Ordinanza n. 83 del 2023

ORDINANZA N. 83

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 12, in combinato disposto con l’art. 9, comma 2, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, recante «Revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, lettere a), secondo periodo, e d), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti al comma 3, lettera f), e al comma 6», promosso dal Giudice di pace di La Spezia nel procedimento vertente tra Università degli studi Guglielmo Marconi e G.J. C., con ordinanza del 13 aprile 2022, iscritta al n. 106 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2023 il Giudice relatore Franco Modugno;

deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2023.


Ritenuto che, con ordinanza del 13 aprile 2022 (reg. ord. n. 106 del 2022), il Giudice di pace di La Spezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 33, quarto comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 12, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, recante «Revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, lettere a), secondo periodo, e d), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti al comma 3, lettera f), e al comma 6», in combinato disposto con il comma 2 dello stesso articolo;

che l’ordinanza di rimessione è stata pronunciata nell’ambito del procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo che lo studente G.J. C., titolare di borsa di studio, aveva ottenuto al fine di ricevere il rimborso dei costi universitari da parte dell’Università degli studi Guglielmo Marconi;

che il rimettente premette all’illustrazione delle questioni di legittimità costituzionale una lunga descrizione della «crescita esponenziale» delle università non statali, fra cui specifico rilievo assumono le università telematiche – quale è la parte opponente nel giudizio a quo – che erogano corsi a distanza, con l’impiego di tecnologie di comunicazione innovative, per cui starebbero «riscuotendo sempre più successo» e dimostrando come «la formazione a distanza e la didattica online stiano entrando sempre più a far parte della nostra cultura»;

che l’Università Guglielmo Marconi è stata istituita con d.m. 1° marzo 2004 e che essa, ai fini dell’accesso a contributi pubblici, rientrerebbe fra le università non statali legalmente riconosciute di cui alla legge 29 luglio 1991, n. 243 (Università non statali legalmente riconosciute);

che, ai sensi dell’art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 68 del 2012, gli enti universitari sono tenuti ad esonerare dal pagamento delle tasse e dei contributi universitari tutti gli studenti che risultino vincitori di borsa di studio o che abbiano un handicap quantificato in misura pari o superiore al sessantasei per cento: tutti gli enti universitari e, dunque, anche quelli non statali;

che l’art. 9, comma 12, del d.lgs. n. 68 del 2012, stabilisce che «[a]l fine di garantire alle università non statali legalmente riconosciute una adeguata copertura degli oneri finanziari che ad esse derivano dall’applicazione del presente decreto, nel riparto dei contributi previsti dalla legge 29 luglio 1991, n. 243, il Ministero definisce specifici incentivi che tengano conto dell’impegno degli atenei nelle politiche per il diritto allo studio, con particolare riferimento all’incremento del numero degli esoneri totali, rispetto all’anno accademico 2000-2001, dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari degli studenti che presentino i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio di cui all’articolo 8»;

che, però, ad avviso del giudice a quo, questo precluderebbe all’opponente – università non statale telematica istituita dopo il 2001 – l’accesso ai contributi definiti dallo stesso art. 9, comma 12, che indicherebbe, quale criterio per attribuire le risorse, l’incremento del numero degli esoneri totali rispetto all’anno accademico 2000-2001;

che mancherebbe, dunque, un’adeguata copertura degli oneri finanziari, «con una inevitabile ricaduta di effetti negativi e pregiudizievoli rispetto al diritto allo studio dei vincitori di borsa di studio e dei soggetti portatori di handicap»;

che sarebbe «proprio tale dato temporale, previsto per legge, che determina la disparità di trattamento censurato in questa sede»;

che il giudice rimettente precisa che l’Università Guglielmo Marconi avrebbe fatto richiesta di «erogazione degli incentivi», richiesta che sarebbe stata respinta, e che le università telematiche sarebbero altresì attualmente escluse «dal novero dei beneficiari sia delle somme stanziate a titolo di incentivi ex articolo 4, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2002 n. 212 che, inoltre, delle somme corrisposte a titolo di “quota base” e “quota premiale”»;

che le questioni sarebbero rilevanti, visto il danno che deriverebbe all’Ateneo dall’«applicazione dell’art. 9 comma 12 predetto nella sua portata incostituzionale»;

che dovrebbe, infatti, ravvisarsi «l’assoluta e grave rilevanza della questione di illegittimità costituzionale […] non avendo l’ateneo nella propria disponibilità le risorse finanziarie specificate per legge da destinare allo scopo»;

