SENTENZA N. 93
ANNO 1964
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 207, lett. b, 208 e 209 del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, contenente il T. U. delle leggi sulle imposte dirette, promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 1964 dal Pretore di Biella nel procedimento civile vertente tra Maggia Pericle contro l'Esattoria consorziale di Biella e il Ministero delle finanze, iscritta al n. 52 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 108 del 2 maggio 1964.
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Maggia Pericle e del Ministro delle finanze;
udita nell'udienza pubblica del 21 ottobre 1964 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Ministro delle finanze.
Ritenuto in fatto
1. - Nel giudizio di opposizione di terzo ad esecuzione esattoriale, promosso dal sig. Pericle Maggia contro l' Esattoria consorziale di Biella (Banca Popolare di Novara), il Pretore di Biella con ordinanza 24 ottobre 1962 rimise a questa Corte la questione di legittimità costituzionale degli artt. 208 e 209 del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, contenente il T. U. delle leggi sulle imposte dirette, in riferimento all'art. 102 della Costituzione. Con sentenza n. 116 del 27 giugno 1963 la questione venne dichiarata infondata.
Intervenuta la riassunzione del processo, il Pretore ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle stesse norme in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione e con ordinanza del 17 febbraio 1964 ha sospeso nuovamente il giudizio ed ha trasmesso gli atti a questa Corte.
2. - Nell'ordinanza di rimessione il Pretore - dopo aver premesso di non aver conoscenza della motivazione della sentenza n. 87 del 3 luglio 1962 con la quale la Corte costituzionale dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 209, secondo e terzo comma, del citato T. U. in riferimento agli artt. 3 e 113 della Costituzione - assume che il contrasto delle impugnate norme con gli artt. 3 e 24 discende dalla circostanza che determinati cittadini per il solo fatto di essere parenti del debitore entro il terzo grado sono privati di Ogni garanzia giurisdizionale in ordine ai loro diritti sui beni rinvenuti dall'esattore nella casa di abitazione dell' esecutato; osserva che tale garanzia non può riconoscersi nella possibilità di ricorrere al Consiglio di Stato contro il provvedimento dell'Intendente di finanza, atteso che, trattandosi di giudizio di legittimità dell'atto amministrativo, non sarebbe consentita alcuna indagine sul diritto di proprietà, il cui accertamento verrebbe in definitiva rimesso alla discrezionalità dell'Intendente; aggiunge, infine, che il contrasto con l'art. 42 della Costituzione risulta evidente, giacché l'espropriazione del bene appartenente al terzo avviene senza la sussistenza di motivi di interesse generale e senza indennizzo (tale non essendo possibile configurare il risarcimento del danno che il terzo può chiedere all'esattore), e perché il diritto di proprietà non risulta garantito, essendone affidato l'apprezzamento ad un organo sprovvisto di imparzialità e di indipendenza.
3. - L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri (atto 27febbraio 1964) e comunicata ai Presidenti delle due Camere (atto 24 febbraio 1964), é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 108 del 2 maggio 1964. Nel presente giudizio si sono costituiti, con atto depositato il 28 marzo 1964, il signor Pericle Maggia, difeso dagli avvocati Franco Borgogelli e Camillo Buratti, e con atto depositato il 21 maggio 1964, il Ministro delle finanze - parte nel processo a quo - rappresentato dall'Avvocatura dello Stato. Non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.
4. - Nella comparsa di costituzione la difesa del signor Maggia osserva che palese é il contrasto delle norme in esame con gli artt. 3 e 24 della Costituzione: esse, infatti, precludono la difesa dei diritti a determinati soggetti in considerazione della loro condizione personale (esser, cioè, parenti o affini del debitore entro il terzo grado), e l'impugnabilità innanzi al Consiglio di Stato del provvedimento dell'Intendente non costituisce sufficiente garanzia giurisdizionale, dato che il relativo giudizio, limitato alla valutazione della legittimità dell'atto amministrativo, non permette un'indagine in ordine al diritto di proprietà dei beni sottoposti ad esecuzione. Altrettanto indubitabile, secondo la stessa difesa, é la violazione dell'art. 42 della Costituzione, non solo perché si verifica una vera e propria espropriazione senza motivi di interesse generale che la giustifichino e senza indennizzo, ma soprattutto perché non viene garantito il diritto di proprietà, rimesso alla discrezionale valutazione dell'Intendente di finanza, che é rappresentante dello Stato creditore.
