SENTENZA N. 197
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», come modificato dall’art. 16-octies del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91 (Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno), inserito, in sede di conversione, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123, e dall’art. 29, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, in composizione monocratica, con tre ordinanze del 9 ottobre 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 103, 104 e 105 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 giugno 2022 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;
deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con tre ordinanze di identico tenore del 9 ottobre 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 103, 104 e 105 del registro ordinanze 2021, la Commissione tributaria provinciale di Siracusa, in composizione monocratica, in funzione di giudice dell’ottemperanza, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», come modificato dall’art. 16-octies del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91 (Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno), inserito, in sede di conversione, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123, e dall’art. 29, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, nella parte in cui «limita il rimborso delle imposte ivi previste alla metà del dovuto e al contempo rende incerto − sino all’esclusione − il soddisfacimento dell’altra metà», denunziandone il contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 23 della Costituzione.
1.1.– Il giudice a quo riferisce che i giudizi principali sono stati promossi da tre diversi contribuenti al fine di ottenere l’ottemperanza dell’Agenzia delle entrate ad altrettante sentenze definitive, con le quali la stessa Commissione tributaria di Siracusa aveva riconosciuto loro il diritto al rimborso del novanta per cento delle somme versate a titolo di imposte relative al triennio 1990-1992. A fondamento della domanda giudiziale, le parti attrici hanno dedotto che l’amministrazione finanziaria, pur costituita in mora, era rimasta inerte o aveva corrisposto soltanto per metà gli importi dovuti.
Espone il Giudice rimettente che l’Agenzia delle entrate, costituendosi nei giudizi a quibus, ha dedotto di aver dato attuazione alle pronunce della CTP versando ai ricorrenti il cinquanta per cento delle somme loro riconosciute, in ossequio all’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014.
L’amministrazione finanziaria – soggiunge il giudice a quo – ha anche sottolineato che le somme versate possono essere considerate come acconti, posto che, come chiarito dal provvedimento del 26 settembre 2017, adottato dal direttore dell’Agenzia delle entrate in attuazione dell’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, come convertito, ove i fondi autorizzati superino l’ammontare delle istanze restitutorie, le somme residue possono essere assegnate proporzionalmente al valore degli importi liquidati.
Dalle ordinanze di rimessione si apprende, ancora, che nei giudizi principali l’Agenzia delle entrate ha sottolineato che l’indicato dimezzamento, pur non incidendo sul titolo del credito restitutorio, deve trovare applicazione in sede di ottemperanza, e ha concluso chiedendo dichiararsi la cessazione della materia del contendere per avere l’Ufficio interamente eseguito i giudicati attraverso la convalida dei rimborsi, ovvero mediante l’unico adempimento rientrante nella propria sfera di competenza.
1.2.– Con identico percorso argomentativo, le ordinanze di rimessione rappresentano che, in conseguenza del sisma che nel 1990 ha interessato le Province di Catania, Ragusa e Siracusa, gli obblighi tributari sono stati sospesi fino a quando l’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)», ha disposto che i soggetti colpiti dall’evento calamitoso avrebbero potuto definire la propria posizione relativa agli anni 1990, 1991 e 1992 pagando, entro il 16 marzo 2003, l’intero ammontare dovuto per ciascun tributo a titolo di capitale, al netto dei versamenti già eseguiti a titolo di capitale e di interessi, diminuito al dieci per cento.
Ricorda, ancora, il rimettente che molti contribuenti che avevano assolto le imposte relative al triennio in questione, lamentando la disparità di trattamento, hanno avanzato istanza di rimborso nella misura del novanta per cento, e che la Corte di cassazione, sezione quinta civile, con la sentenza 1° ottobre 2007, n. 20641, ha riconosciuto la fondatezza di tali pretese sulla base di un’interpretazione consolidatasi nel tempo in diritto vivente.
Sennonché, con l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 il legislatore ha limitato il diritto al rimborso, fissando uno stanziamento di euro 30.000,00 (recte: euro 30.000.000,00) per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017.
