SENTENZA N. 159
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO;
Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 180 e 181, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026), promosso dal Tribunale ordinario di Milano, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra Avvocati per niente onlus (APN) e altri e Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 23 ottobre 2024, iscritta al n. 217 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visti gli atti di costituzione dell’INPS, dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) aps e dell’APN, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nell’udienza pubblica dell’11 giugno 2025 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;
uditi gli avvocati Alberto Guariso per l’ASGI aps e l’APN, Antonino Sgroi per l’INPS e l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2025;
designato per la redazione della sentenza il Giudice Luca Antonini.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza iscritta al n. 217 del registro ordinanze 2024, il Tribunale ordinario di Milano, sezione lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 180 e 181, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026), nella parte in cui non estende, alle lavoratrici madri con rapporto di lavoro dipendente a tempo determinato e a quelle con contratto di lavoro domestico, l’esonero dal pagamento della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, previsto per gli anni 2024-2026 a favore delle lavoratrici con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, che siano madri di tre o più figli, sino al raggiungimento del diciottesimo anno d’età del più piccolo e, per l’anno 2024, sempre a beneficio delle medesime lavoratrici che siano madri di due figli, sino al raggiungimento del decimo anno d’età di quello più piccolo.
Il rimettente ritiene che la disciplina censurata, nella parte in cui non include le richiamate categorie di lavoratrici madri, leda gli artt. 3, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione sia alla clausola 4, punto 1, dell’Allegato (Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato) alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, sia alle seguenti previsioni: i) art. 11, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo; ii) art. 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE; art. 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva (UE) 2011/98 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro; iii) art. 16, paragrafo 1, lettera a), della direttiva (UE) 2021/1883 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2021, sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, e che abroga la direttiva 2009/50/CE del Consiglio.
2.– Il giudice a quo riferisce che, con ricorso ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), M. N., C. C., F. B. ed E. B., unitamente ad Avvocati per niente onlus (APN) e ad Associazione degli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) aps, hanno chiesto di accertare il carattere discriminatorio della condotta tenuta dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). Quest’ultimo, infatti, non avrebbe applicato l’esonero contributivo previsto dall’art. 1, commi 180 e 181, della legge n. 213 del 2023 anche a favore delle ricorrenti (lavoratrici a tempo determinato e madri di due o più figli), nonché a beneficio di tutte le lavoratrici con contratto di lavoro a termine o con contratto di lavoro domestico, che versino nelle medesime condizioni soggettive.
In conseguenza di tale accertamento, e previa eventuale proposizione di questioni di legittimità costituzionale delle norme citate, le parti attrici hanno chiesto di emettere nei confronti dell’INPS ogni provvedimento necessario a rimuovere la discriminazione e a farne cessare gli effetti, oltre all’adozione, se del caso, di un piano di rimozione, ai sensi dell’art. 28, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011.
In particolare, le ricorrenti hanno chiesto al giudice adito: a) di ordinare all’INPS di restituire alle lavoratrici ricorrenti gli importi trattenuti sulle retribuzioni maturate dal 1° gennaio 2024 e di comunicare ai loro datori di lavoro la necessità di non corrispondere all’ente previdenziale detti importi per le mensilità successive alla sentenza e per tutto il periodo di applicazione dell’esonero; b) di ordinare all’INPS la restituzione a tutte le lavoratrici con contratto di lavoro a termine o con contratto di lavoro domestico delle somme trattenute dal 1° gennaio 2024 a titolo di contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (IVS) e versate all’ente previdenziale; c) di ordinare all’INPS di modificare in parte qua la propria circolare 31 gennaio 2024, n. 27 (Articolo 1, commi da 180 a 182, della legge 30 dicembre 2023, n. 213, recante "Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026”. Esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri di tre o più figli, con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Istruzioni operative e contabili: rinvio) e ogni altra comunicazione pertinente, dandone avviso al pubblico sul proprio sito istituzionale; d) di condannare l’INPS al pagamento, ai sensi dell’art. 614-bis codice di procedura civile, della somma di euro 100,00 per ogni giorno di ritardo nell’adempimento dell’obbligo, a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla notificazione dell’emananda sentenza; e) di disporre la pubblicazione di quest’ultima sul sito istituzionale dell’INPS e/o su uno o più quotidiani a tiratura nazionale.
Il rimettente riporta che, ad avviso della difesa attorea, la discriminazione si sostanzierebbe nella violazione dell’obbligo di parità di trattamento nelle condizioni di lavoro tra madri lavoratrici a tempo determinato e a tempo indeterminato, sancito dalla clausola numero 4, punto 1, dell’Allegato alla direttiva 1999/70/CE, nonché in una discriminazione indiretta ai danni delle lavoratrici straniere, che sarebbero statisticamente presenti, tra quelle con contratti a tempo determinato e di lavoro domestico, in percentuale notevolmente più alta rispetto a quelle di cittadinanza italiana. Infine, le ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 3 e 31 Cost.
