Ordinanza n. 156 del 2022

ORDINANZA N. 156

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), come sostituito dall’art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Parma nel procedimento vertente tra Ghibli srl e l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Parma, con ordinanza del 5 maggio 2021, iscritta al n. 165 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 maggio 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;

deliberato nella camera di consiglio dell’11 maggio 2022.


Ritenuto che, con ordinanza del 5 maggio 2021 (reg. ord. n. 165 del 2021), la Commissione tributaria provinciale di Parma ha sollevato, in riferimento all’art. 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nella parte in cui prevede la deducibilità parziale al venti per cento dell’imposta municipale propria (IMU), relativa agli immobili strumentali, dalla base imponibile dell’imposta sul reddito delle società (IRES);

che, in punto di fatto, il rimettente premette che la Ghibli srl ha proposto ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso della «maggiore» IRES «per tutto il triennio 2014/2016» che la società riterrebbe di avere versato «a causa della parziale indeducibilità dell’IMU, relativa agli immobili strumentali»;

che, secondo la CTP rimettente, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale sarebbe «evidente», dal momento che la decisione del giudizio principale non potrebbe prescindere dall’applicazione della norma censurata;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che la norma censurata violi il principio di capacità contributiva, atteso che l’IRES finirebbe per gravare non già su un reddito netto, «bensì su di un reddito lordo e fittiziamente attribuito[gli]»;

che, in particolare, la deducibilità nella misura del venti per cento, ancorché introdotta, ad avviso del rimettente – con argomentazione che in parte richiama quanto dallo stesso affermato con precedente ordinanza di rimessione –, «al fine di evitare le censure di illegittimità costituzionale», non sarebbe idonea a superare il cennato vulnus, «“non fondandosi su alcun collegamento aritmetico o logico, diretto o indiretto, sia pur vago, fra deduzione forfetaria e deduzione analitica”»;

che l’ordinanza richiama due recenti precedenti di questa Corte sull’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 e, segnatamente: a) la «ordinanza» [recte: sentenza] n. 163 del 2019, emessa a seguito di un’ordinanza di rimessione proveniente dalla medesima CTP, che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 53 Cost., ritenendo, tra l’altro, insanabile l’omissione relativa alla descrizione della fattispecie da cui si assumeva scaturita l’istanza di rimborso; b) la sentenza n. 262 del 2020 – di cui ripercorre, facendole proprie, le principali motivazioni – che ha dichiarato fondata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., «sotto il profilo della coerenza e quindi della ragionevolezza», la questione di legittimità costituzionale avente a oggetto il citato art. 14, comma 1, nella sua formulazione originaria (in vigore per il solo 2012), che prevedeva l’integrale indeducibilità dell’IMU dalle imposte erariali sui redditi;

che nel rievocare poi in fatto la vicenda da cui è scaturito l’incidente di costituzionalità deciso con la citata sentenza n. 262 del 2020, il rimettente innanzitutto precisa che in quel caso si era trattato di una società, operante nel settore immobiliare e proprietaria di diversi immobili, che aveva richiesto il rimborso dell’IRES sulla base dell’IMU corrisposta «in riferimento a immobili strumentali alla società stessa»; quindi, afferma che si tratterebbe di un caso «speculare a quello oggetto della odierna ordinanza di rimessione» e che la ratio decidendi della suddetta sentenza sarebbe applicabile anche agli anni d’imposta successivi a quello oggetto della ricordata pronuncia;

che, con atto depositato il 22 novembre 2021, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;

che, ad avviso della difesa statale, l’odierna questione non sarebbe «speculare» a quella da cui è scaturita la sentenza n. 262 del 2020, poiché le relative fattispecie non potrebbero essere equiparate, riguardando, in un caso, la deducibilità parziale e, nell’altro caso, l’integrale indeducibilità dell’IMU disposta per il solo anno 2012;

che l’interveniente argomenta la non fondatezza del lamentato vulnus ripercorrendo le modifiche normative che nel tempo hanno progressivamente condotto all’attuale integrale deducibilità dell’IMU relativa agli immobili strumentali dalle imposte sui redditi;

