SENTENZA N. 104
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 28 dicembre 1952, n. 4269, promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1962 dal Tribunale di Larino nel procedimento civile vertente tra Carrano Maria e Norante Domenico Antonio contro la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania, iscritta al n. 161 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 279 del 3 novembre 1962.
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Carrano Maria e Norante Domenico Antonio e della Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania;
udita nell'udienza pubblica dell'8 maggio 1963 la relazione del Giudice Costantino Mortati;
uditi l'avv. Giuliano Bracci, per Carrano e Norante, e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Ente di riforma.
Ritenuto in fatto
Con atto di citazione notificato il 3 ottobre 1960 i sigg. Carrano Maria e Norante Antonio, quali eredi di Norante Vincenzo, con venivano innanzi al Tribunale di Larino la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania, chiedendo che, previa dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.P.R. 28 dicembre 1952, n. 4269, con il quale erano stati espropriati ettari 660.47.36 di terreni siti nel Comune di Campomarino, di proprietà di quest'ultimo, perché emesso, per una parte dei terreni espropriati sulla base del nuovo catasto non ancora in vigore alla data del 15 novembre 1949, e per l'altra parte con riferimento ad esso relativamente all'estensione, l'Ente stesso venisse condannato alla retrocessione dei terreni illegalmente espropriati, o, in mancanza, al risarcimento dei danni.
Con ordinanza in data 12 luglio 1962 il Tribunale (dopo avere respinta l'eccezione di prescrizione dell'azione di risarcimento sollevata dall'Ente convenuto, poiché la domanda ha in via principale per oggetto la retrocessione dei beni) ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata dagli attori, nella considerazione che dai documenti esibiti (relazione del collegio dei periti e deliberazione della Commissione censuaria) risulta come i nuovi accertamenti effettuati hanno per una parte dei beni assunto a base le risultanze aggiornate del nuovo catasto in vigore al 1 febbraio 1952, e per le altre le risultanze stesse ai fini della determinazione della superficie. Ciò in contrasto sia con l'art. 4 della legge stralcio 21 ottobre 1950, n. 841, il quale richiede che la consistenza della proprietà per la compilazione del piano di esproprio sia determinata con riferimento al 15 novembre 1949, e il reddito dominicale alla data del 1 gennaio 1943, e sia con l'art. 6 della stessa legge, il quale ultimo, nel consentire che nelle zone ove sono in vigore i vecchi catasti, ed al fine della determinazione definitiva del reddito dominicale imponibile, venga ritenuta la non corrispondenza con la situazione effettiva dei dati del catasto in ordine all'estensione, alla classe di produttività ed alla qualità di cultura del fondo, esige che l'accertamento di tale situazione sia compiuta sempre con riferimento alle date predette, e non ad altre successive. Avendo il Tribunale affermata la rilevanza della questione così sollevata al fine della risoluzione del merito della causa, ha disposto la sospensione del giudizio e l'invio degli atti a questa Corte. L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 3 novembre 1962, n. 279.
Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si sono costituiti nei termini di legge Carrano Maria e Norante Antonio, il secondo in proprio e quale rappresentante delle figlie minori Maria Cristina e Maia, con il patrocinio dell'avv. Giuliano Bracci. Si é anche costituita la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato.
Con deduzioni depositate il 22 novembre 1962 il rappresentante delle parti private ha fatto rilevare l'eccesso di delega incorso nel provvedimento impugnato per il riferimento effettuato sui dati del catasto entrato in vigore a distanza di 3 e 9 anni rispetto all'epoca cui la legge stralcio ha riferito l'accertamento della consistenza dei beni soggetti a esproprio, ed anzi, per un'altra porzione di beni, sui dati di un catasto ancora non divenuto definitivo. Invoca a sostegno delle proprie ragioni i principi di diritto affermati da questa Corte con le
sentenze n. 70 del 1958 e n. 60 del 1960.L'Avvocatura dello Stato nelle sue deduzioni in data 16 novembre 1962 sostiene l'erroneità di quanto affermato dai ricorrenti, dato che la Commissione censuaria centrale ha operato secondo la propria competenza , non già dando attivazione anticipata al nuovo catasto, bensì adeguando alla realtà esistente al 15 novembre 1949 i dati del vecchio catasto. L'eventuale coincidenza fra gli elementi del nuovo catasto e le risultanze degli accertamenti condotti dai periti e dalla Commissione si spiega col fatto che le indagini per il nuovo catasto precedono sempre di anni la sua entrata in funzione, sicché esse possono, ove siano state espletate alla data del 15 novembre 1949, inquadrare la situazione dei beni sotto questa data. Ma soprattutto, ad avviso dell'Avvocatura, le doglianze delle parti private appaiono inesatte perché non tengono presente che nella specie, qualunque fosse stato il criterio seguito dalla Commissione censuaria centrale nel compiere l'accertamento della consistenza dei terreni, la Sezione speciale per la riforma fondiaria non poteva disattenderne la decisione e doveva necessariamente compilare il piano sui dati forniti dalla stessa. Gli interessati avrebbero potuto, eventualmente, esperire i rimedi di legge avverso la decisione della Commissione, ma non possono denunciare l'illegittimità del decreto di esproprio, sostenendo che la Sezione avrebbe preso a base elementi desunti dal nuovo catasto, laddove la stessa tenne presenti esclusivamente i dati forniti dalla Commissione censuaria centrale, come prescrive l'art. 6 della legge 21 ottobre 1950, n. 841. Conclude chiedendo che la Corte dichiari la questione infondata.
