Sentenza n. 16 del 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione prima, nel procedimento vertente tra C. F. e l’Ordine degli psicologi della Lombardia, con ordinanza del 30 marzo 2022, iscritta al n. 42 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visti l’atto di costituzione di C. F., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 30 novembre 2022 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi l’avvocato Stefano de Bosio per C. F. e l’avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 1° dicembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 30 marzo 2022 (reg. ord. n. 42 del 2022), il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione prima, ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 32, primo comma, 35, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, modificato dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, nella parte in cui, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale, non limita la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria alle sole «prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SAR-CoV-2».

2.– Il giudice rimettente espone di essere investito del ricorso proposto da C. F. – psicologa iscritta all’Ordine degli psicologi della Lombardia ed esercitante la professione di psicoterapeuta in forma autonoma dal 1993 – per l’annullamento del provvedimento del 22 dicembre 2021, con cui è stata sospesa dall’esercizio della professione a seguito dell’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, adottato dall’azienda per la tutela della salute della Città metropolitana di Milano.

Alla camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda cautelare, «la causa è stata discussa e trattenuta in decisione e la domanda cautelare è stata decisa con separata ordinanza».

3.– Con riferimento alla rilevanza delle questioni, il giudice rimettente osserva come siano da ritenere non fondate le eccezioni di difetto di giurisdizione e di carenza di interesse sollevate dall’Ordine degli psicologi della Lombardia, costituitosi nel giudizio a quo.

4.– Inoltre, il TAR Lombardia evidenzia che l’attuale formulazione della norma censurata comporterebbe il rigetto del ricorso proposto nel giudizio principale, in quanto la sospensione «assoluta», ancorché temporanea, dall’esercizio dell’attività professionale è un effetto automatico dell’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale.

Dall’accoglimento delle questioni sollevate deriverebbe, invece, l’illegittimità e il conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

5.– Infine, le questioni sollevate sarebbero rilevanti, nonostante la decisione sulla domanda cautelare, in quanto, come statuito dalla sentenza n. 200 del 2014 di questa Corte, «la concessione della misura cautelare determina l’instaurazione della fase del merito del giudizio, senza necessità di ulteriori adempimenti processuali».

6.– Il giudice rimettente, infine, esclude, a causa del chiaro tenore letterale della norma censurata, la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata.

L’art. 4, comma 6, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, prevedeva, originariamente, che «[l’]adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2».

La soppressione dell’inciso «prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SAR-CoV-2» dalla formulazione della disposizione normativa in esame, ad opera del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, indicherebbe la chiara ed univoca volontà legislativa di estendere la sospensione conseguente all’inadempimento dell’obbligo vaccinale a tutta l’attività professionale.

7.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata si porrebbe in contrasto con «i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’articolo 3 della Costituzione, anche con riferimento alla violazione degli articoli 1, 2, 4, 32, comma primo, 35, comma primo, e 36, comma primo, della Costituzione».

In particolare, sarebbe irragionevole estendere il divieto di svolgere la professione sanitaria a tutte le attività che richiedono l’iscrizione all’albo, nonostante non comportino alcun rischio di diffusione del contagio da SARS-Cov-2, come quelle che, ad esempio, in ambito psicologico, possono essere «svolte senza contatto fisico con il paziente e con modalità a distanza mediante l’utilizzo dei comuni strumenti telematici e telefonici».

La preclusione automatica ed assoluta allo svolgimento della professione sanitaria, inoltre, andrebbe oltre «il necessario per conseguire l’obiettivo di tutela prefigurato dalla norma, il quale avrebbe potuto essere realizzato, con pari efficacia, anche con il più mite divieto di intrattenere contatti di prossimità con il paziente o dai quali derivi comunque un rischio concreto di diffusione del contagio da Sars-Cov-2». La norma censurata, quindi, non costituirebbe «il mezzo più adeguato per garantire il contestuale parziale soddisfacimento dell’interesse del professionista a svolgere l’attività lavorativa […], nonché dell’interesse dei pazienti alla continuità dell’erogazione delle prestazioni sanitarie in condizioni di sicurezza».

