SENTENZA N. 214
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA;
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in combinato disposto con l’art. 170, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri), promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con quindici ordinanze del 10 agosto 2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri da 189 a 193 e da 195 a 204 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 49, 50 e 51, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visti gli atti di costituzione di Mario Fugazzola e altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 settembre 2022 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Maria Vittoria Ferroni ed Eugenio Picozza per Mario Fugazzola e altri e gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni, Emanuele Feola e Giancarlo Pampanelli per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 13 settembre 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con quindici ordinanze depositate il 10 agosto 2021 e iscritte ai numeri da 189 a 193 e da 195 a 204 del registro ordinanze 2021, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 97, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), e dell’art. 170, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri).
Le disposizioni sono censurate nella parte in cui disciplinano la base pensionabile degli appartenenti alla carriera diplomatica assegnati a una sede di servizio all’estero alla data del collocamento a riposo, computando l’indennità di posizione nella misura minima e non in misura parametrata al grado e alle funzioni.
1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sulle domande proposte da ministri plenipotenziari (reg. ord. n. 189, n. 191, n. 192, n. 193, n. 196, n. 201 e n. 202 del 2021), da consiglieri d’ambasciata (reg. ord. n. 190 del 2021) e da ambasciatori (reg. ord. n. 195, n. 197, n. 198, n. 199, n. 200, n. 203 e n. 204 del 2021), che hanno chiesto «ai fini pensionistici un più favorevole computo dell’indennità di posizione connessa a quel rapporto d’impiego». Tale indennità, connessa con le funzioni e con il grado degli appartenenti alla carriera diplomatica, dovrebbe essere ragguagliata alla «posizione funzionale di rango più elevato o, in subordine, a quella di minor rango» che spetta a chi ricopra il medesimo grado nella sede centrale del Ministero o, in via gradata, alla «misura concretamente percepita» dai ricorrenti nel giudizio principale prima dell’assegnazione alla sede estera.
Nella decisione sulle domande dei ricorrenti, rivestirebbe fondamentale importanza l’art. 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, che, ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili, individua la base pensionabile nell’ultimo stipendio o nell’ultima paga o retribuzione.
Ad avviso del rimettente, in forza di un’interpretazione logica e sistematica, l’indennità di posizione, «sia pur ai soli fini del trattamento di quiescenza», al momento del collocamento a riposo dovrebbe essere ripristinata nella misura che spetta al funzionario diplomatico in virtù del grado e delle funzioni.
Tuttavia, l’interpretazione «costituzionalmente orientata», che computa a fini pensionistici l’indennità di posizione «sulla base della fictio iuris costituita da un rientro a Roma del diplomatico stesso in coincidenza con il suo collocamento a riposo», sarebbe stata disattesa, in altre controversie, in fase di gravame (Corte dei conti, seconda sezione giurisdizionale centrale di appello, sentenza 22 febbraio 2017, n. 112). L’indennità di posizione sarebbe stata computata anche ai fini previdenziali nella misura minima corrisposta durante il periodo di servizio all’estero.
Le questioni sarebbero rilevanti, in quanto le disposizioni censurate condurrebbero al rigetto delle domande proposte e solo una declaratoria di illegittimità costituzionale potrebbe determinarne l’accoglimento, «nella sua prospettazione principale o in una di quelle subordinate, dopo aver vagliato anche la non assorbente eccezione di prescrizione».
1.2.– Il rimettente muove dal presupposto che, al momento della cessazione del rapporto di impiego, perda rilievo la pregressa assegnazione del ricorrente alla sede centrale del Ministero o a un altro ufficio all’estero e che si debba tener conto esclusivamente del «grado rivestito», come accade anche al personale militare.
1.2.1.– Un meccanismo di determinazione del trattamento di quiescenza che calcoli l’indennità di posizione nella misura minima «applicata durante il servizio all’estero» contrasterebbe con il «principio di eguaglianza sostanziale» (art. 3, secondo comma, Cost.).
