Sentenza n. 157 del 1971
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SENTENZA N. 157

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 98, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), promosso con ordinanza emessa il 17 ottobre 1969 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento civile vertente tra la Compagnia finanziaria Scaretti e C. e il fallimento della società in nome collettivo Impresa Francesco Saverio Parisi e di Ugo e Francesco Parisi in proprio, iscritta al n. 457 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del 28 gennaio 1970.

Visto l'atto di costituzione della Compagnia finanziaria Scaretti e C.;

udito nell'udienza pubblica del 18 maggio 1971 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito l'avv. Alfredo Ferlisi, per la Compagnia finanziaria.  

Ritenuto in fatto 

Con due istanze successivamente proposte la soc. per az. "Compagnia finanziaria Scaretti e C." chiedeva per vari crediti l'ammissione al passivo del fallimento della società in nome collettivo "Impresa Francesco Saverio Parisi" e di Ugo e Francesco Parisi in proprio.

Il giudice delegato accoglieva parzialmente le istanze ed escludeva la società creditrice dal passivo fallimentare per alcune delle cause obbligatorie dedotte o per una parte soltanto del loro preteso ammontare.

Del deposito di tale provvedimento in cancelleria il curatore dava notizia con due lettere raccomandate, spedite il 27 dicembre 1966 alla società creditrice, la quale con ricorsi 10 gennaio 1967 faceva opposizione, chiedendo l'insinuazione integrale dei propri crediti, con le garanzie da cui fossero assistiti.

Il tribunale di Roma, con sentenza 26 gennaio 1968, riteneva le opposizioni tardivamente proposte e ne dichiarava l'inammissibilità per decadenza, ai sensi dell'art. 98 della legge fallimentare. Giudicava, inoltre, manifestamente infondata la eccezione di costituzionalità di detta norma, in relazione al disposto dell'art. 97, ultimo comma, della stessa legge e in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione.

Instauratosi il giudizio di impugnazione, la società creditrice riproponeva l'eccezione di costituzionalità, in ordine alla quale la Corte di appello di Roma, con ordinanza 17 ottobre 1969, riteneva sussistere i requisiti di rilevanza e di non manifesta infondatezza e ne rimetteva la decisione a questa Corte.

Nell'ordinanza si premette che il termine di 15 giorni preveduto dall'art. 98 della legge fallimentare per l'esercizio del diritto di opposizione allo stato passivo da parte dei creditori esclusi o ammessi con riserva, ha natura perentoria, risultando nel sistema preordinato alle esigenze del simultaneus processus in merito alle contestazioni mosse nell'ambito della procedura fallimentare.

Si precisa, inoltre, che all'avviso che l'art. 97 prescrive sia inviato dal curatore ai creditori predetti, onde dare comunicazione dell'avvenuto deposito in cancelleria del provvedimento del giudice delegato circa la formazione dello stato passivo, deve attribuirsi valore soltanto sussidiario, tale da non costituire momento formalmente rilevante della procedura, ai fini della decorrenza del termine di opposizione.

Circa la legittimità dell'art. 98, primo comma, il dubbio troverebbe fondamento nella circostanza che del deposito in cancelleria, il quale concreta il momento determinante la pubblicità del provvedimento di approvazione dello stato passivo, i creditori interessati (in quanto esclusi dal concorso nell'esecuzione o ammessi con riserva), possono avere intempestiva o tardiva notizia.

Dal che deriverebbero, in concreto, difficoltà all'esercizio del diritto di difesa e in qualche caso perfino la paralisi del diritto stesso e ciò in contrasto con il precetto di cui all'art. 24, primo comma, della Costituzione.

La difesa della "Compagnia finanziaria Scaretti e C.", costituitasi davanti a questa Corte con atto di deduzioni 18 dicembre 1969, ha sostenuto che la illegittimità del citato art. 98, primo comma, della legge fallimentare può essere prospettata, oltre che per la violazione del menzionato art. 24, primo comma, anche in riferimento al principio di eguaglianza, enunciato nell'art. 3 della Costituzione.

La disciplina preveduta dagli artt. 97 e 98 della legge fallimentare importerebbe la possibilità, seppure di mero fatto, che i creditori interessati abbiano notizia dell'avvenuto deposito dello stato passivo in tempi diversi, così da poter disporre, per l'esercizio della difesa, di termini di diversa durata, con pregiudizio e disparità di trattamento.  

Considerato in diritto 

1. - L'ordinanza della Corte d'appello di Roma denunzia l'art. 98, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), nella parte in cui stabilisce che il termine di quindici giorni, accordato ai creditori esclusi o ammessi con riserva per l'esercizio dell'opposizione allo stato passivo del fallimento, decorre dalla data del deposito in cancelleria (eseguito ai sensi dell'art. 97, secondo comma, della legge) del provvedimento del giudice delegato e non da quella della notizia del deposito stesso; notizia che ad essi deve essere data dal curatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, per il disposto del terzo comma dello stesso art. 97.

La norma é censurata dal giudice a quo sotto il profilo della violazione del principio, più volte affermato da questa Corte, della effettività della difesa in giudizio (art. 24 Cost ). E ciò in quanto, per l'eventuale intempestiva ricezione dell'avviso, i creditori possono avere conoscenza tardiva del provvedimento che li riguarda, così da risultare inutilmente trascorso l'intero termine o troppo breve il termine residuo utile per proporre l'opposizione con conseguente impossibilità o, comunque, gravi difficoltà di difesa.

