SENTENZA N. 138
ANNO 1968
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 209, secondo comma, del T.U. delle leggi sulle imposte dirette approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1967 dal pretore di Omegna nel procedimento di esecuzione esattoriale contro la società commerciale Diverio, iscritta al n. 76 del registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 120 del 13 maggio 1967.
Udita nella camera di consiglio del 24 ottobre 1968 la relazione del Giudice Michele Fragali.
Ritenuto in fatto
1. - Pronunziando in un procedimento di opposizione ad esecuzione esattoriale promossa contro il cessionario di una azienda, quale responsabile dell'imposta dovuta dal cedente ai sensi dell'art. 197 del T.U. delle leggi sulle imposte dirette approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, il pretore di Omegna, il 20 febbraio 1967, sollevava questione di illegittimità costituzionale dell'art. 209, secondo comma, di tale T.U., in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 113, primo comma, della Costituzione. Il pretore rilevava che l'opponente era lo stesso cessionario, il quale contestava la sua qualità di coobbligato e l'esistenza di un qualsiasi suo debito d'imposta verso lo Stato; considerava inoltre che la norma denunciata preclude al cessionario di azienda le opposizioni di cui agli artt. 615 e segg. del Codice di procedura civile; allo stesso rimanendo soltanto il ricorso all'Intendente di finanza e quello straordinario al Capo dello Stato, vale a dire rimedi di natura non giurisdizionale, oltre all'azione di danni contro l'esattore, ad esecuzione compiuta. In tal modo la norma, secondo il pretore, rovescia il criterio di giustizia e di normalità, non esistendo altri casi in cui il debitore debba subire l'espropriazione dei propri beni prima di agire contro il creditore per far dichiarare inesistente l'obbligazione dedotta: oltre tutto spessissimo accade che gli effetti dannosi dell'esecuzione forzata siano tali e tanti da rendere impossibile il calcolo materiale dei danni, che inerisce al petitum, e quindi a rendere impossibile l'esercizio dell'azione giudiziaria. La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica amministrazione, nonché la possibilità di agire in giudizio debbono, prosegue il pretore, necessariamente concedersi in uno stadio anteriore alla realizzazione degli effetti della esecuzione, e cioè deve potersi attuare, nelle controversie con l'amministrazione finanziaria, prima ancora che questa termini l'esecuzione.
2. - L'ordinanza il 1 marzo 1967 veniva notificata alle parti in causa e il 27 febbraio 1967 al Presidente del Consiglio dei Ministri; in quest'ultima data veniva anche comunicata al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. É stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 13 maggio 1967 n. 120.
Nessuno si é costituito innanzi a questa Corte, e il procedimento é proseguito in camera di consiglio ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dell'art. 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Considerato in diritto
É indubitabile che la preclusione disposta, dall'art. 209, secondo comma, del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, per le opposizioni previste dagli artt. 615 e segg. del Codice di procedura civile, concerne pure il cessionario dell'azienda responsabile del debito d'imposta dovuto dal cedente e dagli aventi causa dello stesso: come ha rilevato questa Corte nella sentenza 7 luglio 1962, n. 87, il detto comma forma sistema con l'art. 208, e in questo appunto si applicano anche al cessionario le norme concernenti le impugnazioni contro il procedimento di esecuzione esattoriale. La preclusione si spiega, rispetto al cessionario predetto, con la parificazione dello stesso al debitore, sulla base della norma di diritto sostanziale contenuta nell'art. 197 del T.U. sopra citato, il quale, entro certi limiti, include tra gli effetti della cessione d'azienda la successione del cessionario nel debito di ricchezza mobile gravante sul cedente. La norma si può, a sua volta, annodare a quella adottata nell'art. 2560, secondo comma, del Codice di procedura civile, che obbliga il cessionario di una azienda commerciale per i debiti inerenti all'esercizio della azienda ceduta che risultino da libri contabili obbligatori: si differenzia da questa seconda norma soltanto per il fatto che estende al cessionario l'obbligazione del cedente a prescindere dalla sua iscrizione nei libri contabili dell'azienda ceduta, in correlazione all'esigenza di una speciale protezione del debito d'imposta, secondo quanto ha considerato questa Corte nella sentenza 19 novembre 1964, n. 93, e, del resto, in riferimento al fatto che l'esistenza di un debito del genere é facilmente accertabile dal cessionario.
