Sentenza n. 44 del 1963
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SENTENZA N. 44

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 85, 106, 107, 108, 118, 121 e 122 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, che approva la legge sul registro, con le modificazioni introdotte con gli artt. 1 e 3 del R.D. 13 gennaio 1936, n. 2313; degli artt. 77, 78, 80 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria delle successioni; degli artt. 28, 29, 30, comma primo, lett. d. della legge 19 giugno 1940, n. 762, che converte in legge il R.D.L. 9 giugno 1940, n. 2, istitutivo dell'imposta generale sull'entrata; dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548, contenente norme relative al bollo e alla registrazione degli atti e documenti prodotti dalle parti nei procedimenti civili; degli artt. 27, comma primo, 28, comma primo e quarto, e 35 del D.P.R. 25 giugno 1953, n. 492, che reca nuove norme sull'imposta di bollo, promossi con le seguenti ordinanze:

1) 30 ottobre 1961 del giudice istruttore del Tribunale di Venezia nel procedimento civile promosso da Cisotto Gino e Ferraresi Nives contro il curatore del fallimento della S.p.a. "Gestione Caffé all'Angelo", iscritta al n. 3 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31 del 3 febbraio 1962;

2) 7 febbraio 1962 del giudice istruttore del Tribunale di Venezia nel procedimento civile promosso da Spinetti Fiorella contro il curatore del fallimento della Società "I.T.M.A." ed altri, iscritta al n. 99 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 16 giugno 1962.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1963 la relazione del Giudice Michele Fragali;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di procedimenti civili pendenti innanzi al Tribunale di Venezia, il giudice designato per l'istruzione delle cause, con ordinanze 30 ottobre 1961 e 7 febbraio 1962, rimetteva a questa Corte il giudizio sulla legittimità costituzionale degli artt. 85, 106, 107, 108, 118, 121 e 122 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, che approva la legge sul registro, con le modificazioni introdotte con gli artt. 1 e 3 del R.D. 13 gennaio 1936, n. 2313, e dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548, contenente norme relative al bollo e alla registrazione degli atti e documenti prodotti dalle parti nei procedimenti civili.

Nella seconda ordinanza la denunzia veniva estesa agli artt. 77, 78, 80 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria delle successioni, agli artt. 27, comma primo, 28, commi primo e quarto, e 35 del D.P.R. 25 giugno 1953, n. 492, che reca nuove norme sull'imposta di bollo, nonché agli artt. 28, 29, 30, comma primo, lett. d. della legge 19 giugno 1940, n. 762, che converte in legge il R.D.L. 9 maggio 1940 (rectius: 9 giugno 1940), n. 2, istitutivo dell'imposta generale sull'entrata.

2. - Il giudice istruttore di Venezia rilevava che le norme da lui prese in esame instaurano sistemi che pongono in uno stato di inerzia processuale la pretesa e le ragioni che si fanno valere senza l'osservanza delle norme previste dalla singola legge, precludono alle parti di dedurre in giudizio quella pretesa o quelle ragioni, inibiscono ai difensori di formarne oggetto delle loro scritture, sia pure solo mediante riproduzione o menzione del contenuto, proibiscono alle parti e ai difensori di esibire quegli atti e agli ufficiali e cancellieri di riceverli, impongono la sospensione ex lege del processo nel quale la irregolarità fiscale viene rilevata, fanno divieto al giudice di esercitare i propri poteri giurisdizionali mediante provvedimenti di qualsiasi genere nel processo in cui le irregolarità predette sono rilevabili, quanto meno pongono una remora all'esercizio di tali poteri mediante statuizione di sanzioni e corresponsabilità nel caso di inosservanza a quel divieto. Tutto ciò in violazione dell'art. 24 della Costituzione, che garantisce la possibilità di agire in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi per il solo fatto che questi esistono, e che dichiara inviolabile il diritto alla difesa in ogni stato e grado del procedimento.

Le ordinanze rilevavano che l'interesse fiscale che informa le norme suddette non trova garanzia costituzionale prevalente rispetto al diritto alla tutela giurisdizionale; e che il giudice istruttore era legittimato a sollevare la questione, perché l'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548, gli inibisce, fra l'altro, di rimettere la causa al collegio.

3. - Le ordinanze citate sono state rispettivamente notificate in data 22 novembre 1961 e 28 febbraio 1962, comunicate in data 28 novembre 1961 e 19 febbraio 1962 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica n. 31 del 3 febbraio 1962 e n. 152 del 16 giugno 1962. Le parti private non si sono costituite; é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, che ha presentato deduzioni e memorie illustrative.

4. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri rileva, anzitutto che il Tribunale, e non l'istruttore delle cause, avrebbe potuto provocare il giudizio di legittimità sulle norme cui le ordinanze si richiamano. L'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548, invocato dal giudice a quo, importa che l'istruttore non può rimettere al collegio la causa tutte le volte che si tratti di decidere sulla base di atti e documenti non registrati, ma non impedisce che al collegio la causa si rimandi per la questione concernente l'applicazione del divieto di decidere, ed in particolare per la pronunzia sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità della norma che stabilisce quel divieto.

