Sentenza n. 56 del 1960
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SENTENZA N. 56

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1952, n. 4324, promosso con ordinanza emessa il 28 luglio 1959 dal Tribunale di Rovigo nel procedimento civile vertente tra Rancé Maurizio e l'Ente per la colonizzazione del delta padano, iscritta al n. 104 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 del 3 ottobre 1959.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita, nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1960, la relazione del Giudice Antonio Manca;

uditi l'avvocato Mario Moschella, per Rancé Maurizio, e il sostituito avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'Ente per la colonizzazione del delta padano.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 1952, n. 4324 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio 1953, n. 19), in applicazione dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (legge stralcio), fu approvato il piano particolareggiato di espropriazione n. 341/1 del 26 agosto 1952, compilato dall'Ente per la colonizzazione del delta padano, nei confronti del sig. Rancé Maurizio, relativo ai terreni situati in località Valle dell'Oca, nel Comune di Taglio di Po (provincia di Rovigo); e fu disposto il trasferimento a favore di detto Ente di ettari 48. 43. 76 per un reddito dominicale di lire 26.475,62.

Nel corso del giudizio, promosso davanti al Tribunale di Rovigo dal Rancé con citazione del 19 settembre 1953 per ottenere la restituzione dei terreni che egli assumeva essere stati illegittimamente espropriati ed il risarcimento dei danni, il Tribunale, con ordinanza del 27 febbraio 1956, riferendosi all'eccezione dedotta dall'attore (il quale riteneva che per lo scorporo si era tenuto conto di dati catastali materialmente errati), sollevò la questione di legittimità costituzionale del decreto anzidetto. Rilevò al riguardo che il giudizio non poteva essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione predetta, e che questa non poteva ritenersi manifestamente infondata.

La Corte costituzionale, peraltro, con ordinanza n. 76 del 16 maggio 1957, dispose la restituzione degli atti al Tribunale, osservando che non era stato motivato il giudizio sulla rilevanza, e che questa omissione, per particolarità della fattispecie, comportava incertezze sull'oggetto stesso del giudizio. Precisò che il riferimento dell'ordinanza del Tribunale alle deduzioni dell'attore non consentiva di integrare la motivazione, perché non erano stati depositati i fascicoli di parte, il fascicolo della espropriazione, gli atti relativi alla revisione catastale, in relazione alla quale era stata emessa la decisione della Commissione censuaria centrale del 20 dicembre 1954, n. 2785, di annullamento senza rinvio delle decisioni delle Commissioni comunale e provinciale, gli estratti catastali anteriori e successivi alla decisione della Commissione centrale, il fascicolo del procedimento davanti alle predette Commissioni, nonché la certificazione dell'Ufficio delle imposte di Rovigo circa i dati catastali utilizzati per le imposte.

Riassunta la causa davanti al giudice di merito, il Rancé chiese che, uniformandosi alla pronunzia della Corte costituzionale, il Tribunale, integrata la precedente ordinanza con la necessaria motivazione, trasmettesse di nuovo gli atti a questa Corte.

L'Avvocatura dello Stato invece, in rappresentanza dell'Ente di riforma, chiese che il Tribunale dichiarasse inammissibile, improponibile, o comunque infondata la domanda attrice.

Con altra ordinanza del 28 luglio 1959 il Tribunale di Rovigo rilevò che il piano particolareggiato n. 341/1 era stato compilato dall'Ente espropriante in base ai dati catastali accertati nel 1945 dall'ufficio tecnico erariale, annullati dalla Commissione centrale, con la decisione precedentemente indicata, per violazione dell'art. 124 del regolamento 8 dicembre 1938, n. 2153, sulla conservazione del nuovo catasto dei terreni; che, secondo l'assunto del Rancé, tenuto conto del classamento anteriore alle variazioni illegittimamente apportate nel 1945, il reddito complessivo della sua proprietà terriera e quello medio per ettaro, non avrebbero consentita l'espropriazione; e che, per conseguenza, il decreto di scorporo sarebbe illegittimo per eccesso di delega. Rilevò, altresì, il Tribunale che erano stati acquisiti gli elementi richiesti da questa Corte e che la controversia non poteva essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità. Dispose pertanto che gli atti fossero di nuovo trasmessi a questa Corte.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata e, dopo le prescritte comunicazioni, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 3 ottobre 1959, n. 239.