L’indennità integrativa speciale, che pure non spetta al dipendente che presti servizio all’estero, è computata ai fini pensionistici.
Né si potrebbe invocare, a sostegno del trattamento differenziato, l’erogazione dell’indennità di servizio all’estero, sprovvista di carattere retributivo e, pertanto, non computabile ai fini pensionistici.
La sperequazione non potrebbe neppure essere giustificata dal fatto che al computo dell’indennità di posizione in misura eccedente quella minima non faccia riscontro alcuna copertura contributiva, giacché la medesima situazione si riscontra per chi sia collocato in quiescenza a distanza di breve tempo dal rientro in Italia.
1.2.2.– Il rimettente denuncia, in secondo luogo, il contrasto con il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, secondo comma, Cost. La disciplina censurata potrebbe indurre all’immediato collocamento a riposo il funzionario diplomatico assegnato a una sede estera, quando già abbia maturato i requisiti per conseguire la pensione, oppure potrebbe ingenerare «un indubbio interesse personale a rientrare in sede centrale» prima del collocamento a riposo, «in potenziale contrasto con l’incondizionata protrazione del servizio all’estero».
2.– Si sono costituiti, per chiedere l’accoglimento delle questioni sollevate dalla Corte dei conti, tutti i ricorrenti nei giudizi principali.
Le parti hanno posto in risalto l’unitarietà del ruolo della carriera diplomatica (art. 101 del d.P.R. n. 18 del 1967), contraddistinta dall’avvicendarsi di periodi di servizio all’estero e da periodi di servizio in Italia, e hanno osservato che il funzionario diplomatico non beneficia di una facoltà di scelta circa la permanenza all’estero o il richiamo in Italia.
A fronte di tali peculiarità della carriera diplomatica, sarebbe ingiustificata, fonte di «grave sperequazione» nonché di una «palese disparità di trattamento» la notevole decurtazione del trattamento di quiescenza e dell’indennità di buonuscita che deriva dal computo dell’indennità di posizione al minimo e non nella misura prevista in relazione al grado. Non sarebbe ragionevole attribuire un rilievo determinante al luogo in cui casualmente si conclude la carriera lavorativa, nell’adempimento dei propri doveri di servizio.
Tale incongruenza emergerebbe anche dal raffronto con l’indennità integrativa speciale: pur non essendo corrisposta durante il periodo di servizio all’estero, tale voce sarebbe comunque computata ai fini pensionistici.
Né l’incongruenza potrebbe essere giustificata in ragione del mancato pagamento dei necessari contributi previdenziali: al diplomatico sarebbe sufficiente tornare in Italia anche pochi giorni prima del pensionamento per fruire dell’indennità di posizione, ai fini previdenziali, in misura corrispondente al grado. La prassi dei rientri anticipati in Italia, che avrebbe riguardato un gran numero di diplomatici, sarebbe pertanto contraria al principio di buon andamento dell’amministrazione.
Il trattamento deteriore non potrebbe essere considerato ragionevole neppure sulla scorta del godimento dell’indennità di servizio all’estero, in quanto tale indennità persegue la diversa funzione di sovvenire agli oneri derivanti dal servizio all’estero e non ha natura retributiva.
3.– È intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibili e/o non fondate le questioni sollevate dal rimettente.
3.1.– La difesa dello Stato ha formulato, in linea preliminare, molteplici eccezioni di inammissibilità.
3.1.1.– Le questioni sarebbero inammissibili per incompleta ricostruzione del quadro normativo e tali lacune comprometterebbero l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle censure, sia sotto il profilo della rilevanza, sia sotto quello della non manifesta infondatezza.
Il rimettente non avrebbe offerto alcun ragguaglio sulla complessa evoluzione del trattamento previdenziale del personale appartenente alla carriera diplomatica.
Non sarebbe stata adeguatamente valutata la disciplina del trattamento retributivo del personale diplomatico all’estero, che include emolumenti aggiuntivi, come l’indennità di servizio all’estero.