L’INPS si è costituito nel giudizio a quo, eccependo il difetto di legittimazione attiva delle lavoratrici ricorrenti e l’inammissibilità del ricorso.
3.– Il Tribunale di Milano, dopo aver disatteso le eccezioni preliminari dell’ente previdenziale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 180 e 181, della legge n. 213 del 2023, motivando, anzitutto, la rilevanza delle censure.
In primo luogo, ha chiarito che le attrici, lavoratrici madri a tempo determinato, hanno subìto le trattenute previdenziali ordinarie previste dalla legge, senza poter usufruire dell’esonero contributivo goduto da quelle con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
In secondo luogo, ha sottolineato come, nell’attenersi alle citate norme, la circolare dell’INPS, di cui le due associazioni ricorrenti chiedono la modifica, escluda univocamente dall’esonero contributivo le lavoratrici a termine e quelle domestiche.
4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ha evidenziato come l’esclusione delle richiamate categorie di lavoratrici madri dalle norme censurate comporti un vulnus ai principi costituzionali di seguito precisati.
In particolare, l’omesso riferimento alle lavoratrici con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato si porrebbe in contrasto: con l’art. 3 Cost., in quanto, a parità di condizioni concernenti i figli, il deteriore regime non avrebbe alcuna obiettiva e ragionevole giustificazione; con l’art. 31 Cost., posto che la discriminazione si risolverebbe in un irragionevole pregiudizio per la maternità e per le famiglie numerose; con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla clausola 4, punto 1, dell’Allegato alla direttiva 1999/70/CE, poiché essa vieta, per quanto concerne le condizioni di impiego, di trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole di quelli a tempo indeterminato comparabili; infine, con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione ad alcune direttive europee (direttive 2021/1883/UE, 2011/98/UE, 2004/38/CE, 2003/109/CE) che sanciscono la parità di trattamento, quanto alle condizioni di lavoro, tra cittadini dell’Unione europea e di Paesi terzi.
Nei primi tre casi, la violazione integrerebbe una discriminazione diretta tra le lavoratrici a termine e quelle a tempo indeterminato; nell’ultimo caso la discriminazione sarebbe, invece, indiretta e correlata alla nazionalità, atteso che le norme, pur apparentemente neutre, pregiudicherebbero in maniera particolare le lavoratrici straniere, che sarebbero statisticamente titolari di contratti a tempo determinato in percentuale notevolmente più alta rispetto alle lavoratrici di cittadinanza italiana.
Relativamente, poi, all’esclusione dal beneficio delle lavoratrici madri con contratti di lavoro domestico, le censure denunciano la violazione dei medesimi parametri costituzionali e interposti, con esclusione soltanto di quello concernente la clausola 4, punto 1, dell’Allegato alla direttiva 1999/70/CE.
5.– Con atto depositato il 17 dicembre 2024, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate.
In rito, l’Avvocatura ha sostenuto l’inammissibilità delle censure, in quanto «dichiaratamente volt[e] a ottenere una sentenza manipolativa additiva al di fuori dei casi previsti dalla giurisprudenza costituzionale». In mancanza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, la Corte non potrebbe intervenire estendendo la platea delle beneficiarie dell’esonero contributivo, oggetto delle norme censurate.
Inoltre, il giudice rimettente non avrebbe tentato una interpretazione costituzionalmente orientata, onde graduare la misura dell’esenzione riconosciuta.
Nel merito, l’Avvocatura reputa le questioni non fondate per molteplici ragioni.
In primo luogo, la misura non sarebbe strutturale, ma sperimentale, sì da non determinare una permanente differenziazione di trattamento tra le lavoratrici a termine e quelle a tempo indeterminato. La limitazione soggettiva e temporale dell’esonero troverebbe del resto spiegazione nella ristrettezza delle risorse finanziarie a disposizione, «le quali hanno consentito, in questa prima fase di applicazione del beneficio (all’interno della complessiva manovra di finanza pubblica adottata con la legge di bilancio 2024), la fruibilità dell’esonero contributivo soltanto all’attuale platea».
Viceversa, l’estensione dell’agevolazione anche «alle lavoratrici con rapporto di lavoro a tempo determinato o alle lavoratrici con rapporto di lavoro domestico, senza condizionalità o limiti di contingentamento della platea dei beneficiari, avrebbe compromesso e comprometterebbe l’incisività del beneficio, tenuto conto proprio del vincolo rappresentato dal reperimento della necessaria copertura finanziaria, ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione».
In secondo luogo, la difesa erariale evidenzia che, nel disegno di legge di bilancio 2025, in corso di approvazione al momento del deposito dell’atto di intervento, è prevista una rimodulazione dell’esonero, con un suo prolungamento temporale e con un ampliamento della platea delle madri beneficiarie alle lavoratrici a tempo determinato.
