Sentenza n. 201 del 2022

SENTENZA N. 201

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, e 10, comma 3, della legge della Regione Siciliana 26 maggio 2021, n. 12 (Norme in materia di aree sciabili e di sviluppo montano), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 3 agosto 2021, depositato in cancelleria il 10 agosto 2021, iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;

udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;

udito l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppa Mistretta e Maria Concetta Caldara per la Regione Siciliana;

deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 3 agosto 2021 e depositato il 10 agosto 2021 (reg. ric. n. 43 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 3, comma 2, e 10, comma 3, della legge della Regione Siciliana 26 maggio 2021, n. 12 (Norme in materia di aree sciabili e di sviluppo montano), in riferimento, complessivamente, agli artt. 81, terzo comma, 97, secondo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, nonché agli artt. 14 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

1.1.– Il primo motivo di impugnazione ha ad oggetto il comma 2 del richiamato art. 3 in base al quale «[i] comuni, singolarmente o in forma associata, possono costituire o partecipare a società, anche con altri enti pubblici o con privati, che abbiano come oggetto sociale il perseguimento delle finalità di cui all’articolo 1 o, comunque, lo sviluppo delle attività di cui all’articolo 2».

Le disposizioni da ultimo richiamate prevedono, rispettivamente, le finalità e l’oggetto della disciplina (art. 1) e la individuazione delle aree sciabili (art. 2).

Quanto all’art. 1, esso stabilisce: «1. La Regione promuove e tutela le località montane e le relative aree sciabili in ragione della loro valenza in termini di sviluppo economico e culturale, di coesione sociale e territoriale, sostiene altresì la pratica dello sci e di ogni altra attività ludico-sportiva e ricreativa, invernale o estiva, che utilizzi impianti e tracciati destinati all’attività sciistica.

2. La presente legge disciplina la gestione e la fruizione delle aree sciabili, con particolare riguardo allo sviluppo delle attività economiche nelle località montane e alla sicurezza degli utenti. Disciplina altresì la riqualificazione e la razionalizzazione dell’uso delle aree sciabili, garantendo la salvaguardia ambientale e paesaggistica nonché la riduzione del consumo del suolo».

Quanto all’art. 2, esso stabilisce: «1. Con delibera della Giunta regionale adottata entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Commissione di coordinamento per le aree sciabili di cui all’articolo 10, sono individuate le eventuali ulteriori aree sciabili attrezzate ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 40.

2. Con la delibera di cui al comma 1 sono altresì individuate le aree a specifica destinazione per la pratica delle attività con attrezzi, quali lo sci alpino, lo snowboard, lo sci da fondo, lo slittino, da praticarsi nelle aree specificatamente individuate che devono essere segnalate, separate e classificate.

3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano fatti salvi gli attuali contratti ed obbligazioni in essere al momento della data di entrata in vigore della presente legge».

Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 4 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che, al comma 1, precluderebbe alle amministrazioni pubbliche di costituire, anche indirettamente, «società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società» e che, al comma 2, consentirebbe, ma solo nei limiti di cui al comma 1, di costituire società, o di acquisirne o mantenerne partecipazioni, «esclusivamente per lo svolgimento delle attività» indicate nelle successive lettere da a) ad e).

Il ricorso sottolinea che le citate norme statali introdurrebbero un «doppio vincolo», rispettivamente, «di scopo pubblico» e «di attività». In particolare, il vincolo di attività espresso dal comma 2, «ammettendo soltanto le società che svolgono “esclusivamente” le attività indicate alle lettere a), b), c), d) ed e)», rappresenterebbe un’importante novità rispetto alla disciplina previgente, come evidenziato dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema di decreto legislativo.