In data 9 ottobre 1964 - fuori del termine massimo previsto dall'art. 10 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale - la difesa del Maggia ha depositato una memoria illustrativa.
5. - Nell'atto di costituzione l'Avvocatura dello Stato rileva preliminarmente che il Pretore di Biella, rinunciando ad accertare se in base alla precedente giurisprudenza della Corte abbia ragion d'essere il dubbio sulla legittimità delle norme impugnate, ha rinunziato a compiere il giudizio sulla non manifesta infondatezza della questione, e ritiene che in conseguenza l'ordinanza di rimessione appare inidonea ad aprire il giudizio di legittimità costituzionale.
Nel merito l'Avvocatura, premesso che le argomentazioni del Pretore non appaiono del tutto comprensibili, osserva che l'ordinanza muove da una erronea definizione del contenuto del giudizio di legittimità instaurato con la impugnazione del provvedimento dell'Intendente di finanza e da un inammissibile accostamento dell'espropriazione forzata e dell'espropriazione per pubblica utilità; richiamata la giurisprudenza di questa Corte, ed in particolare la sentenza n. 87 del 1962, conclude chiedendo che la questione venga dichiarata manifestamente infondata o, quanto meno, infondata.
Nella memoria depositata il 7 ottobre 1964 e nella pubblica udienza del 21 ottobre 1964, l'Avvocatura ha ribadito le esposte considerazioni ed ha insistito nelle predette conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato la circostanza che il Pretore di Biella abbia rimesso gli atti alla Corte nonostante l'ignoranza, esplicitamente ammessa, della precedente giurisprudenza relativa alle questioni di legittimità costituzionale delle norme oggetto dell'attuale impugnativa, rivelerebbe "una deliberata astensione dal giudizio di non manifesta infondatezza": l'ordinanza, di conseguenza, risulterebbe priva di uno dei requisiti essenziali stabiliti dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Tale assunto non appare fondato. Che il giudice debba tener presenti tutti gli elementi necessari alla valutazione della sussistenza del dubbio circa la legittimità costituzionale delle norme applicabili, é cosa che discende dal suo dovere di dare adeguata motivazione al provvedimento e di fare corretto uso del potere che la legge gli conferisce. Ma per la regolare instaurazione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale é da ritenere sufficiente che l'ordinanza di rimessione consenta la individuazione della questione sollevata. L'apprezzamento delle ragioni che il giudice a quo pone a base del suo convincimento forma invece oggetto dell'esame della fondatezza della questione che, al fine della decisione sul dedotto contrasto fra le norme denunziate a norme della Costituzione, é devoluto alla Corte costituzionale.
2. - Le censure che il Pretore muove alle norme in esame hanno per comune presupposto l'assunto che la disciplina dettata dal D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (T. U. delle leggi sulle imposte dirette) illegittimamente escluda la tutela giurisdizionale dei diritti che parenti ed affini fino al terzo grado del debitore di imposta vantano sui beni mobili rinvenuti, in occasione dell'esecuzione esattoriale, nella casa di abitazione di questo ultimo. Dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione - la cui interpretazione, allo scopo della precisa determinazione dell'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, rientra nei compiti della Corte - risulta pertanto in modo non equivoco che fra le norme denunziate é da comprendere, ancorché non espressamente indicata, quella dell'art. 207, lett. b, che preclude ai suddetti soggetti privati (e, in certi limiti, al coniuge) l'opposizione di terzi prevista e disciplinata dall'art. 619 del vigente Codice proc. civile.
3. - La Corte ritiene che le questioni sollevate nell'ordinanza del Pretore di Biella non siano fondate.
Dal coordinamento degli artt. 207, 208 e 209 del citato T. U. delle leggi sulle imposte dirette si ricava che il terzo, parente o affine entro il terzo grado del debitore di imposta: a) non può proporre opposizione innanzi all'autorità giudiziaria (art. 207, lett. b); b) può impugnare col reclamo all'Intendente di finanza gli atti esecutivi che illegittimamente siano stati posti in essere dall'esattore (art. 208, primo comma); c) conclusa l'esecuzione, può agire contro l'esattore per il risarcimento del danno (art. 209, terzo comma).