Infine, quanto al lavoro domestico, l’Avvocatura nega che tale rapporto sia integralmente assimilabile a quello dipendente e sottolinea come l’aliquota contributiva a carico delle lavoratrici domestiche sia già di per sé ridotta, essendo «intorno al 5%».
L’esclusione dal beneficio in argomento sarebbe motivata, pertanto, dalla vigenza di un regime previdenziale già di per sé più favorevole rispetto alla totalità dei lavoratori dipendenti e «non determinerebbe quindi alcuna disparità di trattamento, essendo, invero, trattate in modo diverso situazioni diverse».
6.– Nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale si sono costituite alcune delle parti del giudizio a quo.
6.1.– L’INPS ha chiesto di dichiarare parzialmente inammissibili e, comunque, non fondate le questioni.
6.1.1.– In rito, ha rilevato che le quattro lavoratrici non avrebbero dimostrato di possedere i requisiti per usufruire, in ipotesi di accoglimento delle censure, dell’esonero contributivo previsto dalle norme censurate, il che comporterebbe l’irrilevanza delle questioni relativamente alla loro posizione.
In particolare, una delle ricorrenti nel giudizio principale avrebbe prodotto solo una busta-paga del 2023, omettendo di dimostrare che, in caso di accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale, l’esonero contributivo l’avrebbe riguardata, posto che le norme censurate trovano applicazione a partire dall’anno 2024.
Le altre tre ricorrenti, benché risultino aver lavorato nel corso dell’anno 2024, avrebbero, invece, omesso di allegare sia l’effettiva trattenuta della quota contributiva a carico del prestatore di lavoro, da parte del datore di lavoro, sia il versamento effettuato all’ente previdenziale. Una di loro poi non avrebbe prodotto alcuna attestazione concernente il suo essere madre di due o più figli.
A ulteriore dimostrazione dell’asserita irrilevanza delle questioni, la difesa dell’INPS osserva, inoltre, che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, l’unico soggetto legittimato ad agire per l’eventuale recupero della contribuzione non dovuta sarebbe il datore di lavoro, in quanto tenuto per legge al versamento anche della quota contributiva posta a carico del lavoratore.
Nel merito, la difesa dell’ente previdenziale muove dalla premessa che il sistema di previdenza sociale garantisce ai lavoratori l’erogazione delle prestazioni previdenziali anche in caso di omesso versamento dei contributi (art. 2116 del codice civile). Di conseguenza, sostiene che lo sgravio contributivo garantito alle lavoratrici madri con contratto di lavoro a tempo indeterminato costituisca un’eccezione alle regole generali, che determina la traslazione del contributo non versato a carico della collettività.
L’eventuale estensione dell’esonero alle categorie escluse si risolverebbe, pertanto, secondo l’ente previdenziale, nell’inammissibile ampliamento di un privilegio, a scapito della collettività.
6.1.2.– In data 19 maggio 2025, l’INPS ha depositato una memoria integrativa, con la quale ha insistito affinché la Corte dichiari inammissibili e, comunque, non fondate le questioni sollevate.
A integrazione delle difese svolte, l’istituto previdenziale ha segnalato l’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027), il cui art. 1, commi 219 e 220, ha rimodulato l’esonero contributivo previsto dalle norme censurate.
Inoltre, l’ente previdenziale ha esposto alcuni dati elaborati dal proprio ufficio statistico, che quantificano in 218 milioni di euro per il 2024 e 61,4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026 i costi che deriverebbero dall’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale.
A tali costi si dovrebbero aggiungere quelli connessi ad altri tipi di sgravio riconosciuti dal legislatore per lo stesso periodo, con riferimento all’assunzione di lavoratrici, «ovverosia lo sgravio previsto e disciplinato dall’art. 23 del d.l. n. 60/2024, conv.to con modif.ni dalla l. n. 95/2024, denominato "Bonus donne”», che introduce uno sgravio totale sulla contribuzione posta a carico dei datori di lavoro privati, nel periodo 1° settembre 2024-31 dicembre 2025, della durata di 24 mesi, se assumono donne con contratti di lavoro a tempo indeterminato.
Ha rammentato anche «l’art. 29 del d.l. n. 19/2024, conv.to con modif.ni dalla l. n. 56/2024, che al comma 15° prevede uno sgravio totale della contribuzione posta a carico del datore di lavoro domestico, in caso di assunzioni o trasformazioni a tempo indeterminato di contratti di lavoro domestico con mansioni di assistente a soggetti anziani, con una età anagrafica di almeno ottanta anni, già titolari dell’indennità di accompagnamento».
Infine, ha ribadito che sarebbe impossibile ricondurre l’esonero contributivo oggetto delle norme censurate alla categoria delle prestazioni previdenziali o assistenziali, non potendosi ritenere che esso sia vòlto a sopperire a una situazione di bisogno primario delle lavoratrici.
Pertanto, davanti «un privilegio che esonera alcune categorie di lavoratrici dal finanziamento al sistema obbligatorio di previdenza sociale, appare del tutto legittimo riconoscere al legislatore l’individuazione di quelle categorie di soggetti per le quali tale beneficio possa essere introdotto».