Si sono costituiti in questa sede il Rancé, rappresentato dagli avvocati Mario Degan e Antonino Fazio, che hanno depositato le deduzioni il 22 ottobre 1959 e dall'avvocato Mario Moschella che ha depositato la memoria il 26 maggio 1960. Si é pure costituito l'Ente per la colonizzazione del delta padano, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le deduzioni il 10 settembre 1959. Ed é anche intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, aderendo alle conclusioni dell'Ente per il delta padano.

La difesa dell'espropriato deduce che, in seguito alla decisione della Commissione censuaria centrale, già ricordata, i dati catastali derivanti dagli accertamenti eseguiti d'ufficio nel 1945, notificati all'interessato il 10 novembre 1952, dovrebbero considerarsi, ai fini dell'espropriazione, privi di efficacia giuridica, con la conseguenza che, dovendosi tener conto dei dati precedenti alle accennate variazioni, la proprietà del Rancé sarebbe esente dall'espropriazione. Chiede, pertanto, che si dichiari l'illegittimità del decreto di espropriazione del 28 dicembre 1952.

L'Avvocatura dello Stato osserva preliminarmente che neppure la nuova ordinanza del Tribunale sarebbe ritualmente emanata, in quanto il giudice del merito, attenendosi alle conclusioni dell'attore, sopra riferite, si sarebbe limitato ad integrare (in ipotesi) la precedente ordinanza, in relazione alla dedotta illegittimità delle variazioni catastali, senza tenere nel dovuto conto le controdeduzioni esposte a difesa dell'Ente, nel senso che la controversia dovesse ormai ritenersi risoluta in relazione alla giurisdizione di questa Corte, tralasciando di riesaminare se la questione di costituzionalità fosse tuttora rilevante e non manifestamente infondata. Riesame che, rispetto all'ordinanza precedentemente emanata, il Tribunale avrebbe dovuto compiere con piena autonomia, dopo il rinvio degli atti da parte di questa Corte. La quale, si aggiunge, esercitando il controllo di carattere formale sull'atto introduttivo del giudizio in questa sede, ne avrebbe bensì constatata l'inidoneità a promuovere il giudizio stesso, perché non era stato adeguatamente compiuto l'accertamento sulla rilevanza demandata esclusivamente al giudice del merito. Ma da ciò non deriverebbe alcuna limitazione per detto giudice ai fini del riesame cui si é accennato, per il caso che la situazione processuale avesse subito modificazioni tali da far ritenere superata la questione di costituzionalità.

Comunque, fa notare ancora l'Avvocatura, la nuova ordinanza emessa dal Tribunale, avrebbe soltanto formalmente, ma non nella sostanza, ottemperato alla richiesta di questa Corte. Dato, infatti, che oggetto del giudizio di merito era la illegittimità di una legge provvedimento, il giudizio sulla rilevanza si sarebbe dovuto riferire in particolare anche all'interesse ad agire da parte dell'espropriato. Onde il Tribunale (con indagine propria e non riferendosi alle conclusioni dell'attore) avrebbe dovuto accertare se e in qual misura, dalla dedotta erroneità dei dati catastali, fosse derivata la illegittimità totale o parziale del decreto di scorporo.

Nel merito, la difesa dell'Ente di riforma premette che, riguardo alla proprietà del sig. Rancé, era stato pubblicato, precedentemente al 31 dicembre 1951, un piano di espropriazione n. 236/1; che, contro detto piano l'interessato presentò reclamo; reclamo che fu accolto dall'Ente, il quale, in base all'art. 2, n. 3, della legge 2 aprile 1952, sostituì il piano originario con un nuovo piano n. 341/1, riferentesi a terreni diversi da quelli compresi nel piano precedente. Si aggiunge che il Rancé produsse reclamo il 3 ottobre 1952, contro il nuovo piano deducendo che il classamento e l'estimo catastale sarebbero errati, poiché introdotti come variazioni a decorrere dal 1946, senza che se ne fosse data comunicazione all'interessato, a norma dell'art. 125 del regolamento 8 dicembre 1938, n. 2153, e che, quindi, si sarebbe dovuto tener conto dei dati catastali iscritti precedentemente alla predetta variazione.