che l’Avvocatura generale prende le mosse dall’originaria previsione di integrale indeducibilità – dichiarata costituzionalmente illegittima con la più volte citata sentenza n. 262 del 2020 – rimasta in vigore solo per il 2012, per segnalare che fin dal 2013, con i commi 715 e 716 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», è stata introdotta, ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni, una deducibilità parziale dell’IMU relativa agli immobili strumentali, precisamente nella misura del 30 per cento per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 e del 20 per cento dal 1° gennaio 2014;

che la difesa statale dà poi atto delle ulteriori modifiche con cui l’art. 1, comma 12, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), ha innalzato al 40 per cento la percentuale di deducibilità dell’IMU a decorrere dal 1° gennaio 2019 (art. 19 della medesima legge n. 145 del 2018); percentuale in seguito ulteriormente rimodulata con l’art. 3, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, e, infine, con l’art. 1, commi 4, 772 e 773, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), che hanno stabilito le percentuali di deducibilità del:

- 50 per cento per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018;

- 60 per cento per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019;

- 60 per cento per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2020;

- 100 per cento per i periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2021;

che, secondo la difesa statale, proprio una tale modulazione diacronica delle percentuali di deducibilità avrebbe consentito al legislatore, da un lato, di assicurare il perseguimento «graduale» dell’obiettivo dell’integrale deducibilità dell’IMU e, dall’altro lato, di rispettare i vincoli di bilancio dello Stato;

che ciò sarebbe confermato – osserva ancora l’Avvocatura generale – dalla citata sentenza n. 262 del 2020, che avrebbe infatti ritenuto non sussistenti i presupposti per estendere la declaratoria di illegittimità costituzionale alle annualità successive al 2012;

che, del resto, secondo la difesa statale, questa Corte anche in altre pronunce avrebbe più volte ribadito, per un verso, «l’esigenza di un continuo e ragionevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi», e, per altro verso, la necessità di impedire – eventualmente anche attraverso la modulazione nel tempo delle decisioni – che una dichiarazione di illegittimità costituzionale determinasse «effetti ancor più incompatibili con la Costituzione»;

che anche la scelta normativa dell’introduzione di percentuali di deducibilità dell’IMU in progressivo aumento fino alla sua integrale deducibilità dalle imposte sul reddito risponderebbe alla medesima ratio, in quanto essa sarebbe il risultato di un bilanciamento finalizzato a evitare il rischio della violazione del principio dell’equilibrio di bilancio;

che, secondo l’interveniente, queste considerazioni deporrebbero nel senso della insussistenza del denunciato vulnus;

che, secondo la difesa statale, la questione prospettata dal rimettente sarebbe non fondata anche in quanto atterrebbe «sostanzialmente al quantum della deduzione», ovverosia a un aspetto della disciplina riservato alla scelta discrezionale del legislatore, risolvendosi – in pratica – in una riduzione di aliquota, «che è compito esclusivo dello stesso legislatore valutare e fissare in relazione ai diversi obiettivi della politica economica e fiscale»;

che l’Unione nazionale delle camere degli avvocati tributaristi (UNCAT) e la Fondazione Telos, Centro studi dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Roma hanno depositato opinioni, in qualità di amici curiae, in adesione alla prospettazione del rimettente;

che, con decreto del Presidente di questa Corte del 25 marzo 2022, le opinioni sono state ammesse nel giudizio;

che, in data 12 aprile 2022, l’Avvocatura generale ha depositato memoria ribadendo quanto già argomentato nell’atto di intervento.

Considerato che, con ordinanza del 5 maggio 2021 (reg. ord. n. 165 del 2021), la Commissione tributaria provinciale di Parma ha sollevato, in riferimento all’art. 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nella parte in cui prevede la deducibilità parziale al venti per cento dell’imposta municipale propria (IMU), relativa agli immobili strumentali, dalla base imponibile dell’imposta sul reddito delle società (IRES);

che, secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe il principio di capacità contributiva, atteso che, in conseguenza di tale parziale deducibilità, l’IRES finirebbe per gravare non già su un reddito netto, «bensì su di un reddito lordo e fittiziamente attribuito[gli]»;

che, in particolare, ad avviso del giudice a quo, – con argomentazione che in parte richiama quanto dallo stesso affermato con precedente ordinanza di rimessione –, la deduzione nella misura del venti per cento, ancorché introdotta «al fine di evitare le censure di illegittimità costituzionale», non sarebbe idonea a superare il cennato vulnus, «“non fondandosi su alcun collegamento aritmetico o logico, diretto o indiretto, sia pur vago, fra deduzione forfetaria e deduzione analitica”»;