1.2.– Dopo avere ricordato l’obbligo in capo agli enti pubblici, ai sensi degli artt. 20 e 24 del d.lgs. n. 175 del 2016 (d’ora in avanti: TUSP) e come anche ribadito dalla giurisprudenza della Corte dei conti, di dismettere le società non riconducibili alle missioni istituzionali loro attribuite dalla legge, l’atto introduttivo richiama la nozione di «servizi di interesse generale», in quanto rilevante anche ai fini dell’art. 4, comma 2, lettera a), dello stesso decreto.

Essi sono definiti dall’art. 2, comma 1, lettera h), TUSP come «le attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale».

Ad avviso del ricorrente, la disposizione regionale impugnata, «prevedendo che i comuni possano partecipare a organismi societari in cui siano presenti altri enti pubblici o soggetti privati, senza tuttavia precisare che tale partecipazione dovrà comunque essere acquisita e gestita nel rispetto dei princìpi e limiti previsti dal TUSP consentirebbe anche l’acquisizione di partecipazioni di minoranza».

A sostegno della censura è richiamata la deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, 21 dicembre 2016, n. 398/2016/PAR, secondo la quale «nel caso in cui la partecipazione dell’ente sia minoritaria (ed in assenza di altri soci pubblici, che consentano il controllo della società), il servizio espletato non è da ritenere “servizio di interesse generale” posto che, a prescindere da ogni altra considerazione relativa alle finalità istituzionali dell’ente, l’intervento pubblico (stante la partecipazione minoritaria) non può garantire l’accesso al servizio così come declinato nell’articolo 4», non essendo in grado di determinarne le condizioni necessarie.

In senso analogo è citata anche la deliberazione della Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Piemonte, 5 febbraio 2016, n. 9/2016/SRCPIE/VSG, nella quale la magistratura contabile avrebbe sottolineato che le “partecipazioni polvere”, non consentendo un controllo sulla partecipata da parte del socio pubblico, non sarebbero coerenti con una valutazione di strategicità della partecipazione, riducendosi al rango di mero investimento di capitale di rischio, non più ammesso dall’attuale quadro normativo.

Pertanto, ad avviso del ricorrente, «il possesso di una eventuale partecipazione minoritaria, la cui acquisizione appare legittimata dalla previsione della norma regionale, non consentirebbe certamente di realizzare le condizioni affinché la pubblica amministrazione possa determinare le condizioni di accesso al servizio pubblico e, per esso, perseguire le proprie finalità istituzionali come richiesto dall’articolo 4, comma 1, del TUSP».

Il motivo di impugnazione si conclude rilevando che, siccome le attività da realizzare attraverso la partecipazione societaria degli enti locali prevista dalla norma regionale impugnata «non appaiono strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali», l’art. 3, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021 «si po[rrebbe] in contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 4 del TUSP di cui al D.Lgs. 19.8.2016, n. 175, in relazione agli artt. 14 e 17 dello Statuto Speciale di autonomia, R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (che disciplinano la potestà legislativa della Regione Siciliana), con diretto riferimento sia alla materia del coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, comma 3, Cost., sia al principio di buon andamento di cui all’art. 97, comma 2, Cost. che viene chiaramente leso dalla norma impugnata».

1.3.– Con il secondo motivo di gravame il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 10, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 19 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).

Il richiamato art. 10, nei primi due commi, rispettivamente, istituisce la «Commissione di coordinamento per le aree sciabili, quale organo consultivo della Regione in materia di gestione e fruizione delle aree sciabili» e dispone che i componenti della stessa «svolgono i loro compiti a titolo gratuito e senza rimborso spese».

Il successivo comma 3 è impugnato nella parte in cui prevede che «[a]i lavori della Commissione possono essere invitati tecnici ed esperti, il cui parere sia ritenuto utile e necessario per l’esame di singole questioni».

Secondo il ricorrente, da un lato, la richiamata previsione di cui al comma 2 «non [sarebbe] sufficiente ad escludere la sussistenza di spese di funzionamento diverse dai compensi ai componenti»; dall’altro, la norma di cui al comma seguente sarebbe quindi «suscettibile di comportare oneri non quantificati, per i quali non è indicata la copertura finanziaria», contrastando con l’evocato parametro costituzionale sotto entrambi i profili da ultimo evidenziati.