che le censure sarebbero, inoltre, non manifestamente infondate, in riferimento, anzitutto, all’art. 2 Cost., poiché il diritto allo studio dei vincitori di borsa di studio o dei portatori di handicap, che rientra tra i diritti inviolabili, «per essere reale ed effettivo, non [potrebbe] essere demandato soltanto alle Università statali o a quell[e] non statali già istituite antecedentemente al 2001, perché così facendo si parcellizz[erebbe] e mortific[herebbe] la portata certamente generale ed assoluta del diritto allo studio dei soggetti portatori di handicap»;

che sussisterebbe, in secondo luogo, il contrasto con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo della disparità di trattamento tra università istituite prima e dopo il 2001, sia sotto il profilo dell’irragionevolezza della disciplina, a causa dell’«aberrante risultato applicativo» per cui l’Ateneo, per un verso, deve rimborsare gli aventi diritto – «tra i quali va certamente annoverato il Sig. [G.J. C.]» – e, per altro verso, non potrebbe usufruire di contributi economici a tale fine;

che sarebbe, infine, violato l’art. 33, quarto comma, Cost., per il pregiudizio alla libertà costituzionale dei privati di istituire scuole diverse da quelle statali, alla libertà degli utenti di scegliere una scuola diversa da quella statale e al dovere di assicurare alle scuole private e ai loro alunni un trattamento equipollente a quello degli alunni delle scuole statali;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo la non fondatezza delle questioni, le quali moverebbero dall’errato assunto per cui il riferimento, nelle disposizioni censurate, all’anno accademico 2000-2001 precluderebbe all’Università Guglielmo Marconi «ogni rimborso sulla base della impossibilità di calcolare il rapporto di crescita degli esoneri totali in mancanza del parametro iniziale di riferimento»;

che la difesa statale – ricordando che il fondamento del «diritto sociale di rango costituzionale» allo studio si rinverrebbe negli artt. 3, 33 e 34 Cost. – osserva che il d.lgs. n. 68 del 2012, in attuazione della delega prevista dall’art. 5 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), avrebbe riorganizzato la normativa di principio in materia di diritto allo studio, attribuendo allo Stato la competenza in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e demandando, invece, alle regioni a statuto ordinario la competenza in materia di diritto allo studio;

che, attualmente, per la determinazione dell’importo standard della borsa di studio da assicurare a tutti gli studenti aventi i requisiti di eleggibilità previsti dall’art. 8 del d.lgs. n. 68 del 2012, continuerebbero ad applicarsi le disposizioni relative ai requisiti di merito e di condizione economica indicate dal d.P.C.m. 9 aprile 2001 (Disposizioni per l’uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari, a norma dell’art. 4 della legge 2 dicembre 1991, n. 390);

che il diritto di ottenere le borse di studio, peraltro, verrebbe assicurato anche per il tramite dell’art. 18 del d.lgs. n. 68 del 2012, secondo cui al fabbisogno finanziario necessario per garantire gli strumenti utili al successo formativo di tutti gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, si provvede attraverso un fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio (FIS), il gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio e le risorse proprie delle regioni, pari almeno al quaranta per cento dell’assegnazione del FIS;

che l’art. 9, in parte censurato, prevedrebbe che in ogni caso «gli studenti che presentino i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio e gli studenti con disabilità, con riconoscimento di handicap ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o con un’invalidità pari o superiore al sessantasei per cento», nonché gli studenti stranieri beneficiari di borsa di studio annuale del Governo italiano, devono essere esonerati totalmente dalla contribuzione;

che lo stesso art. 9 stabilirebbe che anche le università non statali legalmente riconosciute devono riservare una quota del contributo statale, di cui alla legge n. 243 del 1991, per l’esonero totale in favore degli studenti in possesso di tali requisiti: nel riparto dei contributi di cui alla legge n. 243 del 1991 potrebbero, inoltre, definirsi specifici incentivi che tengano conto dell’impegno nelle politiche per il diritto allo studio;

che – sempre secondo la difesa statale – il controllo pubblico sulle università non statali assicurerebbe adeguati standard di qualità nell’insegnamento e nella ricerca, non essendo, però, vòlto ad uniformare le università statali e quelle private;

che un elemento determinante di differenziazione risiederebbe proprio nella diversità dei metodi di finanziamento: lo Stato contribuirebbe, infatti, all’attività degli atenei non statali legalmente riconosciuti con le risorse previste dalla legge n. 243 del 1991, ma essi dovrebbero gestire le suddette attività prevalentemente con fondi propri, solo in minima parte sostenuti da risorse pubbliche;