Di qui, secondo l’ente previdenziale, la non fondatezza delle questioni, anche sulla scia della recente sentenza di questa Corte n. 40 del 2025, che ha escluso una violazione degli artt. 3 e 31 Cost., nel caso della mancata estensione, alle madri cittadine extra Ue richiedenti la protezione internazionale, dell’assegno temporaneo per i figli minori, previsto dal decreto-legge 8 giugno 2021, n. 79 (Misure urgenti in materia di assegno temporaneo per figli minori), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2021, n. 112.
Quanto agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione europea, l’INPS distingue tra la asserita violazione della clausola 4 dell’Allegato alla direttiva 1999/70/CE e il presunto contrasto con le direttive in materia di condizioni di lavoro.
Sotto il primo aspetto, la difesa dell’ente previdenziale evidenzia come la clausola 4 riguardi le condizioni di impiego e non possa riferirsi alla disciplina legislativa nazionale in tema di sicurezza sociale.
Sotto il secondo aspetto, l’INPS rileva come nessuna delle direttive citate dal rimettente riguardi l’agevolazione oggetto delle norme censurate, con conseguente esclusione della discriminazione evocata.
6.2.– Si sono costituite in giudizio anche due delle ricorrenti nel processo principale, APN e ASGI aps, che hanno insistito per l’accoglimento delle questioni sollevate.
Le due associazioni hanno evidenziato che le lavoratrici appartenenti alle categorie escluse avrebbero goduto – ove l’esonero contributivo fosse stato previsto in loro favore – di una retribuzione netta maggiore di quella percepita, pari alla quota contributiva, posta a loro carico nei periodi considerati dal legislatore.
A sostegno della fondatezza, APN e ASGI aps hanno richiamato anzitutto la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di discriminazione indiretta tra cui, in particolare, la recente sentenza 29 luglio 2024, in cause riunite C-184/22 e C-185/2022, IK e CM.
La pronuncia, benché resa in materia di lavoro a tempo parziale, avrebbe fissato dei principi valevoli anche nelle questioni in esame.
Da un lato, essa ha affermato che la clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale del 6 giugno 1997, allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES – che vieta la disparità di trattamento in danno ai lavoratori part-time e che è corrispondente alla clausola 4 dell’accordo quadro in materia di lavoro a tempo determinato – costituisce un principio del diritto dell’Unione europea non interpretabile in senso restrittivo.
Da un altro lato, in base alla ricostruzione delle richiamate associazioni, la Corte di giustizia ha ravvisato una discriminazione indiretta, che pregiudica le lavoratrici donne, in ragione della «presenza statisticamente più elevata delle lavoratrici tra i titolari di un contratto a tempo parziale».
Su queste basi, le due associazioni ritengono che un’analoga discriminazione indiretta, lesiva delle lavoratrici straniere per ragioni di nazionalità, emerga con riguardo alla normativa censurata dal tribunale milanese. I dati statistici dimostrerebbero la loro maggiore presenza nell’ambito sia del lavoro a tempo determinato, sia di quello domestico.
Inoltre, non emergerebbero ragioni oggettive a sostegno del diverso trattamento riservato alle categorie escluse.
Sul versante dei parametri interni (artt. 3 e 31 Cost.), la difesa delle parti private sostiene la mancanza di qualsiasi ragionevole motivazione correlata alla ratio della disciplina censurata, idonea a escludere la violazione dell’art. 3 Cost.
La misura adottata dal legislatore non perseguirebbe alcuna finalità legittima in rapporto ai contratti esclusi e, dunque, sarebbe incostituzionale, nella parte in cui limita la platea delle madri lavoratrici beneficiarie.
7.– Con atti depositati, rispettivamente, il 16 e il 17 dicembre 2024, sono state presentate – e successivamente ammesse con decreto Presidenziale del 30 aprile 2025, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale – le opinioni di due associazioni rappresentative degli interessi dei lavoratori, l’Associazione professionale e sindacale (ANIEF) e l’Associazione Comma 2-Lavoro è dignità, che hanno sostenuto la fondatezza delle questioni sollevate dal Tribunale di Milano.
8.– Nell’udienza pubblica dell’11 giugno 2025, l’Avvocatura generale dello Stato e la difesa delle parti hanno insistito per le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza in epigrafe (reg. ord. n. 217 del 2024), il Tribunale di Milano, sezione lavoro, solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 180 e 181, della legge n. 213 del 2023, nella parte in cui non estende, alle lavoratrici con rapporto di lavoro dipendente a tempo determinato e a quelle con contratto di lavoro domestico, l’esonero dal pagamento della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, previsto per gli anni 2024-2026 a favore delle lavoratrici con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, che siano madri di tre o più figli, sino al raggiungimento del diciottesimo anno d’età del più piccolo e, per l’anno 2024, sempre a beneficio delle medesime lavoratrici che siano madri di due figli, sino al raggiungimento del decimo anno d’età di quello più piccolo.