Sarebbe poi “incoerente” non consentire a coloro che hanno scelto di esercitare la professione sanitaria in forma autonoma «un’organizzazione alternativa e temporanea delle modalità di esercizio della professione» stessa, che non comporti rischi di contagio da SARS-CoV-2, a differenza di quanto ammesso, dal comma 7 del medesimo art. 4, per i lavoratori dipendenti.

Infine, applicare al sanitario non vaccinato, che chiede la prima iscrizione all’albo professionale, il «medesimo trattamento inibitorio» che opera per il sanitario non vaccinato già iscritto all’albo determinerebbe «un’irragionevole parità di trattamento a fronte di situazioni francamente disomogenee». Per quest’ultimo, a differenza che per il primo, «la sospensione totale dall’attività» comporterebbe effetti pregiudizievoli, «potenzialmente irreversibili», sull’avviamento professionale e sulla produzione del reddito necessario per il sostentamento personale e familiare.

8.– Il 24 maggio 2022, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

9.– Ad avviso della difesa statale, il giudice rimettente muoverebbe da un’erronea interpretazione della norma censurata, che, anche prima delle modifiche introdotte dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, non contemplava la facoltà, per il professionista, di farsi sospendere solo da alcune modalità di esercizio della professione sanitaria.

Peraltro, a fronte dell’esercizio in via autonoma della professione, sarebbe impossibile «verificare se di volta in volta l’attività posta in essere [sia] svolta da remoto e sia effettivamente svolta secondo tali modalità».

Il divieto assoluto di svolgere l’attività professionale, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale, non sarebbe comunque irragionevole, perché rientra nella discrezionalità legislativa scegliere le modalità con cui fronteggiare la situazione pandemica in atto. Il legislatore ha, infatti, voluto attribuire agli Ordini professionali un potere del tutto vincolato, senza possibilità di modulare l’effetto della sospensione automatica e totale dall’albo e dall’esercizio della relativa professione.

Né alcuna comparazione può essere svolta con riferimento alle situazioni disciplinate dal comma 2 del censurato art. 4, che riguardano, infatti, i casi «di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore».

La difesa dello Stato esclude, poi, che il legislatore avrebbe dovuto differenziare, come suggerito dal giudice rimettente, tra professionisti già iscritti all’albo e coloro che vi si iscrivono per la prima volta, tenuto conto che il bene tutelato è sempre la salute pubblica.

Peraltro, i pregiudizi economici derivanti dalla sospensione dall’esercizio della professione, in caso di scelta volontaria di non sottoporsi alla vaccinazione gratuita, sarebbero senza dubbio recessivi rispetto al «dovere di solidarietà nei confronti della comunità e [all’]esigenza del richiamo a contribuire alla tutela della salute collettiva», soprattutto da parte degli esercenti la professione sanitaria.

Infine, nessuna comparazione può essere svolta con la previsione, contenuta nel comma 7 del medesimo art. 4, dell’obbligo dei datori di lavoro di adibire i lavoratori che non possono vaccinarsi per ragioni di salute «a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2». Infatti, per i lavoratori autonomi, diversamente che per quelli dipendenti, non vi è alcun soggetto che potrebbe controllare le forme di svolgimento delle relative prestazioni, assumendone la responsabilità. Da qui la previsione di un divieto assoluto di esercizio della professione, in caso di omessa vaccinazione.

10.– Con atto depositato il 24 maggio 2022, si è costituita in giudizio C. F., ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate fondate.

Ad avviso della parte, le questioni sarebbero non manifestamente infondate, in primo luogo, in riferimento all’art. 3 Cost., «in punto [di] identico trattamento di situazioni totalmente differenti, “lavoro in presenza” vs. “lavoro da remoto”».