3.1.2.– Un ulteriore profilo di inammissibilità si ravviserebbe nella mancata sperimentazione di un’interpretazione conforme a Costituzione.
Il rimettente, nel sottrarsi al doveroso tentativo di esplorare una interpretazione costituzionalmente orientata, si prefiggerebbe di ottenere da questa Corte un improprio avallo dell’interpretazione che ha prescelto.
3.1.3.– Le questioni sarebbero inammissibili anche per l’indeterminatezza e l’inadeguatezza del petitum, che non indicherebbe una soluzione costituzionalmente obbligata.
3.1.4.– Carente sarebbe anche la motivazione in punto di non manifesta infondatezza.
Il rimettente non avrebbe considerato che l’indennità di posizione, pur conteggiata nella misura minima, è controbilanciata dal riconoscimento di ulteriori voci retributive e che l’indennità di servizio all’estero è, sia pure in parte, pensionabile.
3.2.– I dubbi di legittimità costituzionale prospettati dal rimettente, nel merito, non sarebbero fondati sia con riguardo all’art. 3, secondo comma, Cost. sia con riguardo all’art. 97, secondo comma, Cost., parametro che non potrebbe essere invocato per conseguire miglioramenti retributivi.
4.– In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria illustrativa, per insistere nell’accoglimento delle conclusioni preliminari e di merito.
5.– In vista dell’udienza, hanno depositato memorie illustrative anche le parti, per ribadire le conclusioni già rassegnate e replicare alle argomentazioni dell’Avvocatura generale dello Stato.
6.– All’udienza le parti hanno chiesto l’accoglimento delle conclusioni formulate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– Con le ordinanze indicate in epigrafe, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973 e dell’art. 170, primo comma, del d.P.R. n. 18 del 1967, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 97, secondo comma, Cost.
Le censure del giudice rimettente investono il trattamento previdenziale del personale diplomatico assegnato all’estero al momento del collocamento a riposo e, in particolare, la valutazione dell’indennità di posizione ai fini pensionistici, nel sistema retributivo applicabile nella specie.
Alla luce del tenore testuale delle disposizioni censurate, il giudice a quo argomenta che l’indennità in esame è computata nella misura minima, stabilita dalle disposizioni applicabili per il caso di servizio all’estero, e non è commisurata al grado e alle funzioni del diplomatico che concluda la carriera in una sede estera.
1.1.– Il descritto meccanismo di computo dell’indennità di posizione contrasterebbe, anzitutto, con il «principio di eguaglianza sostanziale» (art. 3, secondo comma, Cost.) e sarebbe foriero di un’arbitraria disparità di trattamento pensionistico tra i diplomatici in servizio in Italia, che ai fini previdenziali beneficiano di una indennità di posizione liquidata nel più cospicuo importo base, e i diplomatici in servizio all’estero, che godono della citata indennità soltanto nella misura minima.
La circostanza accidentale della conclusione all’estero della carriera diplomatica, che pure si caratterizza come unitaria, determinerebbe una considerevole riduzione del trattamento di quiescenza.
Il riconoscimento dell’indennità di servizio all’estero, che persegue una diversa funzione e non è valorizzata ai fini previdenziali, non giustificherebbe la sperequazione denunciata.
1.2.– Il giudice rimettente ravvisa, inoltre, il contrasto con il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, secondo comma, Cost.
In conseguenza della disciplina sospettata di illegittimità costituzionale, il diplomatico assegnato a una sede estera potrebbe infatti essere indotto all’immediato collocamento a riposo, quando già abbia maturato i requisiti per conseguire la pensione, o potrebbe scegliere di rientrare nella sede centrale prima del collocamento a riposo, «in potenziale contrasto con l’incondizionata protrazione del servizio all’estero».
2.– I giudizi, che hanno ad oggetto le medesime disposizioni, censurate in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, devono essere riuniti e decisi con un’unica pronuncia.