Disatteso tale reclamo fu emanato il decreto di espropriazione, di cui la difesa dell'Ente sostiene la legittimità con le seguenti argomentazioni. In base alle disposizioni degli artt. 4 e 6 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (legge stralcio), l'Ente espropriante deve attenersi ai dati catastali risultanti alla data della compilazione del piano, non avendo né potere, né obbligo di accertare se le operazioni dell'Ufficio tecnico erariale siano state o no regolarmente eseguite. Il sistema della riforma fondiaria sarebbe fondato necessariamente su elementi fissi ed immutabili, dovendosi ritenere tutta la proprietà terriera cristallizzata al 15 novembre 1949, per quanto attiene alla titolarità, e al momento della compilazione dei piani, per quanto attiene alle risultanze catastali circa il classamento. Ciò deriverebbe logicamente dalla disposizione dell'art. 6 della legge n. 841, il quale, ai fini della determinazione della quota di scorporo, per il classamento non ammette altro ricorso, da parte dell'Ente espropriante e del proprietario espropriato, se non quello davanti alla Commissione censuaria centrale, nelle zone dove sono in vigore i vecchi catasti. Donde deriverebbe, secondo l'Avvocatura, in via generale, che qualsiasi variazione dei dati catastali successiva alle date anzidette non potrebbe avere alcuna influenza ai fini della riforma fondiaria, anche perché le leggi che la disciplinano, stabiliscono dei termini perentori entro i quali gli scorpori devono essere effettuati. E deriverebbe, in particolare, per quanto riguarda l'attuale controversia, che la decisione della Commissione potrebbe costituire titolo per un eventuale rimborso dell'imposta fondiaria, ma non avrebbe alcuna influenza relativamente alle operazioni di scorporo e, quindi, sulla legittimità del decreto ora impugnato. Dovendosi pure tener presente, si aggiunge, che la procedura di espropriazione si sarebbe svolta e si sarebbe compiuta prima della pronuncia della Commissione centrale; decisione che, in ogni modo, sarebbe stata emessa a seguito di ricorso proposto ai sensi e per gli effetti del regolamento dell'8 dicembre 1938, sopra ricordato, e non già in base allo speciale ricorso preveduto dall'art. 6 della legge 1950, n. 841.

L'Avvocatura dello Stato, pertanto, ricordando anche la giurisprudenza di questa Corte in ordine all'importanza della data del 15 novembre 1949, per ciò che riguarda l'applicazione delle leggi sulla riforma fondiaria, conclude chiedendo che si dichiari inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale ora sollevata.

Nella memoria la difesa dell'espropriato, circa le osservazioni dedotte in via preliminare dall'Avvocatura, sostiene che il Tribunale, nella seconda ordinanza, a differenza della prima, avrebbe adeguatamente motivato circa la rilevanza, eliminando ogni incertezza circa l'oggetto del giudizio in questa sede, trasmettendo anche i documenti richiesti da questa Corte; e ponendo, quindi, anche in luce l'interesse dell'espropriato alla risoluzione della questione di costituzionalità.

Quanto al merito insiste nella tesi che la proprietà del Rancé, se non si fosse tenuto conto delle variazioni catastali apportate nel 1945, sarebbe immune dal procedimento di scorporo.

