Sentenza n. 87 del 2024

SENTENZA N. 87

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA;

Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Piemonte 24 aprile 2023, n. 6 (Bilancio di previsione finanziario 2023-2025), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23 giugno 2023, depositato in cancelleria il 27 giugno 2023, iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;

udita nell’udienza pubblica del 20 marzo 2024 la Giudice relatrice Antonella Sciarrone Alibrandi;

uditi l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Letizia Mazzarelli per la Regione Piemonte;

deliberato nella camera di consiglio del 20 marzo 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 27 giugno 2023 (reg. ric. n. 21 del 2023), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 8 della legge della Regione Piemonte 24 aprile 2023, n. 6 (Bilancio di previsione finanziario 2023-2025), in riferimento agli artt. 5, 120 e 117, terzo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1, commi 173 e 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005), nella parte in cui – sostituendo il comma 2 dell’art. 14 della legge della Regione Piemonte 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di previsione finanziario 2016-2018 e disposizioni finanziarie) – dispone che il già previsto trasferimento di cassa in favore della gestione sanitaria, da prelevare dal conto di tesoreria della gestione ordinaria, è prorogato fino al 2032 (mentre in precedenza si prevedeva dovesse concludersi entro il 2026) e sono diversamente modulati, anno per anno, gli importi da trasferire e da destinare alla riduzione dei residui passivi verso le aziende sanitarie regionali risultanti al 31 dicembre 2015.

1.1.– Il ricorrente premette che nel testo originario dell’art. 14, comma 2, della legge regionale n. 24 del 2016 erano stati determinati importi e tempistica secondo cui realizzare la restituzione integrale, entro il 2026, della liquidità regionale dovuta nei confronti del Servizio sanitario regionale (SSR) – e pari a 1.505 milioni di euro –, sulla base di quanto disposto in esito alle riunioni del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e del Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza (LEA), riferiti al periodo in cui la Regione Piemonte era in piano di rientro dal disavanzo sanitario.

La difesa statale ricorda, infatti, che dal 29 luglio 2010 al 21 marzo 2017 la Regione era stata assoggettata al «Piano di rientro di riqualificazione e riorganizzazione e di individuazione degli interventi per il perseguimento dell’equilibrio economico ai sensi dell’articolo 1, commi 173 e 180, della legge 30 dicembre 2004». Precisa, inoltre, che le citate disposizioni, nonché l’intesa Stato - regioni del 23 marzo 2005, hanno previsto forme di affiancamento del Governo centrale – e in specie del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, nell’ambito del Sistema nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria (SiVeAS) – alle regioni che sottoscrivano gli accordi contenenti i piani di rientro dal disavanzo sanitario, come, ad esempio, la preventiva approvazione dei provvedimenti predisposti dalle singole regioni in attuazione di quanto previsto nei rispettivi piani.

Nella specie, la difesa statale ricorda che, con riferimento allo stato patrimoniale regionale relativo all’anno 2015, i predetti tavoli tecnici avevano rilevato che «sulla base di quanto comunicato dalla Regione, erano emerse risorse extra-FSR assegnate e non erogate agli enti del SSR e somme prelevate dal c/c di tesoreria da parte della Regione per finalità non sanitarie per complessivi 1 miliardo e 505 milioni di euro, per la sola parte corrente». La necessità di trovare una soluzione a tale situazione, di evidente gravità, era stata presa in considerazione in sede di valutazione della conclusione positiva del piano di rientro dal disavanzo sanitario e si era richiesto alla Regione di far conoscere le iniziative che sarebbero state adottate per la restituzione al SSR dell’importo complessivamente dovuto.

Rispetto a una prima proposta di restituzione delle somme presentata dalla Regione nella riunione del 16 novembre del 2016, i citati tavoli tecnici chiedevano che si prevedesse un numero di annualità non superiore a dieci (2017-2026) e, in particolare, che dal 2017 al 2022 fosse garantito il trasferimento di cassa in favore della gestione sanitaria per importi pari a 65 milioni di euro annui per il 2017 e per il 2018, e a 113 milioni di euro annui per ogni esercizio dal 2019 al 2022, da destinare alla riduzione dei residui passivi verso le aziende sanitarie regionali risultanti al 31 dicembre 2015.