A sostegno della doglianza, il ricorso richiama la sentenza di questa Corte n. 26 del 2013, nella parte in cui ha affermato che, in forza dell’art. 19 della legge n. 196 del 2009, le modalità di copertura finanziaria delle leggi statali, fissate dall’art. 17 della medesima legge, sono estese a tutte le Regioni e alle Province autonome; inoltre, segnala che la previsione di spesa oggetto della norma in esame apparterrebbe «alla categoria degli oneri pluriennali con carattere non uniforme e temporalmente circoscrivibile», sì che il difetto di quantificazione della relativa spesa e l’omessa individuazione dei mezzi per farvi fronte dimostrerebbero la fondatezza del motivo.

2.– La Regione Siciliana, in persona del Presidente pro tempore, si è costituita in giudizio in data 9 settembre 2021, chiedendo di dichiarare l’inammissibilità e comunque la non fondatezza del ricorso.

2.1.– La resistente evidenzia anzitutto «l’ambiguità, l’indeterminatezza, la contraddittorietà […] del petitum» della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021, che costituirebbero motivi di inammissibilità del ricorso.

Al riguardo la difesa regionale ricorda la necessità che, nella materia del coordinamento della finanza pubblica, si identifichi la «norma puntuale» diretta a realizzare in concreto tale finalità e la si ponga a raffronto con quella regionale che asseritamente «abbia superato “il limite” complessivo dettato dallo Stato», ferma rimanendo l’ampia libertà per l’ente di allocare le risorse nell’esercizio della propria autonomia finanziaria.

Nel merito, non sarebbe fondata la tesi del ricorrente secondo la quale l’attività di gestione e fruizione delle aree sciabili non rientrerebbe nel novero di quelle per le quali gli enti locali siciliani potrebbero costituire una società o acquisire o mantenere partecipazioni societarie.

Richiamati i contenuti dell’art. 4, commi 1 e 2, TUSP e, in particolare, la previsione che consente di svolgere mediante una società partecipata «l’attività di offerta di un servizio di interesse generale» e quella, cosiddetta, di «“autoproduzione” di un servizio strumentale all’ente», la difesa regionale ricorda che la qualificazione in termini di servizio di interesse generale dipenderebbe non tanto dalla natura dell’attività svolta, «quanto dalla circostanza che l’ente pubblico abbia in concreto inteso assumersi la responsabilità dell’attività stessa a beneficio dei consociati».

Pertanto, «ciascuno Stato, e ciascun ente territoriale dotato di autonomia politica» resterebbe libero, in linea di principio, di stabilire quali prestazioni debbano costituire «servizi di interesse generale» per le proprie comunità di riferimento (sono richiamate la sentenza di questa Corte n. 103 del 2020 e la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione seconda, 21 dicembre 2011, in causa C-242/10, Enel produzione spa) e i mezzi più idonei a soddisfare i bisogni così individuati.

In tale contesto, citando un passaggio della sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, 23 gennaio 2019, n. 578, la difesa regionale afferma che la decisione di costituire una società atterrebbe al contingente indirizzo politico-amministrativo fatto proprio dall’amministrazione pubblica e che al Comune, ente autonomo a fini generali, spetterebbe «la ricognizione dei bisogni della collettività di riferimento e la loro qualificazione come obiettivi di interesse generale da perseguire».

Nel caso di specie, la resistente osserva che lo stesso legislatore regionale «si sarebbe determinato nel senso di collocare tra i compiti istituzionali della Regione la promozione e la tutela delle località montane e le relative aree sciabili», come enunciato dall’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021, al fine di offrire un servizio a una platea indifferenziata di utenti e rispondendo a un interesse collettivo nel contesto locale.