Alle argomentazioni della difesa dell'Ente obietta poi che, quando fu compilato il piano particolareggiato, l'Ente di riforma, data la revisione dei piani effettuati per altri proprietari, non avrebbe ignorato che i calcoli in base ai quali fu determinata la quota di scorporo sarebbero giuridicamente inefficienti. Non avrebbero perciò rilievo nella specie le osservazioni circa la insindacabilità dei dati catastali, la scadenza dei termini stabiliti per la compilazione del piano e per l'emanazione del decreto di espropriazione e circa la non influenza della decisione emessa dalla Commissione censuaria centrale successivamente al decreto stesso. Secondo la difesa del Rancé, invece, ai fini della legittimità dello scorporo e dato il sistema della legge n. 841 del 1950, sarebbe rilevante l'accertamento obiettivo circa l'erroneità giuridica dei dati iscritti nel catasto, indipendentemente dal tempo in cui tale errore sarebbe stato riconosciuto e dai soggetti ai quali tale errore sarebbe addebitabile. E si aggiunge che, mentre sarebbe da escludere una efficacia retroattiva delle variazioni dei dati catastali intervenute successivamente all'emanazione del decreto di espropriazione, lo stesso non potrebbe, invece, ritenersi nella specie, dato che, in base alla decisione della Commissione censuaria centrale, l'arbitraria variazione dei dati sarebbe priva di valore giuridico, e che, quindi, i dati anteriori si dovrebbero ritenere come non modificati ai fini dello scorporo. Si tratterebbe, quindi, non già di annullamento delle variazioni anzidette, bensì della loro giuridica inesistenza.

Né ciò contrasterebbe con la giurisprudenza di questa Corte, la quale avrebbe bensì affermato che alla data del 15 novembre 1949 occorre riferirsi per stabilire la consistenza della proprietà da espropriare, ma non avrebbe ritenuto, altresì, che se i dati iscritti nel catasto a tale data fossero meramente apparenti e giuridicamente inesistenti, tale situazione non avrebbe rilevanza al fine di ritenere illegittima la espropriazione.

 

Considerato in diritto

 

I rilievi dedotti preliminarmente dall'Avvocatura dello Stato, riguardo all'ordinanza emessa il 28 luglio 1959 dal Tribunale di Rovigo, non hanno fondamento.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte il giudizio sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale per la definizione della controversia principale, é devoluto all'esclusiva competenza del giudice del merito. Onde l'ordinanza, con la quale viene proposta la questione stessa, può essere sindacata da questa Corte soltanto sotto l'aspetto formale della mancanza o della insufficienza della motivazione. Di guisa che quando riscontrando un difetto del genere, la Corte ritiene di dover rinviare gli atti al predetto giudice perché adempia all'obbligo di un'adeguata motivazione, e perché, come nella specie, trasmetta anche i documenti ritenuti necessari per decidere la questione di costituzionalità, accerta implicitamente - il che rientra, ovviamente, nella sua competenza - che l'ordinanza di trasmissione degli atti, nei termini nei quali é stata redatta, non si appalesa idonea a instaurare ritualmente il giudizio in questa sede.

É chiaro, perciò, che, verificandosi una tale situazione, il giudice del merito, data la competenza che la legge gli attribuisce al riguardo, é libero di riesaminare la rilevanza e la eventuale manifesta infondatezza della questione con piena autonomia, non essendo vincolato né dalla precedente ordinanza, né da quella emanata dalla Corte costituzionale. Ma, appunto in relazione a tale autonomia, non si può nella specie fondatamente muovere censura al Tribunale di Rovigo, se ha disatteso le conclusioni definitive di merito proposte dalla difesa dell'Ente per il rigetto della domanda attrice, e se, invece, ritenendo tuttora persistente la rilevanza delle questione di costituzionalità, ha pronunciato una seconda ordinanza, ed ha trasmesso di nuovo a questa Corte gli atti con i documenti richiesti. Ordinanza che deve ritenersi soddisfi alle esigenze della motivazione (necessaria, com'é noto, soltanto per la rilevanza), poiché ha precisato che l'illegittimità costituzionale del decreto di scorporo, per eccesso di delega, in relazione all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, deriverebbe dal fatto che il piano particolareggiato n. 341/1, sarebbe stato compilato in base ad accertamenti catastali eseguiti dall'Ufficio tecnico erariale di Rovigo nel 1945, annullati dalla Commissione censuaria centrale con decisione del 20 dicembre 1954, n. 2785. Ed ha, altresì, posto in luce l'interesse ad agire dell'espropriato, posto che questi sostiene che, se non si fosse tenuto conto dell'accennata variazione, la sua proprietà terriera sarebbe stata immune dall'espropriazione.