che il rimettente riferisce che la Ghibli srl ha proposto ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso della «maggiore» IRES «per tutto il triennio 2014/2016» che la società riterrebbe di avere versato «a causa della parziale indeducibilità dell’IMU relativa agli immobili strumentali»;

che, benché il giudice a quo non lo abbia precisato esplicitamente, dal riferimento testuale operato alla «deducibilità parziale del 20%», si può desumere che la sollevata questione ha ad oggetto, precipuamente, il primo periodo del comma 1, dell’art. 14, del d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall’art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)»;

che se, dunque, pur nella sua stringatezza, la questione sollevata, valutata alla luce dell’intera ordinanza di rimessione, è espressa in modo sufficiente a consentire a questa Corte di individuare il thema decidendum, essa risulta, tuttavia, irrimediabilmente viziata da una insufficiente motivazione sulla rilevanza;

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la motivazione sulla rilevanza «è da intendersi correttamente formulata quando illustra le ragioni che giustificano l’applicazione della disposizione censurata e determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione» del processo principale (sentenza n. 160 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 105 del 2018);

che, nella specie, a fronte dell’assertiva affermazione del rimettente per cui la rilevanza sarebbe «evidente», in quanto la decisione del giudizio principale non potrebbe prescindere dall’applicazione della norma censurata, manca una valutazione, sia pure solo sommaria, di tale profilo da parte del giudice a quo;

che, in particolare, risulta del tutto omesso un vaglio circa il rapporto tra l’oggetto sociale della ricorrente nel giudizio principale, che non viene mai esplicitato, e l’effettiva strumentalità degli immobili all’attività da quella esercitata;

che, peraltro, tale omissione risulta nella specie ancora più singolare se solo si considera che lo stesso giudice a quo, da un lato, si sofferma nel richiamare le ragioni che hanno condotto questa Corte, nella sentenza n. 163 del 2019, a dichiarare l’inammissibilità di analoga questione di legittimità costituzionale anche per profili attinenti alla «carenza descrittiva» della fattispecie; dall’altro lato, richiama specificamente gli elementi posti a fondamento della rilevanza (in particolare relativamente al settore di attività della società ricorrente, al rapporto proprietario e alla natura strumentale dei beni cui è riferibile l’IRES oggetto di rimborso) della questione decisa con la sentenza n. 262 del 2020 di questa Corte;

che, a questo riguardo, va rilevato che, a ben vedere, l’affermazione del giudice a quo secondo cui «il caso [oggetto dell’odierno incidente] appare speculare» a quello relativo alla sentenza da ultimo citata non consente di superare le evidenziate omissioni in ordine alla rilevanza, ma anzi le aggrava;

che, infatti, a volere intendere la “specularità” evocata dal rimettente quale implicita motivazione sulla rilevanza, si dovrebbe concludere che anche in questo caso (come in quello deciso con la citata sentenza n. 262 del 2020) la società ricorrente nel giudizio principale operi nel settore immobiliare;

che proprio questa evenienza avrebbe richiesto al giudice a quo di accertare, ai fini dell’applicabilità della norma censurata, la effettiva strumentalità degli immobili in relazione all’oggetto sociale;

che tale precisazione sarebbe stata ancora più necessaria laddove si consideri che l’art. 2, comma 2, lettera a), del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 (Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 ottobre 2013, n. 124, ha sostituito il comma 9-bis dell’art. 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevedendo che «[a] decorrere dal 1° gennaio 2014 sono esenti dall’imposta municipale propria i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati»;

che, dunque, in particolare dal 2014, la verifica dell’effettiva strumentalità dei beni assume specifico rilievo sia agli effetti dell’applicazione dell’IMU, sia a quelli della sua deducibilità parziale dall’IRES;

che le descritte carenze in punto di motivazione sulla rilevanza determinano, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la manifesta inammissibilità delle questioni (ex plurimis, ordinanza n. 76 del 2022);

che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall’art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), come sostituito, dall’art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», sollevata, in riferimento all’art. 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 maggio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2022.