SENTENZA N. 218
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 2, della legge della Regione Umbria 18 novembre 2021, n. 15, recante «Ulteriori modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 28 novembre 2003, n. 23 (Norme di riordino in materia di edilizia residenziale sociale)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 24 gennaio 2022, depositato in cancelleria il 25 gennaio 2022, iscritto al n. 5 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Udito nell’udienza pubblica del 13 settembre 2022 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;
udito l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 13 settembre 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso iscritto al n. 5 del reg. ric. 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 2, della legge della Regione Umbria 18 novembre 2021, n. 15, recante «Ulteriori modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 28 novembre 2003, n. 23 (Norme di riordino in materia di edilizia residenziale sociale)», lamentando la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere h) e g), della Costituzione.
La disposizione impugnata sostituisce il testo dell’art. 39, comma 1, lettera b), della legge della Regione Umbria 28 novembre 2003, n. 23 (Norme di riordino in materia di edilizia residenziale sociale), che stabilisce una delle cause di decadenza dall’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale sociale. Per effetto della novella, viene riformulata la previgente causa di decadenza che si riferiva all’assegnatario il quale avesse «adibito l’alloggio a scopi illeciti o immorali». Il nuovo testo legislativo commina la decadenza nell’ipotesi in cui l’assegnatario, ovvero «altro componente il nucleo familiare» (estensione soggettiva introdotta dal comma 1 dell’art. 35 della legge reg. Umbria n. 15 del 2021, non impugnato), «abbia usato o abbia consentito a terzi di utilizzare l’alloggio, le sue pertinenze o le parti comuni, per attività illecite che risultino da provvedimenti giudiziari, della pubblica sicurezza o della polizia locale» (così l’impugnato comma 2 dell’art. 35).
A giudizio del ricorrente, la nuova previsione regionale comporterebbe «una indebita ingerenza nella materia “ordine pubblico e sicurezza”», che l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. rimette alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Sarebbe inoltre violato l’ulteriore titolo di competenza statale esclusiva, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., concernente la materia «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali».
Quanto al primo profilo di doglianza, il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che la disposizione impugnata opererebbe un richiamo del tutto generico ai provvedimenti di pubblica sicurezza e di polizia locale, con «inevitabili incertezze ermeneutiche» tali da cagionare «ricadute applicative nell’ambito della legislazione di pubblica sicurezza» e rischi di conseguente contenzioso. Ciò determinerebbe un’interferenza nella disciplina «che governa i provvedimenti di pubblica sicurezza e di polizia locale», con conseguente ingerenza nella materia «ordine pubblico e sicurezza». Simili forme di interferenza del legislatore regionale sarebbero state «a più riprese» sanzionate da questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 236 e n. 177 del 2020).
Quanto al secondo profilo di doglianza, il ricorrente osserva che la norma contestata introdurrebbe «indirettamente un obbligo di facere in capo al personale delle Forze di polizia». Nel rimarcare che le informazioni relative ai provvedimenti di pubblica sicurezza sono inserite nel centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell’interno, ai sensi dell’art. 6 della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), il ricorrente sostiene che «soggetti estranei alle Forze di polizia (come i Comuni o l’ATER regionale) non possono accedere ai dati contenuti nel Centro elaborazione dati», salve specifiche eccezioni stabilite dalla legge statale. La norma regionale impugnata presupporrebbe, dunque, un «obbligo generalizzato di comunicazione dei provvedimenti di pubblica sicurezza», cui sarebbero soggette le forze di polizia in favore dei comuni e dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale della Regione Umbria (d’ora innanzi: ATER regionale).
La previsione di tale obbligo, peraltro, si porrebbe al di fuori di qualsiasi «cornice pattizia». Si osserva al riguardo che la legge reg. Umbria n. 15 del 2021 prevede bensì il ricorso a protocolli d’intesa con le prefetture competenti, ma solo «al fine di assicurare azioni di controllo efficaci» sulla regolarità dell’uso degli alloggi assegnati (secondo le disposizioni dell’art. 41-bis della legge reg. Umbria n. 23 del 2003, come introdotto dall’art. 39, comma 1, della legge reg. Umbria n. 15 del 2021). La disposizione impugnata, invece, non potrebbe ritenersi riferita all’effettiva stipula di protocolli d’intesa, pur se questi ultimi avrebbero potuto consentire, in tesi, sia «la compiuta individuazione dei provvedimenti a presupposto della decadenza dall’assegnazione», sia la definizione del «contenuto delle attività poste in capo agli organi statali». In definitiva, l’obbligo che, secondo il ricorrente, sarebbe imposto dalla disposizione regionale impugnata a carico delle forze di polizia di comunicare ai comuni e all’ATER i provvedimenti di pubblica sicurezza che attestino il compimento di attività illecite non sarebbe subordinato ad alcun preventivo atto pattizio, in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte (sono citate le sentenze n. 161 del 2021 e n. 134 del 2004).
2.– Con memoria depositata nell’imminenza della pubblica udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito gli argomenti spesi nel ricorso, insistendo nelle conclusioni già formulate.