Con memoria in data 24 aprile 1963 le parti private (dopo alcuni rilievi attinenti a beni in località Rotella, diversi da quelli cui si riferisce il decreto di esproprio impugnato) afferma che l'eccesso di delega denunciato risulta provato dal fatto che la Commissione stessa si attenne nell'emettere la sua pronuncia a quanto l'Ente di riforma ebbe a chiedere nel suo ricorso, che cioé fosse effettuato un accertamento sulla base del nuovo catasto, e comunque senza preciso riferimento alla situazione di fatto esistente nel novembre 1949. Che, ciò stante, non é neanche da ritenere sussistente solo una casuale coincidenza fra gli accertamenti dei periti che figurano effettuati nel 1952 e le risultanze del nuovo catasto della stessa epoca, dato che indagini sui luoghi non furono in realtà eseguite. Quanto poi alle deduzioni dell'Avvocatura relative al mancato esperimento di rimedi avverso la pronuncia della Commissione censuaria, la difesa privata afferma che le attività preparatorie di atti forniti di forza di legge, quali i decreti di esproprio, restando nel campo interno del procedimento legislativo, sono insuscettibili di impugnativa, secondo avrebbero ritenuto la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato. Infine la difesa stessa contesta che la pronuncia della Commissione censuaria abbia efficacia vincolante (il che - se fosse vero - darebbe luogo ad altra violazione dell'art. 76 della Costituzione, poiché si concreterebbe in una subdelega di delega legislativa), mentre invece é vero che la Commissione stessa é chiamata ad esercitare attività consultiva non vincolante, non diversa da quella affidatale dall'articolo 36 della legge 8 ottobre 1931, n. 1572.
Anche l'Avvocatura dello Stato ha prodotto una memoria in data 24 aprile 1963, nella quale pone in rilievo il carattere giurisdizionale delle pronunce delle Commissioni censuarie, e pone il quesito, se, avendo nella specie il deliberato della Commissione acquistato valore di cosa giudicata, si renda possibile denunciare l'errore incorso nel medesimo, in quanto questo si ripercuote mediamente sull'atto legislativo sottoposto a sindacato di costituzionalità.
Nella discussione orale i rappresentanti dei privati e del Presidente del Consiglio hanno ribadito le considerazioni svolte negli scritti.
Considerato in diritto
1. - Preliminare si presenta l'esame della questione prospettata dall'Avvocatura dello Stato secondo cui non sarebbe censurabile il provvedimento di esproprio impugnato, anzitutto perché esso deriva dalla pronuncia, ormai passata in giudicato per difetto di impugnativa, di un organo, quale la Commissione censuaria centrale, rivestito di carattere giurisdizionale, ed inoltre perché non potrebbe addebitarsi al medesimo il denunciato eccesso di delega, essendosi in tutto uniformato alla pronuncia medesima, validamente e ritualmente invocata dall'Ente, sulla base delle prescrizioni dell'art. 6 della legge stralcio. La Corte ritiene non fondata tale eccezione. Si può prescindere dallo stabilire se sia da attribuire natura giurisdizionale alle funzioni di competenza della Commissione censuaria centrale allorché essa decide quale organo di terza istanza, dopo che si siano pronunciate le Commissioni censuarie comunali e provinciali, e limitatamente alle questioni di massima e di violazione di legge (art. 38 del T.U. 8 ottobre 1931, n. 1572, delle leggi sul nuovo catasto; art. 125 del regolamento 8 dicembre 1938, n. 2153), perché basta rilevare che tale natura non rivestono le decisioni che lo stesso T.U. affida a detto organo in altri casi (come quelli di cui al primo comma dell'art. 23 e del quarto comma dell'art. 37), secondo é ritenuto anche da coloro che pure affermano la giurisdizionalità delle attribuzioni prima ricordate. E non sembra potersi dubitare che il compito assegnato a detta Commissione dall'art. 6 della legge stralcio, consistente in accertamenti tecnici, di mero fatto, in ordine all'estensione, alla classe di produttività, alla qualità di cultura del fondo, onde riscontrare la eventuale divergenza fra i dati del vecchio catasto e la situazione effettiva, quale poteva presumersi esistente con riferimento alla data del 15 novembre 1949, rientra nella serie delle attribuzioni indicate per ultimo, ed assume perciò indole amministrativa, anche se esso si esplica attraverso un procedimento svolgentesi in contraddittorio fra l'ente espropriante ed il proprietario espropriato, caratteristico di quella categoria di atti amministrativi che si sogliono contrassegnare con il nome di "decisioni".