3.– L’Avvocatura generale dello Stato ha formulato molteplici eccezioni di inammissibilità, che devono essere esaminate in linea preliminare.
4.– La difesa dello Stato imputa al giudice a quo di non avere ricostruito compiutamente l’evoluzione della disciplina previdenziale, che anche la sentenza di questa Corte n. 153 del 2018 ha mostrato di considerare come dato imprescindibile, nel dichiarare inammissibili per aberratio ictus le questioni sollevate dal medesimo rimettente.
L’eccezione non è fondata.
Il giudice a quo ha individuato in maniera puntuale la normativa previdenziale che reputa essere all’origine del vulnus denunciato e ha così colmato le lacune segnalate nella citata pronuncia di questa Corte. In quell’occasione le censure, incentrate sulla sola normativa che definisce la retribuzione, avevano trascurato di approfondirne le correlazioni con la disciplina in tema di trattamento di quiescenza.
Con motivazione non implausibile, in linea con l’orientamento già espresso dalla giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, sentenza 4 maggio 2015, n. 244), l’odierno rimettente ha dato conto della necessità di fare applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, con specifico riguardo alla posizione previdenziale dei ricorrenti nei giudizi principali.
A ben vedere, è proprio tale disciplina che, nel commisurare il trattamento di quiescenza all’ultimo stipendio percepito, genera le disarmonie censurate.
Il giudice rimettente non ha mancato di ponderare anche le particolarità del trattamento retributivo del personale diplomatico in servizio all’estero e gli emolumenti aggiuntivi erogati in relazione a tale servizio.
Gli argomenti addotti a sostegno delle censure sono dunque idonei a illustrarne il senso e non sussistono carenze nella ricostruzione del quadro normativo di riferimento, tali da compromettere irrimediabilmente l’iter logico argomentativo e precludere lo scrutinio del merito (fra le molte, sentenza n. 194 del 2021, punto 3.1. del Considerato in diritto).
5.– L’Avvocatura generale dello Stato prospetta l’inammissibilità delle questioni anche per l’omessa sperimentazione di una interpretazione conforme ai principi costituzionali. Pur ammettendo la praticabilità di una siffatta interpretazione, contraddetta da una pronuncia del giudice d’appello che non potrebbe assurgere a diritto vivente, il giudice a quo avrebbe poi rivolto a questa Corte una impropria richiesta di avallo della lettura che ha recepito.
Neppure tale eccezione può essere accolta.
È la stessa difesa dello Stato a puntualizzare che l’interpretazione adeguatrice sarebbe priva di fondamento e non potrebbe dunque essere utilmente esplorata. L’univoco tenore letterale delle disposizioni censurate si frappone alla possibilità di un’interpretazione conforme a Costituzione, che deve così cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (sentenza n. 102 del 2021, punto 3.2. del Considerato in diritto).
Il giudice rimettente ha evidenziato che una tale scelta interpretativa esporrebbe la sentenza a una verosimile riforma da parte del giudice d’appello, che ha già privilegiato una diversa lettura delle disposizioni censurate e ha osservato che il trattamento di quiescenza è determinato in base agli ultimi trattamenti economici effettivamente percepiti e, dunque, a una indennità di posizione calcolata nella misura minima (Corte dei conti, seconda sezione giurisdizionale centrale di appello, sentenza 22 febbraio 2017, n. 112).
Nel quadro così delineato, pur mancando un vero e proprio “diritto vivente”, la via della proposizione della questione di legittimità costituzionale «costituisce l’unica idonea ad impedire che continui a trovare applicazione una disposizione ritenuta costituzionalmente illegittima» (sentenza n. 240 del 2016, punto 6 del Considerato in diritto).
6.– La difesa dello Stato eccepisce l’inammissibilità delle questioni anche perché il giudice rimettente invita questa Corte a un intervento manipolativo che impinge su scelte eminentemente discrezionali del legislatore.
L’eccezione è fondata.