In conclusione, la difesa regionale ritiene che previsione impugnata non presenterebbe «alcun profilo di illegittimità per contrasto con la normativa statale, muovendosi al contrario entro i presupposti della stessa e dettando una norma di principio generale».

2.2.– Quanto alla doglianza mossa all’art. 10, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021, la resistente ne contesta la fondatezza ricordando, da un lato, che il comma 2 della stessa previsione sancirebbe espressamente «la gratuità della partecipazione alla Commissione» e, dall’altro, che a quest’ultima sarebbe comunque applicabile il combinato disposto di due specifiche previsioni; ciò che comporterebbe «l’onorificità della partecipazione agli organi collegiali» (sono richiamati l’art. 18 della legge della Regione Siciliana 17 marzo 2016, n. 3, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2016. Legge di stabilità regionale» e l’art. 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122).

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 43 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 3, comma 2, e 10, comma 3, della legge della Regione Siciliana 26 maggio 2021, n. 12 (Norme in materia di aree sciabili e di sviluppo montano), in riferimento, complessivamente, agli artt. 81, terzo comma, 97, secondo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, nonché agli artt. 14 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

2.– Il primo motivo di impugnazione ha ad oggetto il comma 2 del richiamato art. 3, in base al quale «[i] comuni, singolarmente o in forma associata, possono costituire o partecipare a società, anche con altri enti pubblici o con privati, che abbiano come oggetto sociale il perseguimento delle finalità di cui all’articolo 1 o, comunque, lo sviluppo delle attività di cui all’articolo 2».

2.1.– Ad avviso del ricorrente tale disposizione si porrebbe in contrasto con l’art. 4 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che, al comma 1, precluderebbe alle amministrazioni pubbliche di costituire, anche indirettamente, «società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società» e che, al comma 2, consentirebbe, ma solo nei limiti di cui al comma 1, di costituire società, o di acquisirne o mantenerne partecipazioni, «esclusivamente per lo svolgimento delle attività» indicate nelle successive lettere da a) ad e).

L’atto introduttivo, dopo aver sottolineato che le citate norme statali introdurrebbero un «doppio vincolo», rispettivamente «di scopo pubblico» e «di attività», conclude sostenendo che le attività da realizzare attraverso la partecipazione societaria degli enti locali prevista dalla norma regionale impugnata non sarebbero «strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali».

2.2.– Il ricorso articola poi un secondo profilo di censura, partendo dalla nozione di «servizi di interesse generale», richiamata in quanto rilevante anche ai fini dell’art. 4, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 175 del 2016 (d’ora in avanti: TUSP).

Secondo l’Avvocatura, la disposizione regionale impugnata «consentirebbe anche l’acquisizione di partecipazioni di minoranza», nonostante la giurisprudenza contabile abbia escluso che, in tali casi, quello espletato possa qualificarsi «servizio di interesse generale», posto che attraverso le cosiddette “partecipazioni polvere” l’ente pubblico non riuscirebbe a garantire le condizioni di accesso al servizio previste dal TUSP e, di conseguenza, non potrebbe perseguire le proprie finalità istituzionali.

2.3.– Conclusivamente, l’art. 3, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021 si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 4 TUSP, «in relazione agli artt. 14 e 17 dello Statuto Speciale di autonomia, R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (che disciplinano la potestà legislativa della Regione Siciliana), con diretto riferimento sia alla materia del coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, comma 3, Cost., sia al principio di buon andamento di cui all’art. 97, comma 2, Cost. che viene chiaramente leso dalla norma impugnata».

3.– La Regione Siciliana ha eccepito l’inammissibilità del motivo di impugnazione dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021 per «l’ambiguità, l’indeterminatezza, la contraddittorietà […] del petitum», non avendo il ricorrente, in sostanza, né individuato la «norma puntuale» diretta a realizzare in concreto la finalità di coordinamento finanziario, né motivato la violazione che la norma regionale avrebbe prodotto.

L’eccezione è priva di fondamento.