E quindi da escludere non solo quanto assume l'Avvocatura, che cioé la mancata impugnativa del deliberato della Commissione abbia conferito a questo efficacia di giudicato, ma anche che fosse possibile proporre alcun ricorso avverso il medesimo secondo può desumersi anche dall'ultimo comma dello stesso art. 6, che esclude ogni altra specie di reclamo avverso le risultanze del catasto per quanto riguarda la qualità e classe dei terreni. E da aggiungere che, se altrimenti fosse, il giudizio sulla regolarità degli atti integrativi del procedimento di formazione del decreto delegato di esproprio verrebbe, per il solo fatto della richiesta di correzione dei dati risultanti dal vecchio catasto, ad essere sottratto alla conoscenza della Corte, cui invece compete di sindacare l'osservanza delle condizioni poste dalla legge delegante per il valido esercizio del potere delegato, ed in particolare di quelle fra esse che vengono in considerazione nella specie, riguardanti la consistenza della proprietà da assumere a base del provvedimento espropriativo. Il fatto che l'Ente rimanga vincolato alla decisione della Commissione sul ricorso ad essa proposto non può eliminare il vizio dell'eccesso di delega del provvedimento espropriativo ove venga dimostrato che la decisione stessa non si sia uniformata, nella revisione dei dati catastali, ai criteri generali posti dall'articolo 4 della legge stralcio e confermati dal successivo art. 6.
2. - Passando al merito, é da osservare che i rilievi formulati nell'ordinanza circa la conformità alle prescrizioni del citato art. 6 degli accertamenti compiuti dal collegio dei periti e della deliberazione presa, in base agli accertamenti medesimi, dalla Commissione censuaria appaiono fondati. Risulta, infatti, dalle copie autentiche delle due deliberazioni della Commissione censuaria centrale nn. 2570 e 2571, che queste (pur contenendo nelle premesse esplicita dichiarazione, nel senso di ritenere irrilevanti e non impegnativi gli elementi desunti dall'Ente dal nuovo catasto, nonché dalle indagini dirette da esso espletate) sono state emesse avendo presente, per la superficie, dati del nuovo catasto "in formazione ", e per gli altri elementi, attinenti alla qualità delle culture e al grado di produttività "lo stato di fatto", in relazione al "prospetto delle tariffe vigenti" (senza alcuna precisazione dell'epoca cui si é fatto riferimento per determinare tale stato di fatto).
Ora la circostanza, posta in risalto dall'Avvocatura, della delimitazione della propria competenza compiuta dalla Commissione quando si é richiamata all'art. 6 ed ha dichiarato irrilevanti gli elementi che l'Ente aveva desunto dal nuovo catasto, non é sufficiente a far ritenere legittima la deliberazione che, in contrasto con le dette premesse, risulta essere stata presa in base alle risultanze del medesimo nuovo catasto (almeno per quanto attiene alla estensione dei terreni) onde giungere alla determinazione del reddito dominicale imponibile. Le considerazioni che precedono fanno ritenere non attendibile quanto afferma l'Avvocatura, che cioé possa essersi verificata una pura e semplice corrispondenza di fatto fra i dati rilevati e quelli del nuovo catasto.
La Corte ha costantemente ritenuto che la data del 15 novembre 1949 costituisca - ai sensi dell'art. 4, comma primo, della legge stralcio - un termine costante e fondamentale di riferimento per la determinazione della situazione obbiettiva della proprietà assoggettibile ad esproprio (
sentenze nn. 65, 67, 126 del 1957, 70 del 1958, 17 del 1960 ed, in particolare, sentenze nn. 81 del 1957 e 56 del 1960). E poiché elemento di tale situazione obbiettiva, che entra a determinare la "consistenza" della proprietà stessa, é la estensione, é sufficiente l'errore incorso in ordine ad esso (anche a prescindere dalla risoluzione del dubbio, che può sorgere dalla motivazione che precede il deliberato della Commissione, per quanto riguarda le valutazioni delle culture e della produttività) per far ritenere sussistente l'eccesso di delega denunciato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
respinta l'eccezione pregiudiziale sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato,
dichiara l'illegittimità costituzionale del D.P.R. 28 dicembre 1952, n. 4269, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio 1953, n. 19, supplemento ordinario n. 6, in relazione agli artt. 4 e 6 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, ed in riferimento agli artt. 76 e 77, comma primo, della Costituzione, in quanto il computo dell'estensione dei terreni, al fine della determinazione del reddito imponibile, non é stato compiuto sulla base della situazione da ritenere esistente al 15 novembre 1949, bensì con riguardo al nuovo catasto ancora in formazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1963.
GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE
COSTANTINO MORTATI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 22 giugno 1963.