La Corte ha avvertito, nella sentenza 4 giugno 1964, n. 42, che l'art. 24, primo comma, della Costituzione garantisce i diritti soggettivi nella configurazione e nei limiti che ad essi derivano dal diritto sostanziale; e, nella specie, la norma denunciata non ha contenuto processuale, ma ha tratto la conseguenza dal fatto che la cessione di azienda, avendo per oggetto un complesso di beni organizzati, secondo la definizione data nell'art. 2555 del Codice di procedura civile, o una universalità, secondo quanto é scritto nell'art. 670, n. 1 del Codice di procedura civile, non può escludere i debiti ancora non soddisfatti dal cedente, di cui il cessionario era facilmente in grado di aver notizia al tempo della cessione. Il cessionario dell'azienda, come successore anche nel debito d'imposta del cedente ha perciò, in ordine a questo, la medesima situazione giuridica sostanziale che spetta al contribuente, donde il suo assoggettamento al medesimo procedimento esecutivo di carattere amministrativo cui soggiace il contribuente medesimo (artt. 208 e 209, terzo comma, T.U. predetto).
La norma impugnata non ammette le opposizioni previste negli artt. 615 e segg. del Codice di procedura civile solo perché il successivo terzo comma le risolve in azioni di risarcimento di danni contro l'esattore, esperibili ad esecuzione compiuta; e ciò avviene in coerenza al fatto che l'esecuzione esattoriale, in vista dell'interesse di garantire un regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato, si sviluppa sulla base di un atto amministrativo, il ruolo esattoriale, che il giudice ordinario non può né modificare né revocare, del quale esso non può nemmeno sospendere l'esecuzione, cui la Corte ha riconosciuto il valore di procedimento amministrativo (sentenza 3 luglio 1962, n. 87), e della cui impugnazione neanche il giudice amministrativo può conoscere, essendo la pretesa deducibile inerente ad un vero e proprio diritto soggettivo.
Già questa Corte ha rilevato, nella citata sentenza del 3 luglio 1962, n. 87, e in quella successiva del 4 giugno 1964, n. 47, che l'art. 113 della Costituzione non prescrive che contro l'atto amministrativo il cittadino abbia la facoltà di invocare la tutela giurisdizionale, in ogni caso, nella medesima maniera e con i medesimi effetti. Esso non ha eliminato il potere del legislatore ordinario di regolare i modi e l'efficacia di quella tutela; e l'art. 209, terzo comma, del T.U. delle leggi sulle imposte dirette, dando, ai soggetti legittimati a proporre le opposizioni di cui agli artt. 615 e segg. del Codice di procedura civile, il solo diritto di agire per il risarcimento del danno prodotto da una esecuzione illegittima, non fa altro che apprestare mezzi di tutela giurisdizionale compatibili con i modi dell'esecuzione esattoriale, in sostituzione degli altri, inadeguati, predisposti nel procedimento ordinario (predetta sentenza 3 luglio 1962, n. 87). Queste argomentazioni debbono essere riaffermate, non essendo illogico né illegittimo, come invece afferma il pretore, che nell'esecuzione esattoriale le opposizioni di cui agli artt. 615 e segg. del Codice di procedura civile si convertono in azioni di risarcimento di danno esperibili ad esecuzione esaurita: le dette opposizioni sono preordinate ad un procedimento che serve all'interesse dei creditori ordinari, non ad un interesse creditorio costituzionalmente differenziato e protetto, com'é quello, lo si ripete, che deriva dall'accertamento tributario, e peraltro, in contrasto con precise affermazioni del pretore, deve rilevarsi che l'ordinamento, oltre a quello esattoriale, conosce altri procedimenti privilegiati che, pur in una varietà di linee, riguardano crediti meritevoli di speciale protezione, riducono la difesa del debitore ad un'azione di risarcimento del danno o ad una azione di ripetizione (esempi sono stati rinvenuti nell'art. 1515 del Codice di procedura civile e negli accertamenti con prevalente funzione esecutiva).
Si noti che gli artt. 615 e segg. del Codice di procedura civile concernono le opposizioni all'esecuzione o agli atti esecutivi; e pertanto, negando la proponibilità di tali forme di tutela, la norma denunciata non ha escluso la proponibilità delle azioni previste nell'art. 22 del R.D. L. 7 agosto 1936, n. 1639, che si indirizzano contro l'accertamento, che comportano, in ultima istanza, il ricorso all'autorità giudiziaria, e che nemmeno nel procedimento esecutivo ordinario potrebbero essere proposte in sede di esecuzione. Queste considerazioni furono svolte nella su ricordata sentenza del 3 luglio 1962, n. 87; e non é esatto, come assume il pretore, che in essa la Corte ha escluso la proponibilità di siffatte azioni da parte del cessionario dell'azienda del contribuente. Essa si é attenuta al testo del suddetto art. 22 del R.D.L. del 1936, il quale accenna genericamente al contribuente come obbligato all'imposta, e quindi si riferisce a tutti i soggetti sui quali l'obbligazione d'imposta viene a cadere in via solidale; in questo senso é contribuente anche il cessionario di una azienda commerciale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, sollevata con ordinanza 20 febbraio 1967 dal pretore di Omegna, sulla legittimità costituzionale dell'art. 209, secondo comma, del T.U. delle leggi sulle imposte dirette, approvato con D. P. R. 29 gennaio 1958, n. 645, in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 dicembre 1968.
Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE
Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1968.