che, infatti, secondo quanto stabilito nel decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19 (Valorizzazione dell’efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante anche mediante la previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università e la valorizzazione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato non confermati al primo anno di attività, a norma dell’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240), in particolare, per ottenere l’accreditamento, il soggetto che intenda istituire un ateneo non statale dovrebbe assicurare «la piena sostenibilità finanziaria, logistica, scientifica, del progetto formativo e di sviluppo della sede, indipendentemente da qualsiasi contribuzione statale anche a regime»;

che, a parere dell’Avvocatura generale, la scelta legislativa di indicare quale parametro temporale di riferimento – per l’erogazione di incentivi ulteriori agli atenei non statali – l’anno accademico 2000-2001 deriverebbe da ragioni di ordine perequativo: le università non statali istituite anteriormente al 2001, infatti, sarebbero sorte ben prima dell’introduzione delle norme sul diritto allo studio, dalle quali sarebbe scaturito l’obbligo di esonerare dalla contribuzione talune categorie di studenti, mentre gli atenei istituiti successivamente a tale anno accademico, diversamente, sarebbero stati ben consapevoli degli oneri che avrebbero dovuto assumere;

che, in tale prospettiva, non potrebbe, insomma, ignorarsi che l’evoluzione della normativa sul diritto allo studio comportava, per le università istituite prima del 2001, «un oggettivo problema di sostenibilità», di cui il legislatore si sarebbe fatto carico, come testimoniato anche dal fatto che l’art. 4, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 212 (Misure urgenti per la scuola, l’università, la ricerca scientifica e tecnologica e l’alta formazione artistica e musicale), convertito, con modificazioni, nella legge 22 novembre 2002, n. 268, destinava, a decorrere dal 2002, l’importo annuo di 10 milioni di euro a valere sul contributo di cui alla legge n. 243 del 1991, a sostegno dell’applicazione della disciplina per il diritto allo studio a seguito della adozione del d.P.C.m. 9 aprile 2001, il quale aveva per la prima volta previsto, all’art. 8, comma 9, l’obbligo delle università non statali legalmente riconosciute di concedere gli esoneri totali agli studenti vincitori di borse di studio o portatori di handicap;

che, comunque sia, lo Stato non avrebbe nessun «obbligo di erogazione per le università non statali legalmente riconosciute ed accreditate dopo l’anno accademico preso a riferimento dalla norma», proprio perché esse dovrebbero essere pienamente consapevoli, prima di presentare l’istanza di accreditamento al MUR, di dover garantire finanziariamente il rispetto degli obblighi che la legge impone;

che, ciò non ostante, tali atenei riceverebbero, tutti, un sostegno pubblico: le norme censurate stabilirebbero in modo chiaro, infatti, che, nel calcolare il contributo, si faccia riferimento «in particolare» all’incremento di esoneri rispetto all’anno accademico 2000-2001, e, difatti, gli atenei non statali legalmente riconosciuti istituiti nel corso degli anni 2000 sarebbero stati gradualmente inseriti nel finanziamento statale di cui alla legge n. 243 del 1991, sia con riferimento alla “quota base”, sia con riferimento alla “quota premiale”, basata sulla valutazione della qualità della ricerca;

che, in conclusione, la difesa statale chiede che le questioni siano dichiarate non fondate, poiché la disciplina avrebbe «una sua logica e una sua interna coerenza e completezza».

Considerato che il Giudice di pace di La Spezia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 12, del d.lgs. n. 68 del 2012, in combinato disposto con il comma 2 dello stesso articolo, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 33, quarto comma, Cost.;

che l’art. 9 prevede, al comma 2, che le università esonerano totalmente dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari gli studenti che presentino i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio e gli studenti con disabilità, con riconoscimento di handicap ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), o con un’invalidità pari o superiore al sessantasei per cento, e stabilisce, al comma 12, che «[a]l fine di garantire alle università non statali legalmente riconosciute una adeguata copertura degli oneri finanziari che ad esse derivano dall’applicazione del presente decreto, nel riparto dei contributi previsti dalla legge 29 luglio 1991, n. 243, il Ministero definisce specifici incentivi che tengano conto dell'impegno degli atenei nelle politiche per il diritto allo studio, con particolare riferimento all’incremento del numero degli esoneri totali, rispetto all’anno accademico 2000-2001, dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari degli studenti che presentino i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio di cui all’articolo 8»;

che il giudice rimettente solleva le questioni in esame nell’ambito di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo: uno studente, titolare di borsa di studio, ha ottenuto il titolo esecutivo per soddisfare il diritto al rimborso dei costi sostenuti per frequentare il corso universitario e l’università si è opposta;