Il ricorso contiene, infatti, un’argomentazione sufficiente e idonea a supportare la censura poiché, a fronte di una norma regionale che abilita i Comuni a utilizzare lo strumento societario, ravvisa il contrasto con le «finalità perseguibili mediante l’acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche» disciplinate nell’art. 4 TUSP, ritenuto espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

La verifica della correttezza di tale impostazione attiene poi al merito della questione, non alla sua ammissibilità.

4.– Va, invece, dichiarata d’ufficio la inammissibilità della questione promossa in riferimento agli artt. 14 e 17 dello statuto reg. Siciliana, per «[l]’assoluta genericità della doglianza, sprovvista di alcuna argomentazione a sostegno del contrasto con i parametri indicati» (sentenza n. 25 del 2021; nello stesso senso, sentenza n. 86 del 2022).

5.– La prima questione da esaminare nel merito attiene alla portata che l’art. 3, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021 assegna alla partecipazione societaria dei Comuni, da valutare in termini di compatibilità con l’art. 4, commi 1 e 2, del TUSP (risultando non pertinente e comunque privo di qualsiasi argomentazione il cursorio richiamo all’art. 3, comma 1, dello stesso testo unico, riportato solo nelle conclusioni del motivo di impugnazione) e, di conseguenza, con gli evocati parametri di cui agli artt. 117, terzo comma, e 97, secondo comma, Cost.

5.1.– La questione, nei limiti indicati di seguito, è fondata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

L’art. 4, commi 1 e 2, TUSP, ritenuto da questa Corte non solo attinente alla materia «ordinamento civile», ma anche portatore di «profili di coordinamento finanziario e tutela del buon andamento della pubblica amministrazione» (sentenza n. 86 del 2022), ha stabilito specifici vincoli ai quali le amministrazioni pubbliche devono attenersi.

Ciò in quanto il fenomeno delle società a partecipazione pubblica – che ha consentito anche significative innovazioni dell’intervento pubblico – si era sviluppato in modo esponenziale, con amministrazioni che vi avevano fatto ricorso in modo indiscriminato, anche per lo svolgimento di attività non riconducibili ai loro fini istituzionali, con il pregiudizievole effetto di chiudere, senza ragione, alla concorrenza determinati mercati, e, comunque, molto spesso senza rispetto dei criteri di economicità ed efficienza, con conseguenti gravi disavanzi e oneri per la finanza pubblica.

Per fronteggiare tale situazione, in particolare, il comma 1 del citato art. 4 dispone che «[l]e amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società». Si tratta di una previsione che impone uno specifico vincolo di scopo pubblico, per cui possono essere costituite società ovvero acquisite o mantenute partecipazioni solo se l’oggetto dell’attività sociale – la produzione di beni e servizi – è strettamente necessario al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente.

Il comma 2 dello stesso art. 4 introduce poi un ulteriore vincolo, quello di attività, ammettendo soltanto le società che svolgono «esclusivamente» le attività espressamente indicate, ovvero: a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi; b) progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche; c) realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato pubblico-privato; d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni; e) servizi di committenza.

5.1.1.– La disposizione regionale impugnata, invece, nel consentire ai Comuni di costituire società o acquisire partecipazioni nelle stesse, prescindendo del tutto dai vincoli posti dall’art. 4 TUSP, ne individua il possibile oggetto sociale per relationem, identificandolo nel vago contenuto derivante dal «perseguimento delle finalità di cui all’articolo 1» o, comunque, dallo «sviluppo delle attività di cui all’articolo 2» della stessa legge reg. Siciliana n. 12 del 2021.

Essa, pertanto, finisce per ammettere un ampio e indeterminato ventaglio di scopi e di attività, ben al di là di quanto strettamente necessario per il perseguimento delle finalità istituzionali dei Comuni.

