Ordinanza n. 81 del 2024

ORDINANZA N. 81

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come aggiunto dall’art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215, promosso dal Giudice di pace di Milano, sezione prima civile, nel procedimento vertente tra C. C. e l’Agenzia delle entrate – Riscossione, con ordinanza del 1° giugno 2023, iscritta al n. 135 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visto l’atto di costituzione di C. C.;

udito nell’udienza pubblica del 5 marzo 2024 il Giudice relatore Luca Antonini;

udito l’avvocato Giovanni Battista Conte per C. C.;

deliberato nella camera di consiglio del 5 marzo 2024.

Ritenuto che, con ordinanza del 1° giugno 2023, iscritta al n. 135 del registro ordinanze 2023, il Giudice di pace di Milano, sezione prima civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 77, 111, 113 e 117 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come aggiunto dall’art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215;

che la norma prevede che «[l]’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione»;

che in punto di fatto il giudice a quo riferisce che dette questioni sono sorte nel corso di un giudizio di opposizione all’esecuzione promosso ai sensi dell’art. 615 del codice di procedura civile, con atto di citazione con il quale il contribuente assumeva di avere appreso, consultando l’estratto di ruolo, dell’esistenza di quattro cartelle di pagamento non pagate a proprio carico, con indicate le relative date di notifica, ma in realtà «mai giunte alla sua conoscenza o comunque affette da vizi insanabili», aventi ad oggetto sanzioni «per Violazioni del Codice della Strada»;

che in punto di rilevanza il rimettente ritiene, in particolare, che «la questione assuma grande rilievo sia per il cospicuo contenzioso pendente […] sia per le perplessità che sorgono alla luce della soluzione suggerita dalla Suprema Corte a SS.UU. in ordine all’efficacia retroattiva di una norma emanata a mezzo decretazione d’urgenza»;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene, in primo luogo, che vi sarebbe il contrasto con l’art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza, in quanto la tipizzazione disposta dalla norma censurata delle fattispecie per le quali è stata ammessa l’impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento sarebbe «alquanto riduttiv[a] e discriminerebbe tutti i contribuenti che non operano con la pubblica amministrazione ma che dalla iscrizione a ruolo del debito erariale subiscono un pregiudizio»;

che vi sarebbe inoltre violazione dell’art. 24 Cost. per lesione del diritto di difesa, in quanto la nuova disciplina, per un verso, «attenendosi al dettato normativo, precluderebbe al contribuente la possibilità di poter liberamente adire la Giustizia in presenza di errori da parte dell’Amministrazione Finanziaria», posticipandola «ad un momento successivo al sorgere dell’interesse ad agire e perciò ad un momento in cui è possibile che alcuni effetti lesivi dell’atto poss[ano] già essersi prodotti»; dall’altro negherebbe «il diritto di tutti “ad un equo processo” riservandolo solo a coloro che intrattengono rapporti con la pubblica amministrazione»;

che il giudice a quo prospetta anche la violazione dell’art. 77, commi primo e secondo, Cost. in quanto, da un lato, la norma censurata sarebbe stata «promulgata in assenza del requisito di specifica necessità e urgenza», e, dall’altro, «[n]ella fattispecie de qua il Governo, senza delegazione delle Camere, ha emanato il D.L. 146/2021 senza alcuna legge delega» sebbene la norma censurata «disciplin[i] una materia, quale quella della giustizia e dell’accesso alla stessa, che è riservata al potere normativo del Parlamento»;

che, inoltre, secondo il rimettente vi sarebbe la violazione degli artt. 111 e 113 Cost., in quanto la norma censurata avrebbe «introdotto nell’ordinamento una utilità solo ed esclusivamente a favore della P.A.», precludendo «il diritto di difesa del contribuente, restringendolo a soli tre casi tassativi sempre ad esclusivo appannaggio della P.A.»;

che, infine, secondo il rimettente la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 117 Cost., in quanto «sorgono dubbi in ordine alla adozione di misure urgenti di giustizia tributaria in assenza di legge delega a mezzo di Decreto Legge», sicché «il comma 4-bis aggiunto all’articolo 12 del citato D.P.R. 602/1973 appare illegittimo per essere stato introdotto incostituzionalmente a mezzo decretazione d’urgenza»;

che con atto depositato il 30 ottobre 2023 si è costituito in giudizio C. C., parte nel giudizio a quo, che ha argomentato sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale e ne ha chiesto l’accoglimento, evidenziando che la sentenza di questa Corte n. 190 del 2023 avrebbe «espressamente riconosciuto l’esistenza di un vulnus che discende dalla disposizione impugnata» attinente alla tutela giurisdizionale del contribuente e che si sarebbe aggravata nel corso del tempo;