La disposizione anzidetta è stata nuovamente modificata dal d.l. n. 91 del 2017, come convertito, il quale, all’art. 16-octies, ha apportato una duplice innovazione alla disciplina in questione, introducendo, al contempo, una riduzione del rimborso alla metà della somma dovuta e il diniego del residuo in caso di esaurimento dello stanziamento già fissato dalla legge n. 190 del 2014.
Rileva, ancora, il giudice a quo che, mediante l’art. 29 del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, il legislatore è intervenuto nuovamente sulla materia, confermando, per un verso, la limitazione del rimborso al cinquanta per cento, e innalzando, per l’altro, lo stanziamento a ciò destinato dall’importo di euro 90.000.000,00 a quello di euro 160.000.000,00, senza, tuttavia, disporne una ripartizione annuale, ma ascrivendolo agli ordinari capitoli di spesa utilizzati per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi.
Il rimettente rammenta altresì che, secondo l’interpretazione consolidata della giurisprudenza di legittimità, il citato art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 non riguarda il titolo della ripetizione, ma esclusivamente la sua esecuzione, con la conseguenza che, qualunque sia il titolo del rimborso, la disciplina in questione si applica nella fase realizzativa del credito, a prescindere dalla natura, giudiziale o meno, del titolo della pretesa restitutoria.
1.3.– Lamenta il giudice a quo che, alla stregua della formulazione della normativa in esame, è dubbio se il contribuente, che abbia ottenuto la metà dell’importo dovutogli a titolo di rimborso, possa agire immediatamente in ottemperanza per conseguire l’altra metà, oppure se possa pretendere la parte restante soltanto ove si avveri la «condizione sospensiva […] del superamento della soglia che […] rileva oggi nella misura di € 160.000.000,00».
Deduce, ancora, la CTP che, non essendo prevista un’actio interrogatoria, l’inerzia dell’amministrazione finanziaria nell’indicare il numero e l’ammontare delle istanze di restituzione espone il diritto al rimborso «all’incertezza per il soddisfacimento della quota […] per un tempo imprevedibile» e tale situazione «conculca all’evidenza il diritto in esame riguardo l’art. 23 Cost.».
L’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, come convertito, sarebbe dunque costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede un termine entro il quale l’Agenzia delle entrate debba provvedere al resoconto sulle istanze di rimborso in vista della liquidazione della metà o della ulteriore riduzione del dovuto, «sino - lo ha evidenziato la Corte di Cassazione - alla sua vanificazione».
A tale lacuna – opina il rimettente – la Corte costituzionale non potrebbe, peraltro, porre rimedio mediante una pronuncia additiva.
Alla segnalata carenza non potrebbe ovviare nemmeno il commissario ad acta designato nel giudizio di ottemperanza.
Ad avviso del giudice a quo, quanto premesso attesterebbe la rilevanza delle questioni sollevate.
1.4.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, la CTP prospetta una disparità di trattamento tra i contribuenti che hanno fruito delle sospensioni accordate in conseguenza degli eventi sismici del 1990, i quali hanno conservato la disponibilità delle somme, per poi adempiere nella limitata misura del dieci per cento, e coloro che, invece, hanno assolto le imposte dovute per il triennio 1990-1992, ai quali la legge ha riconosciuto soltanto la metà del rimborso, rendendo incerto il recupero della restante parte.
I medesimi contribuenti, conclude il rimettente, hanno subito, per la metà del credito loro riconosciuta, «il pregiudizio collegato agli interessi», avendo potuto avanzare istanza di ripetizione solo dopo la citata sentenza della Corte di cassazione n. 20641 del 2007, la quale, peraltro, avrebbe superato la disparità di trattamento determinata dalla norma in questione «espropriando di fatto i poteri del Giudice delle leggi, e cioè violando il riparto della giurisdizione».
A ciò si aggiungerebbe il vulnus, per le ragioni già evidenziate, all’art. 23 Cost.
2.– Nei giudizi innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la dichiarazione di inammissibilità e comunque di non fondatezza delle questioni.