In particolare, per il tramite dell’art. 1, la norma regionale consente ai Comuni siciliani di costituire o partecipare a società che abbiano come oggetto sociale il perseguimento delle seguenti finalità:

a) promozione e tutela delle località montane e delle relative aree sciabili;

b) sostegno della pratica dello sci e di ogni altra attività ludico-sportiva e ricreativa che utilizzi gli impianti e i tracciati destinati a tale sport;

c) gestione e fruizione delle aree sciabili, con particolare riguardo allo sviluppo di attività economiche nelle località montane;

d) riqualificazione e razionalizzazione dell’uso delle aree sciabili.

Lo stesso art. 3, comma 2, mediante il rinvio al precedente art. 2, consente anche di costituire o partecipare a società che abbiano come oggetto sociale lo sviluppo di attività, quali lo sci alpino, lo snowboard, lo sci da fondo, lo slittino.

Pertanto, sia i concetti di «promozione» e di «tutela», sia, più in generale, le altre finalità enunciate, finiscono per legittimare, potenzialmente, attività meramente imprenditoriali e commerciali, non solo non strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali municipali, ma anche diverse da quelle tipizzate nell’art. 4, comma 2, TUSP.

Tale ampio e indeterminato perimetro di finalità e attività collide con l’impostazione alla base del TUSP – e, in particolare, dell’art. 4, commi 1 e 2, – che punta a contrastare, come in precedenza evidenziato, l’aumento ingiustificato delle partecipazioni pubbliche.

La norma di cui all’art. 3, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021, ponendo un criterio alternativo a quello fissato dal legislatore statale con l’art. 4, commi 1 e 2, TUSP, viola quindi l’evocato art. 117, terzo comma, Cost.

5.1.2.– Il rilevato contrasto non determina, tuttavia, l’illegittimità costituzionale dell’intera norma impugnata, poiché l’ampio insieme delle attività per le quali ai Comuni è consentito costituire o partecipare a società per valorizzare le aree sciabili e lo sviluppo montano ne ricomprende anche una considerata in maniera espressa dallo stesso art. 4 TUSP.

Il comma 7 di quest’ultima disposizione prevede, infatti, che «[s]ono altresì ammesse le partecipazioni nelle società aventi per oggetto sociale prevalente […] la realizzazione e la gestione di impianti di trasporto a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane […]». Peraltro, per «partecipazione», ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera f), TUSP, s’intende «la titolarità di rapporti comportanti la qualità di socio in società […]» potendo, quindi, l’assunzione di tale qualità avvenire sia in una società esistente, sia in una società di nuova costituzione.

Rispetto ai criteri fissati dai commi 1 e 2 dell’art. 4 TUSP, il richiamato comma 7 contiene quindi una norma speciale per l’attività di gestione degli impianti di risalita strumentali all’esercizio delle aree sciistiche, attività che del resto era già stata qualificata in termini di servizio pubblico locale dalla giurisprudenza amministrativa anteriore all’adozione del TUSP (come rilevato dalla sentenza n. 103 del 2020, punto 4.7.1. del Considerato in diritto).

È peraltro indubbio che la realizzazione e la gestione di impianti di risalita attiene anche a finalità pubbliche di sostegno alle attività svolte nelle aree sciabili, costituendo tali impianti l’infrastruttura essenziale per ognuna di esse, come confermato, sul piano applicativo, dalla presenza di società municipali in pressoché tutte le Regioni dotate di stazioni sciistiche.

Pertanto, la norma regionale non contrasta con il parametro evocato solo nella parte in cui consente ai Comuni di partecipare a società aventi come oggetto sociale prevalente la realizzazione e la gestione di impianti di trasporto a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane.

In definitiva, in forza delle ragioni fin qui esposte, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021, nella parte in cui prevede che le società ivi considerate possono avere per oggetto sociale prevalente attività diverse dalla realizzazione e gestione di impianti di trasporto a fune per la mobilità turistico-sportiva in aree montane.

È assorbito l’ulteriore profilo di censura.

6.– La dichiarata illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021, in quanto solo parziale, non preclude l’esame della seconda distinta censura mossa alla medesima disposizione regionale.