Né, come assume l'Avvocatura dello Stato, per accertare la sussistenza dell'interesse ad agire, il Tribunale avrebbe dovuto in definitiva pronunciarsi sul torto subito dall'espropriato per effetto della dedotta violazione della legge di delega. Poiché se ciò fosse esatto, é chiaro che, per decidere la questione sollevata con l'ordinanza, si dovrebbe attendere non soltanto la definizione della causa principale da parte del Tribunale, ma altresì la formazione del giudicato. Il che, come ha già chiarito questa Corte con la sentenza n. 10 del 1959, é contrario al sistema che regola i giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale. Nei quali la decisione della questione di costituzionalità, una volta ritenuta, come nel caso, rilevante e non manifestamente infondata con ordinanza del giudice del merito, deve essere decisa quale che sia in definitiva la pronunzia sulla pretesa dell'attore dedotta nel giudizio principale, da cui, come é noto, il giudizio sulla legittimità costituzionale resta del tutto indipendente.

Nel merito, la questione si concreta nell'esaminare se, come sostiene la difesa dell'espropriato, possa ritenersi illegittimo, per l'inosservanza dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, il decreto di scorporo, in quanto ha approvato il piano particolareggiato di espropriazione, compilato su dati catastali iscritti a seguito delle variazioni apportate d'ufficio nel 1945, senza che ne fosse stata data notizia all'interessato, essendo state a lui notificate il 10 novembre 1952, posteriormente cioè al deposito del piano particolareggiato effettuato il 26 agosto 1952. Contro i quali accertamenti l'espropriato aveva, nel termine di trenta giorni dalla notificazione, proposto ricorso ai competenti organi giurisdizionali, ai sensi dell'art. 125, secondo comma, del regolamento 8 dicembre 1938, n. 2153, per la conservazione del nuovo castato sui terreni.

A sostegno della legittimità del decreto l'Ente, come si é già accennato, osserva che il sistema delle leggi sulla riforma fondiaria (dato anche che le operazioni inerenti allo scorporo devono compiersi entro i brevi e perentori termini stabiliti per l'esercizio della delega) é fondato necessariamente su elementi fissi e immutabili, cioè sulle risultanze catastali alla data del 15 novembre 1949, per quanto riguarda la titolarità della proprietà terriera, e, alla data della compilazione del piano, per ciò che attiene al classamento dei terreni da espropriare. Con la conseguenza che qualsiasi variazione apportata successivamente a tali date non potrebbe essere opposta all'Ente incaricato dell'espropriazione; il quale, d'altra parte, non avrebbe né potere né obbligo di sindacare la regolarità degli accertamenti effettuati dall'Ufficio tecnico erariale. Nessuna influenza, quindi, potrebbe spiegare nella specie la decisione della Commissione censuaria centrale che, accogliendo il ricorso del Rancé, ha annullato senza rinvio la decisione della Commissione provinciale, tanto più che il procedimento, che ha dato luogo alla pronunzia, si é svolto e definito nell'ambito delle disposizioni del regolamento del 1938 sopra citato, e non già ai sensi e per gli effetti stabiliti dall'art. 6 della legge 21 ottobre 1950, n. 841. Il quale articolo, nell'ultimo comma, stabilisce altresì che, al di fuori dei casi previsti nel primo comma (riguardante le zone dove sono in vigore i vecchi catasti), non é ammesso alcun altro ricorso per la determinazione della qualità e classe dei terreni ai fini della quota di scorporo contro le risultanze del catasto. Queste osservazioni non possono ritenersi fondate.

La Corte costituzionale, con numerose sentenze, ha già chiarito che la data del 15 novembre 1949 ha importanza fondamentale nel sistema delle leggi sulla riforma fondiaria. A tale data, infatti, si deve aver riguardo sia per determinare la superficie della proprietà terriera appartenente a singole persone o società, ai sensi dell'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (cosiddetta legge Sila), sia per accertare la consistenza della proprietà stessa in base all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (cosiddetta legge stralcio). Consistenza che, come ha ulteriormente ribadito la sentenza n. 70 del 1958, deve intendersi riferita non soltanto all'estensione e titolarità della proprietà terriera, ma anche alla qualità e alla classe dei terreni.