Il ricorrente ricorda che, nella riunione del 21 marzo 2017 (in occasione della quale il piano di rientro si è concluso), i tavoli tecnici avevano preso atto dell’approvazione della legge reg. Piemonte n. 24 del 2016 che, all’art. 14, comma 2, aveva disposto quanto da essi richiesto e concludevano che, pertanto, il programma di restituzione della liquidità al SSR per 1.505 milioni di euro rifletteva quanto richiesto dai medesimi nella riunione del 16 novembre 2016.

1.2.– Tanto premesso, il ricorrente ritiene che l’art. 8 della legge reg. Piemonte n. 6 del 2023, là dove prevede, per la restituzione delle somme sottratte alla gestione sanitaria, tempi più lunghi (con integrale restituzione posticipata dal 2026 al 2032) e, di conseguenza, importi annui ridotti, sia intervenuto sul descritto meccanismo restitutorio, modificando unilateralmente l’art. 14, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 24 del 2016, in contrasto con le risultanze e i presupposti assunti nell’analisi dei predetti organi di monitoraggio, a composizione mista regionale-statale (tavolo tecnico e Comitato permanente).

In sostanza, l’intervento normativo regionale verrebbe a modificare il contenuto delle intese a suo tempo raggiunte fra Stato e Regione in ordine alla descritta restituzione delle risorse del SSR da parte dell’ente regionale, in assenza di alcuna modifica delle medesime intese né di alcuna interlocuzione preventiva fra la Regione Piemonte e le amministrazioni statali competenti (in specie, il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero della salute) e, quindi, in violazione del canone di leale collaborazione che deve informare i rapporti tra Stato e regioni (artt. 5 e 120 Cost.).

Inoltre, premesso che, per costante giurisprudenza costituzionale, l’autonomia legislativa concorrente delle regioni nel settore della tutela della salute e, in particolare, nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento delle spese, il ricorrente ravvisa, sotto un profilo concorrente, la violazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1, commi 173 e 180, della legge n. 311 del 2004.

Quest’ultima disposizione (l’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004) – come confermato successivamente dall’art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», e dall’art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)» – ha stabilito un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica consistente nella vincolatività per le regioni degli interventi contemplati nel piano di rientro dal disavanzo sanitario. La disposizione regionale impugnata, di conseguenza, costituirebbe un’ipotesi di violazione degli accordi derivanti dall’attuazione del piano di rientro, cui la Regione era all’epoca assoggettata, e quindi di violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

2.– La Regione Piemonte si è costituita in giudizio e ha chiesto che le questioni promosse vengano dichiarate non fondate.

2.1.– La difesa regionale ricorda anzitutto che, nella riunione del 21 marzo 2017 del tavolo tecnico e del Comitato permanente, è stata disposta la cessazione delle misure previste dal «Piano di rientro di riqualificazione e riorganizzazione e di individuazione degli interventi per il perseguimento dell’equilibrio economico ai sensi dell’articolo 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004» per la Regione Piemonte.

Essa ritiene, inoltre, che la disposizione regionale impugnata non impedisca il raggiungimento dell’obiettivo comune, sancito nella ricordata riunione, che consisterebbe nella riduzione dei residui passivi verso le aziende sanitarie regionali, risultanti alla data del 31 dicembre 2015, attraverso la restituzione di 1.505 milioni di euro. Il mero prolungamento temporale del programma di restituzione, lungi dal pregiudicare l’obiettivo comune concordato nel tavolo tecnico del 21 marzo 2017, apparirebbe ragionevole, in quanto determinato dal radicale mutamento delle circostanze di fatto. A tal proposito, la difesa regionale ricorda che, negli anni 2020-2022, la Regione aveva dovuto investire ingenti risorse per far fronte, dapprima, alle esigenze connesse alla pandemia, poi al rincaro dei costi delle materie prime e dell’energia. Inoltre, la drastica riduzione del fondo di cassa della Regione sarebbe derivata, da un lato, dal ritardo nei trasferimenti delle risorse da parte dello Stato, e, dall’altro, dalla previsione di restituzioni allo Stato – introdotte da varie norme statali a far data dal 2022 – di somme dovute a vario titolo.