Quanto alla censura incentrata sull’invasione della competenza statale esclusiva nella materia «ordine pubblico e sicurezza», si lamenta ancora la genericità della norma regionale impugnata, la quale «non specifica quali siano i provvedimenti della pubblica sicurezza e della polizia locale che attestino il compimento di atti illeciti», con la conseguenza che si avrebbe «l’introduzione di un nuovo tipo di provvedimento delle autorità di pubblica sicurezza e polizia locale», rispetto agli atti tipizzati dal legislatore statale.
In ordine, poi, alla censura riguardante il titolo di competenza legislativa statale esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., si ribadisce che la disposizione regionale impugnata finirebbe con l’«introdurre indirettamente un obbligo di facere in capo al personale delle Forze di polizia», al di fuori di qualsivoglia cornice pattizia.
3.– La Regione Umbria non si è costituita in giudizio.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 2, della legge reg. Umbria n. 15 del 2021, denunciando la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere h) e g), Cost.
La disposizione impugnata riformula l’art. 39, comma 1, lettera b), della legge reg. Umbria n. 23 del 2003, che, nel testo originario, elencava, tra le cause di decadenza dall’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale sociale, la condotta dell’assegnatario il quale avesse «adibito l’alloggio a scopi illeciti o immorali». A seguito della novella del 2021, la causa di decadenza de qua colpisce la condotta dell’assegnatario (ovvero anche del componente del suo nucleo familiare, come prevede il comma 1 dell’art. 35 della legge reg. Umbria n. 15 del 2021, non impugnato) il quale «abbia usato o abbia consentito a terzi di utilizzare l’alloggio, le sue pertinenze o le parti comuni, per attività illecite che risultino da provvedimenti giudiziari, della pubblica sicurezza o della polizia locale».
A giudizio del ricorrente, siffatta riformulazione, nel richiamare i provvedimenti della pubblica sicurezza, invaderebbe gli ambiti di competenza riservati al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, Cost., sia nella materia «ordine pubblico e sicurezza» (lettera h), sia nella materia «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» (lettera g). In particolare, quanto al primo aspetto, si lamenta la eccessiva genericità della disposizione impugnata, che non precisa né quali provvedimenti verrebbero in rilievo, né quali sarebbero le «attività illecite» oggetto di comunicazione: da ciò deriverebbero «incertezze ermeneutiche» tali da generare «ricadute applicative nell’ambito della legislazione di pubblica sicurezza», con conseguente «interferenza» nella disciplina statale che governa i provvedimenti di pubblica sicurezza e di polizia locale. Quanto al secondo aspetto, si deduce che la disposizione impugnata «presuppone un obbligo generalizzato di comunicazione dei provvedimenti di pubblica sicurezza a carico delle Forze di polizia», ossia un nuovo obbligo di facere in capo all’amministrazione dello Stato, peraltro al di fuori di qualsivoglia modalità di accordo tra autorità statali e locali.
2.– Le questioni non sono fondate.
Va premesso che – in disparte taluni passaggi poco chiari del ricorso, specialmente laddove si assume che la genericità della disposizione impugnata possa ridondare in lesione delle competenze legislative dello Stato – i due profili di censura nei quali esso si articola convergono verso un oggetto unico, che costituisce l’aspetto centrale delle doglianze e che attiene alla disciplina delle forze di polizia dello Stato, rimessa alla competenza esclusiva del legislatore statale. Come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare (tra le altre, sentenza n. 170 del 2019, punto 5.4. del Considerato in diritto), tale disciplina è riconducibile, sotto l’aspetto organizzativo e del personale, alla materia «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. (v. anche sentenze n. 81 del 2017 e n. 89 del 2015) mentre, sotto il profilo funzionale, investe la materia «ordine pubblico e sicurezza» (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.), oltre a quella «ordinamento penale» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).
I due parametri di competenza evocati dal ricorrente, pertanto, risultano inscindibilmente connessi, in quanto attinenti alla medesima disciplina, riguardata dal lato organizzativo e da quello funzionale, con la conseguenza che le questioni sollevate devono essere esaminate congiuntamente (di recente, sentenza n. 161 del 2021, punto 2 del Considerato in diritto).
2.1.– Così inquadrate le censure del ricorrente, è dirimente osservare che esse muovono da un errato presupposto interpretativo. Si assume invero che, con la disposizione impugnata, il legislatore regionale abbia inteso introdurre un obbligo di comunicazione in capo alle forze di polizia dello Stato, chiamate a informare le competenti autorità locali circa l’adozione dei provvedimenti di pubblica sicurezza dai quali risulti la commissione di «attività illecite» collegate all’uso dell’alloggio di edilizia residenziale sociale. Ciò, al fine di consentire l’adozione del conseguente provvedimento di decadenza dall’assegnazione dell’alloggio stesso.
