ORDINANZA N. 206
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA;
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, 75, comma 1, e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nonché degli artt. 5, 8 e 17, comma 5-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), promossi dal Tribunale ordinario di Pordenone con ordinanza del 23 giugno 2021 e dal Tribunale ordinario di Milano con ordinanza del 24 agosto 2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri 175 e 185 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 46 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visti l’atto di costituzione di A. C., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 settembre 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;
deliberato nella camera di consiglio del 12 settembre 2022.
Ritenuto che, con ordinanza del 23 giugno 2021 (reg. ord. n. 175 del 2021), il Tribunale ordinario di Pordenone ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 36 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, 75, comma 1, e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)»;
che, nella motivazione dell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo denuncia, altresì, gli artt. 5, 8 e 17, comma 5-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali);
che le suddette norme sono denunciate nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato in favore dei non abbienti sia assicurato in relazione all’attività difensiva svolta nell’ambito della mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando il successivo giudizio non viene instaurato per l’intervenuta conciliazione delle parti;
che il giudice a quo riferisce di essere chiamato a pronunciarsi sull’istanza di liquidazione dei compensi a spese dello Stato avanzata per l’attività difensiva espletata, appunto, nel corso di un procedimento di mediazione obbligatoria ai sensi della norma appena citata conclusosi con esito positivo, con la conseguenza che il processo non è stato poi introdotto;
che, ad avviso del rimettente, tale istanza non potrebbe essere accolta, poiché gli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia – i quali, rispettivamente, istituiscono il beneficio de quo e ne definiscono l’ambito applicativo – fanno riferimento soltanto al processo;
che, esclusa la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, il Tribunale di Pordenone ritiene che l’inapplicabilità del patrocinio a spese dello Stato comporti, anzitutto, un vulnus all’art. 2 Cost., in quanto la mediazione rappresenterebbe uno «strumento di pacificazione sociale condivisa e non imposta»;
che la preclusione oggetto di doglianza lederebbe, inoltre, l’art. 3 Cost., in riferimento ai principi di eguaglianza formale e di ragionevolezza, generando una ingiustificata disparità di trattamento tra gli stessi non abbienti e all’interno della categoria degli avvocati, peraltro proprio con riguardo alle ipotesi in cui la mediazione ha raggiunto lo scopo deflattivo cui è preordinata;
che risulterebbe, altresì, compromesso l’esercizio del diritto di difesa delle persone non abbienti – volto a garantire loro l’effettività della tutela giurisdizionale «in posizione di parità con quanti dispongono dei mezzi necessari» – con la conseguente violazione degli artt. 3, in riferimento al principio di uguaglianza sostanziale, e 24 Cost.;
che è, infine, dedotta la violazione dell’art. 36 Cost., poiché gli avvocati presterebbero «attività lavorativa obbligatoria gratuitamente»;
che, con atto depositato il 6 dicembre 2021, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito, in limine, l’inammissibilità delle questioni sollevate per inadeguata motivazione sull’asserita impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata;
che, nel merito, l’Avvocatura generale ha dedotto la non fondatezza, in particolare, della questione sollevata in riferimento all’art. 36 Cost., in quanto l’assunzione della difesa della parte ammessa al patrocinio non sarebbe obbligatoria e, comunque, perché la relativa attività sarebbe svolta dall’avvocato solo occasionalmente;
che si è costituito in giudizio il ricorrente nel processo principale, chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, 75, comma 1, e 76 t.u. spese di giustizia negli stessi termini auspicati dal giudice a quo;
che, con successiva ordinanza del 24 agosto 2021 (reg. ord. n. 185 del 2021), il Tribunale ordinario di Milano ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 36 Cost. – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non consentono l’applicabilità dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato al procedimento di mediazione, quando il suo espletamento è condizione di procedibilità della domanda in determinate materie e il processo non viene poi introdotto per essere intervenuta la conciliazione fra le parti;
che anche il Tribunale di Milano – dopo avere riferito di essere investito della richiesta di liquidazione dei compensi a spese dello Stato avanzata in relazione all’attività difensiva svolta nel corso di un procedimento di mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 – ritiene che tale richiesta non possa trovare accoglimento, alla luce del tenore letterale delle norme censurate, in quanto detto procedimento si è concluso con successo, sicché il giudizio non è stato instaurato;
che le norme censurate – sostiene il giudice milanese in forza di argomenti e sotto profili largamente sovrapponibili a quelli dedotti dal Tribunale di Pordenone – recherebbero un vulnus: a) all’art. 3 Cost., per contrasto con i principi di eguaglianza formale e di ragionevolezza; b) agli artt. 3 e 24 Cost., per violazione del diritto di difesa e del principio di eguaglianza sostanziale; c) infine, all’art. 36 Cost., in quanto il diritto del difensore al compenso per l’attività prestata risulterebbe «definitivamente compromesso»;
che anche in questo giudizio è intervenuto, con atto depositato il 17 dicembre 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che – sulla scorta di deduzioni sostanzialmente identiche a quelle svolte in relazione all’ordinanza di rimessione del Tribunale di Pordenone – ha chiesto la declaratoria di inammissibilità delle questioni sollevate o, in via gradata, di non fondatezza di quella prospettata in riferimento all’art. 36 Cost.
