SENTENZA N. 207
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Augusto Antonio BARBERA;
Giudici: Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 625, primo comma, numero 2), del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di M. E., con ordinanza del 3 ottobre 2022, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 2023 il Giudice relatore Stefano Petitti;
deliberato nella camera di consiglio dell’8 novembre 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 3 ottobre 2022, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, primo comma, numero 2), del codice penale – per violazione degli artt. 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione – «nella parte in cui non richiede – per l’integrazione della circostanza aggravante della violenza sulle cose – che la cosa oggetto di violenza abbia un valore economico apprezzabile, per quanto modesto, o, in alternativa, che la violenza esplicata sia tale da comportare un pericolo per l’integrità delle persone o delle cose circostanti».
Il giudice a quo riferisce di dover giudicare su un’imputazione di tentato furto aggravato da violenza sulle cose ed esposizione alla pubblica fede, in relazione ad atti di impossessamento di capi di abbigliamento esposti in un esercizio commerciale, da uno dei quali l’imputato avrebbe rimosso la placca antitaccheggio.
1.1.– Circa la rilevanza delle questioni, il Tribunale di Firenze osserva che, per costante giurisprudenza di legittimità, la manomissione del dispositivo antitaccheggio applicato sulla merce in vendita negli esercizi commerciali integra l’aggravante prevista dalla norma censurata.
Non sarebbe quindi praticabile un’interpretazione costituzionalmente conforme, idonea ad adeguare la norma stessa al principio di offensività, che il rimettente considera violato in uno al finalismo rieducativo della pena.
1.2.– Circa la non manifesta infondatezza delle questioni stesse, il giudice a quo rammenta che la circostanza in questione è un’aggravante ad effetto speciale, – giunge anzi a definirla aggravante ad effetto «molto speciale» – poiché ne deriva la quadruplicazione del minimo edittale di pena detentiva del reato-base (due anni di reclusione anziché sei mesi) e il raddoppio del massimo (sei anni anziché tre), trattamento sanzionatorio che quindi «incide pesantemente sul bene fondamentale della libertà personale».
Ne risulterebbe violato il principio di offensività, enucleabile dagli artt. 13 e 25, secondo comma, Cost., poiché al giudice non sarebbe consentito di apprezzare la lesività del fatto in concreto, che, nel caso dell’effrazione della placca antitaccheggio, potrebbe essere inconsistente, atteso «il valore irrisorio del citato dispositivo (al più, nell’ordine di alcuni centesimi di euro)» e «lo strumento utilizzato (una banale tronchesina)».
L’aggravante in questione non rifletterebbe neppure una maggiore intensità del dolo, trattandosi di una circostanza di natura oggettiva, né potendosi comunque evincere una particolare gravità soggettiva dalla manomissione di un oggetto privo di valore.
Sarebbe del pari violato l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto l’applicazione dell’aumento di pena per l’aggravante in questione, «a fronte della rottura di una cosa di valore irrisorio mediante una violenza minimale, determina un trattamento sanzionatorio palesemente sproporzionato e quindi impossibile da accettare come giusto da parte del reo, con conseguente ostacolo alla funzione rieducativa della pena».
1.3.– Pertanto, il rimettente chiede un «intervento manipolativo» di questa Corte, «che incida già in astratto sulla disposizione normativa, individuando espressamente nell’offesa ad un bene giuridico uno degli elementi costitutivi dell’aggravante, sì da imporre la verifica della relativa sussistenza al giudice penale chiamato ad applicare la norma».
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni non fondate.
L’interveniente deduce che l’aumento di pena per violenza sulle cose, con riferimento al dispositivo antitaccheggio, non intende tutelare il valore economico dell’oggetto, ma assicurare che esso possa assolvere la funzione di protezione della merce esposta; essendo il furto un reato contro il patrimonio, neppure potrebbe esigersi che, ai fini dell’aggravante in questione, dalla condotta di effrazione della placca derivi una situazione di pericolo per l’integrità delle persone o delle cose circostanti.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 134 del 2022), il Tribunale di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, primo comma, numero 2), cod. pen., «nella parte in cui non richiede – per l’integrazione della circostanza aggravante della violenza sulle cose – che la cosa oggetto di violenza abbia un valore economico apprezzabile, per quanto modesto, o, in alternativa, che la violenza esplicata sia tale da comportare un pericolo per l’integrità delle persone o delle cose circostanti».