In questo contesto, l’erogazione degli importi più elevati che, in base a quanto concordato nelle riunioni del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali, si sarebbero dovuti versare sul conto sanitario a partire dal 2023, avrebbero pregiudicato il pagamento dei debiti, mantenuti a residuo, a favore dei beneficiari non sanitari rispetto ai quali sarebbe comunque doveroso un adempimento tempestivo. Le modifiche introdotte dalla disposizione regionale impugnata risulterebbero, dunque, ragionevoli e sostenibili, in quanto, operando un corretto bilanciamento tra le opposte esigenze, consentirebbero all’ente regionale di onorare l’impegno assunto nella citata riunione del 21 marzo 2017 e, al contempo, di non paralizzare del tutto il proprio operato nei molteplici ambiti, diversi da quello sanitario, nei quali lo stesso ente è chiamato a intervenire.

Peraltro, in virtù dei trasferimenti di cassa ricevuti dalla Regione, il sistema delle ASL, dal 2017, avendo a disposizione la liquidità necessaria, avrebbe garantito il rispetto scrupoloso dei tempi dei pagamenti dei debiti commerciali secondo quanto previsto dalla direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Non sarebbe necessario, pertanto, a partire dal 2023, un flusso di cassa raddoppiato rispetto agli anni precedenti, né si correrebbe alcun rischio di una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea nei confronti dello Stato italiano, in quanto i tempi di pagamento delle transazioni commerciali stabiliti dalla citata direttiva 2011/7/UE sarebbero stati pienamente rispettati.

Ad avviso della Regione, la disposizione impugnata non si porrebbe quindi in contrasto con il piano di rientro, da cui la medesima è uscita a seguito della riunione del 21 marzo 2017, né sarebbe incompatibile con gli impegni assunti nella citata riunione, avendo solo rimodulato i tempi di restituzione della liquidità dovuta al sistema sanitario, senza incidere sul quantum complessivo di tale restituzione.

3.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate negli atti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 8 della legge reg. Piemonte n. 6 del 2023, nella parte in cui ha sostituito il comma 2 dell’art. 14 della legge reg. Piemonte n. 24 del 2016, in riferimento agli artt. 5, 120 e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1, commi 173 e 180, della legge n. 311 del 2004.

Più in dettaglio, la difesa statale censura il citato art. 8 nella parte in cui ha prorogato all’anno 2032 il termine (in origine fissato al 2026) per la restituzione delle somme indebitamente sottratte alla gestione sanitaria e ha diversamente modulato, a partire dal 2023, gli importi da prelevare, anno per anno, dal conto di tesoreria della gestione ordinaria e da destinare alla riduzione dei residui passivi verso le aziende sanitarie regionali, come risultanti alla data del 31 dicembre 2015. Il ricorrente ritiene, infatti, che la disposizione impugnata abbia illegittimamente modificato, in via unilaterale, il contenuto delle intese, recepite nell’art. 14, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 24 del 2016, raggiunte fra Stato e Regione, tramite il tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e il Comitato permanente per la verifica dei LEA, organi a composizione mista regionale-statale, in occasione della riunione del 21 marzo 2017, in cui era stata dichiarata la conclusione positiva del piano di rientro dal disavanzo sanitario.

La difesa statale si duole del fatto che tali modifiche del programma di restituzione delle somme nei confronti del SSR siano state effettuate in assenza di alcuna previa intesa modificativa, né di alcuna interlocuzione preventiva fra la Regione Piemonte e le amministrazioni statali competenti (in specie, il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero della salute) e, quindi, in violazione del canone di leale collaborazione che deve informare i rapporti tra Stato e regioni (artt. 5 e 120 Cost.).