2.1.– Ad avviso della difesa statale, il giudice rimettente avrebbe omesso di verificare se la norma censurata sia effettivamente applicabile nel processo principale, avuto riguardo alla data in cui sono divenute definitive le sentenze poste a base dei giudizi di ottemperanza; all’individuazione dello stanziamento effettivamente applicabile nel caso di specie; all’assolvimento, da parte dell’amministrazione finanziaria, dell’onere di provare l’incapienza delle risorse stanziate.
2.1.1.– L’interveniente osserva altresì come il rimettente non abbia fatto menzione di un’eventuale richiesta dei ricorrenti in ottemperanza di disapplicazione del provvedimento del 26 settembre 2017, con il quale il direttore dell’Agenzia delle entrate ha dato attuazione all’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, né si sia interrogato sulla legittimità di tale atto.
2.1.2.– Sotto altro profilo, la CTP non chiarirebbe la ragione per la quale la prescrizione di un termine per il resoconto, da parte dell’amministrazione finanziaria, sulle istanze di rimborso sarebbe necessaria ad assicurare il rispetto della riserva di legge espressa dall’art. 23 Cost.
2.2.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che il predetto parametro costituzionale sia stato evocato in modo inconferente, dal momento che la riserva di legge ivi contenuta sarebbe, nella specie, soddisfatta, rinvenendo la falcidia in questione il proprio fondamento in una fonte di rango primario.
Aggiunge l’interveniente che l’individuazione delle modalità e delle procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dall’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, come modificato, è stata affidata a un provvedimento amministrativo, perché riguarda un profilo che attiene alla diversa questione della concreta applicabilità della norma primaria che dispone la riduzione.
2.2.1.– Ancora, la difesa statale argomenta che la norma censurata non avrebbe dimidiato i rimborsi, ma, al fine di rispettare il limite delle somme stanziate, ne avrebbe autorizzato la riduzione nell’ipotesi in cui le istanze restitutorie avessero superato i fondi stanziati, precisando che, esaurite le risorse, non si sarebbe proceduto ad alcun ulteriore pagamento.
2.2.2.– Sottolinea, altresì, l’interveniente che il superamento della spesa autorizzata è stato tempestivamente rilevato e rappresentato nel provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 26 settembre 2017, il quale, al punto 2.1., dispone che, tenuto conto dei limiti di spesa autorizzati dall’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, nonché dell’importo riferibile alle istanze di rimborso presentate, l’amministrazione finanziaria effettua i rimborsi delle somme oggetto delle istanze validamente liquidate, applicando la riduzione del cinquanta per cento.
In definitiva, tale provvedimento disciplinerebbe le modalità di erogazione delle restituzioni, nel rispetto della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., all’esito della verifica dell’ammontare dei rimborsi richiesti.
2.3.– Quanto alla mancata previsione di un obbligo di resoconto sulle istanze di rimborso, l’Avvocatura generale dello Stato opina che, nel caso in cui, con tale doglianza, il giudice rimettente abbia inteso riferirsi alla ricognizione iniziale, l’omessa deduzione, da parte dell’amministrazione finanziaria, dell’incapienza dei fondi ai fini del rimborso integrale si riverbera sul piano della prova processuale, senza che sia ravvisabile una lacuna normativa contrastante con il principio della riserva di legge in materia tributaria.
Ove, invece, il giudice a quo abbia inteso riferirsi alla ricognizione successiva che avrebbe dovuto indicare se l’erogazione del cinquanta per cento agli aventi diritto fosse stata ultimata e se fossero residuate somme da redistribuire, potrebbe replicarsi che tale attività rientra negli ordinari poteri degli organi esecutivi designati nel giudizio di ottemperanza.
2.4.– Ad avviso della difesa statale, anche la censura con la quale è prospettata la lesione del principio di eguaglianza sarebbe destituita di fondamento.