Considerato che, con ordinanze, rispettivamente, del 23 giugno 2021 (reg. ord. n. 175 del 2021) e del 24 agosto 2021 (reg. ord. n. 185 del 2021), il Tribunale ordinario di Pordenone e il Tribunale ordinario di Milano dubitano della legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia;
che il Tribunale di Pordenone dubita, inoltre, dell’art. 76 t.u. spese di giustizia e degli artt. 5, 8 e 17, comma 5-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010;
che i rimettenti denunciano le suddette disposizioni nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato in favore dei non abbienti sia assicurato anche in relazione all’attività difensiva svolta nel corso del procedimento di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando il successivo giudizio non è stato instaurato per l’intervenuta conciliazione delle parti;
che, secondo i giudici a quibus, i cui assunti poggiano su argomenti in buona misura sovrapponibili, tale omessa previsione si porrebbe in contrasto: a) con l’art. 2 Cost. – evocato dal solo Tribunale di Pordenone – poiché la mediazione rappresenterebbe uno «strumento di pacificazione sociale condivisa e non imposta»; b) con l’art. 3 Cost., perché sarebbero vulnerati i principi di eguaglianza formale e di ragionevolezza; c) con gli artt. 3 e 24 Cost., per violazione del diritto di difesa e del principio di eguaglianza sostanziale; d) con l’art. 36 Cost., in quanto risulterebbe compromesso il diritto dei difensori al compenso per l’attività lavorativa prestata;
che i giudizi, vertendo su questioni oggettivamente connesse, devono essere riuniti;
che, quanto al giudizio che trae origine dall’ordinanza di rimessione del Tribunale di Pordenone, occorre preliminarmente precisare il thema decidendum, poiché il rimettente, benché denunci anche l’art. 76 t.u. spese di giustizia e gli artt. 5, 8 e 17, comma 5-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, incentra e motiva, in realtà, le sue censure soltanto sugli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del citato testo unico: nel dolersi dell’impossibilità di beneficiare del patrocinio a spese dello Stato nella mediazione obbligatoria in determinate materie, infatti, riconduce siffatta preclusione precipuamente a tali ultime norme, nelle quali individua il testuale ed esclusivo riferimento al processo che ne limita l’«operatività» ai soli procedimenti giurisdizionali;
che, pertanto, l’esame delle questioni di legittimità costituzionale deve essere circoscritto ai menzionati artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia;
che, ancora in via preliminare, va rilevato che lo ius superveniens, rappresentato dalla legge 26 novembre 2021, n. 206 (Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata) – che conferisce al Governo una delega legislativa recante, per quanto qui interessa, tra i principi e criteri direttivi l’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita (art. 1, comma 4, lettera a) – non spiega effetti negli odierni incidenti, dal momento che, analogamente a quanto osservato da questa Corte in giudizi affini, «la sua entrata in vigore non vale a escludere l’applicazione delle disposizioni censurate» (sentenza n. 10 del 2022);
che questa Corte, con la sentenza n. 10 del 2022, sopravvenuta alle odierne ordinanze di rimessione, ha dichiarato, in senso conforme ai petita dei rimettenti, l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo;
che, pertanto, le questioni ora in scrutinio debbono essere dichiarate manifestamente inammissibili perché ormai prive di oggetto (ex plurimis, ordinanze n. 204, n. 172 e n. 116 del 2022, n. 192 e n. 184 del 2021, n. 225 del 2020 e n. 220 del 2019), atteso che, in ragione della intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale con effetto ex tunc, è venuta meno la carenza normativa che – secondo i giudici a quibus – determinava il denunciato contrasto con gli evocati parametri costituzionali;
che le considerazioni che precedono sono assorbenti rispetto all’eccezione preliminare sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato sulla scorta dell’asserita carenza di un’adeguata motivazione in ordine all’impossibilità di interpretare le norme denunciate secundum Constitutionem.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», sollevate, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 24 e 36 della Costituzione, dai Tribunali ordinari di Pordenone e di Milano con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 settembre 2022.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2022.