La disposizione regionale impugnata, ad avviso del ricorrente, sarebbe, sotto un concorrente profilo, lesiva dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1, commi 173 e 180, della legge n. 311 del 2004, considerato che l’autonomia legislativa concorrente delle regioni nel settore della tutela della salute e, in particolare, nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento delle spese, «peraltro in un “quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario” (cfr. sentenze n. 91/2012 e n. 193/2007)».

L’impugnato art. 8 si porrebbe, poi, in specifico contrasto con gli accordi inerenti all’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, cui la Regione era stata assoggettata dal 29 luglio 2010 al 21 marzo 2017, accordi la cui vincolatività per le regioni sottoposte ai medesimi piani costituisce un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica espressamente stabilito dall’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004 e ribadito dall’art. 1, comma 796, lettera b), della legge n. 296 del 2006, nonché dall’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009.

2.‒ In via preliminare, occorre precisare che, dal tenore complessivo del ricorso, pur formulato in maniera molto sintetica, si evince che il ricorrente ravvisa la violazione congiunta dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., e del principio di leale collaborazione, che si sarebbe realizzata per effetto delle modifiche apportate in modo unilaterale dalla Regione Piemonte al programma di restituzione delle somme indebitamente sottratte alla gestione sanitaria e impiegate per finalità diverse. Il programma – come detto ‒ era stato concordato con i rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della salute presenti nel tavolo tecnico e nel Comitato permanente, organi a composizione mista regionale-statale, e definito in occasione della riunione del 21 marzo 2017, in cui era stata dichiarata la conclusione positiva del piano di rientro dal disavanzo sanitario cui la Regione Piemonte era stata assoggettata a partire dal 29 luglio 2010.

L’illegittimità costituzionale di tali modifiche unilaterali è, infatti, denunciata richiamando sia la giurisprudenza di questa Corte sui limiti, in generale, che la regione incontra nell’esercizio della sua competenza «nell’ambito della gestione del servizio sanitario [...] alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa», in un «quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario» (sentenza n. 193 del 2007); sia la specifica configurazione, come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, del principio di vincolatività dei piani di rientro dal disavanzo sanitario regionale e dei connessi programmi operativi, sottoscritti dallo Stato e dalle regioni in disavanzo, da cui discende il divieto in capo alle regioni sottoposte a tali piani di adottare provvedimenti contrastanti con tutti gli specifici interventi ivi indicati.

Peraltro, una simile duplice prospettazione della questione si riflette nelle norme statali interposte evocate dal ricorrente, che non risultano tra loro sovrapponibili: la prima, e cioè l’art. 1, comma 173, della legge n. 311 del 2004, contempla, infatti, un generale principio – su cui ci si soffermerà più avanti (punto 4) – di definizione concordata fra Stato e regioni delle misure volte a realizzare gli obiettivi di mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema sanitario regionale (con conseguenti vincoli reciproci: dello Stato, quanto all’erogazione dei finanziamenti pattuiti, e della regione, quanto al rispetto degli obiettivi concordati); la seconda, e cioè l’art. 1, comma 180, della medesima legge n. 311 del 2004, contiene, invece, lo specifico principio di vincolatività dei piani di rientro e dei successivi programmi operativi, sottoscritti da Stato e regione, e il conseguente divieto per le regioni di adottare leggi e/o provvedimenti contrastanti con gli interventi indicati nei medesimi piani o programmi, nel periodo di vigenza di questi ultimi.

3.‒ In via preliminare, è agevole rilevare che – in linea con la giurisprudenza costante di questa Corte secondo cui «nell’individuazione della materia cui ascrivere una determinata norma, […] occorre considerarne ratio, finalità e contenuti, tralasciando aspetti marginali ed effetti riflessi» (sentenza n. 267 del 2022) – la disposizione regionale impugnata deve ricondursi alle materie di competenza regionale concorrente del coordinamento della finanza pubblica e della tutela della salute.