L’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 non comporterebbe alcuna disparità di trattamento, in quanto le posizioni dei contribuenti che hanno fruito dell’agevolazione fiscale versando il dieci per cento delle imposte dovute e di coloro che, invece, avendole assolte per intero, chiedono all’amministrazione finanziaria il rimborso del novanta per cento, non sarebbero sovrapponibili.
Infatti, nel secondo caso si pone l’esigenza, munita anch’essa di specifico rilievo costituzionale, di assicurare l’equilibrio delle entrate rispetto alle uscite, che giustifica la diversità di trattamento e quindi la restituzione non del novanta per cento di quanto corrisposto al fisco, ma eventualmente solo della metà di tale ammontare.
La norma censurata, all’esito di un bilanciamento tra gli interessi in gioco, accorderebbe preferenza all’interesse all’equilibrio di bilancio, nella prospettiva che la materia della imposizione tributaria rientri nel cosiddetto «nucleo duro» delle prerogative della potestà pubblica.
2.5.– La difesa statale ha poi sottolineato che, come affermato dalla giurisprudenza costituzionale, non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi, poiché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche.
Spetta, infatti, alla discrezionalità del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme.
Sottolinea l’interveniente come la stessa giurisprudenza costituzionale, con riferimento alla introduzione di un tetto massimo di erogazione dei crediti d’imposta, abbia evidenziato che il valore del legittimo affidamento, il quale trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che il legislatore possa introdurre normative che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici, sia pure aventi ad oggetto diritti soggettivi perfetti, ma esige che ciò avvenga alla condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica. In tale prospettiva – prosegue la difesa statale – il principio di equilibrio di bilancio sancito dall’art. 81 Cost. costituisce indubbiamente una causa normativa adeguata (viene citata la sentenza n. 149 del 2017).
2.6.– In ultimo, l’Avvocatura generale dello Stato rimarca come l’introduzione di disposizioni agevolative come quella in considerazione sia espressione di una discrezionalità particolarmente ampia, avuto riguardo al carattere eccezionale e derogatorio di tali norme, sicché, soltanto un uso distorto di tale potere, tale da rivelare un contrasto manifesto con il canone di ragionevolezza, potrebbe essere oggetto di sindacato di legittimità costituzionale.
Considerato in diritto
1.– La Commissione tributaria provinciale di Siracusa in composizione monocratica, con tre ordinanze di identico tenore, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», come modificato dall’art. 16-octies del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91 (Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno), inserito, in sede di conversione, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123, e dall’art. 29, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8.
1.1.– La disposizione censurata stabilisce che i soggetti colpiti dal sisma che il 13 e 16 dicembre 1990 ha interessato le Province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’art. 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990 (Sospensione di taluni termini a favore dei cittadini colpiti dal sisma del 13 dicembre 1990 nella Sicilia orientale), i quali hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al dieci per cento previsto dall’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)», compresi i titolari di redditi di lavoro dipendente, nonché i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite, hanno diritto al rimborso di quanto indebitamente corrisposto.
La norma dispone, altresì, che ai rimborsi si provvede mediante le risorse stanziate sugli ordinari capitoli di spesa utilizzati per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi, nei limiti di centosessanta milioni di euro, e che, qualora l’ammontare delle istanze ecceda l’impegno finanziario complessivamente autorizzato, la restituzione è eseguita applicando la riduzione percentuale del cinquanta per cento sulle somme dovute, mentre, a seguito dell’esaurimento dei fondi, non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi.
1.2.– Ad avviso del rimettente, tale previsione contrasterebbe con l’art. 3 della Costituzione, in quanto determinerebbe una disparità di trattamento tra i contribuenti che, usufruendo delle sospensioni dei termini per il versamento dei tributi relativi al triennio 1990-1992, accordate dopo i citati eventi sismici, hanno conservato la disponibilità delle somme a ciò destinate, per poi versare, beneficiando dell’agevolazione concessa dall’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, soltanto il dieci per cento del dovuto, e i contribuenti che, avendo assolto per intero le imposte relative al periodo anzidetto, ne hanno richiesto la restituzione nella misura del novanta per cento prevista dalla legge, posto che la disposizione in scrutinio ha limitato il rimborso alla metà e reso incerto il recupero della restante parte.