che pertanto questa Corte sarebbe tenuta a «(nuovamente) intervenire in materia», adottando, questa volta, «una sentenza additiva di principio», poiché l’invito rivolto al legislatore di porre rimedio al riscontrato vulnus non ha avuto alcun seguito e, pertanto, «l’inerzia del legislatore […] impone un nuovo intervento in materia del giudice costituzionale»;

che la parte ha depositato memoria con la quale ha ribadito le argomentazioni difensive contenute nell’atto di costituzione;

che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio.

Considerato che il rimettente evidenzia che le questioni, sollevate sull’art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602 del 1973, come aggiunto dall’art. 3-bis del d.l. n. 146 del 2021, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 24, 77, 111, 113 e 117 Cost., sono sorte nel corso di un giudizio di opposizione all’esecuzione promosso ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., con atto di citazione con il quale il contribuente assumeva di avere appreso, consultando l’estratto di ruolo, dell’esistenza di quattro cartelle di pagamento non pagate a proprio carico, con indicate le relative date di notifica;

che, motivando sulla rilevanza, l’ordinanza di rimessione, analogamente a quella iscritta al n. 95 del reg. ord. 2023, le cui questioni sono state dichiarate inammissibili da questa Corte con la sentenza n. 190 del 2023, si è limitata ad allegare, in modo del tutto generico e avulso dai fatti di causa, che «la questione assum[e] grande rilievo sia per il cospicuo contenzioso pendente [...] sia per le perplessità che sorgono alla luce della soluzione suggerita dalla Suprema Corte a SS.UU. in ordine all’efficacia retroattiva di una norma emanata a mezzo decretazione d’urgenza», senza fornire alcun chiarimento sull’effettiva validità o meno delle notifiche effettuate dall’Agenzia delle entrate – Riscossione (ADER);

che l’unico riferimento alle notifiche risulta, peraltro, contraddittorio, in quanto, da un lato, si richiamano le difese del contribuente in ordine all’esistenza delle quattro cartelle esattoriali «mai giunte alla sua conoscenza o comunque affette da vizi insanabili», aventi ad oggetto sanzioni «per Violazioni del Codice della Strada»;

che, tuttavia, dall’altro, si riporta l’argomentazione difensiva dell’ADER che ha assunto «di aver regolarmente notificato le prefate cartelle esattoriali»;

che il rimettente avrebbe dovuto indicare le concrete modalità utilizzate per la notificazione delle suddette cartelle, chiarendo se le stesse fossero state o meno regolarmente effettuate;

che difatti l’accertata eventuale validità delle notifiche degli atti impositivi avrebbe comportato l’irrilevanza delle questioni sollevate;

che una tale descrizione della fattispecie concreta, del tutto insufficiente, rende impossibile verificare se la norma denunciata debba essere effettivamente applicata per definire il giudizio principale e se le ragioni esposte a sostegno dei dubbi di illegittimità costituzionale abbiano una qualche attinenza con il caso concreto oggetto del medesimo giudizio;

che tale insufficiente descrizione si traduce in un’incolmabile lacuna della motivazione sulla rilevanza delle questioni (ex plurimis, sentenze n. 28 del 2022, n. 114 del 2021 e n. 254 del 2020);

che, in ogni caso, questa Corte, nella richiamata sentenza n. 190 del 2023, ha precisato che il «rimedio alla situazione che si è prodotta per effetto della norma censurata coinvolge però profili rimessi – quanto alle forme e alle modalità – alla discrezionalità del legislatore e non spetta, almeno in prima battuta, a questa Corte»;

che in relazione alla «indefettibile esigenza di superare, in definitiva, la grave vulnerabilità ed inefficienza, anche con riferimento al sistema delle notifiche, che ancora affligge il sistema italiano della riscossione», la citata sentenza ha, altresì, formulato «il pressante auspicio», che non può che essere ribadito in questa sede, «che il Governo dia efficace attuazione ai princìpi e criteri direttivi per la revisione del sistema nazionale della riscossione contenuti nella delega conferitagli dall’art. 18 della legge 9 agosto 2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale)»;

che, pertanto, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 77, 111, 113 e 117 Cost. devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come aggiunto all’art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 77, 111, 113 e 117 della Costituzione, dal Giudice di pace di Milano, sezione prima civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2024

Il Direttore della Cancelleria