É però da notare che, con le sentenze nn. 8 e 10 del 1959, sebbene il piano di espropriazione fosse stato compilato in base ai dati risultanti dal catasto alla data del 15 novembre 1949, si é, tuttavia, dichiarata la illegittimità del decreto di scorporo, in quanto vi erano state comprese zone di terreno che, contrariamente alle risultanze anzidette, non appartenevano al soggetto colpito dall'espropriazione. E si é ritenuta, altresì (sentenza n. 17 del 1960), l'efficacia retroattiva, a favore del titolare dei beni, delle variazioni catastali in diminuzione apportate dall'ufficio tecnico erariale nel 1950, in accoglimento di una richiesta di verificazione straordinaria inoltrata dal proprietario prima del 15 novembre 1949.

Ora, per quanto riguarda l'attuale controversia, la Corte é d'avviso che, data la particolare situazione verificatasi, non possa disconoscersi che le risultanze catastali, quali si presentavano al 15 novembre 1949, non potevano costituire base legittima per la formazione del piano particolareggiato di espropriazione.

É da tener presente, come pure é stato posto in luce dalla sentenza n. 81 del 1957 sopra menzionata, che l'espropriazione della proprietà terriera privata, in applicazione della legge 21 ottobre 1950, n. 841, é consentita non già in relazione alla superficie della proprietà stessa (art. 2 della legge n. 230 del 1950), bensì con riguardo al reddito dominicale complessivo, accertato in base alle tariffe di estimo al 1 gennaio 1943, combinato con il reddito dominicale per ettaro, secondo le quote indicate nella tabella annessa alla legge. E, a sua volta, questo reddito, che condiziona l'applicazione della citata legge n. 841 del 1950, risulta dalla stima dei terreni, secondo la loro estensione, qualità e classe, in dipendenza degli accertamenti effettuati di ufficio, o su istanza dei proprietari, nei casi consentiti, e secondo il procedimento tracciato nelle leggi catastali (T.U. 8 ottobre 1931, n. 1572; decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976; regolamento 8 dicembre 1938, n. 2153). Ne deriva, quindi, e del resto risulta anche chiaramente dalla relazione del Ministro alla Camera dei Deputati, che il sistema adottato dalla legge stralcio del 1950 é collegato con quello delle leggi sul catasto, non soltanto per quanto riguarda l'accertamento dell'estensione e del classamento dei terreni, ma logicamente anche per ciò che attiene alle garanzie stabilite da dette leggi a tutela del diritto di proprietà.

Ciò premesso, nel caso di specie, é da rilevare che il procedimento seguito nel 1945 per la verificazione dei dati catastali posti a base del piano di scorporo, non si é svolto secondo le disposizioni delle leggi sopra richiamate, come del resto ha riconosciuto anche la Commissione centrale nella ricordata decisione del 20 dicembre 1954. A parte, infatti, che all'espropriato (a quanto risulta da questa decisione e non é contestato) non fu dato l'avviso prescritto dall'art. 124 del regolamento del 1938, per presenziare agli accertamenti che l'Ufficio tecnico erariale effettuò riguardo ai terreni del Rancé, é da rilevare che, tra i documenti trasmessi dal Tribunale su richiesta di questa Corte, é compreso il modello 11 in data 26 settembre 1952, dal quale risulta che al mappale espropriato, n. 9 del foglio 4, furono apportate variazioni nel 1945, e che tale modello fu notificato all'interessato il 10 novembre del 1952. Emerge, altresì, dai documenti predetti, che, in seguito a tale notificazione, il Rancé iniziò davanti alle competenti Commissioni censuarie il procedimento per ottenere che le variazioni anzidette fossero dichiarate inefficaci ai fini dello scorporo.

In base a questi elementi di fatto (sui quali non vi é contestazione) non si può, quindi, fondatamente disconoscere che se é vero che, al 15 novembre 1949, le variazioni apportate in seguito alla verifica d'ufficio del 1945 erano iscritte nel catasto, é vero altresì che le variazioni stesse non potevano ritenersi operanti ai fini dello scorporo, in quanto non ancora definitivamente acquisite ai sensi e per gli effetti delle ricordate leggi catastali. É da aggiungere che l'interessato ha inoltrato ricorso il 1 dicembre 1952, dopo la compilazione del piano, perché l'Amministrazione, soltanto nel novembre dello stesso anno, ha proceduto alla prescritta notificazione delle variazioni già da tempo effettuate; dalla data della quale notificazione, per espressa disposizione dell'art. 125, secondo comma, del regolamento del 1938, decorre il termine per proporre reclamo contro i risultati delle variazioni catastali.

