SENTENZA N. 141
ANNO 1971
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 100, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), promosso con ordinanza emessa il 29 aprile 1970 dal giudice del tribunale di Alessandria delegato al fallimento di Palazzolo Domenico, iscritta al n. 188 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 del 1 luglio 1970.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 maggio 1971 il Giudice relatore Nicola Reale;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza emessa il 29 aprile 1970 il giudice delegato presso il tribunale fallimentare di Alessandria, nel procedimento di impugnazione promosso dal debitore Palazzolo Domenico contro l'ammissione di un creditore allo stato passivo, ha sollevato, in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità dell'art. 100, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), in quanto non consentirebbe al debitore fallito di impugnare i crediti ammessi all'esecuzione concorsuale.
Detto giudice ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione, sul presupposto che la norma denunziata precluda effettivamente al debitore la tutela giudiziaria in sede fallimentare.
Costituitasi in giudizio in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l'inammissibilità della questione, in quanto proposta dal giudice delegato nelle funzioni di giudice istruttore nel procedimento di impugnazione dello stato passivo. Nell'esercizio di tali funzioni detto giudice non avrebbe potestà decisoria, la quale, invece, spetta al collegio, cui compete giudicare circa la concreta applicazione della norma impugnata, anche sotto il profilo della legittimazione del debitore all'impugnazione.
Nel merito l'Avvocatura ha contestato il fondamento della questione, osservando che dalla sentenza dichiarativa di fallimento deriverebbe una diminuzione di capacità giuridica del fallito che, fra l'altro, importa privazione della amministrazione dei beni (art. 42) e della legittimazione processuale nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale, nelle quali é sostituito dal curatore (artt. 31 e 43 legge fallimentare). L'esclusione del diritto di impugnare l'ammissione al passivo di un credito sarebbe manifestazione di tale limitazione di capacità del fallito, nell'interesse dei creditori concorrenti e della gestione fallimentare.
Considerato in diritto
1. - Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 100, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (cosi detta legge fallimentare), in relazione all'art. 24, primo comma, della Costituzione, l'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito, in via preliminare, l'inammissibilità della questione, perché sollevata incidentalmente, nel corso di un giudizio di impugnazione dello stato passivo, dal giudice delegato al fallimento nell'esercizio di funzioni istruttorie.
Nella fattispecie accennata il predetto giudice non sarebbe investito di potestà decisoria, spettante, invece, al tribunale, cui soltanto compete pronunziare circa la concreta applicazione della norma che esclude la legittimazione del debitore fallito all'impugnazione dei crediti ammessi.
L'eccezione é fondata.
2. - L'art. 100 della legge fallimentare, per il caso che, a seguito del deposito dello stato passivo, siano impugnati crediti ammessi, stabilisce che il giudice delegato fissa con decreto l'udienza in cui le parti e il curatore devono comparire davanti a lui. Risultato negativo il tentativo di componimento della vertenza, lo stesso giudice, ai sensi dell'art. 99 cui fa espresso richiamo l'ultimo comma dell'art. 100 della legge citata, provvede alla istruzione della causa o delle cause di impugnazione, che per la stessa norma vanno riunite affinché siano esaminate e decise, salvo eccezioni, con unica sentenza del tribunale. Lo stesso giudice, quindi, fissa l'udienza per la discussione davanti al collegio, a norma dell'art. 189 c.p.c., espressamente richiamato dall'art. 99 citato.
Al tribunale, quindi, deve essere rimessa la causa per la pronuncia sull'impugnazione contro il credito ammesso alla procedura concorsuale, inclusa, ovviamente, la decisione sulla ricorrenza delle condizioni di proponibilità della impugnazione stessa, fra le quali é da comprendere la legittimazione attiva della parte esercente l'analogo diritto.
Ne consegue che all'organo collegiale, cui spetta identificare le norme da applicare per la definizione della controversia, é riservato il giudizio sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, che, riguardo alla legittimazione attiva, venga sollevata ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Onde, in conformità della costante giurisprudenza seguita da questa Corte (sentenze nn. 62/1966, 44/1963, 109/1962) circa le questioni proposte da giudici istruttori civili in materia riservata alla competenza del collegio, deve ritenersi inammissibile la questione sollevata nei termini sopra accennati dal giudice delegato al fallimento, nell'esercizio delle funzioni istruttorie attribuitegli ai fini del procedimento di cognizione in merito alla contestazione di pretese creditorie insinuate nel passivo fallimentare.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 100, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (cosi detta legge fallimentare), sollevata, in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione, con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 giugno 1971.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 22 giugno 1971.