Già nella sentenza n. 42 del 1964 la Corte precisò che la norma contenuta nell'art. 207, lett. b, comporta l'inopponibilità all'esattore del diritto di proprietà dei beni rinvenuti nella casa di abitazione del debitore: inquadrata nel sistema delle garanzie patrimoniali dell'obbligazione tributaria, essa appartiene al diritto sostanziale e trova la sua giustificazione in ragioni di interesse generale (necessità di assicurare la riscossione delle imposte e di evitare fraudolente simulazioni), il suo fondamento nel potere del legislatore di determinare i modi di acquisto e di godimento ed i limiti del diritto di proprietà.
Tali considerazioni - che nella citata sentenza n. 42 del 1964 portarono già ad escludere la violazione degli artt. 24, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione - sono sufficienti a far ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale anche in riferimento agli artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione.
Secondo l'ordinanza di rimessione e le argomentazioni svolte dalla difesa del Maggia, la legge, negando la tutela giurisdizionale, farebbe al parente o affine fino al terzo grado un trattamento differenziato rispetto agli altri terzi, e ciò in violazione dell'art. 3 della Costituzione che proibisce ogni discriminazione operata sulla base delle condizioni personali dei soggetti. Ma é da osservare che il principio di eguaglianza, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non é leso quando la legge detti discipline diverse per situazioni diverse. E nel caso in esame non appare né arbitrario né ingiustificato il fatto che il legislatore, per le ricordate ragioni di pubblico interesse, abbia tenuto considerazione, in relazione all' opponibilità del diritto vantato sulla cosa mobile, del rapporto familiare che intercorre fra il debitore di imposta ed il parente od affine: tanto più che quest'ultimo viene a subire uno svantaggio solo in conseguenza di un suo comportamento volontario (l'aver lasciato, cioè, il bene nella casa di abitazione del congiunto).
É poi da escludere che possa venire qui in discussione il disposto del terzo comma dell'art. 42 della Costituzione. É sufficiente rilevare, anche richiamando quanto la Corte, in un caso del tutto analogo, statuì con la sentenza n. 4 del 1960, che, una volta riconosciuto che senza violare la Costituzione il legislatore ha dichiarato inopponibile il diritto del terzo sulla cosa, l'eventuale perdita della proprietà consegue non già ad una espropriazione per motivi di interesse generale, ma alla legittima sottoposizione del bene all'esecuzione forzata.
4. - Relativamente alla pronunzia dell'Intendente di finanza sul reclamo proposto in base all'art. 208, primo comma, la Corte - decidendo la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento all'art. 102 della Costituzione, dal Pretore di Biella nello stesso procedimento ora nuovamente sospeso - con sentenza n. 116 del 1963 ha escluso che essa costituisca esercizio di attività giurisdizionale.
Ma da ciò non discende affatto che l'Intendente, come il Pretore di Biella ritiene, abbia un potere discrezionale, e per di più tanto assoluto da non consentire che il successivo sindacato giurisdizionale raggiunga lo scopo di tutelare adeguatamente le situazioni soggettive che gli interessati pretendano siano state lese dagli atti esecutivi compiuti fuori dei modi e delle condizioni stabilite dalla legge. Vero é, invece, che il reclamo, mettendo in moto un procedimento contenzioso amministrativo, determina l'obbligo dell'Intendente di esaminare la conformità della esecuzione alla legge, di provvedere motivatamente sulla richiesta di sospensione e, ove le doglianze risultino fondate, di rimuovere gli atti esecutivi impugnati. Contro il suo provvedimento, che é atto amministrativo definitivo, possono poi essere esperiti i normali rimedi giurisdizionali predisposti dall'ordinamento, sicché valutando il sistema nel suo complesso, é da concludere, come la Corte già affermò nella sentenza n. 87 del 1962, che il diritto di difesa non resta privo di realizzazione. E cadono, perciò, tutte le conseguenze che l'ordinanza di rimessione fa derivare dalla ricordata, erronea premessa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 207, lett. b, 208 e 209 del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, contenente il T. U. delle leggi sulle imposte dirette, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 1964.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 26 novembre 1964.