Essa, infatti, nel disciplinare la restituzione, da parte della Regione, di somme in precedenza sottratte alla gestione sanitaria regionale e impiegate per finalità diverse, mira ad assicurare un finanziamento del Servizio sanitario regionale che sia, al contempo, coerente con gli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento dei costi, nonché con la garanzia di un servizio sanitario efficiente e idoneo a erogare le prestazioni sanitarie nel rispetto degli standard costituzionali. In sostanza, la medesima intende «realizzare una gestione della funzione sanitaria pubblica efficiente e capace di rispondere alle istanze dei cittadini coerentemente con le regole di bilancio» (sentenza n. 190 del 2022).

4.‒ Sulla base di tali premesse deve dichiararsi fondata la questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., innanzitutto in relazione ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica stabiliti dall’art. 1, comma 173, della legge n. 311 del 2004, anche avuto riguardo al principio di leale collaborazione.

4.1.‒ Occorre, anzitutto, ricordare che il citato art. 1, comma 173, della legge n. 311 del 2004 ha dato ulteriore forma al modello pattizio di «regolazione finanziaria tra Stato e Regioni nel settore sanitario» (sentenza n. 36 del 2005), inaugurato dall’accordo sancito in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano il 3 agosto 2000, poi seguito dall’accordo dell’8 agosto 2001 tra Governo, le regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano recante integrazioni e modifiche agli accordi sanciti il 3 agosto 2000 (repertorio atti 1004) e il 22 marzo 2001 (repertorio atti 1210) in materia sanitaria, e, in specie, attuato mediante i cosiddetti patti per la salute, frutto di intese raggiunte sempre in sede di Conferenza permanente Stato - Regioni - Province autonome, nel cui ambito si determinano, a un tempo, l’entità del concorso dello Stato al finanziamento del Servizio sanitario nazionale (SSN) e i puntuali adempimenti delle regioni, in un’ottica di incentivo e di condizionalità.

Sulla medesima linea si colloca la legge finanziaria per il 2005 (la legge n. 311 del 2004) che, proprio con l’art. 1, comma 173, ha vincolato l’accesso al finanziamento statale integrativo (previsto dal precedente comma 164) alla stipula di una intesa Stato -regioni, volta a garantire – fra l’altro – il monitoraggio della spesa sanitaria regionale in vista dell’obiettivo del rispetto da parte delle regioni del mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario del sistema sanitario regionale.

In quest’intesa – siglata il 23 marzo 2005 in sede di Conferenza permanente Stato - Regioni - Province autonome – si è stabilito, fra l’altro, all’art. 6, che le regioni si impegnano a garantire con la propria programmazione l’equilibrio economico-finanziario delle proprie aziende sanitarie, e a realizzare forme di verifica trimestrale, nonché a rispettare l’obbligo di adottare le misure necessarie alla riconduzione in equilibrio della gestione.

Solo ove si verifichi una situazione di squilibrio, corrispondente ad un disavanzo pari o superiore al 5 per cento (secondo la formula vigente, introdotta dall’art. 2, comma 77, della legge n. 191 del 2009, che ha recepito l’intesa del 3 dicembre 2009), la regione deve presentare un piano di rientro (già previsto dal comma 180 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004), di durata non superiore al triennio, che, una volta approvato dalla regione e sottoposto al parere della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica (di cui all’art. 3, comma 2, dell’intesa del 3 dicembre 2009) e della Conferenza permanente Stato - Regioni - Province autonome, va approvato dal Consiglio dei ministri (art. 2, commi 78 e 79, della legge n. 191 del 2009). Per tutto il tempo della vigenza di questo piano, alla regione è impedito di adottare qualsiasi provvedimento anche legislativo che sia di ostacolo alla sua attuazione e che incida sulle misure in esso previste; come pure è escluso che la medesima possa introdurre livelli di assistenza sanitaria ulteriori rispetto a quelli essenziali e, quindi, possa esprimere una propria politica sanitaria. Inoltre, in caso di mancata completa attuazione nel triennio, il piano può essere proseguito, con i medesimi effetti, «secondo programmi operativi» volti al «raggiungimento degli obiettivi strutturali del piano stesso» ai sensi dell’art. 15, comma 20, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, costituendo tali strumenti, come questa Corte ha avuto più volte occasione di affermare, espressione del «principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e del correlato principio di coordinamento della finanza pubblica» (sentenza n. 190 del 2022), in vista del superamento della situazione di disavanzo.