che l’opponente è un’università non statale legalmente riconosciuta istituita nel 2004 e non avrebbe fondi sufficienti a rimborsare gli aventi diritto perché l’art. 9, comma 12, la escluderebbe dai contributi finanziari che lo Stato assegna a tali fini;

che, ad avviso del giudice a quo, le norme sui criteri per l’assegnazione delle suddette risorse finanziarie tratterebbero in modo ingiustificatamente deteriore le università non statali legalmente riconosciute istituite dopo l’anno 2001, poiché – non essendo possibile valutare l’incremento degli esoneri totali rispetto all’anno accademico 2000-2001, per la mancanza di uno dei termini di raffronto – sarebbero escluse dall’assegnazione dei fondi previsti dalla legge n. 243 del 1991;

che la disciplina sarebbe anche irragionevole, imponendo a tali atenei, per un verso, di rimborsare totalmente i costi degli studi universitari ai vincitori di borsa di studio o ai portatori di handicap di misura pari o superiore al 66 per cento, non offrendo, per altro verso, alcun sostegno economico a tale fine;

che, per le ragioni appena esposte, l’art. 9, comma 12, violerebbe anzitutto l’art. 3 Cost. per contrasto, sia col principio di eguaglianza, sia col principio di ragionevolezza;

che le norme censurate comporterebbero l’esclusione degli «studenti universitari di questi atenei ed, in specie, coloro che sono vincitori di borsa di studio o portatori di handicap, dai benefici previsti per legge», pregiudicandone il diritto allo studio e violando, così, l’art. 2 Cost.;

che le stesse norme contrasterebbero, inoltre, con l’art. 33, quarto comma, Cost., che afferma la libertà di istituire scuole private, la libertà degli utenti di scegliere una scuola diversa da quella statale e il principio secondo il quale alle scuole private e ai loro alunni deve assicurarsi un trattamento equipollente a quello degli alunni delle scuole statali;

che il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto nel presente giudizio, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo che le censure, nel merito, sono non fondate;

che non si può condividere l’assunto da cui muove il rimettente, secondo cui le questioni sarebbero rilevanti quanto è “rilevante” il danno che subirebbe la parte opponente per l’«applicazione dell’art. 9 comma 12 predetto nella sua portata incostituzionale», poiché sarebbe «assoluta e grave [la] rilevanza della questione di illegittimità costituzionale che ci occupa non avendo l’ateneo nella propria disponibilità le risorse finanziarie specificate per legge da destinare allo scopo»;

che questa Corte ritiene, al contrario, che le questioni siano palesemente prive del requisito della rilevanza con riguardo all’oggetto del giudizio a quo;

che in tale procedimento, infatti, va verificata l’esistenza del credito per cui è stato emesso il decreto ingiuntivo, e che, perciò, a nulla rileva, in questa sede, la disciplina dei criteri di assegnazione delle risorse previste dalla legge n. 243 del 1991 a beneficio degli atenei non statali legalmente riconosciuti, telematici e non telematici, non potendosi certo confondere il piano dei rapporti tra studente e università con quello dei rapporti tra le università e l’autorità pubblica;

che, a detta dello stesso rimettente, peraltro, lo studente si annovererebbe «certamente» tra gli aventi diritto al rimborso;

che, di conseguenza, al fine di accogliere o rigettare l’opposizione, il giudice a quo è chiamato a fare applicazione dell’art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 68 del 2012 e non dell’art. 9, comma 12, sul quale si appuntano le censure, onde l’inammissibilità per difetto di rilevanza delle questioni sollevate;

che, infatti, perché si proceda al sindacato di costituzionalità della legge, è anzitutto necessario che «il giudice debba effettivamente applicare la disposizione della cui legittimità costituzionale dubita nel procedimento pendente avanti a sé (sentenza n. 253 del 2019)» (così, sentenza n. 247 del 2021; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 177 del 2018);

che, peraltro, l’ordinanza non indica a quanto ammonterebbero le somme in tesi indebitamente negate, né quando l’università avrebbe accesso a tali fondi;

che, perciò, solo in termini eventuali ed ipotetici, la rimozione della norma censurata potrebbe riverberarsi sulle sorti del procedimento principale, circostanza che ulteriormente corrobora l’inammissibilità delle questioni (ordinanze n. 38 del 2012 e n. 337 del 2011);

che, per queste ragioni, le questioni devono dichiararsi manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 11, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 12, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, recante «Revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, lettere a), secondo periodo, e d), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti al comma 3, lettera f), e al comma 6», in combinato disposto con il comma 2 dello stesso articolo, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 33, quarto comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di La Spezia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.