La mancata previsione di questi elementi costitutivi dell’aggravante porrebbe la norma in contrasto con il principio di offensività del reato, desumibile dagli artt. 13 e 25, secondo comma, Cost., e con la finalità rieducativa della pena, sotto il profilo del difetto di proporzionalità, di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.
1.1.– Il giudice a quo riferisce di dover giudicare su un’imputazione di tentato furto aggravato da violenza sulle cose ed esposizione alla pubblica fede, relativo all’impossessamento di un capo di abbigliamento con rimozione del dispositivo antitaccheggio mediante tronchesina.
Ad avviso del rimettente, il notevole inasprimento sanzionatorio determinato dall’applicazione dell’aggravante della violenza sulle cose sarebbe ingiustificato sotto il profilo dell’offensività, atteso «il valore irrisorio del citato dispositivo», il che impedirebbe alla pena di essere percepita come giusta dall’autore del reato, e quindi di svolgere nei suoi confronti la funzione rieducativa.
1.2.– Il Tribunale di Firenze sollecita pertanto un «intervento manipolativo» di questa Corte, che subordini l’applicazione dell’aggravante in questione alla sussistenza di elementi idonei a garantire la reale offensività del fatto circostanziale (quindi, appunto, che la cosa oggetto di violenza abbia «un valore economico apprezzabile» o che la violenza esercitata su di essa comporti «un pericolo per l’integrità delle persone o delle cose circostanti»).
2.– Le questioni non sono fondate.
3.– La norma censurata individua tra le circostanze aggravanti del reato di furto la cosiddetta violenza reale («se il colpevole usa violenza sulle cose»).
La nozione di tale tipo di violenza è data dall’art. 392, secondo comma, cod. pen., dettato a proposito dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, per cui «[a]gli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione».
Questa nozione comune viene riferita dalla giurisprudenza di legittimità anche alla violenza sulle cose quale aggravante del furto (tra molte, Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 9 giugno-5 settembre 2022, n. 32441).
3.1.– Così intesa, la violenza sulle cose, prevista dall’art. 625, primo comma, numero 2), cod. pen., è una “violenza-mezzo”, non fine a se stessa, ma strumento di un reato-fine, che è appunto il furto.
Il furto aggravato da violenza reale si configura quindi come un reato complesso, a norma dell’art. 84 cod. pen., in quanto la legge considera aggravante un fatto che già di per sé può costituire reato, segnatamente il reato di danneggiamento.
In tale ipotesi, la giurisprudenza di legittimità esclude pertanto il concorso di reati, poiché la violenza reale è in rapporto funzionale con il furto e quindi il danneggiamento resta in quest’ultimo assorbito (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 28 febbraio-6 luglio 2022, n. 25953).
3.2.– Tali rilievi trovano puntuale applicazione nella fattispecie oggetto del giudizio principale, cioè nell’ipotesi del furto consumato o tentato mediante rimozione della placca antitaccheggio (dispositivo apposto sulla merce, il quale, interagendo con le barriere situate ai varchi di uscita dell’esercizio commerciale, segnala con un’emissione acustica che la merce stessa sta per essere portata fuori dall’esercizio senza essere presentata alla cassa).
Infatti, per costante giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità dell’aggravante della violenza sulle cose ex art. 625, primo comma, numero 2), cod. pen., non è necessario che la violenza venga esercitata direttamente sulla res oggetto dell’impossessamento, ben potendo l’aggravante configurarsi anche quando la violenza sia rivolta allo strumento materiale apposto sulla cosa per garantirne una più efficace difesa, ciò che si verifica appunto in caso di manomissione della placca antitaccheggio inserita sulla merce offerta in vendita nei grandi magazzini, destinata ad attivare i segnalatori acustici ai varchi di uscita (tra tante, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 9 giugno-5 settembre 2023, n. 36786).