4.1.1.‒ Dal quadro normativo sin qui richiamato emerge in modo chiaro che, a partire dal 2000, il modulo concertativo-pattizio costituisce il modello generale di disciplina del finanziamento del servizio sanitario, a prescindere dalla specifica situazione in cui si addivenga alla sottoscrizione del piano di rientro dal disavanzo sanitario e, quindi, indipendentemente dalle peculiari conseguenze che solo quest’ultimo determina.

È un dato di esperienza che «la vigente legislazione di finanziamento del servizio sanitario nazionale trova origine in una serie di accordi fra Stato e Regioni», sulla cui base sono definite «sia le prestazioni che le Regioni sono tenute a garantire in modo uniforme sul territorio nazionale, sia il corrispondente livello di finanziamento» (sentenza n. 98 del 2007).

Una simile scelta riflette, d’altronde, le peculiarità del settore sanitario e l’inevitabile coinvolgimento in esso di competenze statali e regionali.

Questa Corte ha riconosciuto che dall’intreccio tra profili costituzionali e organizzativi discende l’esercizio su due livelli di governo della funzione sanitaria pubblica. Il livello statale è chiamato a definire le prestazioni che il SSN è tenuto a fornire ai cittadini – cioè, i livelli essenziali di assistenza – e l’ammontare complessivo delle risorse economiche necessarie al loro finanziamento; a quello regionale compete, invece, organizzare sul territorio il rispettivo servizio e garantire l’erogazione delle prestazioni nel rispetto degli standard costituzionalmente conformi (sentenza n. 190 del 2022). Pertanto, «[l]a presenza di due livelli di governo rende necessaria la definizione di un sistema di regole che ne disciplini i rapporti di collaborazione», pur nel rispetto delle reciproche competenze, «al fine di realizzare una gestione della funzione sanitaria pubblica efficiente e capace di rispondere alle istanze dei cittadini coerentemente con le regole di bilancio» (ancora sentenza n. 190 del 2022).

In questa chiave, risulta evidente che, nel settore considerato, la «fisiologica dialettica» fra Stato e regioni deve essere improntata alla «leale collaborazione orientata al bene comune» attraverso cui «il modello pluralistico riconosciuto dalla Costituzione può […] svilupparsi in una prospettiva generativa […] verso la migliore tutela del diritto alla salute» (sentenza n. 40 del 2022). Il che si traduce «in concreto in doveri e aspettative – di informazione, di previsione di strumenti di raccordo e, in generale, di comportamenti realmente collaborativi, corretti e non ostruzionistici, in definitiva, appunto, leali – che non possono che essere reciproci» (sentenza n. 217 del 2020) e riguardare, quindi, anche le regioni, considerata la natura relazionale del richiamato principio (ancora, sentenza n. 217 del 2020).

4.1.2.‒ Nella specie, il piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione Piemonte era stato inizialmente sottoscritto per il triennio 2010-2013 e poi proseguito, a causa del mancato raggiungimento degli obiettivi in esso indicati, mediante i programmi operativi 2013-2015 ‒ predisposti in attuazione dell’art. 15, comma 20, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito ‒ e completati con un anno di ritardo. L’uscita da tale piano era stata, infine, disposta a seguito della valutazione positiva relativa alla conclusione del medesimo, operata nella citata riunione congiunta del tavolo tecnico e del Comitato permanente del 21 marzo 2017.