2. - Secondo la parte privata comparsa, l'art. 98, primo comma, violerebbe altresì il principio di uguaglianza, consentendo che il termine per la prospettazione delle difese possa avere, per i singoli creditori interessati alla opposizione, durata diversa in conseguenza del fatto che la notizia del deposito dello stato passivo sia da essi ricevuta in date diverse. Si verificherebbe, quindi, in concreto una disparità di trattamento in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Va al riguardo osservato che la questione, sotto questo secondo aspetto, esorbita dai limiti del presente giudizio di costituzionalità.

Come la precedente giurisprudenza di questa Corte ha in numerosi casi affermato (fra le altre con sent. n. 98 del 1965, 17 del 1965, 21 del 1964), l'oggetto del giudizio incidentale di legittimità costituzionale deve essere determinato con riferimento soltanto alla questione contenuta nell'ordinanza del giudice a quo, escludendosi ogni ampliamento od ulteriore prospettazione dedotta dalle parti davanti a questa Corte.

Nella specie, inoltre, la questione risulta già proposta davanti al giudice del merito che non ritenne di accoglierla, limitando l'oggetto del giudizio incidentale al solo raffronto con l'art. 24 della Costituzione.

Ma sotto tale profilo la questione, ad avviso di questa Corte, non é fondata.

3. - La decorrenza del termine per le opposizioni dei creditori esclusi o ammessi con riserva dall'unica data del deposito in cancelleria del provvedimento col quale il giudice delegato ha approvato lo stato passivo, obbedisce, nelle linee essenziali della disciplina del fallimento, all'esigenza di assicurare la speditezza e simultaneità delle procedure, nonché la contestualità della decisione su tutte le opposizioni. La legge, infatti, prevede che le cause di opposizione siano congiuntamente esaminate in una stessa udienza di comparizione ai fini di unica decisione e che possano solo essere successivamente separate dal giudice, in deroga al criterio generale della contemporaneità, quelle di esse che richiedano una lunga istruzione e non appaiono mature per essere insieme alle altre sottoposte al collegio.

Alle cennate direttive legislative, che risultano informate a ragioni di organica tutela dei vari ed anche contrastanti interessi che hanno rilevanza nella procedura fallimentare, rispondono cosi il carattere perentorio del termine in esame e l'unicità della data di inizio della sua decorrenza, come l'onere imposto ai creditori di prendere prontamente visione, nella cancelleria del tribunale fallimentare, del provvedimento relativo alla formazione dello stato passivo e del quale deve essere ordinato il deposito al fine evidente di dare ad esso pubblicità ad ogni effetto legale.

Nell'ambito di tale disciplina costituisce, peraltro, secondo la prevalente dottrina e secondo la giurisprudenza quasi costante, misura accessoria mirante a temperarne il rigore a favore dei creditori aventi interesse all'opposizione la sopra cennata comunicazione del deposito, da darsi ad essi immediatamente ad opera del curatore e a mezzo del servizio postale (art. 97, terzo comma). Ma trattasi di misura il cui adempimento non condiziona la legalità del procedimento fallimentare e non legittima i soggetti, il cui credito non sia stato integralmente e senza riserve iscritto al passivo, a giustificare l'inadempimento del proprio onere di diligenza nel seguire le vicende della procedura fallimentare; onere reso normalmente meno gravoso dall'obbligo di comunicazione imposto al curatore.

Ciò premesso perdono di rilievo le due situazioni rispettivamente previste dal terzo e quarto comma dell'art. 96, che il giudice rinvii la prosecuzione della procedura di verifica ad altra adunanza nel termine non superiore ad otto giorni senza che occorra altro avviso per gli intervenuti e per gli assenti, e che si riservi la definitiva formazione dello stato passivo entro il termine (per comune opinione non perentorio) di quindici giorni dopo l'udienza per le operazioni di verifica. Né eventuali ritardi verificabili in pratica possono incidere sulla valutazione della costituzionalità della norma, la cui osservanza per lo stesso ufficio fallimentare é doverosa, come riguardo ad ogni altra disposizione dell'ordinamento positivo.

La norma in esame, nel sistema della legge fallimentare, non presenta, d'altra parte, carattere di singolarità. Essa trova riscontro in disposizioni parallele, le quali fondano la possibilità della conoscenza del provvedimento del giudice sulla pubblicità derivante o dal deposito di esso, con facoltà degli interessati di prenderne visione, o dall'affissione in apposito luogo, affinché ne derivi pubblica o legale notizia, prescindendosi dalla dimostrazione della effettiva conoscenza da parte degli interessati.

Fra tali norme va specialmente menzionato l'art. 18, primo comma, che, come é noto, fa decorrere il termine per l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, nei confronti del debitore e di qualunque interessato, dalla affissione dell'estratto della sentenza, ai sensi dell'art. 17, secondo comma, della stessa legge. E circa tale disposizione, dalla cui attuazione discendono a carico del debitore conseguenze che, a differenza di quelle relative alla norma in esame, vanno oltre il campo strettamente patrimoniale, la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, é stata ritenuta non fondata da questa Corte con la sentenza n. 93 del 1962, confermata da altra n. 141 del 1970 e da ordinanza n. 59 del 1971, in considerazione appunto delle suesposte caratteristiche del procedimento fallimentare.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 98, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (cosi detta legge fallimentare), sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione dall'ordinanza di cui in epigrafe.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 6 luglio 1971.