Osserva ancora, circa la prima ordinanza, che essa non ha valutato se le norme impugnate rilevano sulla definizione del giudizio né, al riguardo, ha sufficientemente motivato: la parte convenuta aveva contestato l'ammissibilità di una prova testimoniale dedotta dall'attore sulla base di un atto scritto che essa dichiarava di non poter produrre perché non registrato, e il giudice avrebbe dovuto valutare la necessità del documento e la possibilità che il giudizio potesse proseguire indipendentemente dalla produzione dell'atto.

Nel merito, il Presidente del Consiglio obietta che le norme sulle quali verte il dubbio posto alla Corte costituzionale stabiliscono obbligazioni accessorie a quelle di imposta e traggono legittimazione dal potere tributario spettante allo Stato. Si riferiscono ad obblighi che il contribuente avrebbe dovuto soddisfare prima dell'instaurazione del giudizio, e l'adempimento dei medesimi non costituisce un presupposto sostanziale dell'azione, bensì é requisito per l'esercizio dell'attività giurisdizionale. La inosservanza non determina l'improcedibilità della domanda e nemmeno la negazione della tutela giurisdizionale o un difetto di giurisdizione, come nel caso del solve et repete; né v'é nullità del procedimento o della sentenza se il giudice viola il divieto, accadendo soltanto che egli soggiace alla sanzione prevista dalla legge.

La sospensione processuale che il divieto determina si aggiunge a quelle previste nell'art. 295 del Cod. proc. civile, con la sola differenza che la istanza giudiziaria può essere validamente riproposta anche dopo il decorso del termine di cui all'art. 297 dello stesso Codice. Né l'art. 24 della Costituzione esclude che la tutela giurisdizionale possa subordinarsi a modalità e limitazioni che concernono l'esercizio concreto della facoltà di agire e di difendersi in giudizio, in correlazione alla disciplina che si vuol dare al singolo rapporto o alla particolare materia. Non può apparire nemmeno illogico che la legge chiami a collaborare all'accertamento del tributo alcune categorie di persone che svolgono attività aventi relazione con gli elementi di fatto ai quali si ricollega la nascita del rapporto tributario, allo scopo di agevolare l'accertamento del tributo ed evitarne l'evasione.

5. - All'udienza del 23 gennaio 1963 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha ribadito il proprio punto di vista e lo ha illustrato.

 

Considerato in diritto

 

1. - I due procedimenti possono essere riuniti perché in gran parte concernono identiche disposizioni di legge, e comunque involgono la trattazione delle medesime questioni.

2. - Questa Corte ha già deciso che il giudice incaricato della istruttoria nei procedimenti civili non é competente a promuovere una questione di legittimità costituzionale la cui soluzione sia da lui ritenuta necessaria per la definizione del giudizio instaurato avanti all'ufficio giudiziario al quale é addetto (sentenza 11 dicembre 1962, n. 109).

Le ordinanze che hanno dato luogo alla presente causa non indicano alcuna ragione che contrasti quella soluzione. Rilevano soltanto che, in base all'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548, al giudice dell'istruzione dei procedimenti civili é negato di rinviare la causa al collegio quando é vietato di emettere pronunce in base ad atti soggetti ad imposta di registro e non registrati; per il che, spetterebbe a tale giudice e non al collegio di promuovere il processo di legittimità costituzionale delle norme che a tale sospensione costringono.

A parte il vedere se la legge 3 dicembre 1942, n. 1548, che riguarda le imposte di bollo e di registro, possa valere anche per le imposte sulle successioni e sulla entrata, alle quali pure si riferiscono le ordinanze di rimessione, é decisivo il rilevare che le sue disposizioni non toccano affatto il modo di provocare il processo costituzionale. Questa é una materia trattata in maniera completa da disposizioni che non fanno alcun riferimento a divieti di ordine tributario, e che disciplinano un procedimento, nel quale, per la sua natura, non possono inserirsi divieti di quel genere.

É, del resto, rilevante osservare che, agli effetti della questione di legittimità costituzionale, la valutazione del carattere determinante del documento, che si afferma fiscalmente irregolare, non può essere compiuta dal giudice dell'istruzione, perché esige il previo accertamento della completezza dell'istruttoria, che solo dal collegio può essere compiuto.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i procedimenti di cui alle ordinanze del giudice istruttore presso il Tribunale di Venezia del 30 ottobre 1961 e del 7 febbraio 1962;

dichiara inammissibili le questioni con esse proposte, relative alla illegittimità costituzionale:

a) degli artt. 85, 106, 107, 108, 118, 121 e 122 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, che approva la legge sul registro, modificati con gli artt. 1 e 3 del R.D. 13 gennaio 1936, n. 2313, nonché con l'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548;

b) degli artt. 77, 78 e 80 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria sulle successioni;

c) degli artt. 27, comma primo; 28, commi primo e quarto; 35 del D.P.R. 25 giugno 1953, n. 492, che reca nuove norme sull'imposta di bollo;

d) degli artt. 28, 29 e 30, comma primo, lett. d. della legge 19 giugno 1940, n. 762, che converte in legge il R.D.L. 9 giugno 1940, n. 2, istitutivo dell'imposta generale sull'entrata.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria il 9 aprile 1963.