Il rimettente ritiene che la disciplina censurata, nella parte in cui non include anche le lavoratrici madri con contratti a tempo determinato, violi gli artt. 3, 31 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione alla clausola 4, punto 1, dell’Allegato alla direttiva 1999/70/CE, comportando una discriminazione diretta.
Inoltre, la richiamata normativa realizzerebbe una discriminazione indiretta, correlata al profilo della nazionalità, in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 11, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109/CE, all’art. 24 della direttiva 2004/58/CE, all’art. 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/98/UE e all’art. 16, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2021/1883/UE.
Lo stesso tipo di discriminazione indiretta viene poi ravvisata anche con riguardo all’esclusione, dal perimetro applicativo dell’art. 1, commi 180 e 181, della legge n. 213 del 2023, delle lavoratrici madri con contratti di lavoro domestico; esclusione con riferimento alla quale viene parimenti lamentata una violazione degli artt. 3 e 31 Cost.
2.– Tanto l’Avvocatura generale dello Stato, quanto la difesa dell’INPS hanno sollevato eccezioni di inammissibilità.
2.1.– In particolare, l’INPS ha sostenuto che le questioni siano irrilevanti sotto due profili.
Le quattro lavoratrici ricorrenti nel giudizio a quo non avrebbero dimostrato di possedere i requisiti per usufruire, in ipotesi di accoglimento delle questioni, dell’esonero contributivo previsto dalle norme censurate.
Inoltre, nelle controversie concernenti l’indebito contributivo, il solo soggetto legittimato ad agire con la condictio indebiti sarebbe il datore di lavoro, in quanto tenuto al versamento anche della quota posta a carico del lavoratore. Pertanto, l’eventuale fondatezza delle questioni non consentirebbe al rimettente di accogliere le relative domande fatte valere dalle lavoratrici.
2.2.– Ambedue le eccezioni non sono fondate.
2.2.1.– Quanto alla prima, occorre rilevare che il giudice a quo ha illustrato, in termini non implausibili, le ragioni per le quali le quattro lavoratrici sarebbero in possesso dei requisiti per accedere all’esonero contributivo, ove l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina venisse da questa Corte esteso alle titolari di contratti a tempo determinato.
In ogni caso, nel processo principale, le azioni individuali delle lavoratrici madri si aggiungono a quelle collettive promosse dalle associazioni, il che è sufficiente a fondare la rilevanza delle questioni, dovendosi escludere che la Corte possa scindere ratione personarum la valutazione concernente tale aspetto, dichiarando inammissibili le questioni solo là dove riguardino alcuni dei ricorrenti (sentenza n. 44 del 2020).
2.2.2.– Per ragioni analoghe, correlate al cumulo delle domande avanzate nel giudizio principale, risulta non fondata anche la seconda eccezione.
Nel giudizio a quo sono state proposte, infatti, domande ulteriori rispetto alla mera condictio indebiti, con riferimento alle quali la legittimazione delle parti attrici non è stata contestata dall’ente previdenziale ed è stata implicitamente ammessa dal giudice rimettente.
Tanto appare sufficiente a giustificare la rilevanza delle questioni.
3.– Venendo alle eccezioni di rito sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato, occorre esaminare, anzitutto, quella secondo cui l’intervento additivo richiesto a questa Corte rivestirebbe un carattere marcatamente manipolativo, che inciderebbe sulla sfera di discrezionalità riservata al legislatore, in quanto finalizzato a introdurre interventi correttivi in una disciplina che presenta spiccate peculiarità.
L’eccezione, non fondata nella sua radicalità, segnala tuttavia un nodo problematico connesso alla molteplicità degli interventi normativi susseguitisi nel tempo e che è necessario ricostruire, nei termini che seguono.
4.– In via preliminare, deve considerarsi che le norme oggetto delle odierne questioni, che dettano una disciplina operante nel triennio 2024-2026, sono state affiancate da una successiva normativa, avente una funzione integrativa, quanto al biennio 2025-2026, e una funzione di regolamentazione a regime, decorrente dall’anno 2027.
Va, al riguardo, precisato che simili interventi normativi non impongono la restituzione degli atti al rimettente.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, lo ius superveniens che incida solo parzialmente sulla norma della cui legittimità costituzionale si dubita, lasciando sostanzialmente immutato il nucleo normativo oggetto di censura e non alterando i profili di illegittimità costituzionale prospettati dal rimettente, non impone la restituzione degli atti (ex multis, sentenze n. 215 del 2023, n. 30 del 2021 e n. 203 del 2016).
Nel caso in esame, le norme censurate non sono state modificate, ma solo affiancate, per le annualità successive, da ulteriori previsioni dettate a favore anche di una sola categoria di lavoratrici madri, quelle a tempo determinato, di cui le censure lamentano l’esclusione.
5.– Occorre ora ricostruire il complessivo quadro normativo.