Con essa, il ricorrente si duole della possibilità di acquisire partecipazioni di modesta entità, per cui comunque l’ente locale non potrebbe conseguire le proprie finalità istituzionali nei termini richiesti dall’art. 4, comma 1, TUSP, data l’inidoneità delle cosiddette “partecipazioni polvere” ad assicurare al servizio di interesse generale i suoi caratteri definitori.

6.1.– La questione non è fondata.

In primo luogo, l’art. 4, comma 1, TUSP non vieta le partecipazioni di minoranza in quanto tali, ma preclude qualsiasi partecipazione, sia o no di controllo, che non soddisfi il vincolo di scopo pubblico. Inoltre, il comma 2 della stessa disposizione, che alle lettere a) e c) ammette l’attività di produzione di servizi di interesse generale, tiene fermi i limiti di cui al comma 1 senza prevedere requisiti aggiuntivi che valgano in via di principio a restringere il ricorso allo strumento societario alle sole partecipazioni di controllo.

Del resto, anche l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 4 TUSP risulta ben più articolata della prospettazione del ricorrente; va quindi escluso che l’art. 3, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021 contrasti sia con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione al citato art. 4, sia con il principio di buon andamento di cui all’art. 97, secondo comma, Cost.

6.2.– Da ultimo, va precisato che il suddetto art. 3, comma 2, non determina l’inapplicabilità degli oneri di motivazione analitica richiesti dall’art. 5 TUSP per l’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica o di acquisto di partecipazioni; il comma 1 di questa disposizione, infatti, esenta solo i casi in cui ciò avvenga «in conformità a espresse previsioni legislative», tra le quali non rientra quella in esame, che disciplina in via generale e astratta le finalità perseguibili dai Comuni con lo strumento societario.

La decisione puntuale di avvalersene da parte degli enti locali siciliani – pur in relazione al più limitato ambito operativo derivante dall’intervento di questa Corte – dovrà pertanto comunque motivare analiticamente il rispetto del vincolo di scopo pubblico «evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato», dando conto anche «della compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa».

Tale articolata previsione, che impone all’ente di esporre – con un onere “rafforzato” di motivazione soggetto al sindacato giurisdizionale – le ragioni della partecipazione (anche minoritaria), è infatti indicativa di un’ulteriore «cautela verso la costituzione e l’acquisto di partecipazioni di società pubbliche» (sentenza n. 100 del 2020).

Il suddetto onere “rafforzato” di motivazione è coerente, del resto, con il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, ultimo comma, Cost., che implica un favor per la società civile con riferimento a quelle attività di interesse generale che essa sia in grado di svolgere (in quanto non è richiesta la natura pubblica del soggetto erogatore) e alle quali ben può l’ente pubblico concorrere con una partecipazione anche di minoranza.

6.3.– Con la previsione dell’art. 5 TUSP, che riflette altresì un favor per la “concorrenza nel mercato”, l’ordinamento italiano ha del resto espresso, come ha osservato la dottrina, una regola analoga a quella spesso contenuta nelle Gemeindeordnungen tedesche, in forza della quale gli enti territoriali possono assumere direttamente la gestione di attività imprenditoriali solo se (e in quanto) siano in grado di farlo a condizioni più favorevoli di quelle offerte dal mercato.

Peraltro, proprio in relazione alla fattispecie degli impianti a fune, allorché non integrati nel sistema locale dei trasporti pubblici, questa Corte ha significativamente rilevato, in altra occasione, che la scelta dell’ente territoriale è «stata, piuttosto, quella di lasciare lo sviluppo e la gestione di queste attività alla libera iniziativa economica privata, alla quale si deve – sin da epoca assai anteriore all’entrata in vigore della disciplina dell’Unione europea e nazionale in materia di tutela della concorrenza nella gestione dei pubblici servizi – la realizzazione e la continuativa gestione di diverse centinaia di impianti di risalita» (sentenza n. 103 del 2020, punto 4.4. del Considerato in diritto).