La Corte di cassazione rimarca che la violenza sulla cosa esercitata tramite rimozione della placca antitaccheggio ha natura eminentemente funzionale, poiché tale condotta, oltre a determinare sul piano strutturale una trasformazione oggettiva della cosa protetta, privata di una componente essenziale, sotto il profilo funzionale preclude lo scopo difensivo, rendendo inefficace il sistema antifurto (sezione quinta penale, sentenza 5 maggio-16 giugno 2023, n. 26242).
3.3.– Come osservato dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, l’impostazione delle questioni sollevate dal Tribunale di Firenze denuncia una mancata considerazione del profilo funzionale, giacché esse risultano focalizzate sull’aspetto, in realtà secondario, del valore intrinseco del congegno predisposto a difesa della merce.
Da questo difetto di impostazione deriva la richiesta del giudice a quo di integrare gli elementi costitutivi dell’aggravante con riferimenti invero ultronei, ora inerenti al «valore economico» della cosa oggetto di violenza, ora ad un non meglio specificato «pericolo per l’integrità delle persone o delle cose circostanti».
3.4.– Occorre allora ribadire che la ratio della disposizione censurata attiene al danno funzionale della violenza reale, la quale, come già detto, atteggia il furto a reato complesso, intrinsecamente più grave del reato semplice.
È d’altronde assunto tradizionale che la circostanza in questione segnali una maggiore gravità del fatto-reato, tanto sul piano oggettivo, per la più severa lesione portata alla res, quanto su quello soggettivo, per il dolo più intenso dell’autore che usa violenza sulle cose.
Nel prevedere siffatta circostanza aggravante, il legislatore ha dunque esercitato la discrezionalità che gli compete nella dosimetria penale, senza trasmodare in opzioni arbitrarie o manifestamente irragionevoli.
Né – alla luce delle superiori considerazioni – risulta violato il principio di offensività, nel duplice significato che questa Corte attribuisce ad esso, come precetto rivolto al legislatore affinché limiti la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, esprimano un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (offensività “in astratto”) e come criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice affinché, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, eviti di ricondurre a quest’ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (offensività “in concreto”) (tra molte, sentenze n. 139 del 2023 e n. 211 del 2022).
3.5.– Neppure è fondata l’ulteriore censura formulata dal rimettente in relazione all’art. 27, terzo comma, Cost., sotto il profilo del difetto di proporzionalità della pena. Il giudice a quo denuncia infatti la notevole incidenza sul trattamento sanzionatorio del furto dell’aggravante della violenza sulle cose, da lui icasticamente definita aggravante ad effetto «molto speciale».
Il rimettente ritiene quindi eccessiva la misura dell’aggravamento sanzionatorio di cui alla norma censurata. In effetti, l’art. 1, comma 7, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), ha incrementato il minimo edittale della pena detentiva da un anno a due anni di reclusione, oltre ad aumentare l’entità della multa.
In proposito deve osservarsi che ciò è avvenuto nel quadro di un generale inasprimento sanzionatorio della tutela penale del patrimonio, che ha indotto questa Corte a rilevare come «la pressione punitiva attualmente esercitata riguardo ai delitti contro il patrimonio è ormai diventata estremamente rilevante», richiedendo perciò «attenta considerazione da parte del legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa, dei beni giuridici tutelati dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato» (sentenza n. 190 del 2020, poi ripresa dalla sentenza n. 117 del 2021).
Nel corrispondere a questa indicazione di sistema, il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) ha, tra l’altro, ampliato lo spazio operativo dell’esimente per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen., la quale invero è oggi applicabile, ricorrendone gli ulteriori estremi, anche alla fattispecie oggetto del giudizio principale (tentato furto aggravato da violenza sulle cose ed esposizione alla pubblica fede).
Richiamate le considerazioni svolte in precedenza in ordine alle peculiari caratteristiche della condotta in questione (punto 3.4.), il sopravvenuto alleggerimento dello statuto normativo del titolo di reato – cui concorre, seppure su un diverso piano, la procedibilità a querela introdotta dall’art. 2, comma 1, lettera i), dello stesso d.lgs. n. 150 del 2022 tramite sostituzione dell’art. 624, terzo comma, cod. pen. – induce ad escludere la fondatezza anche della censura in esame.
4.– Per tutto quanto esposto, le questioni in scrutinio devono essere dichiarate non fondate.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, primo comma, numero 2), del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 novembre 2023.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2023