5.1.– Venendo, dunque, alle norme censurate, la prima si rinviene nell’art. 1, comma 180, della legge n. 213 del 2023, che, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026, ha disposto un esonero totale e senza limiti di reddito, ma nel limite massimo annuo di tremila euro riparametrato su base mensile, dal pagamento della quota di contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore a favore delle sole lavoratrici con rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ove siano madri di tre o più figli, sino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo.
Vi si aggiunge la previsione di cui al successivo comma 181 del medesimo art. 1, parimenti censurato, che ha riconosciuto «in via sperimentale», per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, un esonero totale e senza limiti di reddito sempre esclusivamente a beneficio delle lavoratrici con rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ove siano madri di due figli, sino al mese del compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo.
Va, peraltro, precisato, dal punto di vista dell’inquadramento sistematico, che l’art. 1, comma 15, della legge n. 213 del 2023 ha disposto, per il 2024, in ordine a tutti i rapporti di lavoro dipendente, non solo a tempo indeterminato ma anche a tempo determinato, con la sola eccezione di quelli di lavoro domestico, un generale esonero, di base, dei contributi previdenziali a carico del lavoratore di sei o sette punti percentuali, a seconda della retribuzione imponibile percepita dallo stesso, purché questa non superi determinate soglie.
Ai sensi della suddetta disposizione, infatti, «[i]n via eccezionale, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, per i rapporti di lavoro dipendente, con esclusione dei rapporti di lavoro domestico, è riconosciuto un esonero, senza effetti sul rateo di tredicesima, sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore di 6 punti percentuali, a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non ecceda l’importo mensile di 2.692 euro, al netto del rateo di tredicesima. L’esonero di cui al primo periodo è incrementato, senza effetti sul rateo di tredicesima, di un ulteriore punto percentuale, a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non ecceda l’importo mensile di 1.923 euro, al netto del rateo di tredicesima. Tenuto conto dell’eccezionalità della misura di cui al presente comma, resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche».
Va anche sottolineato che, come chiarito dalla circolare INPS n. 27 del 2024, «l’esonero di cui all’articolo 1, commi 180 e 181, della legge di Bilancio 2024, risulta strutturalmente alternativo all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (quota IVS) a carico del lavoratore previsto dall’articolo 1, comma 15, della medesima legge. […] Laddove sussistano i presupposti legittimanti per l’applicazione di entrambe le misure, quindi, queste possono trovare sostanziale applicazione soltanto in via alternativa tra di loro».
La medesima circolare rileva, al riguardo, che, per le retribuzioni mensili pari a 2.692 euro, l’onere contributivo massimo che può essere sostenuto dalla lavoratrice, ipotizzando un’aliquota contributiva del 9,19 per cento, è pari a 247,39 euro. Il che significa che le lavoratrici, a tempo indeterminato o determinato, cui è applicabile l’art. 1, comma 15, della legge n. 213 del 2023 beneficiano, ipotizzando le medesime condizioni di aliquota e retribuzione, di un esonero contributivo, nella misura di circa 161 euro mensili.
5.2.– Nella pendenza del presente giudizio è stato poi introdotto l’art. 1, comma 219, della legge n. 207 del 2024, che ha ridefinito in senso parzialmente estensivo l’esonero contributivo in favore delle lavoratrici madri, limitatamente agli anni 2025-2026, e ha previsto una disciplina a regime che decorre dal 2027.
Nello specifico, per il citato biennio, la platea delle beneficiarie è stata estesa a tutte le lavoratrici dipendenti, con esclusione dei rapporti di lavoro domestico, nonché a quelle autonome, che percepiscano almeno una tra varie tipologie di redditi (da lavoro autonomo, d’impresa in contabilità ordinaria, d’impresa in contabilità semplificata o da partecipazione) e non abbiano optato per il regime forfettario.
Il nuovo esonero contributivo riconosciuto ha assunto tutt’altra portata rispetto a quella prevista dalle norme censurate, dal momento che è stato rapportato a un limite di reddito, evitando quindi di assumere effetto regressivo, come nel caso dell’esonero disposto per l’annualità 2024, che ha di fatto favorito le persone più abbienti, giacché quanto più alta è stata la retribuzione, tanto più alto è stato l’esonero (sia pure nel limite massimo annuo di tremila euro, pari a 250 euro mensili).
Il nuovo esonero, che è contenuto entro il limite di spesa di 300 milioni di euro annui, per come novellamente disciplinato, è stato infatti riferito alle sole lavoratrici madri che abbiano una retribuzione o un reddito imponibile ai fini previdenziali di importo non superiore a 40.000 euro su base annua.
Infine, è un esonero parziale, fermo restando che la sua effettiva misura, le modalità di attribuzione e le procedure da rispettare, per tenere conto del limite di spesa, sono state rimesse a un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 207 del 2024.