L’art. 3 Cost. sarebbe violato anche per il carattere sproporzionato e discriminatorio della sanzione conseguente all’inadempimento dell’obbligo vaccinale, sia rispetto ai lavoratori dipendenti che, a differenza dei liberi professionisti, incorrono nella mera sospensione dello stipendio, e non anche nella «distruzione della posizione professionale», derivante dal divieto di svolgere attività per diversi mesi, sia rispetto a tutte le altre categorie di cittadini.

Inoltre, vietare l’esercizio delle attività terapeutiche dello psicologo che non comportano alcun rischio di infezione, come quelle svolte da remoto, significherebbe discriminarle rispetto ad attività simili che non sono regolamentate e, quindi, hanno potuto continuare ad essere svolte anche in presenza; nonché rispetto alle attività che alcuni psicologi, ancorché sospesi dall’albo, hanno continuato ad esercitare illegittimamente e alle attività dei sanitari iscritti a ordini professionali stranieri o, comunque, non raggiunti da «ingiunzion[i] vaccinal[i]».

Le questioni sollevate sarebbero non manifestamente infondate anche in riferimento agli artt. 1, 2, 4, 32, primo comma, 35 e 36, primo comma, Cost., in quanto il divieto del lavoro da remoto per i sanitari non vaccinati integrerebbe una lesione del diritto al lavoro che colpisce particolarmente i libero professionisti, i quali rischiano la perdita irreversibile della clientela.

Lo scopo di questa sanzione, quindi, non sarebbe quello di tutelare la salute pubblica, ma di coartare, in modo sproporzionato, la libera determinazione dei professionisti sanitari in ordine alla vaccinazione, con effetti pregiudizievoli anche per i pazienti degli psicologi a cui è inibita l’attività terapeutica.

11.– C. F. ha depositato una prima memoria il 5 settembre 2022, contestando le deduzioni dell’Avvocatura dello Stato e insistendo per la fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, e una seconda memoria il 10 novembre 2022, riportandosi alle precedenti conclusioni e depositando il «report dell’Istituto Superiore di Sanità del 4 novembre 2022».

12.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, hanno depositato memorie l’Avvocatura generale dello Stato, richiamando l’art. 7 del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali), non ancora convertito in legge, che ha anticipato, al 1° novembre 2022, il termine finale di efficacia della sospensione dall’esercizio della professione sanitaria, e la parte, che ha contestato le deduzioni della difesa statale, insistendo per la fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 30 marzo 2022 (reg. ord. n. 42 del 2022), il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione prima, dubita, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 32, primo comma, 35, primo comma, e 36, primo comma, Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, modificato dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, nella parte in cui, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale, non limita la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria alle sole «prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2».

2.– Ad avviso del giudice rimettente, la norma censurata si porrebbe in contrasto con «i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’articolo 3 della Costituzione, anche con riferimento alla violazione degli articoli 1, 2, 4, 32, comma primo, 35, comma primo, e 36, comma primo, della Costituzione».

In particolare, sarebbe irragionevole, in caso di omessa vaccinazione, estendere il divieto di svolgere la professione sanitaria a tutte le attività che richiedono l’iscrizione all’albo, quando esse non comportino alcun rischio di diffusione del COVID-19, potendo essere «svolte senza contatto fisico con il paziente e con modalità a distanza mediante l’utilizzo dei comuni strumenti telematici e telefonici».

La preclusione automatica ed assoluta allo svolgimento della professione sanitaria in forma autonoma, inoltre, andrebbe oltre «il necessario per conseguire l’obiettivo di tutela prefigurato dalla norma, il quale avrebbe potuto essere realizzato, con pari efficacia, anche con il più mite divieto di intrattenere contatti di prossimità con il paziente o dai quali derivi comunque un rischio concreto di diffusione del contagio da Sars-Cov-2».

Sarebbe poi “incoerente” non consentire a coloro che hanno scelto di esercitare la professione sanitaria in forma autonoma «un’organizzazione alternativa e temporanea delle modalità di esercizio della professione» stessa, che non comporti rischi di contagio del COVID-19, a differenza di quanto ammesso, dal comma 7 del medesimo art. 4, per i lavoratori dipendenti.