Emerge quindi, anche nel caso dei Comuni siciliani qui in considerazione, l’esigenza, da un lato, di un’attenta considerazione dell’ambito delle compatibilità finanziarie e gestionali implicate dall’ingresso dell’ente in una società e, dall’altro lato, della specificazione dei caratteri qualificanti dell’attività che il soggetto pubblico intende svolgere in forma imprenditoriale.

7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 10, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 19 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).

Il richiamato art. 10, nei primi due commi, rispettivamente, istituisce la «Commissione di coordinamento per le aree sciabili, quale organo consultivo della Regione in materia di gestione e fruizione delle aree sciabili» e dispone che i componenti della stessa «svolgono i loro compiti a titolo gratuito e senza rimborso spese».

Il successivo comma 3 è denunciato nella parte in cui prevede che «[a]i lavori della Commissione possono essere invitati tecnici ed esperti, il cui parere sia ritenuto utile e necessario per l’esame di singole questioni». Secondo il ricorrente, da un lato, la richiamata previsione di cui al comma 2 «non [sarebbe] sufficiente ad escludere la sussistenza di spese di funzionamento diverse dai compensi ai componenti»; dall’altro, la norma di cui al comma seguente «appare quindi suscettibile di comportare oneri non quantificati, per i quali non è indicata la copertura finanziaria», contrastando con l’evocato parametro costituzionale sotto entrambi i profili da ultimo evidenziati.

7.1.– La questione non è fondata.

L’impugnato comma 3 dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021 si limita a prevedere che ai lavori della commissione consultiva possono essere invitati tecnici ed esperti per fornire un parere su singole questioni, senza estendere nei loro confronti la previsione sia della gratuità di tale forma di partecipazione, sia dell’assenza del rimborso delle spese, che il comma 2 del medesimo art. 10 riferisce espressamente ai soli componenti della commissione medesima.

Tuttavia, ciò non integra il denunciato vulnus all’art. 81, terzo comma, Cost., essendo corretto quanto rilevato dalla difesa della resistente.

Infatti, l’art. 18, comma 1, della legge della Regione Siciliana 17 marzo 2016, n. 3 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2016. Legge di stabilità regionale) prevede che, a decorrere dalla entrata in vigore di quest’ultima, «la partecipazione agli organi collegiali» della Regione «e degli enti comunque sovvenzionati, sottoposti a tutela o vigilanza della Regione, nonché la titolarità di organi dei predetti enti è disciplinata secondo le disposizioni di cui all’articolo 6, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modifiche ed integrazioni».

La disposizione statale da ultimo richiamata – che «quale principio di coordinamento della finanza pubblica, si applica anche alle autonomie speciali» (sentenza n. 172 del 2018) – stabilisce in via generale che la partecipazione agli organi collegiali «è onorifica» e che la stessa «può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente».

In conclusione, dal congiunto effetto del suddetto art. 18, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016 e della citata disposizione statale discende che la norma regionale impugnata non può comportare nuovi oneri finanziari, poiché, da un lato, anche quella dei tecnici ed esperti occasionalmente invitati ai lavori della commissione consultiva si configura come una partecipazione all’organo collegiale e, pertanto, effettuata a titolo onorifico; dall’altro lato, nessuna estensione è apportata al rimborso delle spese.

Di qui, la non fondatezza della doglianza statale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge della Regione Siciliana 26 maggio 2021, n. 12 (Norme in materia di aree sciabili e di sviluppo montano), nella parte in cui prevede che le società ivi considerate possono avere per oggetto sociale prevalente attività diverse dalla realizzazione e gestione di impianti di trasporto a fune per la mobilità turistico-sportiva in aree montane;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021, promossa – nella parte in cui consente ai Comuni l’acquisizione di partecipazioni di minoranza –, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 12 del 2021, promossa, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2022.