Con i citati limiti, il beneficio è stato attribuito alle richiamate categorie di lavoratrici, qualora siano madri di due o più figli, sino al mese in cui il più piccolo compie il decimo anno di età, relativamente agli anni 2025-2026, e, qualora siano madri di tre o più figli, sino al mese del compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo, a decorrere dall’anno 2027.
5.3.– Di seguito, in data successiva alla stessa udienza di discussione, con l’art. 6 del decreto-legge 30 giugno 2025, n. 95 (Disposizioni urgenti per il finanziamento di attività economiche e imprese, nonché interventi di carattere sociale e in materia di infrastrutture, trasporti ed enti territoriali), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2025, n. 118, il quadro normativo è ulteriormente mutato.
L’articolo citato ha, infatti, modificato la legge n. 207 del 2024, eliminando dal comma 219 il riferimento all’anno 2025. Per tale annualità l’esonero contributivo ivi previsto è stato sostituito dall’attribuzione «alle lavoratrici madri dipendenti, con esclusione dei rapporti di lavoro domestico, e alle lavoratrici madri autonome […] con due figli e fino al mese del compimento del decimo anno da parte del secondo figlio [di] una somma, non imponibile ai fini fiscali e contributivi, pari a 40 euro mensili, per ogni mese o frazione di mese di vigenza del rapporto di lavoro o dell’attività di lavoro autonomo». La medesima somma di 40 euro mensili è stata poi riconosciuta alle lavoratrici rientranti nelle citate categorie che abbiano «più di due figli […] fino al mese di compimento del diciottesimo anno del figlio più piccolo, per ogni mese o frazione di mese di vigenza del rapporto di lavoro o dell’attività di lavoro autonomo».
Entrambi i benefici restano subordinati alla sussistenza di una retribuzione o di un reddito imponibile ai fini previdenziali non superiore a 40.000 euro su base annua e sono condizionati alla presentazione di una domanda.
5.4.– In definitiva, guardando alle categorie di lavoratrici interessate dal presente giudizio, il quadro risultante dalla complessa successione degli interventi normativi può essere come di seguito compendiato.
Relativamente all’anno 2024, si è creato un doppio regime: da un lato, quello del parziale esonero contributivo, generalizzato per le lavoratrici sia a tempo determinato che indeterminato, di sei o sette punti per le retribuzioni che non superano, rispettivamente, i 2.692 e i 1.923 euro (art. 1, comma 15, della legge n. 213 del 2023); dall’altro, alternativo però a quello ora menzionato, il regime dell’esonero totale per le sole lavoratrici con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza limiti di reddito e fino a 3.000 euro, qualora siano madri di due figli, sino al compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo (art. 1, comma 181, della legge n. 213 del 2023), e, qualora siano madri di tre o più figli, sino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo (art. 1, comma 180, della legge n. 213 del 2023).
Quanto all’anno 2025, le sole lavoratrici a tempo indeterminato hanno diritto all’esonero totale e senza limiti di reddito, se sono madri di tre o più figli, sino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo (art. 1, comma 180, della legge n. 213 del 2023). Viceversa, le lavoratrici a tempo determinato, che siano madri di due figli, sino al compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo (art. 6, comma 2, primo periodo, del d.l. n. 95 del 2025, come convertito), nonché quelle con più di due figli, sino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo (art. 6, comma 2, secondo periodo, del medesimo decreto legge, come convertito), hanno diritto all’esonero per la somma di 40 euro mensili, purché abbiano un reddito non superiore a 40.000 euro annui e facciano richiesta del beneficio. Il medesimo trattamento trova applicazione anche alle lavoratrici a tempo indeterminato che abbiano due figli, sino al compimento del decimo anno di età del secondo figlio (art. 6, comma 2, primo periodo, del medesimo decreto-legge, come convertito).
Ancora, per l’anno 2026, all’esonero totale e senza limiti di reddito previsto per le lavoratrici a tempo indeterminato con tre o più figli, sino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo (art. 1, comma 180, della legge n. 213 del 2023), si affianca un esonero parziale, nella misura che sarà indicata da un emanando decreto interministeriale e sempre in presenza di un reddito non superiore a 40.000 euro annui, a favore delle lavoratrici a tempo determinato che abbiano due o più figli, sino al compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo. Il medesimo trattamento, sempre per l’anno 2026, spetta anche alle lavoratrici a tempo indeterminato che abbiano due figli, sino al compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo (art. 1, comma 219, della legge n. 207 del 2024).
A decorrere dall’anno 2027, il trattamento giuridico, quanto all’esonero contributivo delle lavoratrici con contratti di lavoro dipendente, viene uniformato (art. 1, comma 219, della legge n. 207 del 2024).
Resta ferma l’esclusione delle lavoratrici madri titolari di contratti di lavoro domestico sia dai benefici previsti per il triennio 2024-2026, sia dalla disciplina a regime.
6.– Tutto ciò premesso, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, 31 e 117, primo comma, Cost. sono inammissibili.