Infine, applicare al sanitario non vaccinato già iscritto all’albo professionale il «medesimo trattamento inibitorio» che opera per colui che ne chiede la prima iscrizione determinerebbe «un’irragionevole parità di trattamento a fronte di situazioni francamente disomogenee», in quanto «la sospensione totale dall’attività» comporterebbe, per il primo, effetti pregiudizievoli, «potenzialmente irreversibili», sull’avviamento professionale e sulla produzione del reddito necessario per il sostentamento personale e familiare.

3.– L’esame nel merito delle questioni risulta precluso da un assorbente profilo di inammissibilità delle medesime, legato al difetto di giurisdizione del giudice rimettente.

3.1.– Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il difetto di giurisdizione del giudice a quo determina l’inammissibilità delle questioni, per irrilevanza, quando sia palese e rilevabile ictu oculi (ex plurimis, sentenze n. 65 e n. 57 del 2021, n. 267 e n. 99 del 2020, n. 189 del 2018, n. 106 del 2013 e n. 179 del 1999).

Qualora sussista l’evidenza del vizio, o nel processo a quo siano state sollevate specifiche eccezioni a riguardo, come nel caso di specie, è richiesta al giudice rimettente una motivazione esplicita (sentenze n. 79 del 2022, n. 65 del 2021 e n. 267 e n. 44 del 2020), rispetto alla quale spetta a questa Corte una verifica esterna e strumentale al riscontro della rilevanza delle questioni (sentenze n. 44 del 2020, n. 52 del 2018 e n. 269 del 2016).

3.2.– Il giudice a quo è il TAR Lombardia, chiamato a decidere il ricorso proposto da una psicologa iscritta all’Ordine degli psicologi di tale Regione ed esercitante la professione di psicoterapeuta in forma autonoma, avverso la sospensione dall’albo professionale per inadempimento dell’obbligo vaccinale.

In punto di rilevanza, il TAR riferisce che l’Ordine professionale, parte resistente nel giudizio principale, ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito. Tale eccezione, secondo il rimettente, sarebbe priva di fondamento, perché l’Ordine ha esercitato un potere autoritativo di per sé sufficiente a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7 del codice del processo amministrativo.

La motivazione dell’ordinanza di rimessione in ordine all’eccepito difetto di giurisdizione non supera il vaglio della non implausibilità, al quale si attiene questa Corte in relazione alla verifica della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale, venendo in rilievo, nel giudizio principale, il diritto soggettivo a continuare a esercitare la professione sanitaria.

Le sezioni unite civili della Corte di cassazione, infatti, con ordinanza 29 settembre 2022, n. 28429, hanno confermato la sussistenza della giurisdizione ordinaria proprio in relazione all’impugnazione, da parte di un fisioterapista libero professionista, del provvedimento con cui l’Ordine professionale territorialmente competente lo ha sospeso dall’esercizio della professione sanitaria, per mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale.

In tale pronuncia la Corte di cassazione ha ritenuto che appartiene alla cognizione del giudice ordinario la controversia in cui viene in rilievo un diritto soggettivo – nella specie, quello ad esercitare la professione sanitaria – non intermediato dall’esercizio del potere amministrativo. Lo svolgimento dell’attività libero professionale, infatti, «viene sospeso temporaneamente […] in forza delle previsioni dettagliatamente recate dalla fonte legislativa, che pone un requisito [la vaccinazione contro il SARS-CoV-2] per l’esercizio [della stessa]».

È evidente, pertanto, la carenza di giurisdizione del rimettente sulla controversia relativa alla sospensione dall’esercizio della professione sanitaria, che – come sottolineato dalla richiamata ordinanza delle sezioni unite della Corte di cassazione – «discende, in modo automatico» dall’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, configurato come «requisito essenziale» imposto dalla legge a tutela della salute pubblica e della sicurezza delle cure.

4.– Per tale ragione, le questioni vanno dichiarate inammissibili.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, sollevate, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 32, primo comma, 35, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione prima, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023.