6.1.– Questa Corte è costante nell’affermare che la determinazione della base retributiva utile ai fini del trattamento di quiescenza è rimessa alle scelte discrezionali del legislatore, «chiamato a compiere “una congrua valutazione che contemperi le esigenze di vita dei lavoratori, che ne sono beneficiari, e le disponibilità finanziarie” (sentenza n. 531 del 1988, punto 5 del Considerato in diritto), senza valicare il limite della “garanzia delle esigenze minime di protezione della persona” (sentenza n. 457 del 1998, punto 5 del Considerato in diritto)» (sentenza n. 259 del 2017, punto 3.1. del Considerato in diritto).
Compete al legislatore, nel preminente rispetto dei diritti fondamentali, la razionalizzazione dei sistemi previdenziali, operazione quest’ultima che postula valutazioni e bilanciamenti di interessi contrapposti (sentenza n. 202 del 2008, punto 2 del Considerato in diritto).
6.2.– Nella fattispecie sottoposta al vaglio di questa Corte, non viene in rilievo il rispetto delle esigenze minime di protezione della persona, che pure si impongono alle scelte discrezionali del legislatore nel definire la disciplina del trattamento di quiescenza.
Le censure vertono sulla determinazione della base pensionabile, che si interseca con la disciplina delle singole componenti della retribuzione, come l’indennità di servizio all’estero, e si iscrive in un quadro devoluto alla contrattazione collettiva.
Il superamento delle incongruenze indicate dal rimettente postula un complessivo intervento di armonizzazione, destinato a incidere, sia sulla peculiare disciplina retributiva applicabile al personale diplomatico, sia sulla connessa normativa previdenziale, nella ineludibile considerazione dell’unitarietà della carriera diplomatica, della specificità dei ruoli di volta in volta ricoperti nelle diverse sedi dell’amministrazione, della particolarità degli emolumenti corrisposti a chi presti servizio all’estero e in parte valorizzati anche ai fini previdenziali.
6.3.– Le stesse argomentazioni illustrate dal giudice rimettente lasciano trapelare una molteplicità di opzioni, che solo la prudente valutazione del legislatore può vagliare nelle svariate implicazioni che presentano.
Come si evidenzia nelle ordinanze di rimessione, i ricorrenti hanno rivendicato il riconoscimento, a fini previdenziali, dell’indennità di posizione «nella maggior misura spettante al “… personale di pari grado e funzioni in servizio in Italia” (così le conclusioni del ricorso introduttivo): cioè avendo riguardo alla posizione funzionale di rango più elevato o, in subordine, a quella di minor rango da attribuirsi ad un funzionario diplomatico avente il grado di ministro plenipotenziario che presti servizio nella sede centrale di quel Ministero; o ancora, in via ulteriormente subordinata, nella medesima misura concretamente percepita dall’odierno ricorrente durante la sua pregressa assegnazione presso l’Amministrazione centrale antecedente a quella, in sede estera, che aveva caratterizzato il suo conclusivo periodo di servizio».
Nella prospettiva del giudice rimettente, l’indennità di posizione potrebbe essere dunque computata secondo una fictio, che consideri il diplomatico cessato dal servizio in Italia e non all’estero, oppure alla stregua di un diverso, meno favorevole, meccanismo ancorato all’importo dell’indennità spettante al diplomatico – o alla corrispondente figura di minor rango – prima del trasferimento nella sede estera.
Si profilano, come appare evidente, soluzioni radicalmente alternative, che non consentono di indirizzare l’intervento correttivo di questa Corte né di «collocarlo entro un perimetro definito, segnato da grandezze già presenti nel sistema normativo e da punti di riferimento univoci» (sentenza n. 183 del 2022, punto 6 del Considerato in diritto).
7.– Dalle considerazioni svolte discende, in conclusione, l’inammissibilità delle questioni sollevate.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), e dell’art. 170, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri), sollevate, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 97, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 settembre 2022.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente e Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2022.