1.2.1.– La norma denunciata recherebbe, inoltre, vulnus all’art. 23 Cost., in quanto renderebbe incerta, fino ad escluderla, la soddisfazione dell’altra metà del credito, prevedendo che, in caso di eccedenza delle somme richieste a titolo di rimborso rispetto all’impegno di spesa autorizzato, la restituzione sia eseguita applicando la riduzione percentuale del cinquanta per cento sull’importo dovuto e che, a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate, non si proceda all’effettuazione di ulteriori rimborsi, e non prescrivendo un termine entro il quale l’Agenzia delle entrate debba provvedere al resoconto sulle istanze di ripetizione, in vista della liquidazione della metà oppure della ulteriore riduzione del dovuto.
2.− Attesa la identità delle questioni sollevate, le stesse vanno decise congiuntamente, previa riunione dei relativi giudizi.
3.− Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
3.1.− La difesa statale eccepisce l’omessa o insufficiente motivazione sulla rilevanza, per avere il rimettente trascurato di verificare se la norma censurata sia effettivamente applicabile alle controversie a quibus, avuto riguardo al momento in cui le sentenze poste a base dei giudizi di ottemperanza sono divenute definitive; all’individuazione dello stanziamento effettivamente disponibile nel caso di specie; all’assolvimento da parte dell’amministrazione finanziaria dell’onere di provare l’incapienza delle risorse stanziate.
L’Avvocatura generale dello Stato imputa dunque anzitutto al rimettente la mancata verifica, ridondante in un difetto di motivazione sulla rilevanza, dell’applicabilità, ratione temporis, dei limiti quantitativi fissati dalla novella introdotta dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, come convertito, alle pretese di rimborso azionate nei giudizi principali.
3.1.1.– L’eccezione sottende, tuttavia, una ricostruzione della normativa censurata che non si confronta con l’interpretazione, accolta dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la disciplina dei limiti quantitativi introdotta dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, come convertito, «non incide sul titolo della ripetizione, ma unicamente sull’esecuzione dello stesso», delineandosi come un posterius rispetto al giudizio di cognizione (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanze 21 febbraio 2020, n. 4570, 14 marzo 2018, n. 6213, 12 gennaio 2018, n. 709; nello stesso senso, sezione quinta civile, sentenza 19 maggio 2022, n. 16289). Pertanto, qualunque sia il titolo del rimborso, compreso quello giudiziale (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 15 marzo 2019, n. 7368), tale disciplina si applica a tutti i processi esecutivi instaurati dopo la sua entrata in vigore (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenze 10 giugno 2022, n. 18716, 7 giugno 2022, n. 18358, 23 maggio 2022, n. 16659, 19 maggio 2022, n. 16289; sezione sesta civile, ordinanza 14 ottobre 2021, n. 28108).
Da tali enunciazioni si ricava che l’applicabilità della norma censurata alle fattispecie in scrutinio non trova ostacolo nell’anteriorità, rispetto alla sua entrata in vigore, del passaggio in giudicato delle sentenze poste in esecuzione nei giudizi a quibus, così che deve escludersi che l’omessa considerazione, da parte del rimettente, di siffatto profilo temporale si traduca in un difetto di motivazione sulla rilevanza.
3.2.– Ad un diverso esito conduce, per le ragioni che saranno di seguito precisate, l’esame dell’ulteriore eccezione della difesa erariale, concernente l’omessa verifica, da parte del giudice a quo, dei presupposti di applicabilità della disciplina censurata, con specifico riferimento «all’individuazione dello stanziamento effettivamente applicabile nella fattispecie» e «all’avvenuto assolvimento o meno, da parte dell’Amministrazione, dell’onere di provare l’incapienza delle risorse stanziate».
3.2.1.– L’eccezione è fondata.