La disposizione impugnata, tuttavia, nella sua formulazione letterale, si limita a prescrivere che le attività illecite siano causa di decadenza ove risultanti da provvedimenti di pubblica sicurezza o della polizia locale. Nulla è precisato, invece, circa le modalità con le quali siffatti provvedimenti possano venire a conoscenza delle autorità locali titolari del potere di disporre la decadenza. Risulta evidente come, a tal fine, si evochi, sia pure implicitamente, il dovere di leale collaborazione che informa di sé, quale principio immanente delle «forme di coordinamento» previste dall’art. 118, terzo comma, Cost., i rapporti tra Stato e regioni in tema di ordine pubblico e sicurezza. Tale dovere è anche alla base del rinnovato impegno di Stato, regioni, province autonome ed enti locali «di concorrere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali», come prescritto oggi, proprio in attuazione della richiamata previsione costituzionale, dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, in legge 18 aprile 2017, n. 48. La leale collaborazione, che in tale quadro costituisce uno degli strumenti principali per realizzare la cosiddetta «sicurezza integrata», comporta anche l’acquisizione e la reciproca comunicazione di informazioni rilevanti per la cura dei reciproci, e convergenti, interessi, attinenti ai diversi settori di intervento.
Del resto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la mera acquisizione di elementi informativi non determina di per sé lesione di attribuzioni», dovendosi ritenere, piuttosto, conforme al principio di leale collaborazione che lo Stato fornisca alle competenti strutture regionali, ovvero, se necessario, anche a quelle locali, i dati di cui sia in possesso (sentenza n. 327 del 2003; in precedenza, analogamente, sentenza n. 412 del 1994).
La disposizione regionale impugnata, pertanto, lungi dall’imporre un nuovo obbligo di facere in capo a organi dello Stato, si limita a considerare la possibilità – riconnettendovi la sanzione della decadenza dall’assegnazione dell’alloggio di edilizia economica sociale – che le competenti autorità locali siano informate dell’avvenuta adozione di provvedimenti della pubblica sicurezza dai quali risulti la commissione di attività illecite: come, del resto, normalmente accade nella prassi degli ordinari rapporti informativi che intercorrono tra le diramazioni territoriali delle forze di polizia e le autorità locali chiamate ad adottare, sulla base di apposita istruttoria, gli atti amministrativi consequenziali. E ciò ha fatto la Regione Umbria nell’ambito della cura di un settore di propria competenza, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., afferente alla gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica (sentenza n. 94 del 2007).
2.2.– In definitiva, con la disposizione impugnata, la predetta Regione non ha interferito con gli ambiti che funzionalmente ricadono nella cosiddetta sicurezza primaria, il cui nucleo essenziale è costituito dalla prevenzione e repressione dei reati (ex plurimis, sentenza n. 236 del 2020) e che attengono al titolo di competenza statale esclusiva nella materia «ordine pubblico e sicurezza»; né si è indebitamente ingerita nella materia «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato», parimenti riservata alla legislazione esclusiva statale, imponendo nuovi obblighi alle forze di polizia: obblighi, per quanto chiarito, in realtà inesistenti.
3.– Resta poi rimessa alle autorità competenti la possibilità di pervenire alla conclusione di appositi accordi, al fine di regolare pattiziamente le forme di collaborazione e di comunicazione reciproca.
La strada dei protocolli d’intesa, invero, è suggerita dalla medesima legge reg. Umbria n. 15 del 2021, che ha provveduto, in parte qua, a innovare, anche sotto questa importante prospettiva, la legge relativa alla gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale sociale
Invero, il nuovo art. 41-bis della legge reg. Umbria n. 23 del 2003, introdotto dall’art. 39, comma 1, della predetta legge reg. Umbria n. 15 del 2021, rubricato «Accertamento cause di decadenza», demanda ai comuni e all’ATER regionale il compito di «assicura[re] forme di controllo costanti e coordinate sulla regolarità dell’uso degli alloggi assegnati», con esplicito riferimento (tra le altre) anche alla causa di decadenza oggetto della presente questione. In tale prospettiva, il comma 2 aggiunge che, «[p]er le finalità di cui al comma 1», possono essere «attivati protocolli d’intesa con […] le Prefetture competenti per territorio al fine di assicurare azioni di controllo efficaci».
Risulta, dunque, evidente che, contrariamente all’interpretazione riduttiva che propone il ricorrente, i menzionati protocolli d’intesa – che si inscrivono appieno nella cornice della cosiddetta sicurezza integrata, ai sensi del già richiamato d.l. n. 14 del 2017, come convertito – ben potranno avere a oggetto le modalità di accertamento degli illeciti commessi negli alloggi di edilizia residenziale sociale, e quindi anche, a monte, le forme di comunicazione tra le forze di polizia dello Stato e la polizia locale o le altre autorità locali necessarie a rendere operativa la previsione della decadenza dall’assegnazione degli alloggi stessi.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 2, della legge della Regione Umbria 18 novembre 2021, n. 15, recante «Ulteriori modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 28 novembre 2003, n. 23 (Norme di riordino in materia di edilizia residenziale sociale)», promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere h) e g), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 settembre 2022.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 ottobre 2022.