Tale valutazione positiva – come si evince chiaramente anche dai lavori preparatori dell’art. 14 della legge reg. Piemonte n. 24 del 2016 – era stata compiuta anche in virtù dell’introduzione, da parte della Regione Piemonte, con propria legge, della previsione avente per oggetto il programma decennale di restituzione delle somme (dell’ammontare di circa 1.505 milioni di euro) che, destinate alla gestione sanitaria, erano risultate, in sede di monitoraggio, indebitamente sottratte a quest’ultima e impiegate per altre finalità, con il risultato di mettere le aziende sanitarie regionali nella condizione di non poter adempiere in modo tempestivo ai pagamenti, in violazione della direttiva 2011/7/UE, e di contribuire alla situazione di squilibrio economico-finanziario. Il programma di restituzione delle somme introdotto dall’art. 14, comma 2, della citata legge regionale n. 24 del 2016 era stato peraltro concordato proprio in sede di monitoraggio con il tavolo tecnico e il Comitato permanente, come risulta dal verbale della riunione congiunta del 16 novembre 2016. In quella sede, infatti, i citati organi, pur esprimendo il proprio favore nei confronti della scelta regionale di procedere a una definizione formale della procedura di restituzione della liquidità regionale dovuta nei confronti del SSR, mediante apposita norma da inserire nella legge regionale di assestamento di bilancio per l’anno 2016, avevano chiesto, tuttavia, di contenere la proposta di restituzione in un numero di annualità non superiore alle dieci, formulando altresì una proposta di modulazione annuale degli importi da prelevare dal conto di tesoreria della gestione ordinaria e da destinare alla gestione sanitaria entro il decennio. In base a quest’ultima, si prevedeva che: i) nel 2017 e nel 2018, si sarebbe dovuto operare il trasferimento di cassa in favore della gestione sanitaria per importi pari a 65 milioni di euro all’anno; ii) per ciascuno degli anni 2019-2022, il trasferimento sarebbe stato di 113 milioni di euro annui; iii) infine, con riferimento ai quattro anni successivi (2023-2026), si disponeva un progressivo, forte aumento delle somme da trasferire, corrispondenti all’incirca ai due terzi degli oneri complessivi (923 milioni di euro) in vista del completamento della restituzione.

Nella riunione congiunta del tavolo tecnico e del Comitato permanente del 21 marzo 2017, si dava atto della coerenza del programma di restituzione della liquidità al SSR, «formalmente adottato con legge regionale» come puntualmente definito dall’art. 14 della legge reg. n. 24 del 2016, «con quanto richiesto dai Tavoli nella riunione del 16 novembre 2016» e si affermava che esso «permette di superare i rilievi mossi già in occasione della riunione del 20 aprile 2016 in ordine alla conclusione positiva del Piano di rientro».

Da quanto riportato emerge, dunque, in modo chiaro che la Regione Piemonte, recependo in una propria legge tale programma di restituzione della liquidità al SSR, si era impegnata non solo a realizzare la prevista restituzione, ma anche ad effettuarla nel termine massimo di dieci anni, secondo specifiche modalità che avrebbe ben potuto diversamente modulare, in attuazione di quanto stabilito, in via concordata, dall’art. 6 dell’intesa del 23 marzo 2005, cui rimanda l’art. 1, comma 173, lettera f), della legge n. 311 del 2004, in vista della realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. In altri termini, l’adozione del programma di restituzione entro il termine decennale era stato concordato come misura necessaria a contribuire a garantire il mantenimento dell’appena riconquistato equilibrio economico finanziario delle aziende sanitarie regionali, strumentale anche a consentire la riespansione della politica sanitaria regionale (ad esempio, restituendo la possibilità di prevedere l’erogazione di prestazioni sanitarie extra LEA) proprio per effetto dell’uscita dal piano di rientro.

