposta di ricchezza mobile riguardanti imprese edili e, pertanto, annulla la circolare del Ministero delle finanze 11 dicembre 1970, n. 380925, diretta alle Intendenze di finanza della Sicilia e, per conoscenza, all'Assessore per le finanze della Regione siciliana.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1971.

Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1971.