L’ordinanza di rimessione non ha adeguatamente esplicitato le ragioni per le quali le somme stanziate dalla normativa denunziata sarebbero incapienti in rapporto alle istanze di rimborso presentate o integrate dagli interessati nei termini previsti dalla legge.
Tale apprezzamento assume, invero, priorità logica rispetto alle odierne questioni di legittimità costituzionale, posto che i limiti alla integrale soddisfazione delle pretese di rimborso, mediante i fondi a ciò specificamente destinati dall’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, operano solo in caso di appurata insufficienza di tali risorse finanziarie.
La preliminare disamina sulla rilevanza avrebbe dunque richiesto una valutazione, supportata da una motivazione non implausibile, circa la ricorrenza del presupposto in questione.
3.2.2.– Né l’argomento impiegato dal rimettente per escludere la praticabilità, in seno al giudizio di ottemperanza, di una verifica sulla capienza della spesa autorizzata dalla norma in scrutinio supera il controllo “esterno” sulla motivazione della rilevanza demandato a questa Corte.
Il giudice a quo muove, invero, dalla premessa che, in assenza della specifica previsione di un termine perentorio entro il quale l’amministrazione finanziaria sia tenuta al resoconto sulle richieste di rimborso pervenute e sulla loro entità rispetto ai limiti di spesa autorizzati dalla legge, un controllo sulla capienza dei fondi stanziati sarebbe precluso al giudice dell’ottemperanza e, quindi, al commissario ad acta, «il cui intervento confliggerebbe con la disposizione in esame, e cioè con la norma che ha subordinato il soddisfacimento del residuo (metà) del rimborso alla ricapitolazione (per numero e importi) di tutte le istanze e al loro soddisfacimento per l’altra metà in misura proporzionale (o in nessuna misura)».
Tale motivazione, peraltro formulata in modo apodittico, non risulta in linea con le indicazioni della Corte di cassazione, secondo le quali la verifica del rispetto dei limiti quantitativi stabiliti dalla disciplina in questione trova collocazione proprio nel giudizio di ottemperanza.
Le più recenti pronunce di legittimità hanno precisato che i margini quantitativi fissati dalla previsione censurata integrano modalità attuative e procedimentali del credito restitutorio dettate direttamente dalla legge, con la conseguenza che la verifica dei relativi presupposti di operatività attiene al procedimento di esecuzione del comando giudiziale e non è soggetta alla rigorosa applicazione degli oneri di allegazione e prova rimessi alle parti (ex aliis, Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenze n. 18716 del 2022, 9 giugno 2022, n. 18683, 7 giugno 2022, n. 18358 e 19 maggio 2022, n. 16289).
Al giudice dell’ottemperanza compete il potere-dovere di compiere tutti gli accertamenti indispensabili per delimitare l’effettiva portata precettiva della decisione da attuare e, quindi, nella fattispecie in esame, la verifica di tutti i presupposti e di tutte le condizioni che determinano il rimborso da erogare, in considerazione delle risorse disponibili (ex aliis, Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenze n. 16289 e n. 16659 del 2022).
3.3.– Se, dunque, la verifica della disponibilità dei fondi stanziati dall’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, qui in scrutinio, «trova la sua sede naturale nell’ambito dell’attuazione e quindi nel giudizio d’ottemperanza» (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza n. 18716 del 2022), la Commissione tributaria rimettente, avendo omesso, senza addurre una motivazione non implausibile, qualsivoglia accertamento al riguardo, è incorsa in una carente illustrazione delle «ragioni che giustificano l’applicazione della disposizione censurata e determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo principale» (sentenza n. 160 del 2019 e ordinanza n. 156 del 2022; nello stesso senso, sentenza n. 105 del 2018).
4.– L’indicato difetto argomentativo si riverbera sulla motivazione in punto di rilevanza, connotandola come implausibile e carente, e determina, pertanto, l’inammissibilità delle questioni sollevate.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», come modificato dall’art. 16-octies del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91 (Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno), inserito, in sede di conversione, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123, e dall’art. 29, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 23 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2022.