Con l’impugnato art. 8 della legge regionale n. 6 del 2023, la Regione Piemonte, nel prorogare all’anno 2032 il termine ultimo per la restituzione della parte rimanente della liquidità indebitamente sottratta al SSR, è invece venuta meno, unilateralmente, all’impegno di completare tale restituzione entro il decennio, in tal modo non solo autorizzando il perdurante impiego di somme, originariamente destinate al SSR, ad altre finalità, ma soprattutto violando il principio di definizione concordata degli obiettivi e delle misure di mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema sanitario regionale; principio di definizione concordata desumibile dal richiamato art. 1, comma 173, lettera f), della legge n. 311 del 2004, letto alla luce dell’art. 6 della citata intesa del 23 marzo 2005, che si configura, in armonia con il modulo concertativo-pattizio di disciplina del finanziamento del servizio sanitario da tempo accolto, quale principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Nel rispetto di tale principio – che, nel caso di specie, nonostante la riacquistata libertà di manovra in ambito sanitario, reclama un incisivo ossequio, in presenza di un accordo già raggiunto proprio in ordine alle modalità temporali di restituzione delle somme indebitamente sottratte al SSR –, la Regione Piemonte, in vista dell’esercizio della propria competenza legislativa concorrente inerente alla gestione del Servizio sanitario regionale, ben avrebbe potuto – e dovuto, nello spirito di leale collaborazione «“che, nel caso di specie, si colora della doverosa cooperazione per assicurare il migliore servizio alla collettività” (sentenza n. 62 del 2020)» (sentenza n. 190 del 2022) – promuovere un’interlocuzione con le amministrazioni statali competenti al fine di rappresentare loro le ragioni dell’asserita sopravvenuta insostenibilità del completamento del programma di restituzione decennale delle liquidità, concordato nel 2017, anche alla luce del dichiarato radicale mutamento delle condizioni di fatto in ragione, fra l’altro, della pandemia da COVID-19 e della crisi economica conseguente, per eventualmente giungere alla definizione, necessariamente concordata, di un diverso termine finale entro il quale modulare il trasferimento di cassa, in relazione ai singoli esercizi finanziari.

Ciò sempre alla luce del comune e superiore scopo di assicurare una gestione del servizio sanitario efficiente e capace di rispondere alle istanze dei cittadini in coerenza con le regole di bilancio e in linea con il rispetto degli obblighi eurounitari e con la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.

Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Piemonte n. 6 del 2023, nella parte in cui, nel sostituire il comma 2 dell’art. 14 della legge reg. Piemonte n. 24 del 2016, ha stabilito, unilateralmente, che «2. A decorrere dall’esercizio 2023 e fino all'esercizio 2032 è garantito il trasferimento di cassa in favore della gestione sanitaria da prelevare dal conto di tesoreria della gestione ordinaria, per importi, riferiti a ciascun anno, pari a 93.000.000,00 negli esercizi dal 2023 al 2025 e a euro 92.000.000,00 negli esercizi dal 2026 al 2032, da destinare alla riduzione dei residui passivi verso le aziende sanitarie regionali al 31 dicembre 2015.», invece che «2. A decorrere dall'esercizio 2023 e fino all'esercizio 2026 è garantito il trasferimento di cassa in favore della gestione sanitaria da prelevare dal conto di tesoreria della gestione ordinaria, di un importo complessivo pari a 923 milioni di euro, da destinare alla riduzione dei residui passivi verso le aziende sanitarie regionali al 31 dicembre 2015», secondo modalità rimesse a successiva legge regionale.

Resta salva, ovviamente, la possibilità che la Regione Piemonte e lo Stato addivengano a un nuovo accordo sul complessivo programma di restituzione delle somme.

5.‒ Restano assorbite le censure promosse in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Piemonte 24 aprile 2023, n. 6 (Bilancio di previsione finanziario 2023-2025), nella parte in cui, nel sostituire il comma 2 dell’art. 14 della legge Regione Piemonte 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di previsione finanziario 2016-2018 e disposizioni finanziarie), ha stabilito che «2. A decorrere dall’esercizio 2023 e fino all’esercizio 2032 è garantito il trasferimento di cassa in favore della gestione sanitaria da prelevare dal conto di tesoreria della gestione ordinaria, per importi, riferiti a ciascun anno, pari a 93.000.000,00 negli esercizi dal 2023 al 2025 e a euro 92.000.000,00 negli esercizi dal 2026 al 2032, da destinare alla riduzione dei residui passivi verso le aziende sanitarie regionali al 31 dicembre 2015.», invece che «2. A decorrere dall’esercizio 2023 e fino all’esercizio 2026 è garantito il trasferimento di cassa in favore della gestione sanitaria da prelevare dal conto di tesoreria della gestione ordinaria, di un importo complessivo pari a 923 milioni di euro, da destinare alla riduzione dei residui passivi verso le aziende sanitarie regionali al 31 dicembre 2015», secondo modalità rimesse a successiva legge regionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 14 maggio 2024