Resta così superata anche l'altra obiezione dell'Avvocatura dello Stato fondata sulla disposizione dell'art. 6 della legge del 1950, n. 841, che la Corte non ritiene utilmente richiamato nella specie. Risulta, infatti, chiaramente dal testo, ed é confermato dai lavori preparatori, che il ricorso speciale da proporre direttamente alla Commissione censuaria centrale, entro 25 giorni dalla data del deposito del piano di espropriazione nell'ufficio comunale (art. 6, primo comma, della legge n. 841 del 1950 e art. 9 della legge 18 maggio 1951, n. 333) per ogni questione riflettente la non corrispondenza dell'estensione, della qualità di cultura e della classe dei terreni, é consentito soltanto nelle zone dove sono in vigore i vecchi catasti. Ed é, perciò, evidente che il Rancé non poteva avvalersi di tale disposizione, trattandosi (ed é incontestato) di terreni già iscritti nel nuovo catasto.

Senonché all'espropriato non é neppure opponibile l'ultimo comma dell'art. 6, secondo il quale, come si é accennato, oltre all'ipotesi preveduta nel primo comma, non é ammesso altro ricorso per il classamento dei terreni contro le risultanze del catasto. Tale disposizione, infatti (e risulta chiaramente anche dai lavori preparatori), non esclude che, per i terreni iscritti nel nuovo catasto, il proprietario possa ricorrere agli organi competenti nei termini e secondo le disposizioni delle leggi catastali sopra ricordate. Ma nel caso in esame l'interessato non ha potuto avvalersi di tali garanzie appunto per il fatto dell'Amministrazione, che non aveva a lui data, in precedenza, legale conoscenza delle variazioni apportate. Non si può neppure fondatamente obiettare che, nel sistema delle leggi di riforma, le operazioni di scorporo, e, quindi, l'esercizio della delega legislativa, devono svolgersi e compiersi entro termini brevi e perentori assegnati agli enti di riforma e al Governo e che perciò, esaurita la procedura, non sia possibile alcuna eccezione sulla legittimità dell'espropriazione.

Allo stesso modo, infatti, che dalla brevità dei termini, come ha ritenuto questa Corte con la sentenza n. 57 del 1959, non può desumersi, in mancanza di espressa disposizione, che sia possibile travolgere nell'espropriazione beni che non siano di proprietà del soggetto passivo dello scorporo, così la limitazione del tempo per l'esercizio della delega non può legittimare, con pregiudizio del diritto di proprietà, il decreto di espropriazione, quando, come nella specie, per l'inosservanza, da parte della stessa Amministrazione, delle disposizioni delle leggi catastali (alle quali, come si é detto, si ricollega strettamente la legge 21 ottobre 1950, n. 841), sono stati assunti a base del piano particolareggiato dati non regolarmente accertati e non ancora definitivamente acquisiti, dei quali anche si é poi riconosciuta l'inefficacia giuridica.

E se, d'altra parte, come non disconosce l'Avvocatura dello Stato, la situazione derivata dal comportamento dell'Amministrazione, potrebbe influire a favore del Rancé per ottenere, se del caso, il rimborso dell'imposta fondiaria, per coerente ragione, dato che il reddito imponibile per determinare in concreto l'obbligazione tributaria, é lo stesso che deve essere considerato ai fini del piano di espropriazione, l'accennata situazione non può non esercitare influenza per quanto attiene alla legittimità dello scorporo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinge le eccezioni pregiudiziali dedotte dall'Avvocatura dello Stato;

dichiara la illegittimità costituzionale del decreto 28 dicembre 1952, n. 4324 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24 gennaio 1953), in quanto, nell'espropriazione nei confronti del sig. Rancé Maurizio, ha tenuto conto delle variazioni dei dati catastali apportate d'ufficio nel 1945, ma notificate all'espropriato il 10 novembre 1952, in relazione all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, contenente norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI -  Giuseppe BRANCA.                                                                           

 

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 1960.