La tecnica della normazione temporanea e sperimentale ben può essere funzionale a verificare, in relazione alle risorse disponibili, la più adeguata configurazione del beneficio attribuibile, avendo riguardo alla sua entità e ai possibili criteri correlati alla ratio dell’istituto: ovverosia, il numero dei figli, la loro età, il reddito delle destinatarie del beneficio o altri.
Tuttavia, non può tacersi che le disposizioni di cui all’art. 1, commi 180 e 181, della legge n. 213 del 2023 presentano – in un contesto di risorse limitate e rispetto al quadro sistematico – diverse criticità.
Non è oggettivamente chiara la loro ratio.
Esse introducono un esonero totale dalla contribuzione che favorisce le categorie più abbienti, data l’assenza di un limite di reddito o di retribuzione e considerata la sola previsione del tetto massimo di 3.000 euro, ma escludono del tutto la categoria delle madri con contratto di lavoro a tempo determinato; queste ultime, tuttavia, non sono del tutto pretermesse, sul piano sistematico, in quanto comunque beneficiano, fino a una certa soglia di retribuzione, del generale, ma parziale, esonero contributivo di cui all’art. 1, comma 15 della stessa legge, senza però che venga in considerazione la circostanza del loro essere madri.
La sola categoria del tutto esclusa da ogni beneficio è quindi, in realtà, nell’ambito ora considerato, quella delle madri con contratto di lavoro a tempo determinato la cui retribuzione imponibile mensile supera i 2.692 euro, dove, invece, quelle a tempo indeterminato che superano anch’esse tale importo, data l’alternatività tra l’esonero totale e quello parziale di cui di cui all’art. 1, comma 15, della legge n. 213 del 2023, non possono cumularli e usufruiscono solo del primo (pari al massimo a 250 euro mensili).
Tuttavia, in questo quadro complessivo sopra descritto, a questa Corte, nonostante le criticità rilevate, è impedito, nel limite dei suoi poteri, intervenire per estendere la platea delle destinatarie.
Viene peraltro in rilievo che il legislatore si è gradualmente corretto, fino a giungere alla sostanziale parificazione delle fattispecie delle lavoratrici a tempo determinato e indeterminato. Dato normativo, questo, di sicura rilevanza, coerentemente con quanto statuito nei casi decisi da questa Corte con le sentenze n. 75 del 2025, n. 262 del 2020 e n. 187 del 2016.
Per le ragioni esposte, le questioni concernenti l’omessa considerazione – nelle norme censurate – delle lavoratrici madri titolari di contratti a tempo determinato sono inammissibili, a fronte di quella maggiore discrezionalità che deve essere riconosciuta al legislatore nell’ambito di un percorso sperimentale transitorio e caratterizzato da graduali correzioni, fermo restando che non ogni siffatto intervento legislativo può però, per ciò solo, essere considerato costituzionalmente non illegittimo (sentenza n. 111 del 2024).
7.– Parimenti inammissibili sono anche le censure sollevate, sempre in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, con riguardo all’esclusione dalle norme censurate delle lavoratrici domestiche madri di due o più figli; esclusione rimasta tal quale anche nel sopravvenuto quadro normativo.
I contributi dovuti all’INPS dalle lavoratrici titolari di contratti di lavoro domestico si collocano, infatti, nell’ambito di una disciplina speciale che presenta profili di peculiarità, nel calcolo, rispetto a quella concernente le altre lavoratrici dipendenti; peculiarità correlate primariamente alla natura non imprenditoriale dei datori di lavoro. In particolare, i contributi per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (quota IVS) complessivamente dovuti (dal datore di lavoro e dalla lavoratrice domestica) sono inferiori a quelli che devono essere corrisposti nel caso degli altri rapporti di lavoro dipendente.
Il carattere speciale del trattamento previdenziale previsto per i rapporti di lavoro domestico induce, dunque, a escludere la possibilità per questa Corte di procedere a un’uniformazione della disciplina a quella prevista per gli altri contratti di lavoro dipendente.
8– Le declaratorie di inammissibilità che precedono, tuttavia, non esimono questa Corte dal sollecitare il legislatore a dare coerenza sistematica dell’intero disegno nel cruciale percorso di sostegno alle lavoratrici madri, in un Paese in cui il tasso di natalità è tra i più bassi d’Europa, identificando interventi strutturali che abbiano capacità di sostenere appieno la maternità.
9– Per le ragioni esposte, tutte le censure sollevate in riferimento agli artt. 3, 31 e 117, primo comma, Cost. sono inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 180 e 181, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione sia alla clausola 4, punto 1, dell’Allegato (Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato) alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, sia all’art. 11, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, sia all’art. 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, sia all’art. 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva (UE) 2011/98 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro, sia, infine, all’art. 16, paragrafo 1, lettera a), della direttiva (UE) 2021/1883 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2021, sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, e che abroga la direttiva 2009/50/CE del Consiglio, dal Tribunale ordinario di Milano, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2025
La versione anonimizzata è conforme, nel testo, all'originale